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Post n°699 pubblicato il 03 Maggio 2012 da laura561
Montagnalonga: operazione "Dawn Patrol" da Giuseppe Casarrubea - 2 maggio 2012 Il presidente della Repubblica, Giovanni Leone, per la prima volta nella storia repubblicana, aveva sciolto, con un anno circa di anticipo, le Camere e in tutta la penisola i neofascisti si stavano riorganizzando superando le vecchie divisioni interne, tra componenti filo monarchiche e nuove aggregazioni di destra. Tutte confluite in un nuovo grande schieramento guidato da Giorgio Almirante: il Movimento sociale italiano-Destra nazionale. Era la prima volta che la destra si ricomponeva nelle sue vocazioni unitarie dandosi nuove basi organizzative e un nuovo partito. Quella sera, dunque, diversi testimoni videro nel cielo un aereo in fiamme passare sulle loro teste o andarsi a schiantare sulla cresta di Montagnalonga. Un rilievo dell’immediato entroterra siciliano che divide la collina di Carini dalla piana di Cinisi dove, con il piacere di Tano Badalamenti, era nato l’aeroporto di Punta Raisi. In quell’anno la Sicilia, come del resto l’Italia, pullulava di fascisti. Era reduce, infatti, dal fallito golpe dell’Immacolata (che si sarebbe dovuto realizzare poco più di un anno prima). C’erano in giro Pierluigi Concutelli e Stefano delle Chiaie, i fascisti di Avanguardia Nazionale, o della Decima Mas di Borghese e quelli di Ordine Nuovo. “Insomma – scriveva Giovanni Spampinato, ucciso in quello stesso anno per conto di ambienti legati al fascismo e alla mafia– in Sicilia, accanto allo squadrismo tradizionale […] è presente un fascismo egualmente provocatorio, egualmente eversivo, ma che fa uso di metodi più raffinati per difendere gli stessi interessi di agrari, speculatori ed industriali, che si espone meno all’attenzione dell’opinione pubblica, che mira ad obiettivi ben più importanti della bastonatura di cittadini inermi: un fascismo ‘alla greca’, che prepara giorno per giorno il colpo di stato ”. La Grecia, appunto. Anzi, la guerra fredda, il blocco occidentale, la Nato. In questo senso almeno due elementi inducono a prendere in considerazione l’istanza presentata dall’avvocato Ernesto Pino, per conto del generale in riserva Antonino Borzì, fratello di Rosario, morto nell’incidente. L’obiettivo è riaprire un processo chiusosi con sentenza della Corte di Cassazione, il 4 aprile 1984. Con il solito tutti assolti, tranne i piloti morti che non possono parlare. Quali questi due elementi? Il primo è che giusto quel 5 maggio 1972 era in atto, un addestramento militare della Nato. Il secondo è che non si prestò molta attenzione all’analisi dei reperti del velivolo. Il fotografo ufficiale registrò segni evidenti di colpi che sarebbe stato bene che un perito avesse sottoposto a relazione. Potevano essere attribuiti alla caduta dell’aereo, ma potevano anche esserne la causa. Se i giudici avessero disposto un accertamento anche sui corpi dei morti sui quali nessuno ebbe a fare mai un’autopsia accurata, allora le conoscenze su quanto accaduto avrebbero potuto migliorare. Si tratta di dati immortalati tra gli incartamenti di Montagnalonga e in alcuni archivi fotografici privati. Per quanto riguarda i reperti, c’è da chiedersi: dove sono andati a finire? Per gli aspetti cartacei un dato rilevante è lo stralcio delle comunicazioni TBT (terra-bordo-terra) intercorse tra il volo AZ 136 e gli Enti ATC (volo Roma-Catania), il 5 maggio 1972, sulla frequenza 128,8 di Roma informazioni. Si riferisce alle ore 17,04, cinque ore prima del disastro aereo dell’AZ 112. L’operatore del Centro di informazione sul volo (FIC) dice: “Di traffici riportati noi non ne abbiamo specificamente. Però abbiamo un Notam, il 112, il quale suggerisce di suggerirvi (sic) di volare fra Catania Control zone e Ponza fra 220 e 310. Al di fuori di questo slot c’è possibilità di possibile traffico, appunto, della esercitazione Dawn Patrol cui fa riferimento il Notam”. Dall’esame dell’intera conversazione si evince un notevole traffico di natura non precisata e certo inconsueta sui cieli di Sicilia. A tal punto che lo stesso pilota dell’AZ 136, esprime il suo disappunto sull’immediato mancato atterraggio del suo veivolo e sulla possibilità che dovesse attraversare il traffico in fase “finale”. Perchè? La risposta è una sola: c’era una esercitazione militare della Nato in corso. Per l’appunto. Cioè una ricognizione militare, cui partecipavano mezzi aerei e navali. (Per leggere lo stralcio clicca qui: conversazioneTBT_5_5_72) Ma c’è dell’altro. L’AZ 112 dei piloti Bartoli e Dini, quella sera, non era solo nei cieli di Punta Raisi. Lo prova un verbale. Il 10 maggio 1972 nei locali degli uffici del Controllo dell’Aeroporto civile di Punta Raisi, Aldo Rizzo e Domenico Signorino, sostituti procuratori della Repubblica di Palermo (il secondo morirà suicida), procedevano all’ascolto della registrazione delle comunicazioni TBT contenuta nella bobina già sequestrata presso la Torre di Controllo dell’aeroporto, la notte del 6 maggio 1972. Veniva rilevata la perfetta integrità della bobina, si estraeva la stessa e si provvedeva all’ascolto. Risultavano registrate tutte le comunicazioni della torre di controllo con gli aerei: ATI 325, ATI 326, e con l’AZ112 e si trascrivevano le conversazioni. Si apprendeva, tra l’altro, che dopo le ultime parole pronunciate dai piloti del DC 8- AZ 112 I-DIWB, il nastro aveva registrato una pausa e poi una breve conversazione in lingua straniera con un aereo russo Ilyushin Il-18, in attesa di decollo e che nel gergo della Nato veniva definito Coot. Durante l’ascolto si riscontra altra pausa e la voce dell’operatore della torre di controllo che chiama più volte, senza risposta, il personale di bordo dell’aereo AZ 112. Dopo un‘altra pausa, si sente una conversazione (effettuata alle 22,40 circa) in lingua inglese tra l’operatore della torre di controllo e quello a bordo di un aereo inglese poi atterrato alle 23,16 minuti.
Ma come è possibile pensare che dei piloti professionisti come Bartoli e Dini commettano errori fatali in condizioni atmosferiche buone? Non può darsi che Montagnalonga in quel momento fosse, piuttosto che un tragico errore di due bravi piloti, un errore della guerra fredda? La faccenda fu chiusa in un paio di settimane, quando una commissione di indagine, omettendo di valutare tutte le possibili ipotesi, concluse di addossare le colpe dell’accaduto ai morti che non potevano più parlare. Una tesi offensiva per i morti e per i vivi. Per i morti perché in tal modo venivano uccisi un’altra volta, per i vivi perché si sottovalutava l’intelligenza degli italiani. Troppi elementi si legano direttamente alla geografia fisica e politica del luogo, capitale allora di Cosa nostra. Una coesione di forze che già dagli anni Quaranta del secolo scorso aveva legato molti soggetti a uno stesso circuito: gli interessi prevalenti degli Stati Uniti d’America alla militarizzazione del Mediterraneo, contro eventuali influenze dell’est europeo.
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