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La pista del sogno proibito, di Carolina Crespi

Post n°81 pubblicato il 30 Gennaio 2006 da ilSappa
Foto di ilSappa

Ciao, in questo post ho deciso di pubblicare il racconto vincitore della sezione giovani del concorso ''Scrivere le Olimpiadi'' (promosso da ''La Stampa'', premio ''Grinzane-Cavour; oltre 2700 racconti selezionati), la cui autrice è una amica di vecchia data. Io sono rimasto parecchio colpito dal racconto, molto profondo a parer mio...quindi le dedico questo....e voi fate un piccolo sforzo ( :-) ne vale la pena!), leggetelo tutto e commentate!!

La pista del sogno proibito

Aspettavo le meno cinque.
Poi uscivo, con un ciao incastrato fra le labbra e la voglia di rimanere.

Accumulavo così ogni giorno i miei venticinque minuti di assenza, che il mio libretto scolastico giustificava una volta per tutte con una banale “uscita anticipata” firmata ad inizio anno scolastico.

Alla maturità tutto questo tempo sprecato sarebbe pesato, dicevano. Ma io me ne infischiavo. Trotterellavo fino a casa mangiucchiando un panino al prosciutto, facevo la borsa e poi in autobus raggiungevo la pista. Si iniziava alle tre e non si finiva mai. A volte alle sette sotto la doccia io e Carla ci chiedevamo quanto sarebbe durata. Ci scherzavamo sopra,ma entrambe sapevamo che avevamo smesso di giocare per divertirci da un po’.

Millenovecentonovantanove. Io ero in prima liceo e Carla già in terza. Dopo gli allenamenti fantasticavamo su Atene 2004. Sui miei diciannove anni o sui suoi ventuno.
Su chi per prima si sarebbe infilata nello spogliatoio di un nuotatore.

Carla rideva mentre si fumava l’ennesima canna proibita ad un atleta prima ancora che ed un semplice cittadino. Io parlavo poco. La ascoltavo soprattutto.
Volevo imparare, capire, vincere da sola, senza di lei.
Lei era forte, forse la più forte di tutti in squadra. E lo sapeva.

Io a quei tempi ero ancora troppo piccola, inesperta anche se i miei progressi sbalordivano chiunque di mese in mese. Gareggiai in una sola stagione in cinque specialità diverse: vinsi indifferentemente 400m ostacoli, 800m piani, 1500m, 3000m... L’anno dopo Carla passò di categoria, e io rimasi l’unica, ormai mezzofondista della categoria allieve. Quell’anno le cose rotolarono troppo velocemente, perché potessi rendermi conto di cosa stava accadendo. Il mio allenatore ebbe un’ ictus a novembre e fu costretto a casa per l’intera stagione. Non tornò mai più come prima. Robi, l’allenatore della maschile cominciò ad allenare anche noi.

La sera della vigilia di Natale entrò in spogliatoio femminile e mi chiese se avevo già avuto le mestruazioni. Gli dissi di no, e che il medico diceva che ero solo in ritardo e che tutto era comunque regolare. Sarebbero arrivate da lì a poco. A gennaio corsi due campestri con la prima squadra. A giugno gli assoluti di categoria.
Ero la più forte di tutti. Macinavo secondi di gara in gara e perdevo chili di giorno in giorno. Arrivai a pesarne trentotto. Cominciai a prendere dei soldi. Mi parlavano di europei: e io gongolavo pensando a quante tappe avevo bruciato, ero diventata talmente orgogliosa che ci rimasi male quando nessuno parlo di Sidney2000.

Quell’estate persi l’anno a scuola. Praticamente non ci andavo quasi più. Dei vecchi amici mi era rimasta solo Carla, che incrociavo in spogliatoio due volte a settimana. Lei tentò più volte di mettermi in guardia: diceva che Robi era un ingenuo a farmi gareggiare con i grandi e che era un po’ presto per giocarsi la scuola per un europeo juniores. Ma io non la ascoltavo, convinta che fosse l’invidia a parlare. Giugno, luglio, agosto: mi allenavo sempre, anche la domenica. Quando pioveva mi chiudevo in palestra con la musica a tutto volume e usavo gli attrezzi.

A Novembre vinsi gli italiani di corsa campestre. E cominciai a vomitare. Vomitai sull’erba, poco prima del traguardo. Nessuno se ne accorse, tranne Robi che lo disse al medico della società.

Si decise che mi avrebbero fatta vomitare prima della gara, se fosse stato il caso, così avrei corso leggera e senza pericolo di stare male all’arrivo. Davanti alle telecamere. Tirai avanti così l’intera stagione su pista. Mi riscaldavo. Indossavo le chiodate. Vomitavo. Correvo.
Vincevo. Il duemilauno fu il mio anno di grazia. E fu anche l’ultimo anno prima che la bambina prodigio si scontrasse con la volubilità adolescenziale femminile. A diciassette anni compiuti mi innamorai per la prima volta di un ragazzo che non fosse solo scarpe da ginnastica e cronometro. Lo vedevo alle otto, dopo gli allenamenti, uscire da un portone davanti a casa. Si diceva collaborasse con RadioBodù, una radio locale che metteva musica alternativa e promuoveva gruppi locali. Di martedì cominciai a rientrare un po’ prima in spogliatoio, velocizzare la doccia, non asciugare i capelli: correvo in modo frenetico fino a casa e lo aspettavo seduta sul marciapiede. Cronometravo anche il tempo dal campo sportivo a casa: se non ero troppo stanca riuscivo a farmela tutta di corsa in mezz’ora. Il pullman ormai non lo aspettavo quasi più.

A gennaio del duemilatre, mentre mi allenavo per l’europeo, arrivarono le mestruazioni. Sugli 800m valevo 2’13” e avrei dovuto abbassare il tempo a 2’02” se volevo essere ammessa all’assoluto non di categoria. Rincorsi quei due minuti e zero due secondi per tutta la vita. Diedi tutta me stessa per arrivarci, ma continuarono a sfuggirmi di mano come solo il tempo è capace di scivolare via implacabile.

Smisi di vedere Fede e i ragazzi della radio. Smisi di andare a scuola ad Aprile, perdendo l’ennesimo anno. Smisi di mangiare, con i chili che aumentavano rincorrendo uno sviluppo tardivo che anelavano da tempo. Smisi di essere un’adolescente subito dopo esserlo diventata.

Il risultato fu il niente. Ad agosto smisi di allenarmi. Se non potevo avere gli europei assoluti non importava.
Non mi accontentavo delle gare juniores. Ero stanca e delusa. Robi insistette perché ricominciassi e non lasciassi perdere. Diceva che puntava ancora su di me. Ma non mi chiedeva più di rimanere in pista dopo le otto per un po’ di allenamento da sola. Mi lasciava la domenica libera. E tanto, troppo tempo a pensare cosa non ero stata capace di ottenere. A dicembre lasciai definitivamente la squadra e recuperai un anno a scuola con la scorciatoia del due anni in uno. Vidi in tele Atene duemilaequattro, con Fede e i ragazzi della radio che sfottevano i commentatori e rimanevano ammaliati dai salti di Gibilisco. Io e Carla intanto giocavamo a stracciacamicia sul balcone, parlando di niente, programmando vacanze e bevendo caffè shakerato con baileys.

Ma quando vado all’università, e dal finestrino del treno scorgo una pista rossa, deserta, ai lati della ferrovia, chiudo forte gli occhi, e mi giro. E le lacrime non se ne vanno.


[Carolina Crespi]

Gens, ci sentiamo tra un esame e l'altro!
saluti a tutti..

ale

 
 
 
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Data di creazione: 26/11/2005
 
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