Creato da shaijlyah il 26/11/2009

e fu... Neapolis...

l'antro di una citta' spesso dimenticata...perdendosi nell'immenso tra immagini, fantasie, miti, leggende e misteri...

 

IDILLIO 'A MMERDA di Ferdinando Russo

Post n°7 pubblicato il 16 Dicembre 2009 da shaijlyah
 


Qualcuno sostiene che i versi che di volta in volta andro' a postare risalgano al tardo '700 inizi ' 800 e che sono di noti autori napoletani (Ferdinando Russo, Raffaele Petra, Nicola Capasso) i quali, per l'oscenità dei temi trattati, hanno preferito lasciarli anonimi!
Al di là della pura volgarità che qualche brano porge irriverentemente, altri sono divertenti dando uno spaccato della vita popolana del periodo cui si riferiscono...
Ho voluto iniziare questo cammino con dei versi del piu' famoso degli scrittori erotici napoletani: Ferdinando Russo, "Idillio 'a mmerda"...

Che dirvi ancora se non augurarvi buona lettura!



- Idillio 'a mmerda -

Nu juorno na cacata sulitaria,
meza annascosta dint' 'a nu sentiero,
c''o sole 'e luglio e c''o profumo 'e Il'aria
s'annammuraie d''o strunzo 'e nu pumpiero.

Essa era tonna, acconcia, piccerella,
isso era niro, gruosso, frisco frisco;
essa era fatta a fforma 'e cuppulella,
isso rassumigliava a n'obelisco.

E, cu ll' intermediario 'e nu muscone
na bella sera tutta prufumata,
'o strunzo avette 'a dichiarazione
d'ammore d''a cacata nnammurata.

Isso era nato sotto mala stella;
ca maje nisciuno l'aveva guardato ...
Vulette bene a chella cacatella
cchiù assaie d''o culo ca l'avea cacato.

Ma stevano luntano; e sulo 'a luna,
e sulo 'e pprete e sulo 'e ffrasche verde
sapevano 'e turmiente, a uno a uno,
'e chilli duie sperdute piezze 'e mmerda.

E na matina, erano verso Il'otto,
nu cato d'acqua 'a copp"a na fenesta
facette comm''o libbro galeotto
'e 'onna Francesca e Paolo Malatesta.

Benedicenno nzieme chella secchia,
s'astrignèttero forte. Erano sule:
essa Ile regalaje na pellecchia,
isso Ile regalaje dduie fasule.

Chiano, sciulianno dint'a ll'acqua 'alice,
cu nu curteo 'e muschille int''o sentiero,
sotto 'o sole, 'a cacata 'e stiratrice
se mrnaretaje c"o strunzo d"o pumpiero.

E in viaggio 'e nozze stetteno abbracciate
mmiez'a dduie piezze 'e càntere scassate. 

(Ferdinando Russo)

 

 
 
 

SAN GREGORIO ARMENO...te piace 'o presepio?

Post n°6 pubblicato il 15 Dicembre 2009 da shaijlyah
 

 

Immergersi  nei colori e negli odori di una Napoli storica, appartenente ad un'altra epoca,  la Napoli dove il tempo letteralmente si ferma, la Napoli di una delle vie dell'artigianato più famose al mondo, caleidoscopio di colori, musica, persone e presepi, statuine, addobbi, maschere : è la Napoli di Via San Gregorio Armeno, nota in tutto il mondo per essere la Via dei Presepi, posta tra "Spaccanapoli" e via dei Tribunali.


Difficile da descrivere, una cosa così si può solo...respirare! L'odore delle caldarroste, le melodie natalizie che arrivano all'orecchio da ogni

direzione...la magia del Natale trapela da ogni singolo elemento qui, a San Gregorio Armeno: statuine di pastori, interi soffitti ricoperti di angeli che scendono dolcemente sulle teste dei visitatori delle botteghe, fontane, cascate e mulini a vento alimentati dall'energia elettrica, casette di cartone e di sughero, frutta e verdura, sedie impagliate, panelline di pane e, ancora, pastori, venditori di frutta, di pesce, il macellaio, l'acquaiola; ma pure il pizzaiolo "robotizzato" che inforna la pizza, i classici come Benito ed i Re Magi e naturalmente la Sacra Famiglia, con il corredo di bue ed asinello, in tutte le dimensioni, fatture e prezzi.

 

Le statuine dei pastori possono essere di terracotta o argilla, gli abiti affrescati direttamente sulla creta oppure cuciti a mano e su misura, i personaggi possono avere gli arti fissi o snodabili, se l'obiettivo è rendere la scena più dinamica.


 

 

 

 

Il lavoro nelle botteghe di via San Gregorio Armeno non si ferma a questo:

oltre ai simboli della tradizione partenopea, in tutte le pose e dimensioni, come Pulcinella o i folti grappoli di aglio e peperoncini rossi appesi ovunque, ogni anno gli artigiani sorprendono le famiglie napoletane e i turisti di ogni parte del mondo esponendo sui loro banchetti statuine con i volti dei politici, vip e calciatori di sempre e di quelli del momento, sottolineando così l'inventiva e il senso dell'umorismo dei napoletani!

 

 

 

Cominciamo dalle "intramontabili", quelle che troveremo sempre sui banchetti degli artigiani: il "Pibe de oro" Diego Armando Maradona, il miglior calciatore di sempre, passione eterna dei napoletani e, forse, secondo solo a San Gennaro nel loro cuore!
Gli attori che, con la propria arte di recitare, hanno conferito dignità e valore ad una città come Napoli: Totò, Eduardo de Filippo, Massimo Troisi.
E poi possiamo portarci a casa qualche personaggio del momento: vip, politici e star che sono stati protagonisti delle notizie di attualità, politica e gossip dell'anno, immortalati in piu' delle volte in modo quasi caricaturale.

 

 

 

 

 

 

Tra le new entry dell'anno non poteva mancare la statuina di Patrizia D'Addario, negli ultimi mesi al centro di rivelazioni riguardanti la vita privata di Silvio Berlusconi. Presente già da diversi anni tra i pastori di S. Gregorio, il premier compare invece in ginocchio di fronte a Veronica Lario con alle spalle Noemi Letizia.

 

 

 

Tra le coppie più famose, in pole position George Clooney ed Elisabetta Canalis, con il cartello 'oggi sposi'; Marrazzo, l'ex governatore del Lazio, raffigurato con accanto statuine di trans, Micheal Jackson, Mike Bongiorno, Felipe Massa con il sopracciglio rotto, l'ex giudice Di Pietro con tutti i politici condannati per Tangentopoli, il capitano della Nazionale di calcio Fabio Cannavaro che innalza la Coppa del mondo e ancora "El pocho" Lavezzi idolo dei tifosi del Napoli, il neo presidente degli Stati Uniti Barack Obama (accompagnato da una scritta tutt'altro che casuale e riferita agli ultimi eventi politici),

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

e i ministri più in vista del 2009,come Brunetta, Brambilla o Gelmini.

 

     

 

    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non poteva passare inosservata la psicosi da influenza A: a raffigurare i timori del contagio, particolarmente sentiti a Napoli per il numero elevato di decessi che il virus ha provocato, sono le statuine di san Giuseppe e della Madonna, raffigurate con le mascherine anti-influenza.


 

 

 

Insomma, un misto tra passato e presente, tra paesaggi che si ispirano a quadri settecenteschi, e attualità odierne, contemporanee, che fanno anche sorridere.

Ovviamente, si può passeggiare tra le botteghe di Via San Gregorio Armeno
durante tutto l'anno, perché sono sempre aperte ed espongono le proprie creazioni, anche se in numero ridotto rispetto alla moltitudine del periodo natalizio!
Gli artigiani lavorano in modo più pacato e tranquillo, in previsione del caos che, inevitabilmente, il grande afflusso di turisti creerà durante il periodo natalizio!

 

 

 

 

 

 

 

 

Spero di aver reso, almeno in minima parte, l'idea di cosa sia trascorrere qualche ora nel cuore di Napoli, a San Gregorio Armeno: un'esperienza dei sensi!


 
 
 

LE STATUE DELLE VIRTU': LA PUDICIZIA

Post n°5 pubblicato il 09 Dicembre 2009 da shaijlyah
 


Con il Cristo velato e il Disinganno, la Pudicizia forma la terna d’eccellenza artistica della Cappella Sansevero, canonizzata da viaggiatori, guide e storici dell’arte sin dal ’700. Il monumento è dedicato da Raimondo di Sangro alla memoria della “incomparabile madre”, Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, morta il 26 dicembre 1710, quando Raimondo non aveva ancora compiuto un anno.


La Pudicizia fu realizzata nel 1752 dal veneto Antonio Corradini, scultore di fama europea. L’artista, che pure aveva scolpito altre figure velate, raggiunge qui un altissimo grado di perfezione nel modellare il velo posto sul corpo della donna con eleganza e naturalezza, come se il vapore esalato dal bruciaprofumi contribuisse a rendere umido e straordinariamente aderente alla pelle lo strato impalpabile, cinto da un serto di rose. Lo sguardo perso nel tempo, l’albero della vita, la lapide spezzata sono i simboli di un’esistenza troncata troppo presto e palesano il dolore del figlio Raimondo, che volle così tramandare fattezze e virtù della giovane madre. Al tema vita/morte fa esplicito riferimento anche il bassorilievo sul basamento, con l’episodio evangelico del Noli me tangere, in cui Cristo appare alla Maddalena in veste d’ortolano.

 

 

 
 
 

LE STATUE DELLE VITU': IL DISINGANNO

Post n°4 pubblicato il 09 Dicembre 2009 da shaijlyah
 

 

Il capolavoro del Queirolo è senza dubbio il Disinganno, opera dedicata da Raimondo di Sangro al padre Antonio, duca di Torremaggiore.


Il gruppo scultoreo descrive un uomo che si libera dal peccato, rappresentato dalla rete nella quale l’artista genovese trasfuse tutta la sua straordinaria abilità. Un genietto alato, che reca in fronte una piccola fiamma, simbolo dell’umano intelletto, aiuta l’uomo a divincolarsi dalle maglie intricate, mentre indica il globo terrestre ai suoi piedi, simbolo delle passioni mondane; al globo è appoggiato un libro aperto, la Bibbia, testo sacro ma anche una delle tre “grandi luci” della Massoneria. Il bassorilievo sul basamento, con l’episodio di Gesù che dona la vista al cieco, accompagna e rafforza il significato dell’allegoria. Nell’Istoria dello Studio di Napoli (1753-54) Giangiuseppe Origlia definisce a ragione questa statua “l’ultima pruova ardita, a cui può la scultura in marmo azzardarsi”: il riferimento è ovviamente alla virtuosistica esecuzione della rete, che lasciò sgomenti celebri viaggiatori sette-ottocenteschi e continua a stupire i turisti odierni. A tal proposito, si tramanda che – come era già avvenuto al Queirolo anni prima nella realizzazione di un’altra statua – lo scultore dovette personalmente passare a pomice la scultura poiché gli artigiani dell’epoca, specializzati proprio nella fase di finitura, si rifiutarono di toccare la delicatissima rete per paura di vedersela frantumare sotto le mani.



Il Disinganno, come attesta ancora l’Origlia, è un’opera “tutta d’invenzione del Principe, e nel suo genere totalmente nuova”, non ritrovandosene altra simile né tra gli antichi né tra i moderni. Tale monumento ha, non a caso, una simbologia ricca e complessa. Il richiamo al contrasto tra luce e tenebre, evocato dall’allegoria principale nonché dal bassorilievo (con la frase “Qui non vident videant”) e dai passi biblici incisi nel libro aperto, appare un chiaro riferimento alle iniziazioni massoniche, in cui l’iniziando entrava ritualmente bendato per poi aprire gli occhi alla nuova luce della Verità custodita dalla Loggia. Bellissima la dedica composta da Raimondo, in cui la vita del padre viene posta a immortale esempio della “fragilità umana, cui non è concesso avere grandi virtù senza vizi”.


 
 
 

LE STATUE: IL CRISTO VELATO

Post n°3 pubblicato il 09 Dicembre 2009 da shaijlyah
 

 

Posto al centro della navata della Cappella Sansevero, il Cristo velato è una delle opere più note e suggestive al mondo. Nelle intenzioni del committente, la statua doveva essere eseguita da Antonio Corradini, che per il principe aveva già scolpito la Pudicizia. Tuttavia, Corradini morì nel 1752 e fece in tempo a terminare solo un bozzetto in terracotta del Cristo, oggi conservato al Museo di San Martino. Fu così che Raimondo di Sangro incaricò un giovane artista napoletano, Giuseppe Sanmartino, di realizzare “una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua”. Sanmartino tenne poco conto del precedente bozzetto dello scultore veneto. Come nella Pudicizia, anche nel Cristo velato l’originale messaggio stilistico è nel velo, ma i palpiti e i sentimenti tardo-barocchi di Sanmartino imprimono al sudario un movimento e una significazione molto distanti dai canoni corradiniani. La moderna sensibilità dell’artista scolpisce, scarnifica il corpo senza vita, che le morbide coltri raccolgono misericordiosamente, sul quale i tormentati, convulsi ritmi delle pieghe del velo incidono una sofferenza profonda, quasi che la pietosa copertura rendesse ancor più nude ed esposte le povere membra, ancor più inesorabili e precise le linee del corpo martoriato. La vena gonfia e ancora palpitante sulla fronte, le trafitture dei chiodi sui piedi e sulle mani sottili, il costato scavato e rilassato finalmente nella morte liberatrice sono il segno di una ricerca intensa che non dà spazio a preziosismi o a canoni di scuola, anche quando lo scultore “ricama” minuziosamente i bordi del sudario o si sofferma sugli strumenti della Passione posti ai piedi del Cristo. L’arte di Sanmartino si risolve qui in un’evocazione drammatica, che fa della sofferenza del Cristo il simbolo del destino e del riscatto dell’intera umanità.



IL CAPOLAVORO

Il Cristo velato del Sanmartino è uno dei più grandi capolavori della scultura di tutti i tempi. Fin dal ’700 viaggiatori più o meno illustri sono venuti a contemplare questo miracolo dell’arte, restandone sconcertati e rapiti. Tra i moltissimi estimatori si ricorda Antonio Canova, che durante il suo soggiorno napoletano provò ad acquistarlo e si tramanda dichiarasse in seguito che avrebbe dato dieci anni di vita pur di essere lo scultore di questo marmo incomparabile. E ancora: nelle sue memorie di viaggio il marchese de Sade esaltò “il drappeggio, la finezza del velo […] la bellezza, la regolarità delle proporzioni dell’insieme”; Matilde Serao consacrò in un densissimo scritto tutta la passione significata dalle fattezze del Cristo; il maestro Riccardo Muti ha scelto il volto del Cristo per la copertina del suo Requiem di Mozart; lo scrittore argentino Hector Bianciotti ha parlato di “sindrome di Stendhal” al cospetto del velo marmoreo “piegato, spiegato, riassorbito nelle cavità di un corpo prigioniero, sottile come garza sui rilievi delle vene”. Da ultimo, in un’intervista rilasciata a «Il Mattino», Adonis, uno dei più grandi poeti contemporanei, ha definito il Cristo velato “più bello delle sculture di Michelangelo”. La fama del Cristo velato cresce ogni giorno di più. Un sondaggio tenutosi durante la XVII edizione della fiera libraria Galassia Gutenberg (aprile 2006) lo ha incoronato monumento simbolo di Napoli. Infine, nella primavera del 2008 la Regione Campania ha scelto la foto del Cristo di Sanmartino per una campagna pubblicitaria volta a rilanciare l’immagine della città, mortificata dalla nota crisi dei rifiuti.



LA LEGGENDA DEL VELO

La fama di alchimista e audace sperimentatore di Raimondo di Sangro ha fatto fiorire sul suo conto numerose leggende. Una di queste riguarda proprio il velo del Cristo di Sanmartino: da oltre duecentocinquant’anni, infatti, viaggiatori, turisti e perfino alcuni studiosi, increduli dinanzi alla trasparenza del sudario, lo hanno erroneamente ritenuto frutto di un processo alchemico di “marmorizzazione” compiuto dal principe di Sansevero. In realtà, il Cristo velato è un’opera interamente in marmo, ricavata da un unico blocco di pietra, come si può constatare da un’osservazione scrupolosa e come attestano vari documenti coevi alla realizzazione della statua. Ricordiamo tra questi un documento conservato presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli, che riporta un acconto di cinquanta ducati a favore di Giuseppe Sanmartino firmato da Raimondo di Sangro (il costo complessivo della statua ammonterà alla ragguardevole somma di cinquecento ducati). Nel documento, datato 16 dicembre 1752, il principe scrive esplicitamente: “E per me gli suddetti ducati cinquanta gli pagarete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo…”. Anche nelle lettere spedite al fisico Jean-Antoine Nollet e all’accademico della Crusca Giovanni Giraldi, il principe descrive il sudario trasparente come “realizzato dallo stesso blocco della statua”. Lo stesso Giangiuseppe Origlia, il principale biografo settecentesco del di Sangro, specifica che il Cristo è “tutto ricoverto d’un lenzuolo di velo trasparente dello stesso marmo”. Il Cristo velato è, dunque, una perla dell’arte barocca che dobbiamo esclusivamente all’ispiratissimo scalpello di Sanmartino e alla fiducia accordatagli dal suo committente. Il fatto che l’opera sia stata realizzata da un unico blocco di marmo, senza l’aiuto di alcuna escogitazione alchemica, conferisce alla statua un fascino ancora maggiore. La leggenda del velo, però, è dura a morire. L’alone di mistero che avvolge il principe di Sansevero e la “liquida” trasparenza del sudario continuano ad alimentarla. D’altra parte, era nelle intenzioni del di Sangro – in questa come in altre occasioni – suscitare meraviglia: non a caso fu egli stesso a constatare che quel velo marmoreo era tanto impalpabile e “fatto con tanta arte da lasciare stupiti i più abili osservatori”.


 
 
 
 
 

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