è salutare, salutare
🙂
questo non è un blog :-) narrazioni, selezioni, rappresentazioni, mappe, con la consapevolezza che siano tali; discorsi decostruiti come tentativi per arginare le affermazioni apodittiche e autoreferenziate; decostruzione dei nessi logici e e sintattici che reggono i discorsi nei tentativi di far uscire dagli spazi lasciati vuoti altri modi di organizzare i discorsi; suggerimenti; tentativi per costruire i significati in modo partecipato, come nella costruzione di un mosaico: la realtà come relazione; tante voci per suggerire che si è diventando e si diventa essendo; per svelare convinzioni e mappe e narrazioni che si pongono come "la realtà è", ovvero come descrizioni definitive e impositive; per allenare gli scambi, i confronti; per scoprire l'intimo/a sconosciuto/a altro/a dentro ognuno/a di noi; brani da letture ; "UNO SFORZO GRANDIOSO DELLA CREATIVITÀ E DELL’INTELLIGENZA PER RIUSCIRE A SUPERARE LA DISPERANTE CLAUSTROFOBIA DI UN MONDO STERMINATO, IN QUANTO SPAZIO GEOGRAFICO, MA IMPLACABILMENTE INGABBIATO DALL’IDEOLOGIA", con l'impegno a far sì che questi tentativi non diventino a loro volta ideologia
è salutare, salutare
🙂
“Avevo spiegato i miti dei popoli del passato; avevo scritto un libro sull’eroe, sul mito nel quale l’uomo è vissuto da tempo immemorabile. Ma qual è il mito nel quale gli uomini vivono oggi? La risposta poteva essere: ‘il Mito Cristiano’. ‘Vivi tu in esso?’ mi chiedevo. ‘Se devo essere sincero, no! Non è il mito in cui vivo’. – ‘Allora, non abbiamo più alcun mito?’ – ‘No, evidentemente non ne abbiamo più’. – ‘Ma allora qual è il tuo mito? Il mito nel quale vivi?’ – A questo punto il dialogo con me stesso diventava sgradevole, e smettevo di pensare. Ero giunto a un limite”.
C. C. JUNG, Ricordi, sogni, riflessioni, Rizzoli, Milano, 1978, p. 213)
Quando un amico mi chiama dalla strada
e rallenta il suo cavallo al passo,
non mi fermo e guardo attorno
verso tutte le colline che ancora non ho arato,
a urlare da dove sono, Che c’è?
No, non se c’è del tempo per parlare.
Getto la mia zappa nella terra smossa,
la parte della lama verso l’alto e lunga cinque piedi,
e mi trascino: vado fino al muro di pietra
per una visita amichevole.
(ROBERT FROST, Tempo per parlare – fonte web)
Tu hai degli amici.
Fabio Magnasciutti ha pubblicato questa vignetta riferendosi alla conclusione del festival di Sanremo di quest’ anno.
Ma la trovo molto bella a prescindere, per quell’ idea di silenzio “scritto” come dedica d’amore. Un ottimo modo per comunicare l’amore, e cioè la vicinanza, la presenza ; il silenzio è la lingua dell'”essere accanto”.
Fabio Magnasciutti nasce a Roma l’11 maggio 1966, illustratore e vignettista pubblica con Giunti, Curci, Lapis, Barta e altri editori. Collabora con la Repubblica, l’Unità, il Fatto quotidiano, gli Altri, Linus e Left, per i quali attualmente realizza copertine e vignette.
Oggi ho bruciato la tua lettera. L’unica che mi hai scritto. E io ti ho scritto, senza che tu lo sapessi, giorno per giorno. A volte con amore, a volte con desolazione, altre con rancore. La tua lettera la conosco a memoria: quattordici righe, ottantotto parole, diciannove virgole, undici punti di sospensione, diciassette accenti ortografici e neanche una sola verità.”
In JOSÉ EMILIO PACHECO, Il principio del piacere
La vecchia macchina per scrivere: il foglio che stava per uscire dal rullo eppure si continuava a scrivere; la tenerezza di Charlie Brown e il genio di Schulz. E io, mi ci metto anch’io
Guido Gozzano chiamava le farfalle “i fiori senza stelo”. Osservava e incubava farfalle con la stessa cura dell’entomologo. Sull’argomento stava scrivendo il poema Le farfalle, che rimarrà incompiuto.
Per Gozzano, le farfalle erano simboli perfetti di fugace bellezza e volle farne dono ad Amalia Guglielminetti, la donna a cui, da circa due anni, era legato da una forte amicizia amorosa e con cui intratteneva in un intenso rapporto epistolare. Così, un giorno, Amalia Guglielminetti vide recapitarsi dei bruchi:
“Allevo una straordinaria colonia di bruchi. Voglio ritrarne alcune osservazioni e molte belle fotografie a commento di un libro di storia naturale che sogno da tempo: Le farfalle. Vi attenderò dopo il volume di versi: ma comincio ad adunare materiale di testo e d’illustrazioni. Vedrete che cosa nuovissima e bella. Immaginatevi che in una cassetta ho circa trecento crisalidi di tutte le specie, ottenute da bruchi allevati con infinita pazienza, per settimane e settimane; ora si sono quasi tutti appesi al coperchio graticolato e hanno presa la forma strana di crostacei stilizzati pel monile d’una signora. Fra pochi giorni saranno farfalle. Anzi, voglio mandarvi qualche crisalide: non ridete, vi prego. Mi attira il pensiero che si schiuderanno nella vostra camera, tra i vostri nastri e i vostri profumi. Estraetele dalla scatola dove ve le invierò, SENZA TOCCARLE, sollevando PEI LEMBI il COTONE dove sono adagiate e deponetele senza smuoverle dal letto di cotone in una scatola più ampia, dove la farfalla nascitura abbia sufficiente spazio per distendere le ali. E lasciatele in pace, come bimbi che dormono: senza toccarle, né agitarle: fra quindici giorni nasceranno. Mi scriverete e mi descriverete i loro colori; e mi direte che v’hanno detto da parte mia le belle prigioniere, addormentate in questa valle e risvegliate sui colli di un paese lontano, dall’altra parte del Piemonte… E non sorridete tanto di queste cose, più belle e più profonde di molte altre, per consolare la nostra malinconia…” (3 settembre 1908).
I minuziosi suggerimenti sul trattamento delle crisalidi indicano la particolare attenzione alla loro fragile bellezza e anche una devozione. Gozzano era affascinato dalle farfalle fin da piccolo:
“Sono creature perfette”, scriveva all’amico Ettore Colla, “non vivono che un giorno di sole, ma la loro vita è tutto un trionfo di bellezza e d’amore; col tramonto è la morte”.
Gozzano aveva un doppio interesse verso le farfalle, sia quello poetico che quello scientifico: esse appartengono al suo più intimo mondo interiore.
Le parole spiegano i sentimenti contrastanti tra rinuncia e sublimazione dell’amore, inserite tra i due invii “devo far violenza a me stesso per sottrarmi alla tentazione d’un passo con Voi, passo imprudente e prematuro, credetelo.” (9 settembre 1908).
Pur amandola, le restava a distanza, forse per non trascinarla nel proprio destino, minato dalla tubercolosi, insorta – per ironia della sorte – in concomitanza al loro incontro.
Forse si giunge solo tardi, troppo tardi, a capire che nessuna dote può sostituire ciò che può essere creato in due. Forse perché in due non vince la somma delle unità, ma la dinamica di relazione, il mettersi alla prova in un gioco reciproco: un obiettivo non raggiungibile con finzione, nemmeno dalla mente più brillante. Giungere ad un’inconsolabile solitudine, meno dura da sopportare solo perché non c’è speranza né aspettativa di essere felici, forse può essere la chiave per un’ispirazione magistrale e per la composizione di superiori opere d’arte, ma non quella per misurarsi con la vita e il grande compito dell’amore. Alla fine del carteggio, Guido pare esserne consapevole, ma non è possibile sapere se abbia mai avuto modo di chiarirlo. Qualcosa, di quell’incontro, sfugge alla comprensione e alla testimonianza della memoria, consegnato per sempre alla sacra sfera dell’invisibile.
Articolo di Marilena Garis e Riccardo Peratoner, con variazioni mie.
https://www.youtube.com/watch?v=lA041ndP2BE
Per Agostino,
Che Mi Ascolta Da Lontano.
Inglese britannico: earth /ɜːθ/ noun
Inglese britannico: land /lænd/ noun
Inglese britannico: soil /sɔɪl/ noun
Inglese britannico: earth /ɜːθ/ noun
fonte: sito web collinsdictionary
https://www.youtube.com/watch?v=I1fQ-3-CEFg&t=772s
film- documentario HOME, di Yann Arthus-Bertrand, Presidente della fondazione GoodPlanet, 2009, prodotto da Luc Besson
https://www.youtube.com/results?search_query=dcumentario+film+human
film-documentario HUMAN, di Yann Arthus-Bertrand, Presidente della fondazione GoodPlanet, 2015, prodotto da Luc Besson, 2015, prodotto da due Fondazioni No Profit: Bettencourt Schueller e GoodPlanet
C’è poi il film-documentario dal titolo WOMAN, di Anastasia Mikova e Yann Arthus-Bertrand, 2019, prodotto da Hope Production Fabienne Calimas
(Non lo trovo completo su youtube, ci sono spezzoni)
per tutti e tre i film la musica è di Armand Amar
MATTINA
M’illumino
d’immenso
Giuseppe Ungaretti compose questa poesia il 26 gennaio 1917 nelle trincee del Carso. Soldato semplice -un fante- nella prima guerra mondiale.
Auguri, splendida poesia.
Noi ci ricordiamo i compleanni, ma non sempre facciamo gli auguri. A te, oggi, i più cari. A Giuseppe Ungaretti, grazie per sempre.
Tutto il problema dell’esistenza consiste nel cogliere i momenti in cui le cose si fanno trasparenti e si trova la traccia.
Come se, per uno squarcio improvviso, il fondo dell’essere divenisse visibile e la poesia si facesse realtà.
(Virginia Woolf)
“Alcune cose sono belle per quel che sono. In quel preciso momento.
Che durino minuti, ore, giorni o mesi, non importa.
Non sono belle per quello che potrebbero diventare.
Per il luogo da cui arrivano.
Sono belle lì, in quel momento perché sono così.
Sospese.
Appena sfiorate”
Jorge Luis Borges
“Per quanto tu ragioni, c’è sempre un topo – un fiore – a scombinare la logica. Direi che tutto nel tuo ragionamento è perfetto, se non avessi davanti questo prato di trifoglio. E sarei anche d’accordo con te, se nella mente non mi bruciasse (se non mi bruciasse la mente – con dolcezza) quest’odore di tannino che viene dalla segheria sotto la pioggia: quest’odore di tronchi sbucciati (d’alba e d’alburno), e non ci fosse il fresco delle foglie bagnate come tanti lunghi occhi, e il persistente (ma sempre più sbiadito) blu della notte.”
(GIORGIO CAPRONI, da Altro inserto, in Il franco cacciatore, 1973-1982)
“I momenti più luminosi della mia vita sono quelli in cui mi accontento di vedere il mondo apparire. Questi momenti sono fatti di solitudine e di silenzio. Sono sdraiato su un letto, seduto a una scrivania o cammino per strada. Non penso più a ieri e domani non esiste. Non ho più legami con nessuno e nessuno mi è estraneo.
Questa esperienza è semplice. Non c’è da volerla. Basta accoglierla quando arriva. Un giorno ti sdrai, ti siedi o cammini, e tutto ti viene incontro senza fatica, non c’è più da scegliere, tutto quello che viene porta il segno dell’amore.”
CHRISTIAN BOBIN, Mozart e la pioggia
Perdettero la stella un giorno.
Come si fa a perdere la stella?
Per averla troppo a lungo fissata…
I due re bianchi, ch’erano due sapienti di Caldea,
tracciarono al suolo dei cerchi, col bastone.
Si misero a calcolare, si grattarono il mento…
Ma la stella era svanita come svanisce un’idea,
e quegli uomini, la cui anima
aveva sete di essere guidata,
piansero innalzando le tende di cotone.
Ma il povero re nero, disprezzato dagli altri, si disse:
“Pensiamo alla sete che non è la nostra.
Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali”.
E mentre sosteneva il suo secchio per l’ansa,
nello specchio di cielo
in cui bevevano i cammelli
egli vide la stella d’oro che danzava in silenzio.
(Edmond Rostand, La Stella)
NOTTURNO INVERNALE
Così lieve è il tuo passo, fanciullo,
che quasi non t’odo,
dietro me, sul sentiero.
E così pura è l’ora, così puro
il lume delle grandi stelle
nel cielo viola
che l’anima
schiarisce
dentro la notte
come i tetri pini che albeggiano
nel biancore della neve.
Un alto sonno tiene la foresta
ed i monti
e tutta la terra.
Come una grazia cade
dal cielo il silenzio.
Ed io ti sento l’anima battere,
dietro il silenzio,
come un filo vivo di acque
dietro un velo di ghiaccio –
e il cuore
mi trema,
come trema il viandante
quando il vento gli porta
attraverso la notte
l’eco d’un altro passo
che segue il suo cammino.
Fanciullo, fanciullo,
sopra il mio cammino,
che va per una landa senza ombre,
sono i tuoi puri occhi
due miracolose corolle
sbocciate a lavarmi lo sguardo.
Fanciullo, noi siamo
in quest’ora divina
due rondini che s’incrociano
nell’infinito cielo,
prima di mettersi in rotta
per plaghe remote.
E domani saremo
soli
col nostro cuore
verso il nostro destino.
Ma ancora, nel profondo, tremerà
il palpito lontano delle ali sorelle
e si convertirà
in nuova ansia di volo.
(Antonia Pozzi, Gennaio 1931)
hic ipso tecum consumerer aevo
(Virgilio, Bucoliche)
(non-ascoltando il peana che una rete rai sta facendo sull’inizio dei saldi e sul fatto che le persone hanno speso tanto … e pensicchiando che si potrebbero cambiare i nomi dei mesi dell’anno a seconda della “festa” o dell’ iniziativa che spinge a spendere: vacanze, turismo, halloween, black friday, regalidinatale, cenoni di capodanno, sorpresedell’epifania, saldi, sanvalentino, carnevale, festa del papà, … e … evviva, si spende si compra, l’economia funziona … E … gli esseri umani funzionano??!!?? )
E’ lungo da dire.
E oggi ho visto una rosa rossa fiorita. che sembra non entrarci niente, e invece c’entra eccome, è una conseguenza, una delle conseguenze.
La parola chiave della magnificente vignetta del genio Schulz è, in questo caso, “somigliano” e il concetto che sottolineo è quello espresso dal termine.
Cosa già scritta in questo mio blogghino, ma è talmente devastante che occorre ripeterla, e prenderne coscienza.
Vado velocemente.
Si apprende per imitazione e per creatività immaginativa, nonché, poi, per esperienza. Insomma, tutto ciò che costituisce l’apprendimento, è un insieme di elementi in equilibrio tra loro.
Da tempo, l’aspetto imitativo è potenziato in maniera forte, da mezzi di comunicazione di massa, e, tra questi, quelli che comunicano con le immagini (televisione [pubblicità, trasmissioni, film], cinema, foto, ecc.) sono proprio i maggiori fautori del potenziamento dell’aspetto imitativo.
Imitativo di cosa? Di modelli proposti in ogni dove in ogni modo, soprattutto con i modi impliciti che più in profondo e velocemente arrivano alle persone, trasformate – come già detto e ridetto in questo blogghino- in consumatori, fruitori, spettatori: cioè in “figure” che imitano i modelli, chiamando tutto ciò “realtà”, “questi sono i tempi da vivere”, “moda”, “fanno tutti così”, ecc., insomma esprimendo linguisticamente l’adesione ai modelli a seconda del livello cultural-nozionistico di appartenenza, e non certo a livello di consapevolezza di ciò che sta accadendo.
L’equilibrio degli elementi che costituiscono l’apprendimento è stato fortemente alterato e sbilanciato verso l’imitazione.
La rete contribuisce anch’essa a questo sfacelo.
Questo andamento sembra non fermarsi, nonostante gli avvertimenti di chi, nel settore educativo e formativo, da tempo ha rilevato questa tendenza negativa.
Di Platone e del suo mondo ideale da tempo potremmo fare a meno. Soprattutto se, analizzando i modelli – di qualsiasi tipo e di qualsiasi epoca – ci accorgiamo che cambiano nel volgere del tempo e, attualmente, il cambiamento ha assunto una velocità vertiginosa, sulla spinta di un modello di economia che rivela sempre più i suoi limiti folli dati da una sua sopravvivenza basata sul maggiore progressivo consumo.
Le mode. Di ogni tipo.
Il consumo. Di ogni tipo.
Da denigrare e affossare chi dice il contrario. A meno che quel contrario non diventi a sua volta di moda, perché vi si intravede una possibilità di guadagno e di consumo.
Ne è un triste e doloroso esempio l’ecologia.
I pericoli insiti nel modello di vita intrapreso dopo la seconda guerra mondiale, in Italia furono segnalati dal Club di Roma nei primi anni Settanta del Novecento; e si creò all’epoca un movimento denigratorio, quei pericoli vennero fatti passare come ostacoli alle “magnifiche sorti e progressive”, all’incedere di una modernità che, appunto, basava, in quegli anni, il consumismo come elemento identitario, e un modello americano come traino di questa identità, che tale non era, ma appunto, modello, imitazione. A queste imitazioni i mezzi di “imitazione di massa” hanno fatto da gigantesco megafono, mascherando con immagini mulinobiancolesche l’infimo processo in atto.
Poi, a un certo punto, sembra essere esplosa una coscienza ecologica, e per molte persone sicuramente è accaduto e accade; ma ciò che viene proposto come modello è sempre qualcosa che implementa la strada intrapresa del consumo, e questo è un elemento sicuramente più palese a chi vive da sempre in contatto con la natura.
E le rose fioriscono i primi di gennaio, e il cielo è terso, e la temperatura è dolce. E nel dopoguerra furono fatte svuotare progressivamente le campagne, e le persone furono indirizzate nelle città, nelle fabbriche. E la terra fu fatta apparire come il mondo sporco, arretrato, un mondo di cui quasi vergognarsi, il passato da cancellare; e la città e le fabbriche furono scintillate come il mondo pulito, moderno, perfetto, quello da anelare, il futuro verso cui camminare.
Ma i modelli sono pesanti da portare, sono fardelli che trasformano succhiano seccano l’identità: la fissano in uno solo degli aspetti che la costituiscono; pietrificano il suo flusso dinamico come fossero sguardi di Medusa.
I modelli, le mode, gli influencer; religioni e teologie che affossano i messaggi etici e d’amore che ne sono alla base.
Sono fardelli pesanti che omologano comportamenti perché ancor prima hanno omologato il pensiero. E ancor prima la capacità che gli esseri umani hanno di sapere e potere guardare se stessi. No, non vediamo più chi siamo; non lo sappiamo.
Montale ce lo disse: “Non chiederci la formula che mondi possa aprirti [… ] Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”: E, comunque, già sarebbe un bel passo avanti sapere che “non sappiamo”, ma certe soglie – Montale scriveva nel 1923- sono state superate da un bel po’.
L’incertezza in cui mano a mano siamo scivolati, non è data solo da contesti sociali, problemi di lavoro, ecc.; ma è da considerare e includere anche questo elemento, cioè il potenziamento dell’imitazione, e di imitazione di modelli negativi, limitanti. Per questo poi si arriva a parlare solo in negativo, come sottolinea Montale, in un circolo disfunzionalissimo e vizioso di crescente incertezza.
Modelli negativi, limitanti. Sì. Perché non è assoluto che non si debbano avere modelli -apprendiamo anche per imitazione, appunto- ma è da chiarire che il modello serve a suggerire un come, un processo che poi si personalizza, e non il cosa, che invece fa scomparire ciò che non è quella stessa cosa.
Ma tutto ciò che viene fatto tacere, poi parla in altro modo.
E di questo rifletteremo tra un po’.
Ed ecco allora, che ci sentiamo vivere solo se somigliamo a qualcuno a qualcosa, al cosa di qualcuno o di qualcosa.
Charlie Brown e Lucy sembrano avere coscienze stellari rispetto alle nostre, ridotte e abusate.
E forse sì, sono più veri di chi li sta leggendo.
“Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.”
(Eugenio Montale, Ossi di seppia, Torino, Piero Gobetti Editore 1925)
IL PRIMO GIORNO DELL’ANNO
So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta, da un fondale,
da un fuori che non c’è se mai nessuno
l’ha veduto.
So che si può esistere
non vivendo,
con radici strappate da ogni vento
se anche non muove foglia e non un soffio increspa
l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone.
So che non c’è magia
di filtro o d’infusione
che possano spiegare come di te s’azzufino
dita e capelli, come il tuo riso esploda
nel suo ringraziamento
al minuscolo dio a cui ti affidi,
d’ora in ora diverso, e ne diffidi.
So che mai ti sei posta
il come – il dove – il perché,
pigramente rassegnata al non importa,
al non so quando o quanto, assorta in un oscuro
germinale di larve e arborescenze.
So che quello che afferri,
oggetto o mano, penna o portacenere,
brucia e non se n’accorge,
né te n’avvedi tu animale innocente
inconsapevole
di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra
e una sostanza, un raggio che si oscura.
So che si può vivere
nel fuochetto di paglia dell’emulazione
senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato
da Chi volle tu fossi…e se ne pentì.
Ora,
uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti
lo scheletro dell’albero di Natale,
ti accompagna in sordina il mangianastri,
torni indietro, allo specchio ti dispiaci,
ti getti a terra, con lo straccio scrosti
dal pavimento le orme degli intrusi.
Erano tanti e il più impresentabile
di tutti perché gli altri almeno parlano,
io, a bocca chiusa.
(Satura, Milano Mondadori, 1971)
Il “tu” a cui si rivolge Montale è sua moglie, Drusilla Tanzi, detta Mosca.
Ed ecco un’altra poesia di Montale dedicata alla moglie.
Così, per non farci mancare niente, in un Capodanno che speriamo di riflessione.
EX VOTO
Accade
che le affinità d’anima non giungano
ai gesti e alle parole ma rimangano
effuse come un magnetismo. È raro
ma accade.
Può darsi
che sia vera soltanto la lontananza,
vero l’oblio, vera la foglia secca
più del fresco germoglio. Tanto e altro
può darsi o dirsi.
Comprendo
la tua caparbia volontà di essere sempre assente
perché solo così si manifesta
la tua magia. Innumeri le astuzie
che intendo.
Insisto
nel ricercarti nel fuscello e mai
nell’albero spiegato, mai nel pieno, sempre
nel vuoto: in quello che anche al trapano
resiste.
Era o non era
la volontà dei numi che presidiano
il tuo lontano focolare, strani
multiformi multanimi animali domestici;
fors’era così come mi pareva
o non era.
Ignoro
se la mia inesistenza appaga il tuo destino,
se la tua colma il mio che ne trabocca,
se l’innocenza è una colpa oppure
si coglie sulla soglia dei tuoi lari. Di me,
di te tutto conosco, tutto
ignoro.
(Satura, Milano Mondadori, 1971)
Che sia un Anno Buono, e che a farlo buono sia capace ognuno di noi, con consapevolezza e responsabilità.
FITO PAEZ
¿Quién dijo que todo está perdido?
Yo vengo a ofrecer mi corazón.Tanta sangre que se llevó el río,
yo vengo a ofrecer mi corazón.
No será tan facil, ya sé que pasa.
No será tan simple como pensaba.
Como abrir el pecho y sacar el alma,
una cuchillada de amor.
Luna de los pobres, siempre abierta,
yo vengo a ofrecer mi corazón.
Como un documento inalterable,
yo vengo a ofrecer mi corazón.
Y uniré las puntas de un mismo lazo,
y me iré tranquilo, me iré despacio,
y te daré todo y me darás algo,
algo que me alivie un poco nomás.
Cuando no haya nadie cerca o lejos,
yo vengo a ofrecer mi corazón.
Cuando los satélites no alcancen,
yo vengo a ofrecer mi corazón.
Hablo de países y de esperanza,
hablo por la vida, hablo por la nada,
hablo por cambiar esta, nuestra casa,
de cambiarla por cambiar nomás.
¿Quién dijo que todo está perdido?
Yo vengo a ofrecer mi corazón.
Innanzi tutto grazie ai miei mici.
Per puro caso ho scoperto che amano ascoltare Julio Iglesias, i Notturni di Chopin, il jazz classico.
Stiamo esplorando altri orizzonti musicali.
PRIMA COSA 🙂
DEDICATE AI MIEI GENITORI, NOTE CHE HANNO AMATO, E CHE ABBBIAMO BALLATO. ORA LE PIAZZE SEMBRANO VUOTE, PERCHE’ NON CI SONO PIU’ I NOSTRI PASSI RITMATI, BABBO, E IL TUO SGUARDO ALLEGRO, MAMMA, CHE CI GUARDAVI CONTENTA DAL BORDO DELLA PISTA.
O ANCHE SENTIRTI CANTARE, BABBO, CON LA TUA VOCE MERAVIGLIOSA. AVEVI LA MUSICA DENTRO.
SCEGLIESTI DI NON BALLARE PIU’, PERCHE’ LA MAMMA NON BALLAVA, ANCHE SE LEI NON TE LO AVEVA CHIESTO.
VI SIETE INCONTRATI SEMPRE, CON LE SCELTE CHE SOSTENEVANO L’UN L’ALTRO.
NON VI SIETE FERMATI ALLE INCOMPRENSIONI, VI SIETE SPIEGATI; NON VI SIETE FERMATI ALLA RABBIA, VI SIETE PARLATI; AVETE SUPERATO OGNI OSTACOLO INCONTRATO.
GRAZIE PER AVERMELO INSEGNATO.
MANCANO I VOSTRI SORRISI, I VOSTRI RIMPROVERI, LA VOSTRA GENEROSITA’, IL VOSTRO AFFETTO SINCERO.
MA LI AVETE DONATI A ME, E AL MONDO; E ORA CIRCOLANO COME ENERGIE POSITIVE, COME FIORI PROFUMATI, COME RADICI PROFONDE. GRAZIE.
LA PALOMA
https://www.youtube.com/watch?v=I1hXrV7oRtk
LA CUMPARSITA
https://www.youtube.com/watch?v=YNMcHaLhwlg
A MEDIA LUZ
https://www.youtube.com/watch?v=RnL3GzCNLrY
FELICITA’
https://www.youtube.com/watch?v=xUj-lfx6vbo
LA RIVA BIANCA LA RIVA NERA
https://www.youtube.com/watch?v=NWjZD37rkhM
UN FIUME AMARO
https://www.youtube.com/watch?v=j69NsrQd1vs
UN CANTO A GALICIA
https://www.youtube.com/watch?v=j802Z7PmLQM
PAESE MIO CHE STAI SULLA COLLINA (CHE SARA’)
https://www.youtube.com/watch?v=JBdZqEggolk
SECONDA COSA 🙂
UN PO’ DI AMORE, UN PO’ DI EROS, UN PO’ DI QUELLO CHE PENSIAMO SIA AMORE E INVECE … E’ UN CALESSE
EL AMOR
https://www.youtube.com/watch?v=iGvRo7VOV_M
ABRAZAME
https://www.youtube.com/watch?v=D5PsCqxDa_0
QUE NO SE ROMPA LA NOCHE
https://www.youtube.com/watch?v=uLLu_SKbJy0
ALLE PRESE CON UNA VERDE MILONGA
https://www.youtube.com/watch?v=EuEfhz0OCwA
BAILA MORENA
https://www.youtube.com/watch?v=U3gOBGupOm0
MAL ACOSTUMBRATO
https://www.youtube.com/watch?v=Jb4d3H6yvrQ
MILONGA SENTIMENTAL
https://www.youtube.com/watch?v=jdKdPQNEZzU
Una nota sul testo di “Baila Morena” 🙂
Chi ha guardato e ha scritto ha avuto occhi e cuore che amano.
E ha visto nella sua amata il mondo intero :
“Tiene cosas de blanca
Tiene cosas de negra
Tiene cosas de india”
Ancora grazie ai miei mici per l’emozione provata ascoltando questi tre versi.
TERZA COSA 🙂
RIFLESSIONI SUL TEMPO CHE PASSA, SULLA VITA
ME OLVIDE’ DE VIVIR
https://www.youtube.com/watch?v=jSYYq8cXdlc
AGUA DULCE AGUA SALA’
https://www.youtube.com/watch?v=XQd_DkSG16M
QUARTA COSA 🙂
BUON ANNO NUOVO
CHOPIN – NOCTURNES
https://www.youtube.com/watch?v=-gDinVAmtA0&t=612s
JORGE LUIS BORGES, FINE D’ANNO
Né la minuzia simbolica
di sostituire un tre con un due
né quella metafora inutile
che convoca un attimo che muore e un altro che sorge
né il compimento di un processo astronomico
sconcertano e scavano
l’altopiano di questa notte
e ci obbligano ad attendere
i dodici e irreparabili rintocchi.
La causa vera
è il sospetto generale e confuso
dell’enigma del Tempo;
è lo stupore davanti al miracolo
che malgrado gli infiniti azzardi,
che malgrado siamo
le gocce del fiume di Eraclito,
perduri qualcosa in noi:
immobile.
(tratta dalla prima raccolta di Borges, “Fervore di Buenos Aires”, 1923)
L’alfabeto italiano è costituito da 26 lettere, 21 italiane e 5 di origine classica (latina e greca). Di esse 5 sono vocali e 16 consonanti.
In queste 26 lettere è contenuto tutto il dicibile, il già detto, ciò che si sta dicendo, ciò che si dirà.
E’ la mappa delle mappe.
Eppure non la usiamo per comporre comprensione, gentilezza, giustizia, pace.
https://www.aforismario.eu/2019/11/frasi-alfabeto.html
https://aforisticamente.com/frasi-citazioni-aforismi-su-alfabeto/
https://www.treccani.it/enciclopedia/alfabeto_(Enciclopedia-dell’Italiano)/
https://it.wikipedia.org/wiki/Alfabeto
SI POTREBBE PARLARE COSI’
E I N V E C E
https://it.wikipedia.org/wiki/Parole_parole
MA E’ POSSIBILE
https://www.youtube.com/watch?v=gD4mpyEHiFo
“AZ un fatto come e perché”, trasmissione RAI, anni ’70
https://it.wikipedia.org/wiki/AZ,_un_fatto_come_e_perch%C3%A9
“Nella sostanza, lo scopo della trasmissione era ricostruire – secondo il modello dell’analisi giudiziaria di cultura anglosassone – una “verità” plausibilmente condivisa riguardo ad uno specifico tema.”
ttps://www.raiplay.it/programmi/azunfattocomeeperch
sigla della trasmissione AZ un fatto come e perché
C’è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.
C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.
C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.
(Danilo Dolci)