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***straniera***

Post n°506 pubblicato il 10 Marzo 2016 da fragolozza
 

Subito dopo la laurea, in quel periodo di limbo trascorso in attesa di trovare un lavoro, frequentai il mio primo e ultimo corso di comunicazione di base, organizzato da una società del Centro Direzionale di Napoli e gentilmente finanziato dalla Comunità Europea. Eravamo all'incirca una dozzina, per quattro martedì disposti in cerchio come ad una riunione degli alcolisti anonimi. 

Il primo compito sembrò piuttosto semplice: descriverci, ma con un solo aggettivo. 

Fu un tripudio di solare, solare, solare, solare, solare e solare, in cui, a malapena, si inserirono blandi cenni a testardaggine e generosità. 

A differenza di tutte quelle persone che si esprimevano a colpi di sole, io non avevo alcuna idea di quale aggettivo utilizzare. Mi sarei potuta inserire nella guerra stellare e dichiararmi a mia volta solare o lunatica o marziana, magari galattica. Ma riassumere tutto ciò che sentivo o credevo di essere, in un solo termine, presupponeva una predilezione per la sintesi che ho sempre e solo indirizzato ai tessuti, come il mio armadio potrebbe largamente testimoniare. 

Ad ogni modo, arrivò il mio turno.

Ilaria, la psicologa che amministrava il corso, mi osservava curiosa. 

- Scusami, ma non posso. - Le dissi - Perché ogni giorno io sento di essere qualcosa di diverso. Pertanto, qualunque aggettivo io scelga di usare, in virtù di quanto sono mutevoli i miei comportamenti ed i miei stati d'animo, potrebbe rivelarsi inadeguato rispetto a come sarò/mi sentirò al prossimo incontro."

La situazione, a distanza di anni, non è cambiata. Ancora non mi è facile trovare quell'unico aggettivo in grado di descrivermi e mi diverto a fare della mancanza di riferimenti il mio unico riferimento. 

Come quando esco di casa per recarmi in un posto e sbaglio, minimo per tre volte, l'indirizzo, perché spesso non annoto il civico e in questa città tutte le strade sono lunghe almeno due kilometri. Come quella volta che, pure se l'indirizzo era quello giusto ed io c'ero arrivata senza perdermi, la sede di pertinenza più adatta era da un'altra parte, in un altro quartiere ed io non avevo una mappa, nè un navigatore e neppure una connessione dati per consultare le mappe di Google.

Non è giusto tornare indietro, solo perché non si sa per dove proseguire. Da qualche parte, comunque, si arriva e, forse, proprio laddove si voleva arrivare.

Ed io ci arrivai e c'era un ragazzo alla reception.

Sono poco credibile in qualità di brasiliana e inevitabilmente qui tutti si accorgono che sono straniera. I più mi dicono che ho una faccia argentina (io opterei per il bronzo), ma mi scambiano anche per americana, russa, francese, spagnola, cilena, colombiana e il ragazzo di quella reception addirittura per giapponese (ma è successo in un ospedale oftalmologico quindi non vale). Non riescono comunque mai ad indovinare che sono italiana.

In realtà, qualcosa del genere mi succedeva anche prima, cioè prima che diventassi straniera davvero. 

- Sei strana. 

- Tu non sei di qua, vero? 

E invece lo ero, almeno da bambina, quando puntualmente qualche persona mai incontrata in paese mi chiedeva se fossi la parente di qualcuno arrivata da Milano per le vacanze. E a me sembrava buffo, strano, un po' ci giocavo e, a volte, rispondevo persino di sì.

Ad ogni modo, quella volta che non sapevo la strada, ma non sono tornata indietro e sono arrivata a destinazione dove un ragazzo ha supposto che io fossi giapponese, ho capito che anche nella più totale mancanza di riferimenti una risposta si trova sempre. 

E, se incontrassi di nuovo Ilaria, le darei quell'aggettivo che tanto sperava.

Io sono straniera. 

Perché quelli strani ieri, sono strani anche oggi e lo saranno anche domani. Sono strani sempre e dovunque. 

 
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