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***la_fine_del_mondo***

Post n°507 pubblicato il 22 Marzo 2016 da fragolozza
 

Sai, ho fatto un sogno che era la fine del mondo. No, non significa che era un bel sogno; significa che ho proprio sognato la fine del mondo.

Su una spiaggia un po’ brasiliana e un po’ napoletana, dove i fusti giganti delle palme si riflettevano nei vetri rotti delle finestre del secondo piano di palazzine abbandonate e lerce, coi muri sgarrupati e i tetti intonacati dallo sterco secolare dei piccioni, sotto un cielo un po’ grigio e un po’ color di seppia, sgranato negli occhi da una coltre spessa di nuvole belligeranti e ostili, i bambini correvano e urlavano e le madri anche peggio. Gli uomini, invece, ostentavano coraggio, ma scommetto che, in fondo, pure loro si stavano cagando sotto.

Quanto a me, non saprei dirti. So solo che mi sentivo tanto persa e respiravo e vagavo a bocca aperta e a pieni polmoni, perché di lì a poco l’ossigeno sarebbe finito e l’aria si sarebbe adagiata come una coperta inutile e pesante, su tutte le case e le cose e sui corpi di chi sarebbe morto e di chi si stava già uccidendo. So però che non avevo paura, forse per quel disinteresse che da sempre accompagna le mie sorti e mi permette di rimanere chiusa in ascensore per dieci minuti senza farmi prendere dal panico o di salire su un autobus, che qui, lo sai, è come andare sulle montagne russe senza cinture di sicurezza, a farmi ipnotizzare dall’espressione bidimensionale dei volti delle persone scomparse, incorniciati su volantini sbiaditi dal sole. Se sparissi anch’io? Se finissi in un luogo qualunque o finissi e basta?

Nel mondo agonizzante del mio sogno, ti incontravo e mi prendevi per mano. L’oceano Mediterraneo era un mostro infuriato da onde spalancate come bocche e denti di schiuma di rabbia e sale, verso il quale i nostri piedi, impastati di sabbia, si muovevano nudi. Il segnale della fine arrivava ed era un urlo di sirena tanto forte da renderci sordi e quello che ti avrei voluto dire non te lo potevo più dire.

Mi rimaneva un ultimo respiro, un ultimo passo, un ultimo ricordo. E sotto quel cielo ormai spento, chiudevo gli occhi, poggiavo le labbra alle tue e ti baciavo.

 
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Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.

Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.

 

 

 

 
 

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