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Sono la prima. Lo sono quasi sempre per l'abitudine di arrivare da qualunque parte con almeno un paio d'ore d'anticipo. Non che mi piaccia aspettare, ma aspettarsi qualcosa è meglio che rischiare di perderselo, non trovi?
La ragazza alla reception mi ha detto che subito dopo la perizia mi comunicheranno se l'autorizzazione verrà concessa. È il motivo per cui tengo incrociate le dita delle mani e dei piedi, le braccia, le gambe, i legamenti e le arcate dentali. È il motivo per cui mi stropiccio gli occhi, i capelli e i vestiti.
Nel frattempo, arrivano altre donne e occupano alcune delle sedie in fila lungo il corridoio. Di fronte a noi ci sono delle porte, la uno, la due e la tre e canto silenziose filastrocche nel tentativo di prevedere quale si aprirà per chiamarmi dentro.
L'occasione fa l'uomo ragno e la tensione fa l'uomo bagno, ma andarci adesso significherebbe correre il rischio di perdermi l'appello, per cui dolorosamente resisto.
Poi una porta finalmente si apre. Scatto in piedi e la busta con i miei esami, cadendo, fa un rumore pazzesco, ma l'uomo dal camice bianco mi ignora e chiama un altro nome. Una delle donne arrivate dopo di me si alza, raccoglie tutti i documenti ed entra.
A quel punto, che resisto a fare? La donna seduta alla mia sinistra sembra quasi più nervosa di me.
- Senti, io devo andare al bagno. Non impiegherò molto. Ma nel caso mi chiamassero- e le dico il mio nome- puoi chiedere di aspettarmi?
La donna che sembra quasi più nervosa di me fa un cenno col capo e lo interpreto come un sì.
I bagni sono poco distanti, alla fine del corridoio, a sinistra. Spingo la porta, entro e penso che sarebbe proprio da sfigati aver atteso più di un'ora ed essere chiamata proprio adesso. Ancora peggio sarebbe, dopo settimane di nervosismo e una notte insonne, vedermi rifiutata l'autorizzazione. Ma se per loro non fosse o non fossi abbastanza?
Approfitto dello specchio per verificare quanto sto messa male e la mia faccia non mi delude.
Esco dal bagno ed ho la sensazione di sentir chiamare il mio nome.
La donna che sembra quasi più nervosa di me è lì dove l'ho lasciata.
- Non mi hanno chiamata, vero?
Fa un cenno col capo che interpreto come un no.
Ritrovo il mio posto, mi siedo e incrocio i manici della borsa. La busta con gli esami cade di nuovo e di nuovo fa un rumore tremendo. La raccolgo e mi raccolgo le braccia in grembo e riprendo a sperare.
Poi lo sento chiaramente. È il mio nome e non lo stanno chiamando, lo stanno gridando. E non da una delle tre porte, bensì dalla reception.
Guardo la donna che sembra quasi più nervosa di me, ma è un caso perso perché di nuovo fa solo un cenno col capo.
- Sono qui! Vengo subito!- e mi precipitò lungo il corridoio verso il bancone.
La ragazza alla reception mi sorride.
- C'è stato un errore.- dice.
Io ingoia aria.
- I medici hanno valutato il suo caso.- aggiunge.
Io ingoia saliva.
- E le hanno già concesso l'autorizzazione, perché non c'è bisogno di fare una perizia.
- Cosa?! - mormoro in un misto di incredulità e gioia.
- Tenga, questo è il documento di approvazione.
Il foglio che mi porge finisce sul fondo della busta insieme a tutti gli altri documenti.
- Grazie.- le dico.
-Stia bene.- mi risponde.
E finalmente smetto di tenere le dita delle mani e dei piedi, le braccia, le gambe, i legamenti e le arcate dentali incrociate.
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POETRY
Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.
Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.
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KELLY JONES
I really hope ya happy,
both of you
and maybe sometimes
you miss me too!