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***incontri***

Post n°310 pubblicato il 13 Giugno 2009 da fragolozza

Ci sono magliette che quando le indosso tutti mi vogliono più bene.

L’assenza di un senso di appartenenza mi mette al riparo da ogni possibile evasione.
Se non ci sono sbarre, cosa scavalco? Eppure a volte ho l’impressione che sia tutto un inganno, che un conto è non vedere i limiti e un conto è essere liberi. E io sono parecchio limitata.

Sono uscita di casa senza sapere dove andare. Ho trascinato i piedi, sono arrivata alla fermata e sono salita sul primo autobus di passaggio. Dopo due fermate, forse per il sole, forse per il caldo, forse perché ultimamente va sempre così, ho cominciato a sentirmi debole, a pensare che avrei fatto meglio a tornare indietro. Ma ero troppo stanca persino per alzarmi ed ho deciso di tirare dritto fino al capolinea.
Il ragazzo che avevo seduto di fronte continuava a fissarmi i piedi. Ogni volta che mi si fissa qualcosa, vado in tilt, perciò mi sono guardata i piedi anch’io, ma erano perfettamente normali.
Quando ho rialzato lo sguardo il ragazzo mi ha chiesto: “Hai una gomma?” ed io gli ho passato il pacchetto, ha preso la gomma e ok.
Dopo un po’ mi fa: “Abiti vicino alla fermata dove sei salita?” Ed io: “Più o meno…” “No, sai perché ti ho vista già un paio di volte. E’ facile notarti…”
Cavolicchio, penso, che bel complimento!
“…perché dalle nostre parti s’incontrano solo trans”
Ah… ecco… non era un complimento…
Il ragazzo ha continuato a parlare, parlare, parlare.
“Io odio gli stranieri e tu? Nel mio palazzo per fortuna non vivono stranieri. Ti piacerebbe diventare amici? Potremmo fare colazione insieme. Sei napoletana? Che bello! Io odio “quelli del nord”. Ma ce l’hai un numero? Mi dai il numero?”
Non mi andava di fare conversazione, non mi andava di arrabbiarmi, quindi ho subito le sue parole con muta rassegnazione, mormorando assensi e dissensi con l’entusiasmo di un gambero al vapore.
Per inciso, io non odio gli stranieri, non odio “quelli del nord”, ma mi stanno profondamente antipatici quelli che odiano gli stranieri e odiano “quelli del nord” per partito preso.
Per inciso, io do i numeri, ma mai sull’autobus e quando li do sono come le sestine che gioco talvolta al superenalotto, cioè sbagliati.
Per inciso, il ragazzo che è sceso a piazza mazzini tutto gongolante perché convinto di avere il mio numero e che presto usciremo insieme, oltre che razzista era pure albanese. Ma, forse, vivere in Italia da cinque anni, gli ha dato modo di apprendere alcune delle nostre peggiori consuetudini. Bah…

Comunque, nulla in confronto all’incontro che ho poi fatto in via del corso.
Passeggiavo distratta e distrutta sul marciapiede assolato, quando improvvisamente qualcuno mi ha preso la mano.
“Complimenti! Hai vinto un viaggio ai Caraibi”
Stavo per ribattere che i Caraibi non m’interessano, quando mi sono sentita aggiungere: “Che pelle morbida! Che crema usi?”
La domanda mi ha lasciata così spiazzata, che non ho potuto fare altro che rispondere.
“Non lo so… ma è una crema al cioccolato bianco” ho detto.
“Wow! Ma così mi fai sciogliere come un bacio perugina!”
Se queste sono le moderne tecniche di abbordaggio, ho pensato, ecco perché ci sono in giro tante ragazze single.
Ma il momento peggiore doveva ancora venire e quando è arrivato l’ho vissuto come una tramvata.
“Rinunceresti ad un gelato a favore di un’offerta per la ricerca contro la sclerosi?”
E tu rinunceresti a sperare nel futuro, visto che in Italia la ricerca contro la sclerosi procede che è una merda? Ma non gliel’ho chiesto. Devo aver assunto un’espressione talmente triste e scoraggiata che il ragazzo ha subito incassato il mio diniego, ha riposto le stampe di anna geddes (contentino in cambio dell’offerta) e mi ha chiesto se ero sposata. Gli ho detto di no e lui mi ha chiesto di sposarlo. Almeno alla fine è riuscito a farmi ridere.

Uno degli indiani di piazza del popolo mi si è avvicinato malgrado fossi sola e malgrado avessi fatto di tutto per evitarlo.
L’ultima volta che mi ero lasciata convincere era gennaio, ero in buona compagnia ed ero felice davvero. “Porta fortuna. Prendila!” Ed io, credendoci come una deficiente, l’avevo presa, dando l’avvio al periodo più sfigato della mia esistenza.   Per questo, quando mi ha sfiorato il braccio con le rose per poco non l’ho pestato.
Fanculo tu e la tua fortuna!
Ma stavolta non l’ho solo pensato. Ho trovato il coraggio di dirglielo. E mi sono sentita decisamente meglio.

Ho capito che era il momento di andare e sono salita su un tram che era più pieno di un uovo sodo. Avevo bisogno di sedermi, avevo bisogno di spazio, ma più mi guardavo intorno, più mi rassegnavo all’idea di un viaggio sudaticcio e accalcato. E poi finalmente è accaduto il miracolo.
In via flaminia, il tram si è fermato e si sono aperte le porte. La gente si è precipitata fuori in  preda al panico. Tutti chiedevano: “cosa succede?” mentre io me ne stavo buona buona in un angolo pensando che se il tram fosse andato al fuoco qualcuno sarebbe pur dovuto morire. Ma non c’era nessun incendio. Solo il blocco della strada per il passaggi di Gheddafi. Il tram è ripartito dopo un quarto d’ora con soli tre passeggeri, ragion per cui mi sono seduta e ho avuto tanto spazio.
Grazie Gheddafi! La tua visita a qualcosa è servita.

Prima di arrivare a casa mi sono successe altre cose, ma mi sono stancata di raccontare e poi a breve uscirò di nuovo. Devo accompagnare Lilli al provino per il Grande Fratello.
Se la prossima stagione televisiva sarà più surreale di quella appena trascorsa, saprete a chi dare la colpa.

 
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Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.

Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.

 

 

 

 
 

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