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“Che fai di bello?” è una domanda del cavolo, rivoltami ciclicamente da chi mi conosce e non.
La cavolosità è da attribuirsi al fatto che:
1) attualmente non faccio quasi niente, ma subisco quasi tutto;
2) bello???? Che significa bello???
Comunque, per chi fosse interessato…
Quattro settimana fa, causa eventuali controindicazioni da assunzione di sostanze per nulla stupefacenti, ho smesso di fumare.
Quattro settimane dopo…
Ufficialmente ancora ho smesso di fumare.
Ufficiosamente, fumo quasi più di prima, mastico gomme alla nicotina e l’altro giorno, in piena crisi di astinenza (la differenza tra quando fumavo e ora che non fumo consiste nel non comprare le sigarette e fumare per lo più a scrocco), ho consumato metà del sigaro cubano che una mia amica mi aveva portato in regalo dal viaggio di nozze.
Risultato…
Uniformemente a quanto previsto, fumare malgrado le controindicazioni mi ha riempita di controindicazioni.
Non c’è niente di positivo nel considerare, analizzare e contemplare solo il lato negativo delle cose, ma sono in una fase così, in cui anche le attività che prima mi rendevano serena, nei loro stravaganti effetti, adesso mi fanno sentire decisamente vuota.
Ho ripreso a dipingere ed ho concluso un ritratto richiestomi e cominciato parecchi mesi fa. Ne è venuta fuori una cosa che, a guardarla, ti viene la sindrome di Stendhal… cioè ti fa sentire come se fossi il protagonista di un quadro, ma non di un quadro in generale, bensì di un quadro in particolare… l’URLO di Munch. Ed ho detto tutto.
Ho ripreso a suonare, senza alcuna velleità, ma sollecitata dai Muse. La quarta traccia del loro ultimo album, si conclude, con un pezzo che adoravo, un notturno di Chopin, da me tetramente reso in forma di diurno quotidiano tormento per i vicini di casa. Nulla di male, se si tiene conto che loro, di contro, spesso e, a quanto pare, volentieri, sparano a palla le canzoni di Anna Tatangelo. Almeno, col mio pianoforte e col modo in cui lo suono, sto acquistando parecchi punti nella gara a rompiballe condominiale dell’anno. Se continuo così, mi sa che alla lunga posso vincere.
Ed ho provato, disperatamente, a scrivere la dannatissima introduzione di un libro, ma, superato il blocco iniziale, l’unica frase che ne è venuta fuori è “Dove somiglia a un pianto, il canto, reiterato a misura di tecnicismo errato, stona le parole non ancora dette assimilando il loro significato alla formula risolutiva di un equivoco esistenziale, in base al quale, considerata l’apparenza e dunque la sostanza, anche la voglia di vivere diventa una colpa.” E’ ovvio, che a rileggere una roba del genere, il blocco si è riconfigurato in tutta la sua grandezza ed ho lasciato perdere.
Insomma, ho capito che più che un’artista, io sono un museo e che se c’è una forma d’arte che mi si addice è quella drammatica, per il modo in cui tutto ciò che faccio fa davvero piangere.
La mia vita è il vecchio solito dramma satiresco (ma purtroppo senza i satiri….).
Oggi mentre giocavo col mio gatto nero e sussurravo parole d’amore al mio cane grigio, mentre il cielo azzurro era trapuntato di nuvole bianche come fiocchi di cotone (almeno ho ripreso a pensare in versi, ma non so quanto sia sano) mi ha colpita il pensiero che la teoria e la pratica del dolore divergono in efficacia.
Voglio, perciò, immaginare che domani sarà un ennesimo scempio. Se la mia teoria è giusta, allora la pratica mi smentirà.
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POETRY
Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.
Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.
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KELLY JONES
I really hope ya happy,
both of you
and maybe sometimes
you miss me too!