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Ho imparato a fingere che la vita che vivo non è la mia, il che è un po’ come credere al destino: c’è da risparmiare un sacco in termini di responsabilità o di pentimenti.
A volte fa freddo, come faceva freddo quel giorno che decisi di lasciarti andare perché con te il tempo passava troppo in fretta e io ero troppo vigliacca per accettare di invecchiare. Che poi chissà se eri tu quello che mi lasciavo alle spalle o una parte di me meno viva, ma non tanto più morta da non voler evitare che potesse resuscitare.
Una risposta ce l’avrei, ma non credo sia quella giusta. Del resto chi eri? Chi sei?
C’è molto caos adesso, eppure non è ancora tempo di stelle danzanti. Ci sono lampioni, quelli sempre, anche se, non per questo, è meno buio.
E mi verrebbe di cercarti (e lo so che detto così sembra strano, visto che non cerco mai ciò da cui in altre circostanze fuggo) solo per raccontarti di come sono diventata brava a lasciare che una parolina magica (serenase) resti scritta su un foglio o al massimo mi giri per la testa, senza per questo cedere alla tentazione di renderla reale.
Il mio medico scrollerebbe il capo, questo lo so, ma so anche che fortunatamente sono ancora incostante e, nella mia incostanza, preferisco fare leva su quello che regge invece che sulle macerie.
Insomma, voglio continuare a farcela da sola, anche se il desiderio di farsi da soli, il farsi da soli e il semplice farsi, dai più sono ancora intesi come corrispettivo, nei risultati, di una sega mentale.
E’ che in certi momenti tutto è troppo brutto, ma ce ne sono altri di momenti, in cui sono preda di una felicità strana, ma capace di farmi dimenticare e, addirittura, farmi sentire sciocca, al pensiero del dolore provato. A te capita mai?
A guardarmi o a sentirmi parlare, sono sicura che ti divertiresti un sacco.
Ho preso l’abitudine a collezionare amicizie a breve scadenza. Il meccanismo è molto semplice: quasi tutti i giorni esco di casa convinta che incontrerò qualcuno che sceglierà di parlarmi. E quasi tutti i giorni succede. L’altro ieri era una donna con una nipote che sta male; ieri una coppia che non sapeva su quale autobus salire. Abbiamo fatto un pezzo di strada insieme e poi ciascuno è tornato sulla propria isola. Non credo siano i messinesi quelli che più degli altri hanno bisogno di un ponte e, anche se ne avessero tanto bisogno, a quanto pare non sono i soli.
Ed ho preso la pessima abitudine a mettere da parte le amicizie di lunga data, un po’ per capire quanto valgono, un po’ perché non mi va di mostrarmi come sono, di simulare ciò che ero e, soprattutto, di chiedermi quante di loro sopravvivono per convenienza, per affetto o per altro ancora. Andranno a male? Sai che non m’importa?
Non sono più così capace di prendermi cura degli altri, ma mi sto impegnando a prendermi cura di me. L’impressione di avere molto poco da curare, talvolta, è un incentivo a mandare tutto all’aria, ma in mezzo a tutto questo casino, c’è ancora un puntino di luce... e che sia l’origine di una stella o il semplice riflesso di un lampione, ancora mi piace tenerlo acceso.
PS: A nove anni, durante una festa di piazza, un deficiente mi lanciò un petardo che mi esplose sulla guancia. Ma nessuno ha mai pensato che fosse colpa dei comunisti. Quello fu considerato esclusivamente come il gesto di un idiota.
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POETRY
Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.
Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.
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KELLY JONES
I really hope ya happy,
both of you
and maybe sometimes
you miss me too!