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***compromessi***

Post n°380 pubblicato il 20 Maggio 2010 da fragolozza
 

La mano poggiata sulla mia spalla non dovrebbe muoversi verso le guance.
Capisco che questo è il momento ed un luccichio di lacrime mi si spinge oltre le ciglia.
Fisso lo schermo e parole non mie riempiono l’aria di una pesantezza che non solo mi affatica il respiro, ma che mi schiaccia contro lo schienale della poltrona, quasi io non fossi più una persona, ma un’ombra, una di quelle che abitudinariamente calpesti, quando il sole è perfettamente perpendicolare alla figura che la origina.
“Chiamami per nome, dammi del tu”
Ma io scuoto la testa, incapace di dire qualunque cosa. Gli oggetti sparsi a caso nella stanza acquistano movimento e gravitano in ogni dove. Riesco concentrare l’attenzione su una stampa, un nudo di Renoir, ma poi mi rendo conto che la fragilità della ragazza ritratta appartiene anche a me e ritraggo gli occhi. La sensazione di essere sul punto di soffocare non argina il desiderio di piangere, sebbene farei meglio a mettere da parte le energie.
Potrei alzarmi e scappare, inventare una scusa qualunque, accampare un pretesto per venir fuori dalle sabbie mobili dell’attuale contesto.
“Qualcosa non va?” mi si chiede ed io resto ancora in silenzio, poco lucida, ma nello stesso tempo cosciente che mi trovo di fronte alla ruvidità del mondo, quella conclamatami a forza da chiunque, ma che nella mia innocenza non avevo mai ritenuto possibile.
La morbidezza dei desideri ottenebra lo sguardo, allo stesso modo in cui la validità di uno sforzo rende giustificato il merito, a prescindere dal prezzo, dal compromesso, da ogni possibile forma d’abuso che s’interponga al successo.
Il mio silenzio sembra essere un incentivo a continuare e la mano acquisisce coraggio nell’accarezzarmi il viso.
In pochi momenti mi diventa più netta la percezione di ciò che sto vivendo.
Mi alzo, lo guardo e l’uomo con i capelli bianchi non è più la persona che stimavo, quella che mi rassicurava sulle mie capacità, sulle mie possibilità, sul mio futuro.
Leggo nei suoi pensieri ed ora so di essere solo carne, nient’altro che questo e che solo attraverso la carne le frasi che stavo cercando mi mettere insieme acquisiranno una dovuta forma, incideranno sostanza e, forse, mi cambieranno la vita.
Ma non è quello che voglio o, almeno, so di non volerlo in questo modo.
Il mio valore, sminuito dal mio stesso sentire, non vale la perdita dei valori.
“Sai che sono poche le persone per cui faccio una cosa del genere? Sai che non  per tutte scrivo lettere di presentazione?”
Le sue mani si allungano a prendere le mie. Tremo ma non se ne accorge o non gliene importa. Quanto conti la mia reazione è di poco conto.
“Piccola, io ho un potere che tu nemmeno immagini”. In qualche modo resto indifferente, distratta, ma solo all’apparenza, perché dentro è rabbia e umiliazione. E’ tristezza.
Mi sposto un po’ più a lato, senza voltarmi a guardarlo. La stima per l’uomo diventa avversione per gli uomini.
Il raccapriccio, sotto forma di compromesso, svela la vacuità della mia ambizione. C’è un prezzo e non l’ho mai considerato tanto alto come quando sento quelle mani che provano ad accendermi cellule stanche. Non penso perché non ci riesco.
So solo che la mia mente ed il mio corpo non sono mai stati così complici nel rifiuto.

 
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Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.

Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.

 

 

 

 
 

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