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« ***di_nuovo*** | °°°marciapiedi°°° » |
(Stamane ho dolorosamente preso atto della sostituzione del faccione di Clive con una stupida pubblicità di rossetti e belletti vari. La cosa mi ha depressa alquanto. Che palle il natale!)
La sveglia sul comodino è un emissario del tempo, il cui potenziale coercitivo annulla la presa del sonno sui miei occhi ancora stanchi.
Sollevo adagio la testa e sbadiglio, col braccio destro infilato sotto il cuscino e l’altro che mi libera dal bozzolo protettivo delle coperte. Il mio ridicolo pigiama a fiorellini azzurri non va molto d’accordo con l’inverno e sono infreddolita quanto basta per prendere coscienza dell’insopportabilità del trillo e metterlo, dunque, a tacere.
Allungo una mano e il mio mondo ridiventa silenziosa pace.
Un ricciolo scivola a sfiorarmi le ciglia e a solleticarmi una guancia. Rotolo su un fianco e sono a pancia all’aria.
Il primo pensiero del giorno è che anche il soffitto non è altro che un pavimento guardato dal basso. E’ tutta una questione di prospettiva.
Il secondo pensiero è che vorrei qualcuno fermo sulla soglia di questa stanza, a urlarmi: “Arianna, muoviti. Farai tardi a scuola!” Ma non c’è nessuno e non ho alcuna fretta, perciò riporto lo sguardo a livelli più bassi.
Vista dal letto la polvere, fortunatamente in uno strato molto sottile, disegna sul pavimento cerchi non concentrici e impronte di piedi nudi, i miei, come una strana mappa di strade intergalattiche assemblata dai primi raggi di sole, lungo la distanza che separa il comodino alla mia destra dalla porta di questa stanza e, dunque, dal corridoio.
Recupero un lembo del lenzuolo che avevo allontanato (la coperta è rimasta appallottolata ai piedi del letto) per coprirmi la testa, perché il resto del contesto è facilmente ignorabile. I mobili, le suppellettili, le piastrelle, lo specchio, l’intonaco e persino i mattoni e il cemento sottostante, sono elementi di uno scenario dinanzi al quale si svolge sempre la stessa storia.
E’ tutto molto strano perché so di non essere io. Io sono altrove e sono diventata altro.
Non ho più bisogno che il rumore di una sveglia mi riporti alla realtà di una casa vuota, perché dove sono arrivata adesso c’è felice rumore e questo risveglio, per niente unico visto il modo in cui mi è facile ricordarlo, è il modo infame in cui la mia coscienza mi restituisce, dall’incoscienza di un pomeridiano riposo, alla necessità di arrivare ben sveglia fino a tarda sera.
Consapevole che devo darmi da fare per tutte le cose che mi restano da fare, me ne sto ancora un po’ così, falsamente indifferente ad accarezzarmi la pancia. Sgattaiolare di là del presente, come forma di ancoraggio ad una porzione della mia esistenza in cui la giovinezza era sinonimo di serenità, allenta il bisogno di chiedermi per quanto il mio ventre riuscirà a contenere, prima di scoppiare, l’inedita emozione che da qualche giorno serpeggia e presto mi coverà dentro, ma la curiosità di capire da dove e perché nasca fa da freno ad un’ennesima fuga verso l’anonimato di un mattino qualunque, spingendomi piuttosto contro uno scoglio decisamente più duro.
Così la verità si fa largo tra le pagine di un vecchio classico in edizione tascabile, letto in un periodo della mia vita in cui il concetto di odio reattivo, sebbene blandamente affine, poco si addiceva a quello che ero disposta a provare. Le affinità maturano col tempo e la reattività anacronistica è più dura. Chissà se Erich Fromm sapeva anche questo. Io so che non lo conterrò, ma forse passerà. Mica odierò in eterno?
La polvere, stavolta concreta e alienata da ogni artistica visione, pungola la mente col ricordo che accende. La rabbia divampa, l’equilibrio traballa e, muovendo le mani un po’ più distanti dal corpo, su e giù, lungo la superficie spiegazzata delle lenzuola su cui sono stesa, fingo di nuotare come non ho mai fatto, evitando lo scoglio aguzzo e concentrandomi affinché sia meno reale la sensazione di sprofondare.
Poca luce e troppo contrasto stavolta trasfigurano questo momento di pausa nella scena di un passato che non ci tengo a rivivere. Posso mettermi in salvo, ripetermi come ho sempre fatto che io sono Arianna Malfi, figlia di mio padre. E quasi ci riesco, orientando tutta la mia attenzione sulle linee profonde che disegnano l’armadio di ciliegio, suddividendo la sua struttura imponente in un mosaico di rettangoli dietro i quali si nascondono scomparti e cassetti pieni di oggetti e stoffe, compagni di un’ennesima stagione che sta per finire.
Però non basta, l’illusione cresce e allora mi aggrappo ai colori che immagino saturino tutto ciò che mi sfugge allo sguardo, di là delle tapparelle calate a sipario e obliteranti il fuori, ma l’esplorazione dell’infinita gamma di sfumature tra il bianco e nero s’inceppa al seppia, un colore da foglie marce e vecchie foto, come quelle appese alle mie spalle. Ero così carina e indifesa quando sorridevo all’obiettivo e la mia vita era tutta da costruire.
La carta kodak non rende lo spessore dei vecchi desideri visibile agli occhi; le cornici lasciano fuori troppi
spazi che io so non essere vuoti. Cosa ne è stato di quella parte di me e perché ho l’impressione di volerla rifiutare?
Il contraccolpo arriva prima che possa rendermene conto. E’ la mia mente che gioca, senza farmi ridere e, dietro il velo pesante delle lacrime ingoiate, si spalanca lo scenario e so che è un triste ritorno.
Tanto vale fermarsi e smetterla di lottare contro l’inevitabile.
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POETRY
Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.
Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.
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KELLY JONES
I really hope ya happy,
both of you
and maybe sometimes
you miss me too!