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Tengo lo sguardo puntato a oriente così che nessuno (e in particolare Nessuno) possa vedere se piango.
Nessuno è il nome che ho deciso di dargli dopo essermi resa conto di quanto sia stato ingiusto ripetermi per tutta una vita che nessuno mi avrebbe mai sopportata.
Lui mi sopporta, quindi è il mio Nessuno, l’eroe dalla proverbiale tracotanza che, assediatami la mente, fino ad allora inespugnabile Troia, mi ha poi accecata e non nel senso de “l’amore è cieco” e altri modi di dire altrettanto scontati.
E’ strano da spiegare.
E poiché è anche poco chiaro, non so se sia più lecito considerare il baluginio letargico dell’autunno inoltrato come una promessa di partecipazione e conforto o considerarlo, in quanto tale, ossia come un preludio al finale.
Mi limito a dolere anticipatamente per parole che presto romperanno il silenzio.
Sulla collina da cui non spunta il sole, perché è pomeriggio/quasi sera e se volessi vedere la luce dovrei voltarmi e farmi guardare il viso, gli alberi disegnano macchie di colori morti.
Dall’altro lato, alle mie spalle, un’altra collina è un cuscino su cui una stella presto poggerà la testa, per poi sparire fino a soffocare.
Siamo prigionieri in una conca a forma di piazzale panoramico.
C’è troppo vento e vorrei non ce ne fosse, così non sarei costretta ad ascoltare il suo respiro e tutto ciò che ne consegue, ma il suono mi arriva limpido e veloce.
“Perché non mi guardi?” mi chiede ed io nasconderei la faccia ovunque, tra le felci che immagino popolino il distante sottobosco facendo il solletico alle basi degli alberi stanchi.
Decido di contare fino a dieci, ma mi fermo al sette, interrotta da un’intuizione sciocca.
Potrei gridare “abracadabra!” anziché perdere tempo con inutili esercizi di autocontrollo, e sperare che sparisca prima che si avvicini a toccarmi una spalla, ma sono poco rapida e le sue dita già mi solleticano una scapola.
Indecisa sul se voltarmi o meno, mi volto e il suo volto è trasfigurato dai raggi di quel sole che volevo ignorare.
“Un tu detto da te, per me è io.” E questa frase su di lui ha un effetto più valido di una formula magica, perché lo fa arretrare. Continuo su questa strada, ma è un sentiero sul quale difficilmente mi arrampico, sebbene sia io stessa a tracciarlo. Continuo caparbia.
“Guarda le cose dalla mia prospettiva, se ci riesci. Tu resti un tu smorzato dalla mia riluttanza ad accoglierci in un noi e se non trovi un senso a quello che ti sto dicendo è perché io sono molto di più di quanto credevi sarei stata. E non scuotere il capo proprio adesso! So cosa stai per obiettare e non lo accetto. Resta in silenzio, lontano dove sei adesso. Tra un po’ sarà il tramonto e tutto quello che conserverò di te sarà l’ennesimo vago ricordo, un possibile ricorso alla ricerca di ciò che io volevo di te (di per sé molto meglio di ciò che tu volevi di me) e in qualche modo ho creato.”
Ora so per certo che sto facendo la figura della stupida, ma non mi frega. Non me ne starò zitta, non finché non se ne sarà andato con una buona ragione.
“Quante volte sei stato fregato?”
Sta per dire qualcosa, ma lo blocco.
“Non rispondere, non era una domanda, era solo un preambolo. Le fregature sono come scarafaggi che spuntano dagli angoli in cui non hai guardato. E non importa se li scalci, se li ignori, se ci passi sopra con tutto il tuo peso. Perché l’immagine di quell’insetto nero, orribile e, se riuscissi ad annusarlo, di sicuro anche puzzolente, ti perseguiterà e terrorizzerà ogni volta che supererai l’incrocio tra una parete e un’altra. Sei una fregatura anche tu?”
Mi risponde con gli occhi e finalmente comprendo che la situazione è più complicata di tutte le altre situazioni complicate in cui mi sono cacciata in precedenza.
Mi meraviglia, perché mi sarei aspettata una reazione. Nessuno ha mai sopportato tanto senza reagire, ma lui è Nessuno e allora la maledizione continua e vorrei imprecare, fare come se tutto ciò che ho nella testa fosse facilmente resettabile. E lo riconosco questo momento, perché è il solito stesso momento in cui la mia natura cattiva si ribella contro di me per farmi del male che non sarà mai abbastanza rispetto a quello che merito. Poi finirà di nuovo e sembrerò serena, quasi felice, l’immagine perfetta che qualcuno oserebbe contraddire, solo perché nessuno possa non crederla reale.
Ma io so qual è la verità
Nessuno mi crederà sempre. Nessuno mi vorrà bene. E chissà se anche questo è solo un gioco di parole.
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POETRY
Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.
Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.
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