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« °°°specchio°°° | °*°Persone_Silenziose*°* » |
“Immagina come sarebbe, se avessi un altro nome, magari russo, tipo Irina o Ilona… insomma, uno di quei nomi brevi ma d’impatto”. Mi stiracchio le braccia, allontano la sedia dalla scrivania e comincio a passeggiare per la stanza.
Mauro alza lo sguardo dal testo di algebra, mi fissa e, per un attimo, ho l’impressione che mi abbia capita, che davvero mi stia osservando come vorrei mi osservasse.
“E allora cosa ne pensi?”
“Di cosa?”
Ma non mi ha capita.
“Non sarebbe meglio se mi chiamassi Irina?”
Glielo ripeto scandendo bene il suono, affinché la limpidezza di tre sillabe molto diverse da quelle che effettivamente compongono il mio nome contribuiscano a modificare l’idea che credo lui abbia di me. Ma è evidente che è ancora perplesso.
“Scusa, ma perché proprio Irina?” mi chiede. “Irina è un nome che fa schifo. Sempre la marca di uno spray nasale o, alla meno peggio, il diminutivo di una marca di collirio. No, non mi ci vedo a chiamarti Irina”
“E allora come vorresti chiamarmi?” chiedo curiosa.
Mauro sbuffa, si alza a sua volta, mi si avvicina e mi lascia sulla spalla l’impronta di una pacca data forte. “Smettila di pensare a certe stronzate. Hai un nome bellissimo. Perché ne vorresti un altro?”
“Perché quello che ho non è per niente bello e tu sei un bugiardo a dire così. Metti poi che neppure l’ho scelto io. Ti rendi mai conto di quanto poche siano le cose che possiamo scegliere o anche solo controllare? Il nome è ciò che ci identifica, che ci rappresenta nel mondo, eppure non siamo noi a sceglierlo. E’ ingiusto, non trovi?”
“Ci sono ingiustizie peggiori, sai? Anche doversene stare qui ad ascoltarti è un grande ingiustizia”
Se la sua era una battuta, io non l’ho capita, perché mentre mi sorride, provo a sputargli in faccia quel poco di saliva che mi resta, prima che mi si secchi in gola. Mi sforzo con tutta me stessa e lo sputo si ferma a mezz’aria. A considerarlo meglio, sembra uno spruzzo, uno di quelli che ti viene fuori dal naso e dalla gola quando starnutisci senza fare in tempo a coprirti la bocca con la mano. Anche i miei sputi sono senza controllo, ma questo lo so io soltanto, perché Mauro, nel mentre prendevo di mira la sua guancia sinistra, mi ha voltato le spalle.
Si avvia verso la porta chiusa della mia stanza, spalancandola all’invadenza della luce che riempie il corridoio.
Resto inizialmente interdetta, poi gli urlo: “E adesso che fai? Te ne vai?”
La sua voce mi giunge ovattata dalla distanza che separa la piastrella del pavimento su cui mi sono inchiodata dalla cucina. “Devo bere, vuoi che ti porti dell’acqua?”
Mi siedo sul letto, poi mi sdraio e il cuscino mi fa il solletico al collo. Questo è uno di quei momenti in cui ci starebbe bene un bacio, una coccola inattesa, una sorpresa.
“No, non voglio niente!”
Sento il rumore del frigo che si apre, il bicchiere sul tavolo, l’acqua che lo riempie e di nuovo il frigo, ma che si chiude. Sollevo un po’ la testa quando si riavvicinano i suoi passi.
Si ferma sulla porta e so di non averlo mai visto così bello. Se avessi più coraggio rimarrei stesa, a lasciare che le prossime ore soli in casa e i suoi ormoni in subbuglio adolescenziale facciano il resto. Io, però, non ho alcun coraggio e mi tiro su a sedere, tirandomi giù la maglietta che si era sollevata a scoprirmi l’ombelico.
“A che punto eravamo?” mi chiede, guardandomi in un modo strano ed ora so per certo che vorrei mi stupisse, vorrei che mi prendesse tra le braccia e mi stringesse forte. Peggiore dell’ingiustizia di non scegliersi il nome è il fatto di non poter mai vivere in prima persona una scena da telefilm americano.
“Con i compiti di matematica o con la mia teoria sui nomi?”
Non mi risponde. Si avvicina e si siede al mio fianco, sul mio letto. Sta zitto, ma continua a guardarmi in quello strano modo.
Non lo so se respiro ancora. Forse sì, ma solo per abitudine.
E finalmente lo fa. Allunga una mano ad accarezzarmi il viso e si avvicina e poi preme le sue labbra sulle mie. Non mi bacia per molto. Si allontana di scatto ed il suo viso è tristemente normale, mentre il mio, me lo sento, è una palla di fuoco.
“E questo? Non puoi controllare neanche questo?”
Non capisco se è una domanda a trabocchetto, ma d’istinto rispondo: “No”
“Io, invece, sì” replica lui e scoppia in una risata crudele, come quella che farebbe un assassino, prima di sventrare la vittima con delle trinciapollo.
“Dai, secchiona, non rimanerci male. Era solo uno scherzo! Lo sai che ti voglio bene. Non prendertela”
“Non me la sono mica presa? Guarda che stavo scherzando anch’io!”
E’ evidente da come continua a ridere che non mi crede.
Se mi chiamassi Irina, stavolta prenderei bene la mira, anzi lo terrei fermo per evitare di sbagliare. Risucchierei tutto i liquidi che ho in corpo e glieli sputerei addosso senza ritegno. Ma io mi chiamo Carmela.
Ed è una grande ingiustizia chiamarsi così.
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Sul banco dei pegni
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Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
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Le formiche al tramonto ricordano
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Sai contare al contrario, partendo
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Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
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Me stessa, quell’altra o la stessa
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Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.
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