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« ****IRINA*** | *°*astrakan*°* » |
MT rasentava la catatonia. Non sorrideva mai, non parlava mai, non emetteva alcun suono. Se ne stava seduta nel suo banco, unica bambina fra tutte la cui grande aspirazione nella vita sembrava fosse diventare una mummia.
Al contrario, io ero una chiacchierona, una bambina vivace, una che stava bene in compagnia.
Ma con lei era come rivolgersi al muro. Le facevo il solletico, le tiravo i capelli, la prendevo a gomitate e lei… niente. Non diceva sì, non diceva no, non diceva a, non diceva o. Niente di niente.
La punizione della mia infanzia è stata sederle accanto per tutti gli anni delle elementari.
Il primo giorno delle medie, dopo che mio padre mi scaraventò gentilmente dall’auto a 500 metri di distanza dall’istituto, oltre che arrivare a scuola col fiatone, ci arrivai con un sospiro di sollievo. Finalmente mi sarei potuta trovare una compagna di banco con cui parlare, con cui giocare, con cui COMUNICARE.
Ma quando da lontano vidi MT fuori dalla porta dell’aula che mi era stata assegnata mi prese un colpo.
Mi avvicinai con cautela e rassegnazione.
“Hai visto che bello? Stiamo di nuovo insieme!”
Oltre a rimanere sorpresa per il fatto che io mi ero scelta il tempo prolungato e lei quello normale, quindi era impossibile essere capitate insieme, mi stupì la sua voce. Se era più bella della mia, perché non l’aveva mai usata?
Ero troppo piccola per elaborare teorie psicologiche, perciò mi limitai a gioire del fatto che, pure se mi rompeva le scatole che i suoi genitori e la mia vecchia maestra mi vedessero come uno stimolo, ragion per cui erano intervenuti affinché non ci separassimo, almeno stavolta avrei avuto una compagna parlante.
E così scoprii che MT era simpatica e, soprattutto, che non mi portava rancore per tutte le volte che avevo cercato di strapparle qualche suono a suon di schiaffi.
Non durò però molto. Dopo qualche mese, di preciso dopo un’interrogazione di religione a cui non aveva saputo dare alcuna risposta (ma si può andar male ad un’interrogazione di religione?), smise di nuovo di parlare.
A quel punto mi arresi. Non mi andava nemmeno più di picchiarla, votata com’ero ad un destino di silenzio che, già allora, riconoscevo come causa delle mie prime, adolescenziali, crisi depressive. Del resto, conoscevo il suono della sua voce e conoscevo il motivo per cui non parlava.
MT era una grande paraculo, una parassita, una che si fingeva autistica per non affrontare le difficoltà della società (non a caso molti dei miei compagni logorroici in quegli anni vennero bocciati, mentre lei andava tranquillamente avanti, senza dire niente, attaccata come una cozza al mio gomito destro, lei che era mancina e che, quando si arrabbiava se non la lasciavo copiare, mi spingeva col braccio per farmi pasticciare).
E che avesse scelto me, come organismo da cui trarre forza, diventò palese quando ci fu da iscriversi alle superiori. Io scelsi lo scientifico, convinta che non mi avrebbe mai seguita al liceo. Ma ero stata troppo benpensante: quella pazza aveva intenzione di seguirmi vita natural durante.
Perciò, furbescamente, aspettai che fosse luglio, aspettai di non rivederla, mi recai allo scientifico, ritirai la preiscrizione e me ne andai felicemente al classico.
Di MT ho saputo che dopo un paio di settimane allo scientifico, si ritirò per iscriversi al magistrale.
Di MT non ho poi più saputo nulla (per fortuna non l’ho nemmeno più incrociata per caso e manco la riconoscerei se capitasse).
Ma da MT ho derivato quell’odiosa e oscena capacità di chiudermi a riccio, di sopportare, di non reagire a niente e, quindi, di non superare.
Fanculo a MT ovunque ora sia.
MORALI DELLA STORIA:
- il silenzio fa bene solo a chi lo crea e mai a chi lo subisce;
- fingersi dementi è un ottimo modo per essere promossi nella vita;
- farmi benedire fin dalla tenera età non sarebbe stata una cattiva idea.
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POETRY
Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.
Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.
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KELLY JONES
I really hope ya happy,
both of you
and maybe sometimes
you miss me too!