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« ***catatonia*** | °°°slancio°°° » |
Aveva un alito assassino, un alito che, se avesse avuto la facoltà di agire, avrebbe organizzato una manifestazione appannaggio dell’introduzione degli isocianurati nell’igiene orale.
Si conciliava ad una fantasia bucolica, contraddistinta da arbusti a forma di spazzolino, fiumi di colluttorio e siepi di salvia e menta, favorita anche dal modo ipnotico in cui il tizio si ciondolava prima su un piede poi sull’altro.
Se avessi mostrato maggiore attenzione per i suoi movimenti, sarei giunta alla conclusione di aver incontrato un individuo altamente a rischio di un disturbo di conversione, ma ero così presa dal mio sogno aromatizzato allo xylitolo da riservargli un’indagine veloce e superficiale.
Era apparentemente insicuro, ma intimamente convinto- e lo si intuiva dalla procidenza degli occhi- che mancava poco a che, sollecitata magari da un arcano segnale celeste, io lasciassi il suo fiato devastare il mio, in quel frangente impegnato a rimandare il momento e a fondersi pacificamente col fumo di una sigaretta e con i gas di scarico delle automobili che mi passavano accanto.
Non era stata una mia idea, anzi quando la mia analista mi aveva suggerito che una delle soluzioni atte a superare tutte le mie paure sociali messe insieme (riteneva soffrissi di afefobia,biofobia, antropofobia, agorafobia e nei momenti di crisi acuta pure di autofobia) consisteva nel liberarmi dalle consuetudini, assecondando la mia consapevolezza di non essere completamente a posto con comportamenti che non fossero parimenti completamente a posto, ero rimasta perplessa.
Versare un onorario settimanale di 115 euro per sentirmi dire che il mio ritorno alla normalità passava attraverso i sentieri dell’assurdità era un ossimoro persino per me che ormai ero abituata a pensare per contrasti ma, poiché a rifletterci troppo mi stava venendo pure la decidofobia, mi decisi a tentare e così lasciato lo studio, mi chiusi la porta alle spalle, zompettai sui gradini di 5 rampe di scale e mi precipitai in strada, assolutamente determinata a mettere da parte, per tutto il tempo in cui ci sarei riuscita, l’avversione agli imprevisti e ai fallimenti (che la mia analista avrebbe giustamente definito cainofobia e atychifobia).
Ed ora me ne stavo lì a distanza di sicurezza, ma non troppo, dall’uomo contro il quale ero andata inavvertitamente a sbattere e al quale avevo stupidamente detto che morivo dalla voglia di baciarlo. Ovviamente non era affatto vero: il mio era solo il primo tentativo di restaurare un collegamento diretto tra pensiero pensato e pensiero parlato, per poi verificarne e analizzarne le conseguenze, ma come potevo spiegarglielo?
Nemmeno il tempo di verbalizzare quell’idea malsana e lui aveva provato ad attirarmi a sé, dicendo: ”E cosa aspetti piccola?”
Era allora che lo avevo sentito.
Il suo alito era così orrendo che di primo acchito dava l’impressione di essere caduti accidentalmente in una fossa biologica. A respirarlo più intensamente, però, la prospettiva s’infittiva: non era una semplice fossa biologica, era la fogna in cui viveva It e nella quale erano fluiti la pipì dei morti viventi, la cacca degli Sgorbions e persino il vomito verde di Regan. Ed io a malapena riuscivo a tenermi a galla, immaginando il pronto intervento del capitano di “pasta del capitano”.
“Guardi- gli dissi- c’è un errore… anzi no, non è un errore. E’ che io sono matta. Vede quel palazzo laggiù? Ecco, lì c’è il mio medico. Sono affetta da sindromi maniacali di ogni genere, forma e sorta. Sono psicolabile, sono malata. Faccia conto che non sia successo niente, anzi… mi scusi. Le chiedo scusa e le auguro una buona giornata.”
L’uomo si allontanò alla svelta. A passo veloce lo vidi percorrere qualche metro di marciapiede per poi attraversare la strada e svanire dalla mia visuale.
Mi rimasero le mie fobie, alle quali per un attimo si era aggiunta anche l’emetofobia, ossia la paura di vomitare, e mi chiesi se, qualora quell’uomo avesse avuto un miglior rapporto con il suo dentista, mi sarei davvero liberata dai timori e da quella ladra della mia analista.
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POETRY
Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.
Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.
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and maybe sometimes
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