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E’ una giornata splendida splendente, sebbene il freddo dell’alba trapassi il mio giubbotto e il mio anacronistico maglioncino bianco da donna delle nevi.
Il cielo delle sette del mattino somiglia a quello del tramonto più bello che abbia mai visto, ma è più fucsia.
C’è così tanto potenziale che, per cominciare a metterlo in atto, sorrido persino alla bottiglie di birra vuote lasciate in giro da coloro che sanno che i vuoti a perdere saranno pure inutili, ma rendono le scenografie pazzesche.
Il primo intoppo è nel pensiero: i giorni importanti mi stimolano sinapsi ansiogene.
Il secondo intoppo è nei presentimenti: riuscirà la nostra eroina ad arrivare per tempo al non primo giorno di lavoro, ma a quello in cui è attesa da tutti i capi, dalla prima timbratura e dalla divisa nuova?
Il terzo intoppo è a Capannelle.
Sono sprofondata nella lettura di una delle avventure erotiche di Anaïs Nin, talmente avventurosa che gli ultimi strascichi di sonno mi chiudono gli occhi, quando mi accorgo che qualcosa non funziona.
Non ho fatto caso al tempo trascorso, ma fuori dal vetro un cavallo mi fa ciao e capisco che siamo ancora a Capannelle, quando in realtà dovremmo essere già altrove.
Mi sposto sulla poltrona/seggiola e vedo un raggruppamento di individui in prossimità delle porte del treno, che blatera e stramaledice Trenitalia.
Non si aprono le porte e non significa che non si apre UNA porta: significa che siamo letteralmente intrappolati sul treno, che peraltro nemmeno riparte. Poco male, penso… tanto ho un’ora di anticipo.
Solo che passano i minuti, solo che passano decine di minuti, solo che passa un’ora e lo stramaledetto treno non si apre e non riparte. E’ inchiodato come una zecca defunta al suo tratto di binario, il numero due, che è pure l’unico dopo il numero uno, roba che quando dagli altoparlanti viene diffuso il messaggio: “Attenzione treno in transito al binario due, allontanarsi dalla linea gialla”, a sentire l’avvicinarsi furibondo dei vagoni in transito, accompagnati da un suono di trombe pazzesco, mi metto quasi a piangere (anzi togliamo il quasi) pensando al tipo di morte idiota che mi sta per capitare.
Ma per fortuna non muoio.
Il treno in arrivo, all’ultimo momento, si sposta sul binario adiacente con strascico di fischi e rumore di libertà.
La macchinista del nostro treno- una deficiente che piuttosto che controllare il mezzo prima che partisse, al fine di evitare un guasto alla prima stazione, aveva preferito giocare a fare la strafiga con tutto il pubblico della stazione termini- passeggia tranquilla sulla banchina.
Arrivano i vigili del fuoco, fa la strafiga anche con loro e, quando finalmente le porte si aprono, ha il buon senso di rintanarsi nella sua cabina, tanto è presente in ciascuno di noi quasi duecento passeggeri il desiderio di prenderla a capate in bocca.
Comunque, scendere dal treno non è un sollievo.
Da bravi visitatori di passaggio a Capannelle ci raggruppiamo in capannelli e sembriamo dei profughi albanesi. Sembriamo una mandria di pecore ripudiate dal pastore. Persino i fantini che si allenano poco distanti ci pigliano per i fondelli.
Il mio anacronistico maglioncino bianco da donna delle nevi diventa un forno crematorio e passo la successiva ora rimirando le campagne di Capannelle e pensando che mai come in questo momento non ho bisogno sia necessario credere nell’esistenza di un dio per soddisfare l’esigenza di farsi mandare e mandare a farsi benedire.
Alla fine, il treno rotto viene fatto ripartire e si sottrae al nostro desolato sguardo. Alla fine cominciamo ad augurarci di essere capitati nel bel mezzo di un episodio di star-trek e che presto una navicella arriverà a portarci via. Alla fine passa un treno, ci saliamo, dopo una fermata riscendiamo, aspettiamo un altro treno, risaliamo e finalmente ciascuno arriva a destinazione.
Per la cronaca, arrivo al mio non primo giorno di lavoro, ma di presenza di tutti i capi, di prima timbratura e di prima vestizione della divisa con due ore e mezza di ritardo.
E i pantaloni mi stanno pure corti di due spanne e mi si vedono i calzini corti rosa, con disegni di fragole e ciliegie.
Devo convincermi a rivalutare l’uso dei collant.
PS: il Capannelle_atto_primo rappresentò uno dei momenti più sfigati della mia esistenza; il Capannelle_atto_secondo è stato uno dei frammenti più belli della mia esistenza. Per il meccanismo a rima alternata, la prossima volta che capito da Capannelle sarà memorabilmente felice.
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Scommetti che a perdere il cuore
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Sul banco dei pegni
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Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.
Le formiche al tramonto ricordano
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Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
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Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.
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