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°*°bruttezza°*°

Post n°330 pubblicato il 26 Ottobre 2009 da fragolozza

C’era qualcosa di sbagliato nel modo in cui lo guardavo.
La sua oggettiva bruttezza, setacciata dal filtro della mia personalissima mancanza di autostima, diventava meno brutta e a tratti pensavo persino mi piacesse.
Perché le persone non mi piacciono mai per ciò che sono; perché le persone mi piacciono solo ed esclusivamente se e quanto io piaccio a loro.
Questo mio difetto, non di nascita, ma d’esperienza (ho capito da un bel po’ che sarebbe troppo dispendioso, per me, farmi piacere gente a cui non piaccio), ovviamente non è né una corazza, né una forma di tutela, soprattutto tenendo conto che molte volte non piaccio sinceramente, ma per convenienza, per circostanza, per motivi completamente erronei. Inoltre, non si può piacere per sempre, io non piaccio per sempre e di conseguenza chi temporaneamente mi piace, spesso smette di piacermi.
E’ per questo che ho guardato nel modo giusto quella persona che guardavo in modo sbagliato. Il ricordo del tempo in cui mi era piaciuta non ha disorientato l’indifferenza piena ed è stato triste rendermi conto che né allegrezza né disgusto, nel cogliere poco distante, improvvisamente e dal nulla, la sua sagoma poco piacevole, mi hanno agitato lo stomaco.
Avrei dovuto augurargli di strangolarsi. Non l’ho fatto. Ma questo non significa che sono diventata più buona. Sono solo tremendamente assente… anche nei riguardi di chi credevo di odiare.
E’ una sorta di vuoto, non a perdere, ma casomai da rendere a tutti quelli che hanno sempre preteso pieni, di ogni genere, di svariata natura ed il rifiuto che incasso ed offro, sintomatico e scontato, diventa una lapalissiana verità, fatti i conti con la quale, diventa più facile accettare il senso di solitudine che ne consegue.
Io non ho niente da chiedere, ma penso ancora che sarebbe bello riuscire ad avere, solo che non posso, non è così che funziona, adesso lo so, e nessuno mi convincerà del contrario raccontandomi che un giorno tutto andrà bene.
Anche mia madre fa l’offesa se mi scoccio a raccontarle al telefono quanto tutto mi vada male. Anche la mia vicina ha smesso di salutarmi perché mi bussa alle nove di mattina e ovviamente non le apro la porta. Tutti quelli a cui chiedo di essere lasciata in pace, si mettono sul piede di guerra. Non è un controsenso?

Che abbia smesso di piovere, non cancella le pozzanghere e a volte rimpiango la tempesta, perché i lampi davano un’impressione di luce migliore di questo ingannevole sole autunnale.

 
 
 

°*°QUASI°*°

Post n°329 pubblicato il 16 Ottobre 2009 da fragolozza

 

Il mio criceto è quasi morto, non nel senso che stava per morire e non è più morto, ma nel senso che manca poco a che muoia e non venga più a mordicchiarmi il dito, a sorridermi a suo modo e, in qualche caso, anche a parlarmi… soprattutto quando non c’è nessuno che mi possa ascoltare.
Penso a quando era quasi natale e per quel criceto era tutta vita da venire. Chissà se è stato felice.
Non sono mai stata brava ad esprimere desideri e a non vederli realizzarsi.
Fa quasi freddo e penso a quando ce ne stavamo lì, a scontare gli effetti di troppo Ramazzotti, il cantante non il liquore, perché per le sbronze bastava il brachetto che, anche se scemato, non mi rendeva meno scema. Ed era quasi bello, non nel senso che era di un brutto tendente a migliorare, ma nel senso che la bellezza centellinata in pochi istanti non è mai bella quanto una bellezza duratura.
E poi penso a me, a quanto sono schiava della dittatura del QUASI. Perché è sempre un : sono quasi felice, sto quasi bene, è quasi ora, quasi quasi cambio colore ai capelli…
E non è quasi bello, anzi non lo è affatto.
Dire quasi è come tracciare una linea mediana.
Dire quasi è come decidere di bere quel bicchiere riempito solo in parte, senza mai capire se effettivamente è mezzo pieno o mezzo vuoto.

 
 
 

*°*vulnerabilità*°*

Post n°328 pubblicato il 07 Ottobre 2009 da fragolozza

Secondo Levinas, l’apertura è il denudamento della pelle esposta alla ferita e all’oltraggio. L’apertura è la vulnerabilità di una pelle offerta, nell’oltraggio e nella ferita, al di là di tutto ciò che si possa mostrare. Nella sensibilità “si pone allo scoperto” un nudo più nudo di quello della pelle che ispira le arti plastiche. Allo scoperto, la sensibilità è la vulnerabilità stessa.

Sarò pure insensibile ma, secondo me, Levinas ha sempre goduto di ottima salute.

 
 
 

°*°Dramma_Satiresco°*°

Post n°327 pubblicato il 04 Ottobre 2009 da fragolozza

“Che fai di bello?” è una domanda del cavolo, rivoltami ciclicamente da chi mi conosce e non. 
La cavolosità è da attribuirsi al fatto che:
1) attualmente non faccio quasi niente, ma subisco quasi tutto;
2) bello???? Che significa bello???
Comunque, per chi fosse interessato…

Quattro settimana fa, causa eventuali controindicazioni da assunzione di sostanze per nulla stupefacenti, ho smesso di fumare.
Quattro settimane dopo…
Ufficialmente ancora ho smesso di fumare.
Ufficiosamente, fumo quasi più di prima, mastico gomme alla nicotina e l’altro giorno, in piena crisi di astinenza (la differenza tra quando fumavo e ora che non fumo consiste nel non comprare le sigarette e fumare per lo più a scrocco), ho consumato metà del sigaro cubano che una mia amica mi aveva portato in regalo dal viaggio di nozze.
Risultato…
Uniformemente a quanto previsto, fumare malgrado le controindicazioni mi ha riempita di controindicazioni.

Non c’è niente di positivo nel considerare, analizzare e contemplare solo il lato negativo delle cose, ma sono in una fase così, in cui anche le attività che prima mi rendevano serena, nei loro stravaganti effetti, adesso mi fanno sentire decisamente vuota.
Ho ripreso a dipingere ed ho concluso un ritratto richiestomi e cominciato parecchi mesi fa. Ne è venuta fuori una cosa che, a guardarla, ti viene la sindrome di Stendhal… cioè ti fa sentire come se fossi il protagonista di un quadro, ma non di un quadro in generale, bensì di un quadro in particolare… l’URLO di Munch. Ed ho detto tutto.
Ho ripreso a suonare, senza alcuna velleità, ma sollecitata dai Muse. La quarta traccia del loro ultimo album, si conclude, con un pezzo che adoravo, un notturno di Chopin, da me tetramente reso in forma di diurno quotidiano tormento per i vicini di casa. Nulla di male, se si tiene conto che loro, di contro, spesso e, a quanto pare, volentieri, sparano a palla le canzoni di Anna Tatangelo. Almeno, col mio pianoforte e col modo in cui lo suono, sto acquistando parecchi punti nella gara a rompiballe condominiale dell’anno. Se continuo così, mi sa che alla lunga posso vincere.
Ed ho provato, disperatamente, a scrivere la dannatissima introduzione di un libro, ma, superato il blocco iniziale, l’unica frase che ne è venuta fuori è “Dove somiglia a un pianto, il canto, reiterato a misura di tecnicismo errato, stona le parole non ancora dette assimilando il loro significato alla formula risolutiva di un equivoco esistenziale, in base al quale, considerata l’apparenza e dunque la sostanza, anche la voglia di vivere diventa una colpa.” E’ ovvio, che a rileggere una roba del genere, il blocco si è riconfigurato in tutta la sua grandezza ed ho lasciato perdere.

Insomma, ho capito che più che un’artista, io sono un museo e che se c’è una forma d’arte che mi si addice è quella drammatica, per il modo in cui tutto ciò che faccio fa davvero piangere.
La mia vita è il vecchio solito dramma satiresco (ma purtroppo senza i satiri….).

Oggi mentre giocavo col mio gatto nero e sussurravo parole d’amore al mio cane grigio, mentre il cielo azzurro era trapuntato di nuvole bianche come fiocchi di cotone (almeno ho ripreso a pensare in versi, ma non so quanto sia sano) mi ha colpita il pensiero che la teoria e la pratica del dolore divergono in efficacia.
Voglio, perciò, immaginare che domani sarà un ennesimo scempio. Se la mia teoria è giusta, allora la pratica mi smentirà.

 
 
 

°*°NUMERI°*°

Post n°326 pubblicato il 28 Settembre 2009 da fragolozza

La progressione matematica dei miei stati d’animo si è evoluta dalla solitudine dei numeri primi, al pessimismo dei numeri negativi, passando attraverso l’insania dei numeri irrazionali e la lunaticità dei numeri complessi.
E questo solo in teoria, perché in pratica è anche peggio.
Sabato sono stata a vedere i Tokio Hotel,  ieri sono stata a Porta Portese e non ho comprato NIENTE, cioè niente niente. Credo di non essere mai stata messa così male.
Per non parlare di oggi.
Ero sull’autobus che mi avrebbe riportata a casa. Mal di testa, mal di stomaco ed un cretino che per tutto il tempo non ha fatto altro che guardarmi.
Mi mettono in difficoltà gli sguardi, mi fanno sentire fuori luogo, con qualcosa (e anche più di qualcosa) fuori posto. Mi fanno sentire sbagliata. E così, per tenere la testa lontana il più possibile da quegli occhi inquisitori, mi è venuto il torcicollo. E così è finita che mi sono messa a piangere, sia per la stanchezza, sia per tutto quanto. E così mi sono chiesta di nuovo, dopo tanto tempo, se si può morire d’infelicità.
Certi giorni è come se fossi già morta, ma senza la consolazione del rivestimento di zinco o dell’invisibilità da fantasma.
Certi giorni mi dimentico di com’ero e non accetto scuse per come sono diventata.
Chissà se posso ancora tornare indietro...

Resuscito durante il sonno
Mi sveglio per vedere
Che non sei mai qui
Ma il perdente si arrende
Un altro anno
Affrontando speranze e paure
E io vorrei
Poter credere che ci sia di più

 

 
 
 

°°°NonMiHaiFattoNiente°°°

Post n°325 pubblicato il 14 Settembre 2009 da fragolozza

Sono così precisa quando sbaglio che, per essere sicura di non sbagliare, faccio sempre lo stesso sbaglio.

Quando ero piccola e mia madre mi picchiava, anche se mi faceva un male cane, io non piangevo.
Inconsciamente ero convinta che, se mi fossi mostrata forte, le sarebbe passata per sempre la voglia di suonarmele… anche a ragione.
Ma ovviamente l’unico risultato che ottenevo è che me le suonava più forte.

La tattica del NON MI HAI FATTO NIENTE, utilizzata per tutta una vita contro qualunque cosa o persona che mi abbia ferita, offesa, umiliata e delusa è una di quelle stronzate che io stessa mi sono creata, a mo’ di corazza, solo per arrivare a rendermi conto che la migliore difesa non è un’ostentata e falsa invulnerabilità.
La migliore difesa è la resa, trovare il coraggio di dire, finché si è in tempo: “Basta, così mi fai male!” piuttosto che aspettare l’arrivo dell’ennesimo colpo, l’arrivo del colpo letale.
Del resto, se  dentro, comunque, vado a pezzi, a che mi vale mostrarmi sicura?
Il mondo non è degli eroi e i martiri muoiono presto.
Il mondo è di chi si arrende, di chi recrimina, di chi pensa di meritare di più e per questo reclama.
Ma io continuo a non arrendermi, a non recriminare, a pensare di non meritare niente e, per questo, a non reclamare.

E’ proprio vero che sono fatta male.

PS: ecco svelato il mistero delle conclusioni ^___*

 
 
 

*°*commozione*°*

Post n°324 pubblicato il 09 Settembre 2009 da fragolozza

Ieri mi sono quasi spaccata la testa battendola sotto una mensola. Stamattina l’ho battuta casualmente contro una parete, mentre rifacevo il letto. E la conseguente commozione, fortunatamente non cerebrale (almeno spero), mi sta facendo sentire come mi sentivo durante quel pomeriggio in cui lessi I ponti di Madison County, cioè uno schifo,  e, forse, anche un po’ peggio, perché, se è vero che per ogni Francesca esiste un Robert, mi domando se il mio non mi stia pensando più di quanto io ci abbia mai pensato. E la risposta fa altrettanto schifo.

Soltanto un cuore funzionava, quello del quadrante del mio orologio preferito e, ora che si è rotto, sembra una coincidenza troppo dolorosa essere anche obbligata a smettere di fumare.
Perché privarmi delle sigarette è come un’automutilazione della propaggine migliore della mia mano destra e in un periodo in cui tutto mi si accorcia, allungare la lista dei difetti con le crisi di astinenza da nicotina, mi sembra il peggio che mi sarei potuta augurare, dopo tutto quello che non mi ero augurata e che mio malgrado ho già dovuto sopportare.

E così mi sono seduta sulle scale. Non mi andava di mangiare, non mi andava di pensare, non mi andava nemmeno di essere…
“Vuoi fare un tiro? Ma uno soltanto!”
Ed ho sorriso. A volte ci vuole poco per rendermi felice.

Immancabile canzoncina del momento: "Dov'è andato tutto l'amore?"... Io non lo so... Ma è certo che almeno il cantante dei Kasabian poteva evitarselo di diventare così brutto!

 
 
 

*°*NessunO*°*

Post n°323 pubblicato il 01 Settembre 2009 da fragolozza
 

Tengo lo sguardo puntato a oriente così che nessuno (e in particolare Nessuno) possa vedere se piango.
Nessuno è il nome che ho deciso di dargli dopo essermi resa conto di quanto sia stato ingiusto ripetermi per tutta una vita che nessuno mi avrebbe mai sopportata.
Lui mi sopporta, quindi è il mio Nessuno, l’eroe dalla proverbiale tracotanza che, assediatami la mente, fino ad allora inespugnabile Troia, mi ha poi accecata e non nel senso de “l’amore è cieco” e altri modi di dire altrettanto scontati.
E’ strano da spiegare.
E poiché è anche poco chiaro, non so se sia più lecito considerare il baluginio letargico dell’autunno inoltrato come una promessa di partecipazione e conforto o considerarlo, in quanto tale, ossia come un preludio al finale.
Mi limito a dolere anticipatamente per parole che presto romperanno il silenzio.
Sulla collina da cui non spunta il sole, perché è pomeriggio/quasi sera e se volessi vedere la luce dovrei voltarmi e farmi guardare il viso, gli alberi disegnano macchie di colori morti.
Dall’altro lato, alle mie spalle, un’altra collina è un cuscino su cui una stella presto poggerà la testa, per poi sparire fino a soffocare.
Siamo prigionieri in una conca a forma di piazzale panoramico.
C’è troppo vento e vorrei non ce ne fosse, così non sarei costretta ad ascoltare il suo respiro e tutto ciò che ne consegue, ma il suono mi arriva limpido e veloce.
“Perché non mi guardi?” mi chiede ed io nasconderei la faccia ovunque, tra le felci che immagino popolino il distante sottobosco facendo il solletico alle basi degli alberi stanchi.
Decido di contare fino a dieci, ma mi fermo al sette, interrotta da un’intuizione sciocca.
Potrei gridare “abracadabra!” anziché perdere tempo con inutili esercizi di autocontrollo, e sperare che sparisca prima che si avvicini a toccarmi una spalla, ma sono poco rapida e le sue dita già mi solleticano una scapola.
Indecisa sul se voltarmi o meno, mi volto e il suo volto è trasfigurato dai raggi di quel sole che volevo ignorare.
“Un tu detto da te, per me è io.” E questa frase su di lui ha un effetto più valido di una formula magica, perché lo fa arretrare. Continuo su questa strada, ma è un sentiero sul quale difficilmente mi arrampico, sebbene sia io stessa a tracciarlo. Continuo caparbia.
“Guarda le cose dalla mia prospettiva, se ci riesci. Tu resti un tu smorzato dalla mia riluttanza ad accoglierci in un noi e se non trovi un senso a quello che ti sto dicendo è perché io sono molto di più di quanto credevi sarei stata. E non scuotere il capo proprio adesso! So cosa stai per obiettare e non lo accetto. Resta in silenzio, lontano dove sei adesso. Tra un po’ sarà il tramonto e tutto quello che conserverò di te sarà l’ennesimo vago ricordo, un possibile ricorso alla ricerca di ciò che io volevo di te (di per sé molto meglio di ciò che tu volevi di me) e in qualche modo ho creato.”
Ora so per certo che sto facendo la figura della stupida, ma non mi frega. Non me ne starò zitta, non finché non se ne sarà andato con una buona ragione.
“Quante volte sei stato fregato?”
Sta per dire qualcosa, ma lo blocco.
“Non rispondere, non era una domanda, era solo un preambolo. Le fregature sono come scarafaggi che spuntano dagli angoli in cui non hai guardato. E non importa se li scalci, se li ignori, se ci passi sopra con tutto il tuo peso. Perché l’immagine di quell’insetto nero, orribile e, se riuscissi ad annusarlo, di sicuro anche puzzolente, ti perseguiterà e terrorizzerà ogni volta che supererai l’incrocio tra una parete e un’altra. Sei una fregatura anche tu?”
Mi risponde con gli occhi e finalmente comprendo che la situazione è più complicata di tutte le altre situazioni complicate in cui mi sono cacciata in precedenza.
Mi meraviglia, perché mi sarei aspettata una reazione. Nessuno ha mai sopportato tanto senza reagire, ma lui è Nessuno e allora la maledizione continua e vorrei imprecare, fare come se tutto ciò che ho nella testa fosse facilmente resettabile. E lo riconosco questo momento, perché è il solito stesso momento in cui la mia natura cattiva si ribella contro di me per farmi del male che non sarà mai abbastanza rispetto a quello che merito. Poi finirà di nuovo e sembrerò serena, quasi felice, l’immagine perfetta che qualcuno oserebbe contraddire, solo perché nessuno possa non crederla reale.
Ma io so qual è la verità
Nessuno mi crederà sempre. Nessuno mi vorrà bene. E chissà se anche questo è solo un gioco di parole.

 
 
 

°*°somiglianze°*°

Post n°322 pubblicato il 25 Agosto 2009 da fragolozza

Si ringraziano i cinesi per la gentile collaborazione alla pubblicazione di questo post.
Tutto merito (demerito?) di un modem, che è nuovo di zecca, ma già c’ha le zecche, va lento come una tartaruga e dopo dieci minuti puzza come una puzzola bruciata in una discarica di plastica. Ma fa nulla.
Tanto alla vecchiezza, alla lentezza e all’odore di discarica bisogna prima o poi farci l’abitudine.... e nel mio caso è un prima e sempre.
Ieri, al ritorno da un mare verso cui non mi recavo da anni, constatavo che all’incuria raramente c’è cura e che le strade da e per il  litorale domizio continuano ad essere fiancheggiate dagli  stessi tronchi d’alberi bruciati 15 anni fa e che il fetore che si inspira in determinati tratti è uguale se non peggio.
Lilli ha la faccia arrossata, stravolta in un’espressione di disgusto (lui che voleva andare a Sorrento ed io che l’ho dirottato verso Mondragone).
“Oh, ma questa è una puzza da cadaveri!” mi dice e quasi sbanda con l’auto.
Io correggo il tiro: “Sì, ma di cadaveri che prima di morire se la sono fatta sotto!”
Ma non mi sorride. Resta bloccato nella sua espressione di schifo al punto che, fino a che siamo arrivati a casa, ho continuato a guardarmi nello specchietto, certa che il disgusto non fosse dovuto solo alle bufale defunte.
Non ero propriamente uno splendore, il che mi ha fatto incazzare visto che di recente ho appurato che lui invece somiglia a Jeremy Irons… o meglio… potrebbe somigliargli molto di più, se smettessi di tagliargli i capelli e di spalmargli le mie creme antirughe e, soprattutto, se diventassi più convincente nel mio atteggiamento da “la donna del tenente francese”.
Ma io ho gli occhiali a cuore e Lolita non è un’opinione.

 
 
 

*°*estuario*°*

Post n°321 pubblicato il 18 Agosto 2009 da fragolozza

Quando Chicco è morto, le mosche gli ronzavano intorno già da una settimana.
Il cuore gli batteva ancora, ancora muoveva qualche passo, eppure per gli insetti era già una carogna.
Forse perché la morte ha un odore che la precede, forse perché ogni finale ha un qualcosa che lo precede.
Provo una strana nostalgia e, se dovessi descriverla, avrebbe la forma di una rete a maglie strette. Alcuni pensieri si smarcano da tutti gli altri, corrono veloci e, quando diventano stanchi, pesanti, si insinuano tra quelle maglie, le ispessiscono ed io so che, da qualche parte dentro di me, poco distante dal cuore, qualcosa mi soffoca. Ma non riesco a liberarmi.
E’ invidiabile l’indifferenza dell’estranea al mio fianco, lei che di sicuro non si chiede quante mani, prima delle sue, si sono tenute allo stesso supporto.
Quanto a lungo sopravvive un’impronta?
Io me lo chiedo ancora e, per tutto il tempo a venire, che sia su un corrimano appiccicoso o sulla terra secca o sulla pelle calda di chi si lascerà toccare, mi chiederò quanto di me s’imprime e quanto, invece, passa.
E’ la variabile della foce la vera fregatura della filosofia eraclitea. Tutto scorre… ma come?... ma dove?...
Sembrava fosse un delta e, invece, era estuario.

 
 
 

°°°volo°°°

Post n°320 pubblicato il 14 Agosto 2009 da fragolozza

Ogni configurazione non è altro che una trasformazione, che in realtà non è altro che distruzione di una precedente e irripetibile organizzazione.
L’illuminazione, per nulla blanda data l’insistenza del sole d’agosto, si è rivelata efficace quando l’ho confrontata alle sensazioni, alle piccole cose su cui mi concentro lasciando stare il baricentro, che è poco allineato, parecchio squilibrato e poco fissato per sembrare un vero centro.
Tutto dipende dalla prospettiva da cui si osserva e poco distanti, sul marciapiede di fronte, due ragazzini si baciano che a guardarli mi verrebbe voglia di crionizzarmi e rimanere così per sempre.
E non importa per chi o per cosa.
Le considerazioni corrono veloci come l’auto che le trasporta.
I ragazzi sono già lontani, io non sono mai romantica troppo a lungo e tra l’anticamera del mio cervello e un bagno turco corre lo spazio di una goccia d’acqua, da doccia fredda e poi scoperta calda, per la sollecitazione di un riflesso di luce sul vetro appannato.
Ci sono  poche somiglianze a ricordarmi che esistono sempre troppe coincidenze e stavolta ho paura che il tempo cambi troppe cose.
Ma, la porzione del mio ippocampo, che ho votato al martini bianco, non ci crede e non ci pensa.
Se settembre è vicino, allora davvero volere è potere: e per fortuna, un pochino, io ancora volo.

 
 
 

°*°coincidenze°*°

Post n°319 pubblicato il 04 Agosto 2009 da fragolozza

La peggiore novità dal punto di vista sentimentale è che Jude Law aspetta un altro figlio.
La migliore novità dal punto di vista familiare è che, dopo ben nove anni di castità, il mio cane, finalmente sfuggito alla clausura impostale da mia madre, è scappata con un volpino, si è data alla pazza gioia, è tornata e forse adesso anche lei aspetta dei figli.
Non è una straordinaria coincidenza?

Il parassitismo nostalgico della mia mano destra, sommato alla nostalgia parassitaria del mio emisfero sinistro, sbatte sulla carta un pensiero sollecitato da un castagno.
I ricci non sono scrigni ma armi, che potrebbero scatenarmisi sulla testa in maniera tanto inattesa, quanto improvvisa fu la sorpresa di ritrovarmi con la punta dell’indice affettata di struscio dalla lama di un mac 3, quella volta che infilai la mano in borsa alla ricerca del telefono, perché non solo certe persone, quando preparano la valigia, dimenticano sempre gli oggetti più importanti (e li infilano a mia insaputa nella mia borsa), ma anche perché certe altre ti chiamano sempre nei momenti meno opportuni (quando sei diretta verso casa e dormi e tutto quello che non vorresti è risvegliarti con un trillo e mezza mano coperta di sangue).
Potevo considerarlo un tentativo di omicidio preterintenzionale, alla pari con la richiesta di fumare una sigaretta sotto un albero gravido di ricci, ma fa niente, perché i ricci rimangono al loro posto ed io me ne torno al tavolo a pensare che, in teoria, una teoria di persone dovrebbe essere un insieme e invece certe persone hanno la tristezza stampata sulle bocche fameliche, che invece di stendersi in un sorriso per chi hanno di fianco, si protendono verso un espressione di noia e attesa per delle pizze che, a paragone, la peggiore pizza che abbia mai mangiato (quella che presi qualche anno fa in una pizzeria di Cimitile, da cui andai via con una gastroenterite che mi durò sei giorni) sarebbe stata oro.
Ma stavolta sono io quella felice.. e che quelli intorno siano tristi m’interessa poco.

Se rinascessi cantante, io vorrei cantare questa canzone!

 
 
 

°*°d'accordo?!?°*°

Post n°318 pubblicato il 26 Luglio 2009 da fragolozza

Tre ore fa, mentre ancora dormivo- e sognavo Vanna Marchi (e a ricordar bene anche la figlia), in un emporio dove mi ammattivo alla ricerca di un biglietto d’auguri che non c’era, perché io ne volevo uno da compleanno e quelli che c’erano erano solo per Natale, perciò niente biglietto e andavo via con un pacco di elastici per capelli e forse pure un’asciugamani- ancora non sapevo che svegliandomi non avrei avuto nulla da augurarmi, se non il solito, caro, “buongiorno!”, sussurrato al caffè freddo e ai biscotti alle mandorle, che credo si chiamino ritornelli per il modo in cui mi fanno ritornare sempre il mal di stomaco.
Certe giornate cominciano bene… questa un po’ meno.
E che non sia il compleanno di nessuno, ma che io mi ricordi che è solo il compleanno di una mattina in cui quasi ti venivo addosso con l’auto, per la felicità di averti rivisto, sebbene di passaggio, è un piccolo conforto.
Vuol dire che qualcosa da festeggiare ancora c’è.


PS: a proposito dei miei sogni dovrei rileggermi Freud.

Non è un PS2, ma ieri, come coicidenza (ancora credo esistano), ho canticchiato questa canzone...
Tanto tempo fa, noi eravamo amici...

 
 
 

*°*taralli*°*

Post n°317 pubblicato il 23 Luglio 2009 da fragolozza

Secondo una delle persone che conosce una delle persone che conosco, una sana vita sociale è tale solo quando si basa su una rete di relazioni, la cui composizione e gerarchia è equiparabile a quella di un pasto in cui figurino primi, secondi e contorni.

I primi ti nutrono: che si tratti di tagliatelle  al forno o di pastina in brodo, ti forniranno sempre l’apporto calorico necessario.
I  secondi sono altrettanto importanti perché, sebbene non siano indispensabili per definizione, a volte da soli bastano a saziarti.
Un discorso a parte meritano i contorni.
E’ vero che le zucchine alla scapece, i funghetti trifolati, le patate fritte e le melanzane sott’olio, considerati singolarmente, non hanno nulla di affascinante (per alcuni sono persino indigesti), ma contribuiscono ad esaltare il gusto di tutto il resto.  
Ovviamente, si possono ordinare anche frutta, dolci e caffè… ma in quel caso si sarebbe davvero molto fortunati.

PS: ed io continuo a mangiare taralli…

 
 
 

*°*

Post n°316 pubblicato il 21 Luglio 2009 da fragolozza

"E’ ammaliante la sensazione di liberazione e vuoto, conseguente ogni concitata corsa lungo il corridoio, quando con i palmi tesi e aperti, le braccia spalancate quasi io vada incontro alla mia crocifissione, accarezzo le pareti nude e, subito dopo, la ceramica fredda, per vestirmi della loro ruvidità pesante e consolarmi all’idea di quanto possa essere facile guadagnarsi uno scampolo di fittizia gratificazione.
Chi condanna non sa e chi sa è troppo preso da se stesso per condannare. L’egoismo è la malattia di questo tempo. Io non sono malata, non prendo niente per me… come potrei?
Io sono indifferente, apparentemente svagata, la mina inesplosa, ma con la miccia consunta dalla debole fiamma che io stessa appiccai. Non è divertente?
Godersi ogni stilla di malessere instaura tra il soggetto in pena, il suo imprescindibile contesto e le svariate comparse sulla scena, un rapporto di malsana sopportazione. Io sopporto i miei luoghi indesiderati e stretti, figurandomeli quali oasi di temporaneo ristoro, prima che un viaggio mi sradichi dai luttuosi pantani in cui detergo l’anima. E sopporto la gente che senza interesse alcuno si compiace a fare della mia tristezza il metro di valutazione per apprezzare la propria buona sorte, uno scotto tutto speciale che io devo pagare per la loro abitudinaria buona volontà di fare buone azioni.
Lo squillo del telefono è come un cotonfioc infilato a forza nell’orecchio. Il suono del campanello è come una martellata sui denti.
I miei denti filtrano parole di sdegno. La faccia del nuovo postino si stampa sulla mia retina contro luce.
Abita qui la signora X?
No.
Ma mi hanno detto che abita qui!
No.
E allora dove abita?
Fanculo e che ne so? Sei tu il postino.
Tra l’essere e il non essere non esiste opzione esatta. Se vuoi essere qualcosa inevitabilmente non lo sei e ogni volta che ti ostini a negare la natura che ti rinfacciano devi ammettere che di quella soltanto esiste consapevolezza. Ma a me non serve. Non ho bisogno di ripetermi fino a che punto un’espressione gelida o una parola scottante mi segna, perché io ho imparato a resistere a tutto quanto.
Non so come se ne sia andato il postino. Mi avrà maledetta- non è il solo; mi avrà insultata- non è il primo.
Io lascio che niente mi tocchi, ma seguo la corrente; penso che sia inutile pensare, ma dei pensieri inutili ho riempito la mia mente.
Mi sono vestita in tutta fretta. La scorta quotidiana di nicotina da infoltire, nuova cenere alla pietra lavica.
Il tabaccaio mi odia. Anch’io lo odio e quindi va bene.
“Due pacchetti di benson rosse.”
“Sono finite. Ti do due di Diana?”
“Le diana mi uccidono la salute.”
“Anche le benson ti uccidono la salute!”
“Permetti che io mi uccida la salute con quello che mi pare?”
Non è mai stato facile convivere col guazzabuglio distorto, intricato e maniacale che tengo in testa e mi tiene testa, ma ho maturato la capacità di astrarmi, ho smesso di tenermi sveglia e, quando non mi conviene, fingo opportunamente un inopportuno letargo.
Voluttuosità onirica e tramestio di veglia finiscono col confondersi. L’importante è tenere duro, ostentare indifferenza e, se per riuscirci, devo sacrificare l’unico piacere che ancora mi è concesso, lo faccio, un poco per volta, giorno dopo giorno.
Forse l’inizio è da ricercarsi in quella palese disattenzione, nell’aver pensato che il sacrificio porta sempre premio. Forse l’inizio è nelle mancanze che, col senno di poi, sono diventate difetti- o non c’è mai stato inizio e mi illudo che quanto in realtà sia destino, per la mia mente fallace sia una temporanea deviazione di percorso.
E credevo sarebbe stato facile smettere, quando, ad ogni mia nuova confessione di colpa, mi dicevi: “Così ti fai male”.
E se fossi stato tu l’inizio?
Smisi di parlartene, smisi di ascoltarti e tutte le volte replicavo all’angoscia dei tuoi rimbrotti dicendoti: “Adesso sto meglio”.
Era una finzione cui mi ero abituata ad arte, consapevole che, ad essere di nuovo sincera, mi sarei giocata quel poco di buono che ancora mi spettava tra i tuoi pensieri e in fondo alle tue tasche. Muoverti a pietà non sarebbe valso a che tu mi volessi più bene, per questo ti puntavo addosso il mio viso gradualmente più smunto, scommettendo sulla tua impassibile volontà di non farne un’icona d’affetto.
“Non darmi le Diana, ci sono le Fortuna?”
“Tieni ne hai bisogno”
Il tabaccaio mi odia. E’ evidente da come mi sbatte i pacchetti sul banco. Poco male, perché anch’io lo odio e me ne vado sempre senza salutare.
E’ breve il tratto di strada fino a casa mia. Non mi piace l’asfalto, non mi piace il cemento e ancora più triste è contare gli aghi di pino che dopo parabolici voli sono finiti a marcire sul bordo del marciapiede.
Vagamente perverso ostinarsi a celebrare una concezione del mondo concreto palesemente errata, ma persino la perversione talvolta rincuora e, se il cuore è vuoto, vale la pena aggrapparsi a tutto ciò che resta e considerarlo tesoro, per quanto oscuro sia. Tutte le brutture e tutte le cicatrici, dimessa la loro naturale condizione di negatività e prese quale modello di personale trofeo o medaglia, diventano un passo verso la redenzione.
Ed io avevo ed ho così tanto di cui ripulirmi, da non potermi ancora dire sana, tanto meno perfetta.
I tuoi occhi, invece, erano perfetti, ma troppo piccoli perché potessero contenermi tutta. Consumandomi, annientandomi, facendo del niente e dell’evanescenza un ideale di vita, mi convinsi che alla fine sarei riuscita a starci.
Cominciai tenendo lo sguardo basso, così da poterti almeno sporcare di mascara le scarpe, ma tu eri sempre distante e continuai puntando gradualmente l’attenzione verso l’alto, fino alle vetrine riflettenti e, con notevole coraggio, fino allo specchio e all’immagine corporea di me sempre più simile ad un incorporeo spauracchio. Anche il passo, dapprima furtivo, si evolse verso un’andatura risoluta e svelta, a tratti persino fulminea nei momenti di maggiore delirio.
Sapientemente illusa dalla mia stessa speranza, gettavo acqua sul liquame rappreso, che dall’interno restituivo all’esterno, come non fossi mai stata degna di portarmelo dentro.
Non so dire quanto profondo fosse il senso di trionfo, ma gongolante, ripercorrevo il percorso all’inverso, lasciando andare la ceramica scaldata dal mio stesso calore e strofinando le nocche contro l’intonaco bianco, perché ancora più sottile diventasse lo strato di pelle.
E tornavo a cercarti, come cane che torna dal padrone a restituire l’osso, le ossa che visibilmente mi segnavano il corpo.
Perché non mi hai mai gettato il cuore? Lo avrei preso, probabilmente al volo, ma senza riporto. Sepolto, sotto le lodi, gli elogi e le mie farneticazioni idolatranti, lo avrei custodito, cuore rivelatore, che troppo tardi capì quanto avrebbe fatto bene a perdersi nelle mie mani.
Ora ho le mani sporche, la bocca secca e gli occhi lucidi. Un giorno in meno è un peso in meno. Un giorno in più è un altro dosso da scalare.
Dune di polvere nascondono gli oggetti importanti e mettono in evidenzia le inezie. C’è troppo polvere e anche tu sembri lontano, ma non credo tu sia ancora importante.
Quanto importante può essere una visione, un’inefficace assenza, che a qualunque tensione di braccia o di voce evita il contatto?"

certe parole riemergono a caso da un passato non localizzabile, ma che l'infelicità del presente, alla mente di adesso, dipinge felice.
è triste scoprire che in fondo sono sempre stata triste.

 
 
 

°°°luglio°°°

Post n°315 pubblicato il 09 Luglio 2009 da fragolozza

“Luglio col bene che ti voglio vedrai non finirà”

Superata la prima metà di un anno in cui il mio segno zodiacale era dato per favorito, mi chiedo cos’altro mi sarebbe successo se fosse stato altrimenti.
La paura di morire è un’inezia rispetto alla paura di vivere male. Ed è così che la solitamente edificante subordinazione dell’avere all’essere perde tutto il suo valore.
Perché se non importa ciò che si ha, in confronto a ciò che si è, io cosa sono?
Un mio amico mi ha suggerito di smetterla di considerarmi mortale ed optare per una definizione altra, tipo “facilmente deperibile”. Insomma, dovrei mettermi, in termini di stima personale, alla stregua di una mortadella. E non è molto esaltante.

Luglio col male che mi voglio speriamo finirà. ahiahiahià....

 
 
 

***Angst***

Post n°314 pubblicato il 23 Giugno 2009 da fragolozza

Non ne azzeccherei una nemmeno se mi chiamassi Attack.
Ormai è evidente.
E la viscosità della mia coscienza, che come carta moschicida, ha fatto incetta di tutti i grilli per la testa, non è che un’ennesima dimostrazione della dicotomia tra il dentro e il fuori.
Ho tanti buoni motivi per litigare con me stessa e trascorro intere ore a maledire l’armadio, i miei vestiti e la mia pancia per uscire di casa conciata da tamarra e poi tornare indietro al primo segnale d’allarme, quando cioè mi rendo conto che i miei piedi di piombo e la mia espressione di marmo si abbinano troppo a tutto il resto per consentirmi una sana evasione.
L’estate, beffarda come la primavera, gioca con le temperature come la tristezza col mio umore e, poiché la detesto, la ignoro, chiudendo tutte le finestre e simulando il buio autunnale.
Credo sia da attribuirsi a questo errato calcolo di luci, sfumature e ombre il fatto che “Il male oscuro” di Giuseppe Berto è diventato per me qualcosa di assolutamente chiaro, così chiaro che metto da parte un libro che non ho intenzione di leggere, solo perché mi piace contravvenire alle mie intenzioni e so che prima o poi riseppellirò il mio naso tra pagine sporcate dalle parole di un matto. Nel frattempo, poiché il delirio di onnipotenza mi si addice più della depressione, leggo “io sono dio”.
Del resto, qualcuno dovrà pur esserlo.

"Da quando sono nato, ho iniziato a morire.
Adesso niente di niente va a modo mio"

 

 
 
 

***merluzzi***

Post n°313 pubblicato il 16 Giugno 2009 da fragolozza

Qualcuno ha mai chiesto agli amici di Lazzaro se erano felici della sua resurrezione?

Era la persona più squallida che avessi mai conosciuto. Ma ovviamente non glielo dissi.
Perché non lo pensavo. Non all’inizio almeno.
Credo si chiami presbiopia relazionale, riuscire a vedere i difetti dell’altro solo da lontano.
Credo si chiami avvedutezza del senno di poi ammettere con se stessi che si è stati davvero stupidi a dar credito a qualcuno di cui si poteva benissimo fare a meno.
Perché certe persone le riconosci per ciò che sono solo quando si trovano nel posto in cui è giusto che stiano, cioè fuori dalla tua vita.
E’ soltanto in quel momento infatti  che, causa debita distanza, ti accorgi delle sfasature, delle incongruenze, delle manchevolezze della realtà che ti sei dovuta sorbire rispetto all’immagine che ti eri creata.

Sporadicamente, ma ultimamente spesso, mi capita che qualcuno riemerga dagli spazi siderali in cui si era o era stato cacciato, con faccia da merluzzo surgelato, per mettere in atto la logica del ti ricordi di me?
La logica del ti ricordi di me?, dal mio punto di vista, è il subdolo meccanismo mentale di chi, pronunciando queste paroline magiche, pretende di sollecitare al ricordo chi ha volutamente o distrattamente dimenticato.

La mia memoria è talmente a pezzi che riuscire a ricordare qualcosa o qualcuno mi è diventato motivo di vanto… ed io sono abituata a vantarmi delle cose belle.
E se anche io mi ricordassi di qualcuno che ritengo non si ricordi o non voglia ricordarsi di me, non farei mai una domanda del genere.
Chi  trova un amico, trova un tesoro e chi perde il tesoro, ritrova paccottiglia.

 

 
 
 

°°°Luoghi_Comuni°°°

Post n°312 pubblicato il 15 Giugno 2009 da fragolozza

Avere il naso alla francese, fumare come una turca e fare spesso l’indiana non mi rendono cosmopolita, così come ragionare per luoghi comuni non m’impedisce di giungere a conclusioni private.
Ed io sono giunta alla conclusione che non è vero che chi è depresso non si lava, perché fare 10 docce al giorno non rende certo più felici.
Ed io sono giunta alla conclusione che, anche se  riuscissi ad affezionarmi a qualcosa o a qualcuno più di quanto sono affezionata alla mia disaffezione per tutto, questa solitudine non smetterebbe di sembrarmi un’infezione.
Ieri mia madre al telefono era triste, perché uno dei nostri gatti si è trasformato in spiderman, si è arrampicato su per il muro, è entrato nel pollaio ed ha ucciso uno dei pulcini appena schiusi. Nemmeno il fatto che mio padre sia riuscito a colpirlo con una pietra prima che lo mangiasse riusciva a consolarla.
E l’ho invidiata.
Vorrei avere anch’io qualcosa da proteggere, qualcosa da curare, qualcosa che mi stia a cuore.
Al liceo, la mia compagna di banco una volta mi scrisse sul diario “cura ut valeas”, che significa “preoccupati di stare bene”.
Io ci provo, ma i buoni propositi si insidiano tra i miei cattivi pensieri come organi sani in un organismo votato al rigetto.

A proposito di latino, gli antichi romani si congedavano dalla scrittura con SVEV, acronimo di “si vales ego valeo”   cioè “se tu stai bene, io sto bene”, che, a guardar bene, non è che un ennesimo luogo comune.
Per questo, ritengo che il modo migliore per chiudere questo post sia:
Si vales, ego non valeo.
Si vales, ego sto in merdula.

Però una canzone che mi fa stare bene c'è...

 
 
 

°*°AntO°*°

Post n°311 pubblicato il 14 Giugno 2009 da fragolozza
 

T'incontrai in un giorno qualunque, uno dei tanti che avrei preferito non vivere o passare oltre, con la stessa facilità con cui cambiavo il foglio al calendario se l'immagine non mi piaceva.

Mio padre, l'orco dai cui lombi era scaturito il seme asprigno e responsabile di metà della mia vita bastarda, prima che uscissi di casa, mi aveva rammentato a suo modo il mio valore.
"Sparisci brutta stronza!" era la frase con cui stroncava tutti i miei disperati tentativi di innescare un dialogo.
Quando l'assenza dei sintomi da sbronza gli concedeva di spiccicare verbo oltre il limite del semplice improperio o della banale offesa, al quale altrimenti doveva sottostare data l'incapacità di articolare bene i suoni, riusciva ad essere più sgradevole di un sorso di candeggina, se solo avessi mai trovato il coraggio di assaggiarla. Di solito, però, ci ignoravamo, per la volontà, da parte sua, di negare la mia esistenza e, da parte mia, di fingere che tutto fosse stupendo.
Non lo era affatto.
Dicono che chi si accontenta gode, ma io non ne sono convinta, perché ad accontentarsi di quello che avevo allora avrebbe goduto solo una persona in sommo grado masochista, per esempio mia madre, una donna che, se non fosse stata così stupida, sarebbe stata il perfetto emblema dello stoicismo coatto.
Una foto incorniciata d'argento al centro del comò nella camera da letto, rappresentava la coppia di giovani ventenni e apparentemente innamorati che erano stati. Ero ancora piccola e già, guardandola, stentavo a riconoscere in quelle facce i tratti familiari dei miei genitori. Le due bocche sorridenti stampate su carta kodak di pessima qualità si addicevano a due estranei, colti alla sprovvista, ma con l'espressione migliore, non di certo a chi di quell'espressione nella mia quotidianità non aveva mai dato prova; un'espressione che stonava col disordine delle nostre vite.
Ancora adesso, rivivo l'infanzia soltanto costretta dagli incubi frequenti che mi tormentano il sonno. L'inconscio porta a galla svariate situazioni, ma di fondo c'è un leitmotiv ed è la voce strascicata di mia madre che grida il mio nome.
Io mi chiamo Antonella, ma lei non ha mai pronunciato il mio nome per intero. Stanca e distrutta dalle sue stesse colpe, si bloccava dopo le prime due sillabe, lasciando in sospeso le altre come forma di promessa garante, cosicché, quando il nome sarebbe stato enunciato per intero, la correttezza di forma da sola sarebbe valsa quale inizio di una storia migliore. Era questa una mia fanciullesca illusione, correlata all'abitudine di cambiare i nomi ai personaggi delle favole nel disperato tentativo di inventarne delle nuove.
Sono stata Anto per tanti anni. Per mia madre lo sono ancora.
Per mio padre, invece, ero la scema, l'inetta e, come ho già detto, la brutta stronza.
Sarebbe stato facile per me considerare i miei genitori in maniera spregevole, alla stregua degli scarafaggi che mi divertivo a schiacciare nei pomeriggi trascorsi in punizione nello sgabuzzino. Ma erano i miei genitori e, all'epoca, ancora credevo di dover loro qualcosa.

Non ricordo se quel giorno la sua rabbia era immotivata- sono ancora troppo incline al senso di colpa per non sentirmi responsabile di ciò che di cattivo mi accadeva e mi accade intorno- ma ricordo che non aveva bevuto troppo perché era abbastanza lucido da riuscire a centrarmi in pieno viso quando mi allungò uno schiaffo. Non mi difesi, non lo facevo mai, ma infilai la porta e poi le scale, di corsa, fermandomi sulla balaustra giusto il tempo di tirare fuori un vecchio fazzoletto dalla tasca ed asciugarmi gli occhi e il naso. 
Sarei fuggita ovunque, sarei sparita volentieri, mi sarei privata senza rimpianti di quel fardello di carne e sangue che mi infagottava l'anima in forme poco attraenti e ancora non mature, ma inconsciamente speravo che a qualcuno sarei mancata e, in fondo, mi mancava il coraggio.
Camminai tanto, imboccando vicoli alla cieca, anche quelli ciechi, e senza orientamento. Avevo smesso di piangere e per riempirmi gli occhi li alzavo verso i tetti, dove comignoli grigi sbuffavano fumo nero, indice del calore nelle case e del freddo fuori.

Poi comparisti tu.
Forse eri fermo in un angolo, forse mi venisti incontro.
"Hai da accendere?" mi chiedesti e mi venne da ridere perché solo pochi attimi prima avevo vagheggiato di dar fuoco alla mia casa e a tutto quanto conteneva, me compresa. E non lo avevo fatto solo perché non avevo da accendere. Tu non potevi saperlo e, di fronte alla mia ilarità, fu scontata la tua reazione di sconcerto.
"Come ti chiami?"
Dal tuo tono di voce non riuscivo a capire se ti facevo più pena o ribrezzo e stavo per risponderti Anto, quando mi bloccai di colpo, ci pensai su un momento e con voce sicura ti dissi: "Antonella".

La correttezza di forma, da sola, mi valse quale inizio di una storia migliore.

 
 
 

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Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.

Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.

 

 

 

 
 

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