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LeCoccinelleVolano

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***Big_City_Life***

Post n°493 pubblicato il 08 Settembre 2015 da fragolozza

Ho vissuto per tre anni in una cittadina che conta all’incirca ventimila abitanti e sono stata almeno quaranta volte dal dentista. Non mi è mai capitato di incontrare per strada, al supermercato, insomma da nessuna parte, qualche persona incrociata nel suo studio.

Vivo da cinque mesi in una città che conta all’incirca due milioni di abitanti e sono stata quattro volte dal dentista. Ieri in palestra, prima di andare via, ho scambiato qualche parola con una donna negli spogliatoi. Soltanto alla fine, quando ci stavamo salutando, mi ha chiesto: “Tu vai dal dottor Maurício, tá?”
Tá.

Credo che il mondo diventi piccolo apposta, quando ho bisogno di conferme per sentirmi “a casa”.

 
 
 

***non_è_vero_ma_ci_credo ***

Post n°492 pubblicato il 28 Agosto 2015 da fragolozza
 

Era la quarta volta che ricevevo lo stesso messaggio dalla stessa persona. 

In quel periodo non me la passavo propriamente bene, anzi diciamo che stavo abbastanza male. 

L'esperienza mi ha insegnato che c'è un unico modo di farmi stare male davvero ed ha a che fare con il corpo. Da ragazzina, pensavo l'esatto contrario, ossia che le ferite dell'anima fossero quelle più difficili da curare, poi ho capito che un modo per essere felici, anche per finta, si trova sempre e, quali che siano le ragioni di una sofferenza di tipo spirituale, in qualche modo la si può superare. Se ti lascia un uomo puoi incontrarne un altro, se  perdi un amico puoi trovarne un altro e persino se non hai un lavoro puoi pensare ad altro. Ma, se il tuo corpo ti tradisce e comincia a funzionare male, mica puoi rimpiazzarlo con un altro? 

Insomma, in quel periodo non me la passavo affatto bene. 

L'esperienza mi ha insegnato che, quando sto  davvero male,  mi attacco a qualunque cosa, soprattutto a quelle cose a cui di norma non mi attacco. 

E, quella volta, mi attaccai alle parole di F.  

Parentesi: io e F. non siamo mai state grandi amiche e credo non potremmo mai esserlo, perché manca qualunque presupposto. F. è una di quelle persone il cui ego si nutre di tragedia. Ha un talento naturale nel fiutarle, nel raccontarle e, all'occorrenza, pure nel crearle. Ma la cosa peggiore è che, pure se stai in perfetta forma e felice come una pasqua, parlando con F. diventa inevitabile non notare un dettaglio che non va e, se proprio non ne trovi nessuno, pur di accontentarla, saresti persino pronta a fiondarti con il mignolo del piede contro un ostacolo a caso. 

In quel caso, non ne ebbi bisogno e mi limitai a raccontarle ciò che effettivamente stavo vivendo. 

- Hai provato a farti togliere il malocchio? Io me lo faccio togliere da mia zia tutte le settimane. L'ultima volta me ne ha trovati diciassette! 

Fu così che mi attaccai all'idea di essere vittima di un malocchio. 

Chiamai mia madre e, giustamente, da brava mamma napoletana, anziché darmi della pazza, convalidò subito l'idea, prese a cuore il caso e mi ordinò di salire sul primo treno disponibile, perché urgeva trovare un rimedio.

All'arrivo, casa dei miei si era trasformata nel santuario di Lourdes. Il tavolo da pranzo era apparecchiato con una tovaglia bianca e mia madre era nei pressi del lavandino ad armeggiare con un piatto pieno di acqua e olio.

- Bella di mamma sua, stai inguaiata! Ti ho già "fatto gli occhi" tre volte e continuano a uscire! Te li ho fatti fare pure da C., da M. e da R. e tutte hanno confermato che stai piena di malocchio. Ma non ti preoccupare! Tra qualche minuto arriva G. Te la ricordi G.? Quella è rumena e mi ha detto che conosce un modo infallibile per liberarsi da queste cose. 

G. effettivamente arrivò e subito si adoperò nel rituale. Non ho dei ricordi molto nitidi, perché in quel momento non ci vedevo dal dolore. Ricordo però un mormorio ostrogoto, varie sputacchiate ed un bicchiere pieno d'acqua che alla fine fui invitata a svuotarmi alle spalle, ovviamente dal balcone (il che tornava utile pure a far sapere a tutti che ero tornata e che, soprattutto, non avevo perso l'abitudine infantile, che condividevo con mio fratello, di innaffiare a casaccio i passanti). Fatto tutto questo, G., con la stessa perspicacia di Gennaro D'Auria, mi chiese se conoscevo una donna (uhmmmmm, più di una), sposata (uhmmmmm, idem), con un figlio piccolo (uhmmmmm, il cerchio si restringe), perché di sicuro era la sua invidia a farmi stare male. 

A onor di cronaca, mi tocca dire che, durante quei giorni a casa dei miei, oltre a dedicarmi ai riti propiziatori, consultai un paio di medici, feci una cura molto efficace e riuscii a sentirmi meglio.

Ero rientrata a casa mia da appena un giorno, quando durante la mattinata, il cellulare mi notificò l'arrivo di un messaggio su WhatsApp. 

Era la quarta volta che dalla stessa persona mi arrivava lo stesso messaggio, una catena minacciante sventura, sofferenza e morte qualora l'avessi bloccata. Alla prima, lo avevo ignorato, alla seconda pure e, alla terza, avevo risposto con Lama Donna. 

Ma quella volta, poiché ero reduce da una full immersion nel mondo del "non è vero ma ci credo", mi feci poche, semplici domande. La persona che mi manda questo messaggio è donna?  Sì. La persona che mi manda questo messaggio è sposata? Sì. La persona che mi manda questo cacchio di messaggio ha un figlio piccolo? Sì. E oltre a bloccare la catena, bloccai perentoriamente il contatto di quella persona, il cui nome, manco a dirlo, comincia proprio per F.

 
 
 

***l'amore_è_una_demenza***

Post n°491 pubblicato il 27 Agosto 2015 da fragolozza
 

Succede che poi lo vedi per quello che è. E la verità è che non è affatto bello. Noti che ha le orecchie a sventola, il naso grande, le gambe magre e la pancia non soltanto accennata. Per non parlare di quando non lo trovi neanche simpatico. 

L'amore è una sorta di incantesimo dei sensi.Ti innamori e diventi cieca, sorda, muta...insomma una demente. E l'unico rimedio, finora accertato, contro i suoi effetti è una sonora incazzatura, almeno finché dura.

Perché, fintanto che sei incazzata, sei la persona più obiettiva del mondo, il critico più spietato, ma quando l'incazzatura passa e l'amore riprende il sopravvento, torni ad essere una demente e a vederlo per ciò che è per te, ma che, in fondo sai,  realmente non è.

 

 

 
 
 

***intesi_e_fraintesi***

Post n°490 pubblicato il 26 Agosto 2015 da fragolozza
 

Preferisco le persone che non capiscono nulla, molto più di quelle che fraintendono. Nel primo caso, data una frase non compresa, puoi cambiare argomento o troncare, con la tranquillità che le tue parole, non essendo state comprese per nulla, quasi sicuramente non lasceranno tracce nei ricordi dell'interlocutore. Quando, invece, vieni frainteso, la spiegazione o, per meglio dire, il chiarimento diventa necessario. E quando un concetto ha bisogno di essere ripetuto due volte, spesso capita che, alla seconda, si utilizzino parole un po' più forti per marcarne il significato. 

ESEMPIO DI CONVERSAZIONE CON PERSONA CHE NON CAPISCE NULLA 

- È stupefacente! Passano gli anni e non cambi mai.

- Che hai detto? 

- Niente. Solo che è meglio che sparisci per un altro po' di anni.

- Che hai detto? 

- Niente. Non ho detto niente. 

ESEMPIO DI CONVERSAZIONE CON PERSONA CHE FRAINTENDE 

- È stupefacente! Passano gli anni e non cambi mai.

- Eh, lo so, mi mantengo bene. 

- Non mi riferivo all'aspetto, ma al carattere. Perché, a discapito del tempo, sei sempre un grandissimo stronzo.

 
 
 

***ubi***

Post n°489 pubblicato il 06 Agosto 2015 da fragolozza
 

Brasile 05/08/2015

Due donne, M. e R. si rivedono dopo un po' di tempo. 

M.: Oi, querida R., come stai? Ho visto su Facebook che nell'ultimo periodo te la passi proprio bene! Che bello! Sono proprio felice per te!

R.: Grazie di cuore, M.! Hai ragione, sto vivendo un periodo molto bello. La vita di ultimo mi sorride tanto, ma, se devo essere sincera, in fondo, non mi sono mai potuta lamentare della mia vita. La cosa positiva è che, oggi, a 37 anni finalmente ho capito cosa voglio. Prima mi limitavo a provare, a cercare. Non che fosse triste, ma adesso ho finalmente consapevolezza di me stessa e del percorso che intendo seguire. Sì, sono proprio felice! 

Questo piccolo scambio di battute mi è sembrato talmente straordinario, non solo in termini di bellezza, ma anche in quanto poco ordinario, che non ho potuto fare a meno di intromettermi per complimentarmi sia con M. che con R. 

Perché, siamo onesti, in quanti riusciamo a gioire della felicità altrui? Ma, soprattutto- e questo credo sia il quesito più importante - in quanti riusciamo a descrivere la nostra vita in termini esclusivamente positivi senza scadere nella lamentela ad ogni costo, senza attaccarci al "sì, sto bene, ma..."

Per questo, mi è risultato inevitabile provare a immaginare una situazione analoga, ma ambientata in Italia. Forse ho generalizzato troppo... ma solo forse

Italia 05/08/2015

Due donne, M. e R. si rivedono dopo tanto tempo. In realtà, ne avrebbero fatto entrambe volentieri a meno. Infatti M., appena ha visto R. da lontano, ha pensato "Oddio! Proprio a questa dovevo incontrare oggi? Quanto la schifo, mamma mia! Tutte le fortune a lei! E io mo' che le racconto? Quest'anno non so' riuscita manco a organizzarmi una scampagnata per ferragosto! Che si possa ceca'!" Ma R. non si ceca, la vede, e le va incontro. 

M.: Ehi, R.! Ma che piacere immenso vederti! Come stai? Ogni tanto mi capita di vedere quello che pubblichi su Facebook. Te la passi proprio bene, eh?

R.: Magari, M.! In verità, sto passando proprio un periodo di merda, anche se, ad essere sincera, la mia vita è sempre stata una schifezza totale. Sto piena di acciacchi, non trovo una pezza di uomo e poi guardami... ho 37 anni e non sono riuscita a organizzare nemmeno una scampagnata per ferragosto! A proposito, tu che fai?

M.: Io?!? Eh, io per ferragosto ho dei programmi eccezionali!

 
 
 

***Set_them_Free***

Post n°488 pubblicato il 05 Agosto 2015 da fragolozza
 

La storia del trentenne che, per salutare gli amici, si è appeso al finestrino del treno in partenza ed è stato travolto e ucciso, purtroppo, mi ha fatto pensare, anche se è irrispettoso, ai Darwin Awards.

Cosa aveva in mente, quali erano le sue intenzioni?... Divertirli? Trattenerli? Mostrare loro, fino alla fine, quanto avrebbe voluto che restassero? 

C'è una citazione talmente famosa che credo ogni fanciulla abbia annotato, almeno una volta, sul proprio diario. "Se ami qualcuno, lascialo libero ". 

Non me n'era mai stato molto chiaro il senso, convinta come sono che l'amore è, in piccola parte, schiavitù e che quindi, se ami qualcuno, lo vuoi per te, allo stesso modo in cui vuoi che lui ti voglia per sé e non c'è nessun tipo di felicità derivante dal doverlo vedere andarsene, libero e altrove e senza di te. 

(Non ho mai nemmeno troppo capito il corollario, quello del "se torna, sarà tuo per sempre; se non torna è perché non lo è stato mai". Francamente, se una persona mi mollasse e se ne andasse , alla ricerca della sua propria libertà, qualora tornasse, io la rispedirei da dove è venuta.) 

Ma la storia del trentenne mi ha insegnato che, se ami qualcuno, lo trattieni, lo implori, magari lo pure minacci, certo, ma solo fin quando è ancora lì con te sul binario. Perché se è già salito sul treno, quel treno che lo porterà lontano, non c'è più niente che tu possa fare per trattenerlo. E se ci provi lo stesso, sono solo cavoli tuoi, perché lui partirà comunque e tu invece finirai "sotto un treno".

 
 
 

***culinária***

Post n°487 pubblicato il 04 Agosto 2015 da fragolozza
 

Avevo all'incirca nove anni, pesavo all'incirca sessanta chili e i miei unici approcci con l'attività sportiva consistevano nella corsa per le scale, la caduta libera e il lancio del peso... il mio. 

Quando la maestra convocò un istruttore di ginnastica per intervallare, una volta a settimana, le lezioni, con una sana attività all'aria aperta, tutta la classe ne fu felice. Tutti... eccetto io.  Perché lo sapevo che sarebbe successo. Non ci voleva il sesto senso per intuire che il binomio Maria Pia/Educazione Fisica sarebbe stato sinonimo di una figura di merda assicurata. 

Non successe subito, almeno questo devo ammetterlo. Finché si trattò di correre e zompettare allegramente, me la cavai bene. Successe il giorno in cui l'istruttore ci obbligò a disporci in cerchio, stese un tappeto al centro del prato e cominciò a chiamarci, a turno, per fare le capriole. Dalla mia, avevo la forma, perché, in teoria, una capriola è una sorta di rotolamento, ed io che ero rotonda, sempre in teoria, avrei dovuto saper arrotolarmi alla grande. Ahimè, la teoria non coincise con la pratica e mi ritrovai a trascorrere cinque minuti buoni, al centro di un cerchio di bambini, con la testa tra le gambe, il sedere per aria e l'istruttore che mi dava botte sulla schiena nel vano tentativo di farmi rotolare.

Ho all'incirca trent'anni (non sono brava ad arrotolarmi, ma ad arrotondarmi l'età sono un talento), peso all'incirca sessanta chili e i miei approcci con l'attività sportiva, sebbene non brillino per qualità e quantità, stanno decisamente migliorando.

Credo che ci si iscriva in palestra fondamentalmente per due motivi: mantenersi in forma e provare a darsi una forma. 

Se poi ti sei trasferita da poco da un'altra parte, ti ci iscrivi soprattutto per socializzare. Se poi ti sei trasferita da poco dall'altra parte del mondo, tipo in Brasile, ti ci iscrivi, sì, per socializzare, ma anche e soprattutto per farti venire il sedere come quello delle brasiliane e per imparare a muovere il sedere come le brasiliane.

E così, da circa un mese, frequento quotidianamente una palestra brasiliana,  faccio zumba brasiliana, ho imparato tante coreografie brasiliane e, pure se il sedere è ancora tristemente italiano, continuo a coltivare malsane fantasie (della serie, io vestita di piume e lustrini che animo le danze del carnevale e mi propongo come nuova eroina dei due mondi).

In generale, quindi, tutto bene. Tutto. Tranne che per lui. Quello che io ho ribattezzato il generale Marshall. Quello che, al confronto, l'istruttore delle elementari, che mi dà le botte sulla schiena per farmi rotolare, diventa un tenero ricordo. 

Ma facciamo un passo indietro. 

La palestra che frequento, come molte altre palestre, offre una vasta gamma di attività. Considerato lo slancio ginnico da cui stranamente sono pervasa, anziché limitarmi a fare solo zumba, nel corso delle scorse settimane ho anche sperimentato lo step e lo spinning. Il fatto che finora non sia rimasta incastrata in nessun attrezzo e non abbia subito altre forme di trauma equivalenti, mi sembra un risultato notevolissimo. 

Ma il rischio l'ho corso. Ed è qui che entra in scena il temibile generale Marshall. 

Lo scorso lunedì ho raggiunto la palestra con l'intenzione di partecipare alla lezione di step, come da programma. L'istruttrice di step è una persona molto simpatica, socievole e alla mano. Ma la sua caratteristica migliore è che è un po' panzerotta. Cioè... La prima volta che l'ho vista, mi sono chiesta come mai fosse un po' cicciotta, sebbene fosse un'istruttrice. Poi la lezione è cominciata ed ho capito. Praticamente questa istruttrice è come un vigile: fischia e muove le braccia per impartire gli ordini e...basta. Ecco perché è panzerotta. Purtroppo, lunedì scorso ho appreso che si è rotta il piede (non so come) e che per un po' di tempo non farà lezione. 

Immaginate dunque il mio sconcerto quando al posto di una biondina rubiconda, ho visto entrare in sala il sosia rinsecchito di Bruce Willis, che, in preda al furore di Die Hard, ha cominciato a disporre sul pavimento tappeti, corde, pneumatici, scale di corda, borsoni imbottiti di sacchi di sale, palloni, pesi ed un inquietante scatolone di legno. Continuate a immaginare il mio sconcerto quando ho scoperto che tutti quegli oggetti, che io avevo pensato puramente decorativi, erano stati in realtà disposti ad arte, nel tentativo di simulare un percorso (di guerra) entro il quale sarei stata costretta a muovermi incessantemente per almeno un'ora.

Il primo campanello d'allarme è cominciato a suonare quando, dopo che per la seconda volta mi era stato imposto l'esercizio del sali e scendi con la stessa gamba sull'inquietante scatolone alto più di mezzo metro, ho proposto al generale Marshall di farmi fermare per dare spazio ad altri che non lo avevano ancora fatto. La risposta mi è stata data in portoghese, ma avevo già così tanto sangue in testa, che mi è arrivata con la voce e l'intonazione di Silvia (alias Antonio, di Antonio e Michele) quando diceva: "Non esiste proprioooo! ".

Il secondo campanello d'allarme è scattato quando ho provato a rallentare il ritmo nell'esercizio dell'entra, esci, salta, con un piede, senza un piede, con due piedi, nella scala di corda adagiata, a mo' di gioco della settimana, sul pavimento. Lo ammetto... Avevo provato a fare la furba, convinta che fosse concentrato a dare direttive a una tipa scamazzata sotto un pneumatico. Ma poi mi ha notata, si è avvicinato e mi ha rintronata a suon di "ràpido, ràpido, ràpido!!! "

Il terzo campanello d'allarme è scattato dopo un'ora abbondante, quando, convinta che avessimo finito, sono stata invitata a sdraiarmi a pancia all'aria e a fare evoluzioni addominali sotto la direzione artistica di un pallone gigante color puffo. Ci ho provato. Ce l'ho messa tutta... Ma stavo davvero morendo e prima che mi si avvicinasse per urlarmi ancora: "Rápido, rápido, rápido!!! ", mi sono rimessa in piedi, gli ho fatto ciao ciao con la manina e sono corsa ad infrattarmi negli spogliatoi, evitando di guardarmi indietro per paura che mi rincorresse per riportarmi in sala. 

Morale della storia: se nasci rotonda, non muori quadrata. Puoi solo diventare un po' più ovale. 

 
 
 

***opere_d'_arte***

Post n°486 pubblicato il 22 Maggio 2015 da fragolozza
 

- In tutti i quadri, la raffigurazione degli occhi sembra avere una rilevanza centrale. Perché?

- Perché la vera opera d'arte sei tu. Credi di osservare un quadro, ma in realtà è lui che ti osserva, che ti guarda, che vede Maria Pia e le chiede: "Quali sono i tuoi sogni? Quali sono i tuoi progetti? Quali sono le tue speranze?"

La risposta più semplice sarebbe: "E boh?!", ma a me piacciono le cose complicate, quindi vaneggio, dicendo che io non sogno...o forse sogno troppo...e che non sognare in fondo è come sognare...e pure viceversa. Ma è molto probabile che io non abbia detto esattamente questo e che i suoi quadri non mi abbiano chiesto esattamente quello. E che quindi tutta la conversazione sia stato un guazzabuglio immenso. Un guazzabuglio immenso probabilmente trasmesso alle 18.50 in brasilevisione. 

La verità è che io ero andata a vedere una mostra, una mostra senza dubbio bella, di un artista senza dubbio di talento. Certo, ero arrivata un po' in anticipo, perché sui manifesti c'era scritto che la mostra era a partire dal 21 maggio e da nessuna parte c'era invece scritto che l'inaugurazione ufficiale sarebbe stata alle 19.30. 

La verità è che io volevo vedere la mostra, apprezzare i quadri, prendere due volantini e tornare a casa. Solo che poi ho visto anche l'artista e la mostra era davvero bella e come potevo non fargli i complimenti? Quindi mi sono avvicinata, cordialmente l'ho salutato ed ho cominciato a ripetere come un mantra parabéns parabéns! Devo essere sembrata molto competente nel mentre lo dicevo, perché più o meno intorno al decimo parabéns, è comparso un giornalista e mi ha chiesto un'intervista. 

- Io??? Ma io não falo português! Io entendo, ma não falo! 

- Non fa niente. Basta che ripeti quello che hai appena detto all'artista.

E, prima che riuscissi ad obiettare oltre, il tizio con la telecamera mi ha presa, mi ha portata in una sala e mi ha ficcata sotto un riflettore. Dopodiché è intervenuto il tizio col microfono, mentre un'altra tizia se ne stava in disparte, con un taccuino, pronta a prendere appunti come se davvero stessi per fare una conferenza stampa. 

Alma, muita alma. E color. Eu adoro color. (pausa riflessiva di trenta secondi). Pax...muita pax (ennesima pausa riflessiva). È como se tutta a emozione do mundo stisse in essi quadri.

A questo punto, consci ormai del fatto che davvero parlo il portoghese come parlo l'ostrogoto, prima che attaccassi a recitare l'atto di dolore, mi hanno interrotta, mi hanno chiesto come mi chiamavo e hanno invitato me e l'artista a collocarci di fronte a due quadri continuando a chiacchierare. È stato allora che gli ho chiesto degli occhi, lui mi ha chiesto dei sogni ed io ho ripreso a vaneggiare in ostrogoto. 

Ma, al di là di tutto, esiste un fondo di magia in ogni opera d'arte; una magia che cattura ciascun utente con un sortilegio diverso. Un sortilegio che, nel mio caso, non è stato in grado di farmi parlare in portoghese, ma che, se i giornalisti  non hanno avuto il buon senso di tagliarmi, mi ha procurato la mia prima figura di merda in brasilevisione. 

I quadri hanno ragione. La vera opera d'arte sono io.

 

 

 
 
 

***Il_Giorno***

Post n°485 pubblicato il 19 Maggio 2015 da fragolozza
 

Sai che non è un giorno, ma è il giorno. Te ne accorgi dal risveglio, dal modo in cui il piede sinistro precede il destro e viceversa, passo dopo passo, alla ricerca di un senso che alla fine si rivela unico. E tu sai benissimo il perché. Perché le date tornano, si ripetono, ti perseguitano; anche se le ultime due cifre sono diverse; anche se quello era un venerdì e oggi è lunedì; anche se la direzione sbagliata ti sembrava giusta...e, probabilmente lo era davvero, ma non potrai mai dirlo perché non l'hai presa. 

Sai che non è un giorno, ma è il giorno. Te ne accorgi da come rispondi, o non rispondi, a chi ti chiede come va. Perché pare te lo chiedano solo quando il massimo che riesci a replicare è un ok, che per onestà con te stessa, immagini di scrivere su un vetro e di leggere da fuori, cioè al contrario, cioè ko.

Ma sai anche che è il giorno che, un giorno, quando avrai meno spazio per ricordare e tante altre cose da scegliere di dimenticare, ti scivolerà via come ogni altro giorno, come una pagina a caso che sporcherai su un'agenda, come il titolo di un giornale che ti dimenticherai di comprare, come tutti quei giorni di cui non sai cosa fare.

 
 
 

***annunci***

Post n°484 pubblicato il 16 Maggio 2015 da fragolozza
 

La prima volta fu il colore del reggiseno. Quando ricevetti il messaggio, ne indossavo uno viola e non mi sembrò un'informazione troppo compromettente da condividere. Tanto più che pareva fosse per una buona causa.

Poi fu la volta del posto in cui posavo la borsa. All'epoca vivevo in un monolocale di quindici metri quadrati, soppalcato. Era già tanto riuscire a farci entrare la borsa, perciò il mio posto era la ringhiera della scala che portava sul soppalco su cui era incastrato il letto. "Mi piace appesa alla ringhiera", scrissi dunque. Ma un'amica mi chiamò zozzona, qualcuno mi scrisse per informarmi che viveva al decimo piano senza ascensore e a parecchi parenti prese un coccorone. 

Il peggio però arrivò quando ci fu da formare frasi avvalendosi sia del mese di nascita per determinare una città, sia della data di nascita per determinare il tempo di permanenza. 

"Andrò a Londra per 17 mesi". Si scatenò un putiferio di commenti. Gente felice, gente orgogliosa, gente che "te lo meriti e farai grandi cose". In verità, tutto quello che riuscivo a meritarmi in quel periodo, era il lavoro più infelice del mondo, in uno dei posti più infelici del mondo e dover ringraziare tutti per la fiducia, chiedendo contemporaneamente scusa  per l'inveridicitá della panzana pubblicata, fu triste e umiliante. 

Sono due giorni che leggo di persone che hanno deciso di non indossare più le mutande, che hanno finito la carta igienica, che hanno i funghi ai piedi e che lottano contro la diarrea. Ma ormai non ci casco più.

In primo luogo, perché mi sono accorta che le campagne di sensibilizzazione per la ricerca sul cancro, funzionano benissimo anche senza il contributo delle informazioni sulla salute del mio intestino. E poi perché, nell'ultimo periodo, di annunci eclatanti avrei potuto scriverne tanti anch'io e, col senno di poi, mi sono accorta che non condividerli pubblicamente, mi ha solo giovato. Perché se scrivi che ti trasferisci a Londra e non è vero, la gente ci resta male. Ma se scrivi che ti trasferisci in Brasile e, invece, è vero, la gente ci resta ancora più male.

 
 
 

***lavaggio_del_cervello***

Post n°483 pubblicato il 14 Maggio 2015 da fragolozza

Fingi di non avere la lavatrice. Non importa se davvero non ce l'hai. Affinché il trucco funzioni, devi comportarti come se volessi, ma non avessi alternative. Dopodiché, pesca dal cesto i capi più difficili. Per cominciare, te la caverai bene con quella maglietta bianca, quella con le maniche e il colletto blu scuro, quella che stinge e ti lascia l'acqua color puffo o "forzanapoli".
Nel frattempo che recuperi il lettore mp3, pensa a tutti i motivi per cui ti sei svegliata storta, a quelli concreti, a quelli stupidi, a quelli profondi e pure a quelli che non hai. 
Poi apri l'acqua, prendi il sapone, accendi la musica e comincia a centrifugare a tempo di punk tedesco. E se non temi l'opinione dei vicini, accompagnati pure col canto, perché anche se non conosci le parole, le canzoni in tedesco sono una perfetta valvola di sfogo. 
E vedrai che, alla fine, ti sentirai meglio. Sicuramente infradiciata, senza dubbio un po' stupida, ma inevitabilmente meglio... Anche se la maglietta è definitivamente color puffo. 
http://youtu.be/iZC6em7bV30

 
 
 

***Consigli_sulla_Distanza***

Post n°482 pubblicato il 12 Maggio 2015 da fragolozza
 

1) Se qualcuno ti sembra distante, non dirgli mai che ti sembra distante. Qualora non fosse davvero distante, la tua affermazione gli farebbe trovare un buon motivo per diventare distante. 

2) È troppo facile, per certi versi anche troppo ovvio, sentire la mancanza di una persona distante. La verità è che, se quella stessa persona si presentasse alla tua porta, un minuto dopo che le hai detto che ti manca, nella maggior parte dei casi nemmeno apriresti. Perché la mancanza per distanza è una mancanza di circostanza. Del resto, quando siamo consapevoli che una persona ci mancherebbe nel caso in cui andasse lontano, non la lasciamo andare via. E se la lasciamo andare via è perché in fondo sappiamo che non ci mancherà poi tanto. C'è sempre un motivo per restare; c'è sempre un modo per trattenere. 

3) È più facile, per certi versi anche più ovvio, sentire la mancanza di una persona distante. Non importa, però, quanto questa persona sia distante. Se le volete bene, se vi manca, diteglielo, scriveteglielo, ricordateglielo! Le parole lanciate a distanza hanno due possibilità: o cadono nel vuoto o costruiscono un ponte. L'importante è provarci e tenere a mente che più una persona è distante, più parole bisognerà rischiare. Ma quale che sia il risultato, alla fine ne sarà valsa la pena. Perché o il bene accorcerà la distanza o la distanza troncherá il bene, consentendovi di non sprecarne a oltranza.

 
 
 

***Troca***

Post n°481 pubblicato il 11 Maggio 2015 da fragolozza
 

Uno dei tre sembra Pupo. Realizzo la somiglianza quando, dal niente, comincia a cantare lalalà.

Tutto quello che mi riesce è continuare a tenere premuto forte l'indice sulla base, al fine che egli possa sistemare la placchetta e risolvere quindi la sostituzione dell'interruttore, nel mentre i suoi amici riparano, l'uno il rubinetto del lavandino, l'altro la chiusura della porta che dà sul balcone. 

Per il resto, riesco solo a sperare che un giorno io possa diventare brava come loro. Brava a far funzionare di nuovo quello che adesso non funziona più; brava a sostituire quello che non va; brava a limitare o a evitare le perdite.

Ma il cuore non è un rubinetto e se i circuiti che ci uniscono a chi vogliamo bene fossero meramente elettrici, basterebbe farsi tutti elettricisti per vivere felici e contenti.

Intanto, per dovizia dei particolari, nel mentre mi esplorano casa alla ricerca di tutti i più piccoli eventuali guasti, faccio notare che l'interruttore della luce in camera a volte fa contatto. Provo a spiegarmi a gesti, premendo più e più volte sull'interruttore, che però stavolta funziona benissimo. 

"Troca?" Mi chiede uno dei tre.

Ed io: "Troca, Troca!!"

E tutti insieme: "Troca! Troca! Troca!"

Che nella mia testa significa funziona!, ma che in realtà nella testa di chiunque conosca il portoghese significa qualcosa del tipo è da sostituire.

È che ho deciso di imparare la lingua, guardando la versione doppiata e sottotitolata in portoghese delle serie Tv. Per il momento, ho guardato per intero le prime due stagioni di American Horror History e ben quattro stagioni di Grey's Anatomy. Purtroppo in nessuna delle due si è mai verificato un episodio in cui i protagonisti dovessero sostituire un interruttore della luce, ragion per cui mi ritrovo con un interruttore perfettamente funzionante, ficcato nella busta della spazzatura per una banale incomprensione (e anche questo, volendo, è una chiara metafora di come, a volte, ci liberiamo di qualcuno pur senza volerlo, pure se non è necessario).

In compenso, dalle serie Tv, ho finora imparato frasi ed espressioni molto simpatiche, seppur di dubbia utilità.

Alcune delle parole e frasi di dubbia utilità, apprese guardando "Uma istoria de horror americana"

1) Abobora: Zucca. Parola particolarmente utile nel giorno di Halloween, qualora sorgesse la necessità di chiedere al fruttivendolo una zucca da intagliare.

2) Eu morreu: Io sono morta. Espressione da utilizzare nel caso in cui vi foste inavvertitamente suicidati  e abbiate scoperto la realtà solo dopo un lungo apprendistato da fantasma, molto simile alla vita che conducevate quando eravate ancora vivi.

3) Saíam!: Uscite! Espressione molto utile nel caso in cui un gruppo di pazzi vi entri in casa e minacci di uccidervi.

Alcune delle parole e frasi di dubbia utilità apprese guardando "Grey's Anatomy"

1) Todos os cirurgiões são gato: Tutti i chirurghi sono attraenti. Nel caso in cui veniate ricoverati d'urgenza e siate ridotti molto male, questa frase sicuramente vi aiuterà a fare colpo.

2) Estou alegre e descontraída: Mi sento felice e raggiante. Pare che questa frase sia particolarmente indicata per quando stai di merda, ma vuoi per forza far credere agli altri che stai divinamente.

3) Batóm e Transar: Significano rispettivamente rossetto e fare l'amore. Non vanno pronunciate necessariamente insieme, ma da un'accorta visione, mi sono resa conto che, ogni volta che la protagonista mette il batóm, finisce che va a transar con qualcuno. Il che sotto certi aspetti è sempre utile a sapersi.

 
 
 

***isola_che_non_c'è ***

Post n°480 pubblicato il 08 Maggio 2015 da fragolozza
 

Per un individuo altamente logorato dal logorio della vita moderna, vivere anche solo temporaneamente in un posto in cui nessuno ti capisce ed in cui non capisci nessuno è una condizione paragonabile all'essere sbarcato su una meravigliosa, paradisiaca, isola deserta; sai che in qualunque momento puoi prendere una barchetta, fare un giro, esplorare e persino scegliere di comunicare a gesti con qualche pescatore avvistato da lontano, ma fondamentalmente sai che in qualunque momento puoi fregartene altamente di tutte le interferenze esterne, nasconderti dietro una palma, bucare una noce di cocco e goderti tranquillamente la tua pace in santa pace.

Le difficoltà di comunicazione bilaterali hanno infatti due vantaggi.

Da un lato, il non essere in grado di esprimersi, precludendo ogni forma di sfogo verbale, induce a limitarne le cause di bisogno. In parole povere, eviti automaticamente l'accumulo di stress perché sei perfettamente consapevole che nessuno sarebbe in grado di accogliere, comprendere e ribattere ai tuoi sfoghi, alle tue sfuriate e alle tue chiacchiere frustranti. Dall'altro, il non essere in grado di comprendere, precludendo ogni forma di empatia, protegge e tutela dall'altrui bisogno di sfogarsi. In parole povere, ti basta pronunciare la formuletta "eu não entendo" e tutti i potenziali seccatori prima ti scrutano, poi si perplimono, ma alla fine finalmente tacciono e passano a seccare il malcapitato interlocutore successivo.

In teoria...

Perché, nella pratica, ahimè, un rompiscatole che parla e comprende la tua lingua riesci a trovarlo sempre e comunque e dovunque...anche se te ne vai a vivere in Culonia. E quella che ti sembrava una meravigliosa, paradisiaca, isola deserta nella quale rinfrancarti e riprenderti dal logorante logorio della vita moderna, comincia a sembrarti quello che realmente è, ossia  l'appartamento malcapitatamente adiacente a quello della vicina che odia la suocera, è in crisi col marito, non ha ancora trovato il parrucchiere giusto, si annoia durante il giorno, ma soprattutto è smaniosa di fartelo sapere perché, in fondo, ancora non era riuscita a fare amicizia con nessuno e il fatto che sia arrivata tu, con quella faccetta così incline all'ascolto, con quella bocca che non sa mandare a fanculo, le ha fornito finalmente l'opportunità di avere  qualcuno con cui sfogarsi. 

In sostanza, quindi, non importa quanto vai lontano. Il logorante logorio della vita moderna ti scova ovunque. Perché persino quando scegli di andartene nel paese più felice del mondo, puoi beccarti la sfiga di trovare la vicina più invadente e deprimente del mondo.  

 
 
 

***balla_coi_lobi***

Post n°479 pubblicato il 23 Aprile 2015 da fragolozza
 

Oggi ho imparato come si dice lupo in portoghese. Ed è una nozione che ho tristemente appreso,  dopo che dalla TV mi era arrivata la notizia che stasera avrebbero trasmesso "bailando com lobos". Tutta esaltata, ho pensato che finalmente avrei potuto assistere ad un talent show originale, nel quale i concorrenti si sarebbero sfidati in esibizioni di samba ballata con le orecchie, ma quando mi sono avvicinata allo schermo, ho scoperto che in realtà si trattava semplicemente di quel vecchio film con Kevin Kostner, che io non ho mai guardato e che, nemmeno stasera, a maggior ragione, guarderò.

Lobo. Lupo si dice lobo. 
E lobo si dice lóbulo. 
Basta non confondersi.

 

 

 
 
 

***esperar***

Post n°478 pubblicato il 22 Aprile 2015 da fragolozza
 

La durata del "vermeglio" ai semafori è infinita e in molti hanno l'abitudine di attraversare prima che scatti il "vergi". Io li osservo, immobile e stupefatta, perché qui  guidano i "carros" in maniera spregiudicata e veloce e non rientra certo tra le mie prerogative finire "atropelata" su una strada del Brasile. A chi mi osserva, apparirò un po' "estranha", ma "não é preciso", perché io sono abituata ad "esperar"... e pure ad "esperar".

La coincidenza in termini tra aspettare e sperare è, infatti, una delle "primas coisas" che  ho imparato del portoghese.  Insomma, qui "esperi" anche se non hai nulla da "esperar"...e viceversa. Io, intanto, espero di apreender il portoghese, quel tanto che basti a non compiere gli errori che, as vezes, compio.

Come quando, ad esempio, dovevano consegnarmi la TV. Il portiere ha citofonato per avvisarmi che era arrivato il fattorino. Sperando di dire la cosa giusta ho esclamato: "pogi sair", che nelle mie intenzioni valeva come un "può salire", ma che in realtà, come ho scoperto verificando immediatamente sul dizionario,  significa più o meno "se ne può andare". 

Ma se salire si dice subir e subire si dice sofrer, senza trascurare poi che anche soffrire si dice sofrer, devo esperar che siano tutti comprensivi come il portiere e il fattorino, perché, prima che io impari il portoghese, ci sarà da esperar ancora tanto.  

 
 
 

*°*Distacco*°*

Post n°477 pubblicato il 04 Febbraio 2015 da fragolozza
 

"Come stai?"

"Aggrappata"

"A cosa?"

"A niente. Ho solo bevuto troppa grappa"

"Ah... ho capito."

Ma, in realtà, Paolo non ha capito affatto, perché trascorre almeno un minuto in silenzio prima di accorgersi che la mia era una battuta ed emettere un verso strozzato simile ad una risata.

"Pensi che potremo rivederci?"

"No"

"Ah... ho capito" Ma anche stavolta so per certo che non ha capito niente. Tutte le volte che mi chiama, mi fa la stessa domanda ed ogni volta riceve la stessa risposta, eppure non demorde.

Ha ripreso a chiamarmi all'incirca un mese fa. In circostanze normali, una volta constatata la provenienza della telefonata, lo avrei ignorato, ma ricordo perfettamente che quel giorno avevo bisogno di chiacchierare con qualcuno, chiunque fosse.

Era il giorno in cui mi ero decisa a recarmi all'ufficio postale per ritirare una raccomandata, il cui avviso di giacenza giaceva sul mio tavolo da un numero di giorni quasi equivalente alla scadenza delle possibilità di ritiro. So che può sembrare stupido, ma poiché solitamente si raccomandano cose buone, avevo intimamente nutrito la speranza che la raccomandata contenesse una comunicazione speciale. Alla fine, mi ero ritrovata tra le mani un sollecito del fornitore di energia elettrica, il quale mi informava che, se entro due giorni non avessi saldato il pagamento di una fattura, che peraltro io non avevo mai ricevuto, avrebbe provveduto al distacco dell'energia.

I fornitori di energia si comportano come i fidanzati esigenti. Ti elettrizzano e ti riscaldano, fintanto che ti dimostri all'altezza delle loro aspettative, ma alla prima disattenzione o mancanza, senza battere ciglio, ti avvertono che se non ti rimetti in riga, rischi il distacco.

 "Ci sei?"

"Sì, ma qualche volta ci pure faccio."

Stavolta Paolo non finge di aver capito.

Stavolta rimane in silenzio.

Dopo un po' torna alla carica.

"Ohi, Anna. Ma per caso ti sto disturbando?"

Interrompo bruscamente la chiamata senza nemmeno prendermi la briga di replicare.

Qualche anno fa, una società di lavoro  interinale mi propose di lavorare in un call center.

Al colloquio eravamo in tantissimi.

Dopo una sorta di test attitudinale compilato collettivamente, ciascuno fu convocato singolarmente in un ufficio per simulare una chiamata ad un ipotetico cliente.

La cosa più utile che io abbia imparato e che credo che chiunque impari quando si prende in considerazione l'idea di lavorare in un call center è che non bisogna mai instillare nell'interlocutore il dubbio che lo si stia disturbando. Nemmeno quando si ha la certezza che lo si sta disturbando.

Chiami qualcuno a ora di pranzo per proporgli l'acquisto di una batteria di pentole? Non devi fargli sospettare che lo stai disturbando. Contatti una signora di ottant'anni per venderle un abbonamento a internet superveloce? Non devi farle credere che la stai disturbando.

Intanto che sto cercando di capire se mi sento disturbata oppure no, il telefono squilla di nuovo ed è di nuovo Paolo.

Premo sul tasto ok, senza pensarci troppo.

"Siamo spiacenti, ma l'utente da lei chiamata, non è al momento comprensibile. Vuole comunque continuare la chiamata?"

Scoppia a ridere. "Tu sei fuori!"

"No, no... sono in casa, sul divano per giunta." Poi mi rendo conto che sto tirando troppo la corda.

Decido di smetterla di scherzare ed assumo un tono serio.

"Prima- dico- ci sei rimasto male quando ho riattaccato? Cioè... come ti sei sentito?"

"Hai riattaccato? Veramente io pensavo che fosse caduta la linea".

Interrompo di nuovo bruscamente la chiamata, ripromettendomi che non gli risponderò mai più.

Con certe persone la diminuzione del voltaggio non è sufficiente. Con certe persone devi sospendere ogni forma e spreco di energia.


 

 
 
 

persone_che_potresti_conoscere

Post n°476 pubblicato il 03 Febbraio 2015 da fragolozza
 

Esiste un motivo per cui certe persone non le conosci, fingi di non conoscerle oppure ti sei dimenticato di conoscerle.
Ma è un motivo che evidentemente sfugge agli amministratori di Facebook.
Al di là di quanto, infatti, potrebbe renderti lieto mandare finalmente a cagare quel caro vecchio amico delle elementari che, solo perché era più alto di mezzo centimetro, si divertiva a  pugnalarti con la penna bic, quando Facebook ti consiglia delle amicizie, puoi stare sicuro che nella galleria delle "persone che potresti conoscere", tranne rarissime eccezioni, troverai esclusivamente:
A) utenti sconosciuti con cui condividi soltanto un amico che peraltro amico non è, trattandosi di quel tizio dal nome turco che ti inviò la richiesta all'epoca in cui ti eri appena iscritto e che non cancelli solo perché ancora ti riprometti di scrivergli per chiedergli del perché dell'amicizia;
B) quella cugina più grande che non vedi e non senti da un quindicennio, ma nel cui sguardo riconosci la stessa profondità di quando ti costringeva a sorbirti  le sue imitazioni delle coreografie  di Non è la Rai, roba che, al solo pensiero, ti faresti brillare come una bomba ciquena.
C) panteroni di varia natura e nazionalità, che non importa che tu sia uomo o donna, tanto ti perseguitano lo stesso, alla stregua delle spam con le pubblicità del viagra.
D) ex fidanzate/fidanzati del tuo/della tua attuale fidanzato/fidanzata, che, quasi sempre sfoggiano un'idilliaca immagine di profilo in coppia, mentre il tuo/la tua attuale fidanzato/fidanzata, sebbene state insieme da quattro anni, ancora mantiene la stessa tristissima immagine di Snoopy/Hello Kitty di quando l'hai conosciuto/conosciuta, a conferma di quanto gli ex (degli altri) talvolta ci vedono lungo;
E) gente con cui non hai assolutissimamente nulla in comune e con cui nemmeno vorresti mai avere qualcosa.
In sostanza, accettare un suggerimento di amicizia da Facebook è come convincersi della bontà dei matrimoni combinati, dove il fine di chi propone è probabilmente nobile, ma la pochezza di chi accetta è innegabilmente triste.

 

 
 
 

*°*La politica dei se applicata ai sentimenti*°*

Post n°475 pubblicato il 13 Agosto 2014 da fragolozza

Detesto la politica dei «se» applicata ai sentimenti.
Se avessi saputo che era l'ultima volta, ti avrei abbracciato più forte.
Chissà quante volte lo abbiamo pensato o detto o letto o ripetuto. Eppure, cosa significa? Che solo perché crediamo non sia l'ultima volta, possiamo considerare l'altro alla stregua di un cuscino, ciancicandolo quel tanto che basta a farci stare meglio?
La politica dei «se», come ogni forma di politica, ma a maggior ragione quando applicata al sentimento, è un mostro tentacolare e sonnolento, che avviluppa, non solo il cuore (il quale, del resto, in caso di sentimento, nonl a scampa mai), ma anche la mente.
Rivalutare in chiave realistica tutte le passate esperienze amorose è, dunque, il modo per evitare malsane forme di rimpianto e rimorso. 
Perché ripensare agli ex con nostalgia non serve a un beneamato cavolo. Anzi,  per essere corretta, non bisognerebbe pensarci e basta, anche nel caso in cui insieme a quella persona si sia trascorsa gran parte della propria esistenza.
E la regola vale anche quando si è incazzati a morte.
In un caso del genere, qualcuno potrebbe essere incline a pensare qualcosa del tipo se avessi saputo che era l'ultima volta che vedevo la tua faccia, ti avrei mandato a fanculo più forte o, ancora peggio, se avessi saputo che saresti stato una gran perdita di tempo, ti avrei mollato (o mi sarei fatto mollare) a piedi in tangenziale al primo appuntamento. 
Eppure,  al di là di un immediato effetto fisiologicamente distensivo, ad insistere su questo tipo di atteggiamento alla lunga che resta?
Niente.
Ed è la mia personale rivalutazione in chiave realistica di tutte le passate esperienze amorose a darmene conferma.

 
 
 

*°*Avevo_più_freddo_di_prima*°*

Post n°474 pubblicato il 19 Giugno 2014 da fragolozza

Stamattina c’era il matto, il solito, quello che si trascina un carrellino da spesa, bestemmia in tutte le lingue del mondo e sembra intenzionato ad uccidere il primo che gli si pari di fronte. Ha raggiunto la panchina su cui ero seduta, ma non sembrava intenzionato ad uccidermi, piuttosto continuava a guardarsi intorno, ovunque, quasi scrutasse l’orizzonte alla ricerca di un posto migliore. Poi è arrivata lei.
Non l’avevo mai vista prima. Aveva una selva di capelli sporchi e in disordine, baffi da sparviero, un maglioncino nero ed una fusciacca di lana grezza legata in vita come fosse un pareo, dal cui generosissimo spacco spuntavano gambette nude, portate in giro da un paio di crocs che, forse, in origine, erano state bianche.
Si sono seduti sulla panchina. Lei guardava nel vuoto, lui mormorava a voce bassa, salvo sporadici alzamenti di tono per chiederle: “Hai capito? Hai capito?”
Rannicchiata nel mio angolo, non ho idea di cosa quella donna dovesse capire. Mi bastava che l’uomo, per una volta, mi apparisse in una veste comportamentale tranquilla, quasi lucida. Si sarà innamorato? Mi sono chiesta. Ma non ho avuto voglia di aspettare la risposta e mi sono alzata per raggiungere il marciapiedi assolato, perché in quel momento sentivo tutto il freddo del mondo.
Ad un certo punto, non so neanche perché, mi sono girata indietro a guardarli. Se ne stavano lì seduti, beati, con la stessa vacua espressione di prima, a gambe larghe. I lembi della fusciacca di lei, che a malapena l’aveva coperta quando l’avevo vista in piedi, stando seduta le erano scivolati ai lati rivelandone l’intimità completamente nuda.
Come, quando e perché ci si riduce così?
Per la paura ho chiuso gli occhi e il sole ha smesso di fare effetto. Avevo più freddo di prima.


 
 
 

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Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.

Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.

 

 

 

 
 

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