Creato da fragolozza il 13/10/2006

LeCoccinelleVolano

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***HARDER_FASTER_FOREVER_AFTER***

Post n°390 pubblicato il 07 Luglio 2010 da fragolozza

Devo vivere se voglio scrivere, ma non riesco a scrivere quando comincio a vivere: troverò mai il giusto compromesso?
La rima tra scrivere e vivere rimbalza ai miei occhi quando non so raccontare.
Il gatto beve da un sottovaso gocce d’acqua sporca. Gli passo accanto, gli dico ciao, non mi risponde e gli ridico ciao. Fa niente se l’uomo seduto al volante dell’auto parcheggiata, di cui non mi ero resa minimamente conto, mi scambia per una fumatrice d’oppio.
Esiste un modo di essere felici? Esistono mille modi per essere felici?
Sono “vicina” al premio nobel e quasi casco a terra, poi ci casco davvero, poi ci resto e tutto è ancora più bello. Mi rialzo e faccio passi lunghi, nel tentativo e con la speranza di calpestare l’ombra che mi precede è sorpassa.
Sono in piena luce e non mi lascio ingannare. Sono in pieno sole e non mi lascio fuorviare dalla paura e certezza che prima o poi (ed è sempre troppo prima e meno poi) il non essere che sono stata rimpiazzi il voler essere che sono diventata.
Le parole che non ho mai scritto formeranno le frasi più belle.

 

 
 
 

°°°Confessioni_di_un_cuore_purpureo°°°

Post n°389 pubblicato il 25 Giugno 2010 da fragolozza
Foto di fragolozza

Addio 

Ricordi per caso
in che giorno
ho voluto
che tutto finisse?
E’ oggi,
ma sembra domani
e ieri pensavo
che fosse in futuro.
La caducità dell’eterno
è analgesico male
di gioia infelice.
Dimentico come è iniziato,
l’ordito si smaglia,
ma tramo il finale,
nell’anima,
non sulla carta
a lettere grandi
per quello che vale.
E’ ironico rendersi conto
che addio come amore
hanno uguale iniziale.

 

 

 

Dove somiglia a un pianto, il canto, reiterato a misura di tecnicismo errato, stona le parole non ancora dette, assimilando il loro significato alla formula risolutiva di un equivoco esistenziale, in base al quale, considerata l’apparenza e dunque la sostanza, anche la voglia di vivere diventa una colpa.
Resta il rumore, valore redentore e parte indissolubile di un assoluto silenzio, che da un indefinibile altrove si fa strada fino al mio cuore, non genericamente rosso, ma purpureo, per tradursi in una confessione che di vero conserva solo l’intenzione maturata nel momento della composizione.
Il tempo che intercorre tra l’intuizione e la deposizione su carta decompone l’esclamazione, in piccoli frammenti anacronistici, falsificati e quindi ipocriti per la mutevolezza dell’attimo presente.
Ma un foglio bianco è come un volto pallido da cui non traggo alcuna compagnia e, se riempirlo d’improvvisi pensieri lenisce in minima parte questa non precisata assenza di me stessa e di altro, questo senso di mancanza che di pieno camuffa i vuoti che non hanno mai avuto spessore, allora anche una convinzione che diventi menzogna ha la sua importanza.
Io non so quanto di me resta in queste pagine. Non so se sono ancora io, ma so che un tempo lo sono stata. E riconoscerlo è una gran consolazione.

 
 
 

***CarrambA***

Post n°388 pubblicato il 24 Giugno 2010 da fragolozza

NOTIZIONA DI GOSSIP:
E’ stato improvvisamente ritrovato, dopo milioni di anni e soprattutto in Etiopia (insomma, una vera e propria carrambata) il bisnonno, subito ribattezzato Kadanuumuu, del mio alter ego protostorico.
Del resto, ciascuno ricorre alle teorie sulla metempsicosi secondo le proprie inclinazioni e i propri vantaggi e, se c'è chi crede di essere la reincarnazione di Cleopatra, se c'è chi è convinta di avere troppo in comune con Lucrezia Borgia,  io sono straconvinta che in una vita passata sono stata l'australopiteco Lucy o una sua strettissima parente.
E provate a smentirmi su questo!

Auguri Lucy! Prima o poi ritroveremo anche la mamma! 

 


Nella foto, un'immagine di Lucy, sorpresa durante una tranquilla passeggiata a Villa Borghese.

 
 
 

***Anticiclone_delle_Azzorre***

Post n°387 pubblicato il 21 Giugno 2010 da fragolozza

Oggi, mentre pensavo a ciò che voglio, convenendo con me stessa che non so cosa voglio, ho realizzato che una delle maggiori forme di libertà è concedersi il permesso di desiderare.
Non desiderare, non volere, non aspettare è come stare fermi senza sapere dove andare.
Oggi, mentre pensavo che, da calendario, questo dovrebbe essere il giorno più lungo dell’anno, più illuminato dell’anno, più propizio dell’anno, guardando fuori e riscoprendo la pioggia a bagnarmi il bucato, ho realizzato che non è importante quello che ci si prospetta, quanto, purtroppo, lo è ciò che ci spetta.
E per tutto questo potrebbe pur esserci una giustificazione, ma poiché sono incapace di trovarne una, faccio come fanno i meteorologi quando non sanno cosa dire, ma pur di dire qualcosa dicono ANTICICLONE DELLE AZZORRE.
Ma qualcuno lo ha mai visto? Qualcuno sa che cos’è un anticiclone? E soprattutto, qualcuno ha idea di dove si trovino le Azzorre???
Oggi, mentre mi chiedevo perché non so cosa voglio, perché sto ferma e perché fuori piove, ho tuonato: "Anticiclone delle Azzorre!"
E mi sono sentita molto saggia.

 
 
 

°°°gloria_gloria_alleluia_alleluia°°°

Post n°386 pubblicato il 18 Giugno 2010 da fragolozza

Siamo nella fase racconto, quella in cui il vissuto è passato, superato e l’unico modo di tenerlo vivo è menzionarlo.
Rivedere in chiave aneddotica la propria esperienza esistenziale rende sopportabile la paura di non dimenticare quelle cose che finiscono e non sai perché, quelle cose che cambiano e non sai perché, insomma tutte quelle cose che ti lasciano in bocca il sapore dello sciroppo per la tosse, tanto buono a togliere il fastidio, ma innegabilmente pessimo al momento.
Secondo Monet, per essere ricordati, bisogna essere se stessi. Secondo me, se molte persone la smettessero di essere loro stesse, avrei molto di meglio da ricordare. Ma è un mio punto di vista elaborato alla luce di un gloria gloria alleluia alleluia, suonato in versione hard-rock da un’orchestrina improvvisata.
Il gelato che stringo nella mano destra e che presto mi finirà nel fianco destro, ma anche in quello sinistro, mi va prima di traverso.  
Mi piantono sotto un albero di magnolia, non quello a cui ho strappato un fiore non schiuso e che adesso giace morto su una mensola, ma un altro, e celebro il momento con un foto dalla quale verrò fuori tanto simile a Samara, la bambina che esce dal pozzo.
Apparentemente è un ricordo stupido e non ricordabile. Ma se fosse proprio quello il momento in cui qualcosa è finito senza che io sapessi il perché? Se fosse proprio quello il momento in cui qualcosa è cambiato senza che io sapessi il perché?
Se smetto di essere me stessa nessuno si ricorderà di me.
Amen.

 

colonna sonora incomprensibile quasi quanto tutto il resto...

 
 
 

°°°ricarica&caffè°°°

Post n°385 pubblicato il 15 Giugno 2010 da fragolozza

L’ortolana mi sorride dal vetro con bocca di peperoni e occhietti di zucchine.
Si può scambiare un banco di pizze per un banco della Lottomatica?
Secondo me sì, secondo il pizzaiolo no, infatti è rimasto parecchio perplesso quando gli ho chiesto se faceva le ricariche a terminale ed ha dovuto rispondermi che avevo sbagliato porta.
Ma le insegne non si trovano alla sinistra degli esercizi?
Anche un’altra pizzaiola è rimasta perplessa, quella da cui mi sono presentata alle nove e mezza di sera, in piena chiusura e in piena partita dell’Italia.
“Salve! Vendete i pacchetti di caffè?”
“Ma caffè per la moka?”
“Sì signora, proprio quello.”
Non li vendeva  ovviamente, ma teneva un pacco di caffè smezzato e chiuso con un elastico, nascosto in un mobiletto e me lo ha regalato.

Il centro Vodafone di Via del Corso è così affollato che per farti servire devi prendere il numeretto. Scelgo l’opzione ricariche, premo il pulsante e aspetto il foglietto.
Capita che certi apparecchi sputino foglietti con su scritta anche la data. Capita che certi apparecchi siano tarati male e che sputino foglietti con su scritta una data sballata. Ma esclusa la data odierna rimanevano 364 possibili date, giusto? E a me è venuto fuori il mio compleanno.
Cioè oggi alla Vodafone di Via del Corso, con un calore pazzesco, con un’afa che si moriva, era il 17 febbraio 2002.
Ed è stato guardando quel foglietto che ho capito perché certe volte sono così inaspettatamente felice.
Perché un giorno a caso, uno di quei giorni che pensi siano uguali agli altri, può capitarti, anche senza mai saperlo e senza mai scoprirlo, che per un apparecchio, ma non solo per quello, tu sia ancora com’eri quel giorno che compivi ventun’anni e di cui nemmeno ti ricordi.
Perché un giorno a caso, riesci a sentirti così libera da dimenticare che hai quasi trent’anni, tieni in borsa quattro pacchi di caffè e solo al diciottesimo tentativo sei riuscita a ricaricarti la chiavetta.
Perché un giorno a caso, un giorno qualunque, può essere il tuo compleanno, con sorprese, regali, sorrisi, ma soprattutto senza invecchiare di un anno.

 
 
 

°*°Stuart_Cable°*°

Post n°384 pubblicato il 08 Giugno 2010 da fragolozza

Stuart Cable somigliava a Gene Wilder e quando compariva nei video, speravi arrivasse presto la scena successiva, perché era troppo poco figo rispetto a Kelly e a Richard.

Stuart Cable attraversava il palco in fretta, molto spesso scalzo, e si nascondeva dietro la batteria per tutto il tempo, a muovere le braccia, a muovere le gambe, a muovere la testa, senza che però nessuno se lo filasse. Il batterista, del resto, è in una band quello che il cuore è in una bella donna: ha la sua dannatissima importanza eppure l’attenzione si concentra sempre su tutto il resto.

Stuart Cable aveva lasciato il gruppo, forse perché non aveva più voglia, forse perché non condivideva le ultime scelte, forse perché sperava gli si dedicasse un mai arrivato “Stuat Cable è uscito dal gruppo”.

Stuart Cable  è morto ieri a pochi giorni in più di quarant’anni.

Addio Stuart Cable.

 
 
 

***acidità***

Post n°383 pubblicato il 08 Giugno 2010 da fragolozza

L’organigramma dei miei attuali pensieri è strutturato sul modello di un menù a basso costo, ragion per cui  capita spesso che io arrivi troppo presto  alla frutta.
E vorrei avere meno ragione e più torto, quando rifletto sulla disposizione d’animo di volta in volta per me più opportuna. Ma poiché mi sono resa conto che è facile che i dolci vadano a male diventando acidi, mentre è praticamente impossibile che un peperone sott’aceto col tempo prenda il sapore di una caramella, ho deciso che optare preferibilmente e maggiormente per l’acidità (connotazione incontrovertibile e duratura) è una scelta che non guasta.
Degli svariati guasti emozionali, ai quali a mio modo ho provato a rimediare, restano poche tracce. Soltanto una, o forse due, mi si leggono ancora in faccia, dietro rughe d’inespressione che volutamente tratteggio.
Abbiamo avuto tempo, speranza, illusione e fantasia per pensarci in mille modi diversi. E che ora in quell’”abbiamo avuto” si nasconda un noi, composto da me e qualche altro elemento che non perfettamente ricordo, è sintomo di quanto sia necessario mettere da parte i plurali del passato per sostituirli col singolare del futuro.
Sarà uno sbaglio? Fa niente.
Sarà un errore? E’ umano.
Del resto non c’è nulla di diabolico nella perseveranza. Perseverare è semplice, naturale, spontaneo… in qualche caso dovuto. E se c’è un qualcosa di davvero diabolico, io credo sia smettere di perseverare.

 
 
 

***dieci_anni***

Post n°382 pubblicato il 28 Maggio 2010 da fragolozza

Mi ero convinta che Saverio fosse il mio uomo ideale. Lo avevo capito da come mi sorrideva, ma anche da come mi evitava. Ma più che altro lo avevo capito perché volevo a tutti i costi innamorarmi. Era una necessità fisiologica, non di pelle, ma di natura, di pensieri da orientare verso un punto fisso, di emozioni da provare per la giusta causa.
In quel periodo  trascorrevo le serata in compagnia dei miei amici, seduta sulla panchina della piazzetta che affacciava sulla strada, lo sguardo perennemente puntato sul traffico, così da poter controllare ogni singola automobile di passaggio ed ogni singolo conducente.
Saverio passava e ripassava da quelle parti, al volante della sua Fiat Uno bianca. Mi guardava, ammiccava, sorrideva, salutava con la manina e proseguiva oltre. Faceva così almeno sette volte a sera.
Simone mi prendeva in giro un sacco per questa cosa e mi diceva: “Se gli piacessi, si fermerebbe e verrebbe a parlarti”. Ma Simone non capiva un cacchio di sentimenti e di difficoltà a manifestarli.
Fu per questo che quella sera decisi di sfidarlo.
Come al solito tenevo lo sguardo puntato verso la strada. Erano le dieci e di Saverio non si era ancora vista nemmeno l’ombra, quando ecco sbucare dalla curva una Uno bianca. In preda alle normali convulsioni da cotta, presi a sistemarmi i capelli, a stiracchiarmi i vestiti, ad assumere un’espressione convincente. Fu per il modo in cui Simone si mise a ridere che decisi che dovevo darmi una mossa.
Secondo Simone, io non mi sarei mai trovata un ragazzo. Secondo me, Simone era un idiota.
Presi la mia amica Mary per un braccio e la trascinai giù dal muretto su cui si era appollaiata.
“Forza!- le dissi- Stasera Saverio si metterà con me!”

Saverio non si mise mai con me. Rincorsi la sua auto per un centinaio di metri. Probabilmente se ne accorse e filò via a tutto gas. Ma in compenso quella sera conobbi te.
Ricordo che tornai in piazzetta con un sorriso sornione.
Simone mi chiese: “E Saverio?  Dove hai lasciato Saverio?”
“L’ho perso- risposi- Ma in compenso ho trovato lui.” Mi girai e tu eri lì, affacciato al finestrino dell’auto del tuo amico, che mi sorridevi, ammiccavi e mi salutavi con la manina. Ma non ti limitasti a farlo per sette volte. Avesti la costanza di aspettare che mi avviassi verso casa. E, soprattutto, tu avesti il coraggio di fermarti e di conoscermi.
Il giorno dopo già mi volevi bene. Dieci giorni dopo già mi amavi. Dieci anni dopo è ancora tutto bello.

 
 
 

***la_donna_giusta***

Post n°381 pubblicato il 25 Maggio 2010 da fragolozza
 

Se avessi saputo che riuscire ad essere finalmente la donna giusta per te significava starti a guardare con la bava alla bocca, dipendere da ogni tua decisione, indossare una divisa, marciare, fermarsi sull’attenti e urlare: “Sì signore, signorsì!”, sarei scappata a gambe levate, riconfigurandomi alla maniera iniziale, cioè al tempo in cui non ti piacevo per niente.
Tre anni d’inferno, tre anni nel limbo dell’incertezza.
Non ti piacevo. Punto.
E i motivi erano tanti. Se tu eri ignorante, goffo e cretino, io ero piuttosto cicciotta, altrettanto goffa e discretamente brava a scuola.
Il mio buon vecchio prof di italiano me lo diceva tutte le volte che mi chiamava alla cattedra per interrogarmi: “Cristina cara, devi cambiare, altrimenti gli uomini si spaventano.”
Non ho mai capito se si riferisse al mio aspetto fisico, a quello intellettuale o a entrambi messi insieme, sta di fatto che non era affatto carino fare la figura della tonta di fronte ai miei ventiquattro compagni di classe.
Furono anni di sconforto, anni in cui niente sembrava girare per il verso giusto.
Frattanto, tu lentamente guarivi dall’acne, il tuo torace magro si allargava facendoti somigliare al fratello mancato di Peter Parker ed una miriade di ragazzette cominciava a farti la corte.
Il sabato sera, durante quelle meravigliose serate trascorse per le vie dello struscio del paese, io me ne stavo in un angolino buio a guardarti da lontano, ogni volta con una passera  spaventapasseri diversa al fianco.
Gli amici notavano la mia espressione stralunata, la lacrimuccia sempre pronta a solcarmi la guancia e mi chiedevano: “Come stai? Pensi ancora ad Eddie? Lascialo perdere, non vedi che è un idiota?”
Non rispondevo mai, d’altronde non trovavo appigli per poter dar loro torto, ma passavano pochi minuti e senza che se ne accorgessero, ogni volta mi ritiravo a casa molto prima dell’orario concordato con i miei genitori, a disperarmi e a meditare il suicidio.
Ricordo che in quel periodo le provai quasi tutte: mi taglia i polsi con la coda del tappo di una penna bic, bevvi mezzo flacone di bagnoschiuma Vidal e, dulcis in fundo, buttai giù un’intera scatola delle pillole per la menopausa di mia madre, roba che il ciclo mi saltò per tre mesi e i miei genitori, allarmati, volevano portarmi dal medico convinti che fossi incinta. Fu quella l’ultima volta in cui cercai di farla finita: capii che peggio della morte era stata l’umiliazione e lo sconforto a cui, volontariamente, avevo costretto me stessa e la mia famiglia.
Il problema dei genitori è che non guardano mai obiettivamente ai loro figli: se i miei lo avessero fatto, si sarebbero resi conto da subito che un’eventualità del genere, data la mia inadeguatezza, sarebbe stato possibile solo grazie all’intervento dello spirito santo.
Non che nessuno mi filasse, ma io volevo esserti fedele e, detto francamente, è anche vero che nessuno dei miei spasimanti somigliava lontanamente a Jude Law.
Per un certo periodo, frequentai un ragazzo che i miei amici avevano soprannominato Barracuda. In effetti, aveva dei denti terrificanti, ma nel complesso non era male. Non mi sopportò, però, per molto. Un giorno di fronte al mio ennesimo rifiuto e all’ennesima attestazione del mio amore per te, si arrese. Se solo potessi tornare indietro…
Non credo mi metterei col Barracuda, ma nemmeno ti starei appiccicata con tanta abnegazione.
La fedeltà non ha mai pagato. Non stavamo insieme, a te non importava un cacchio di me, ma sono certa che, se ti avessi reso mammifero corniferino prima ancora che una sera fredda di febbraio tu bussassi alla mia porta, mi chiedessi di scendere e con fare concitato mi proclamassi l’intensità dei tuoi sentimenti, non avrei dovuto aspettare così tanto e soffrire così tremendamente.
La superficialità non si acquista, né si impara.
Invidiavo le ragazzette che uscivano con te per la capacità con cui riuscivano a sopportare l’idea di essere repentinamente rimpiazzate. Eppure, mai e poi mai, avrei voluto essere come loro. Pretendevo di essere per te una figura speciale, la ragazza che, per prima, sarebbe riuscita a farti innamorare. Dietro la tua facciata da impenitente rubacuori, sapevo si nascondeva un animo romantico. Si vedeva da come sorridevi, da come mi tendevi la mano quando avevi voglia di salutarmi.
Non lo facevi sempre. Diciamo che, per tanto tempo, mi hai cercata solo se ti serviva qualcosa, incluso il numero della mia compagna di banco. In quelle occasioni, indossavi la maschera di amicone, mi piombavi tra i piedi e senza alcuna decenza inscenavi il tuo spettacolino da dilettante premuroso.
Non me la prendevo, anzi, ne approfittavo per starti vicina. Il motivo non era mai importante. Ciò che contava era il tempo che riuscivo a trascorrere con te. Ero brava a trovare delle scuse quando, al ritorno da scuola, dove la strada si biforcava in direzioni diverse verso le nostre rispettive dimore, t’intrattenevo col resoconto dell’intera mattinata. Spesso eri educato ma, nella maggior parte dei casi, mi liquidavi con un laconico: “Cri, ma tu non hai fame?”, per poi salutarmi in fretta e lasciarmi come un’abbiocca impalata al centro dell’incrocio.
Riprendevo a camminare, ma senza fretta. Non mi preoccupava l’idea di mangiare un piatto di pasta freddo. Ne avrei fatto a meno volentieri. Non avevo affatto fame in quel periodo. Mangiavo poco, dormivo malissimo e avevo assunto le sembianze di una tossica. In  compenso ci guadagnavo i complimenti delle amiche, per l’improvviso dimagrimento, che rapidamente mi aveva portata ad indossare da una taglia quarantotto abbondante, una taglia quarantaquattro stentata.
Ero ancora lontano, però, dall’essere la strafiga che avrei voluto essere e che ero convinta tu  avresti voluto come fidanzata.
Prima di diventare belli fuori, bisogna strangolare il brutto anatroccolo che si nasconde nelle paludi dell’anima. La mia anima ne era infestata. Per riuscire ad eliminarli tutti avrei dovuto ingoiare un anaconda.

 
 
 

***compromessi***

Post n°380 pubblicato il 20 Maggio 2010 da fragolozza
 

La mano poggiata sulla mia spalla non dovrebbe muoversi verso le guance.
Capisco che questo è il momento ed un luccichio di lacrime mi si spinge oltre le ciglia.
Fisso lo schermo e parole non mie riempiono l’aria di una pesantezza che non solo mi affatica il respiro, ma che mi schiaccia contro lo schienale della poltrona, quasi io non fossi più una persona, ma un’ombra, una di quelle che abitudinariamente calpesti, quando il sole è perfettamente perpendicolare alla figura che la origina.
“Chiamami per nome, dammi del tu”
Ma io scuoto la testa, incapace di dire qualunque cosa. Gli oggetti sparsi a caso nella stanza acquistano movimento e gravitano in ogni dove. Riesco concentrare l’attenzione su una stampa, un nudo di Renoir, ma poi mi rendo conto che la fragilità della ragazza ritratta appartiene anche a me e ritraggo gli occhi. La sensazione di essere sul punto di soffocare non argina il desiderio di piangere, sebbene farei meglio a mettere da parte le energie.
Potrei alzarmi e scappare, inventare una scusa qualunque, accampare un pretesto per venir fuori dalle sabbie mobili dell’attuale contesto.
“Qualcosa non va?” mi si chiede ed io resto ancora in silenzio, poco lucida, ma nello stesso tempo cosciente che mi trovo di fronte alla ruvidità del mondo, quella conclamatami a forza da chiunque, ma che nella mia innocenza non avevo mai ritenuto possibile.
La morbidezza dei desideri ottenebra lo sguardo, allo stesso modo in cui la validità di uno sforzo rende giustificato il merito, a prescindere dal prezzo, dal compromesso, da ogni possibile forma d’abuso che s’interponga al successo.
Il mio silenzio sembra essere un incentivo a continuare e la mano acquisisce coraggio nell’accarezzarmi il viso.
In pochi momenti mi diventa più netta la percezione di ciò che sto vivendo.
Mi alzo, lo guardo e l’uomo con i capelli bianchi non è più la persona che stimavo, quella che mi rassicurava sulle mie capacità, sulle mie possibilità, sul mio futuro.
Leggo nei suoi pensieri ed ora so di essere solo carne, nient’altro che questo e che solo attraverso la carne le frasi che stavo cercando mi mettere insieme acquisiranno una dovuta forma, incideranno sostanza e, forse, mi cambieranno la vita.
Ma non è quello che voglio o, almeno, so di non volerlo in questo modo.
Il mio valore, sminuito dal mio stesso sentire, non vale la perdita dei valori.
“Sai che sono poche le persone per cui faccio una cosa del genere? Sai che non  per tutte scrivo lettere di presentazione?”
Le sue mani si allungano a prendere le mie. Tremo ma non se ne accorge o non gliene importa. Quanto conti la mia reazione è di poco conto.
“Piccola, io ho un potere che tu nemmeno immagini”. In qualche modo resto indifferente, distratta, ma solo all’apparenza, perché dentro è rabbia e umiliazione. E’ tristezza.
Mi sposto un po’ più a lato, senza voltarmi a guardarlo. La stima per l’uomo diventa avversione per gli uomini.
Il raccapriccio, sotto forma di compromesso, svela la vacuità della mia ambizione. C’è un prezzo e non l’ho mai considerato tanto alto come quando sento quelle mani che provano ad accendermi cellule stanche. Non penso perché non ci riesco.
So solo che la mia mente ed il mio corpo non sono mai stati così complici nel rifiuto.

 
 
 

°°°il_coltellino_svizzero°°°

Post n°379 pubblicato il 19 Maggio 2010 da fragolozza
 

E’ un rumore di accozzaglia infelice quello che genera il metallo del coltellino svizzero, battente contro il metallo delle chiavi.
La via d’uscita è lì, nell’enorme tasca del giubbotto, sul fondo, dove ha spinto le dita e dove c’è anche un accendino scarico, che un giorno accese cento sigarette ed ora è solo una carcassa di plastica.
Divina di vita una traccia cerca, ma tra le dita ha morte che mai saprà dare, ma che vuole tenere, perché la lama scatta e un rivolo di sangue sporca il rivestimento interno, la stoffa nascosta, non però fino al punto che la macchia si veda dall’esterno.
Poco importa. Nessuno sta guardando e se guarda è di sguardo patetico che le insudicia il corpo, altrettanto carcassa, ma non di plastica, bensì di carne e troppe ossa, allineate e in qualche caso appuntite contro la pelle che male ostacola la dissimulazione di uno stato altro, lontano, diverso dalla realtà dei fatti.
Il taglio brucia e, per un attimo, la sensazione è quella dell’aria fresca che impatta il viso all’apertura della porta di una stanza a lungo rimasta chiusa. Del resto, i coltelli aprono come le chiavi, ma perché tutto ciò che c’è dentro possa venire fuori, il taglio dev’essere netto e sicuro, quasi clinico, dall’effetto patologico costante, riverbero esterno di una pena interna, non ammissibile e certamente non superabile altrimenti.
Preme le dita, le stringe e l’umida calura gradualmente scivola via, sostituita da un brivido di sollievo e paura insieme, perché non vuole- lei lo sa che non vuole- di un ennesimo errore rinfacciarsi la colpa e poi dolere e ancora maledire l’impulso niente affatto lucido, ma purtroppo brillante, a cercare dentro di sé e mai altrove rifugio ed espiazione, commiserazione e orgoglio.
Stringe ancora, adesso il palmo, e l’emozione è tanto forte quanto lo sarebbe lo shock se riuscisse a vederla per davvero la linea dell’amore che si squarcia e diventa linea d’odio, rancore e rabbia, ma non riesce a vedere altro che buio e nebbia fitta e l’emozione si ridimensiona a normale afflato, non di fiato, ma di veleno, sublimato a particelle di vitanonvita.
Avvilita, abbandona la presa e l’uscita è un’entrata d’inferno dove via, se c’è stata o può essere, è da intendersi solo in un senso: darsi via e non riaversi più indietro.

COLONNA SONORA

 
 
 

***anelli***

Post n°378 pubblicato il 04 Maggio 2010 da fragolozza

Le stanze del mio cuore si relazionano alle persone come le mie dita agli anelli.  Anche quelli più stretti scivolano via e si perdono e, se penso che l’unico che non ho mai perso è un anello larghissimo che mi regalò mio padre quando avevo sedici anni, ho ragione di credere che non ha alcuna importanza la premura con cui si sta attenti a non perdere le cose o le persone. Quelle che non vogliono scivolare via semplicemente si attaccano, rimangono, persistono, senza sfasamenti dovuti alla forza di gravità, senza scivoloni, senza sbattimenti. Le altre? Che importanza ha che fine fanno le altre? Che si smarriscano definitivamente o che casualmente le si ritrovi, cambia poco, perché la sensazione innescata dalla perdita è palindroma.
Tra vuoti scavati e riempiti dalla stessa sostanza non c’è differenza e l’interfaccia connotante la perduta e ritrovata adiacenza è sempre negativa (chiedetelo a Cicala).
Ci vuole coraggio a voler bene. Molto di più  a non volerne.
E forse, proprio perché non ho aspirazioni da eroe, la tonalità baritonale del mio entusiasmo non rallenta il lavorio sincopato delle mie coronarie.

 
 
 

°°°may°°°

Post n°377 pubblicato il 02 Maggio 2010 da fragolozza

Non si può manomettere la cognizione del tempo. Non per molto tempo. Non è possibile.
Ma maggio è maggio e maggio è may, quindi è possibile.
E l’inopportunità di un nome non mi è mai sembrata così evidente.

 

 

LA FINE AMARA (o La Brutta Fine)

Dal momento che ci sentiamo così anestetizzati
Nella comodità del nostro starcene al sicuro
Mi torna in mente la seconda volta
Che ti seguii fino a casa
Ci troveremo senza più alibi
Il due di maggio
Mi torna in mente il periodo estivo
In questo giorno d’inverno
Ci vediamo alla brutta fine
Ci vediamo alla brutta fine
Ogni passo che facciamo che è sincronizzato
Ogni osso rotto
Mi ricorda la seconda volta
Che ti seguii fino a casa
Mi sommergi di ninnenanne
Mentre te ne vai via
Mi ricorda che è tempo di uccidere
In questo fatidico giorno
Ci vediamo all’amara fine
Ci vediamo all’amara fine
Ci vediamo all’amara fine
Ci vediamo all’amara fine
“Dal momento in cui ci siamo intercettati
Sembra proprio come un suicidio
Lento e triste, germogliato dentro di noi
Scuotiti e vedi che sei mia
L’amore ha visto il tuo inganno
Chi vuole cercarti adesso?
Io voglio una tregua
Lo chiederei in lacrime
L’amore amaro ha raggiunto il suo posto
Afferra la gentilezza dentro
Udito un grido
A sei piedi di profondità
Nel giro di sei settimane
La confusione che hai lasciato
Finirà"

 
 
 

***alga***

Post n°376 pubblicato il 26 Aprile 2010 da fragolozza

Non mi piace aspettarti. In verità non mi è mai piaciuto.
Starmene lì ad impilare tessere del mosaico di un eventuale tuo pensiero, che in realtà è mio, perché ho sempre l’abitudine di infilarmi nella testa altrui per provare a capire cosa pensa, perché lo pensa, fino a schiantarmi contro lo scoglio del non pensa affatto.
Starmene lì a mettere insieme gli scatti temporali di una tempesta in un bicchier d’acqua, come io fossi ubriaca di birra e invece, astemia, poi guardarmi intorno e chiedere, sì chiedere ancora, ai profili, alle facce, anche alle sagome indistinte, quando riuscirò a trovarmi? In quale giusto momento?
Ieri, il giorno andato, suggeriva al buio presente un ricordo lontano.
C’eravamo noi, giovani fintanto che bastava a farci sentire un pochino più vecchi, arresi e col fiato corto eppure non ancora stanchi.
Ieri, era il giorno giusto per capire quanto sia psicosomatico il malessere, quanto lo sia il benessere e poi tracciare una linea di contorno, chiudere il cerchio e ingoiare altrettanti cerchietti di chimica fattura.
Si può vivere fingendo di essere un’alga e giustificare l’uso di troppi analgesici nel tentativo di annullarsi?
Non mi piace aspettarmi. In verità non mi è mai piaciuto.
E starmene qui ad rimettere insieme i cocci degli inesistenti tuoi pensieri è il miglior modo che conosco per sfuggire ai miei.

I can let it out... I  still let you in

 
 
 

°°°alla_maniera_di Chuck°°°

Post n°375 pubblicato il 20 Aprile 2010 da fragolozza

Prae_scriptum: giuro solennemente che questa è solo una parentesi e che prima o poi riprenderò a pensare a scrivere e a parlare in maniera decente. Giuro che questo è un semplice effetto collaterale da lettura di romanzo affascinante. Ma aggiungo che la cosa è troppo divertente... malgrado la minaccia che se non la smetto, verrò cacciata di casa.

Raggio di luce di sole illumina estensione bulbare pilifera, detta capelli, di fanciulla codesta pensante e scaturisce riflesso come di 1997 cometa Hale Bopp illuminante cielo.
Stare di sembra in cartolina romantica giapponese con molto grondante albero petalo rosa.
Panchina indolenzisce muscoli di arto superiore, detto coscia, di fanciulla codesta pensante. Uomo accanto seduto parla lingua che fanciulla codesta pensante di capire non riesce. Uomo accanto seduto prova di stringere protuberanza arto superiore, detto mano destra, della fanciulla codesta pensante.
Fanciulla codesta pensante diventare parlante e pronunciare, alterata voce a incazzata maniera,  tre singula verba: “Stare mi lascia”.
Uomo accanto seduto, con occhio di luccicante come lucido lacrima, fa puff di respiro e, a parlare lingua che fanciulla codesta pensante di capire non riesce, riprende.
Cuore Felice Amore
Riesce alla fanciulla codesta pensante di captare singula di queste tre verba.
CUORE: fanciulla codesta pensante informata di essere cuore muscolo a testa e a restante corporea parte che pompa sangue.
FELICE: fanciulla codesta pensante ricorda primum nomen patris sui esse Felice.
AMORE: fanciulla codesta pensante fa perplessa espressione lungo dermatologica superficie rivestente muscolo e nervo e fibra e cartilagine e osso di parte di cranio, detta volto, e a sé medesima ignoranza sua confessa. Fanciulla codesta pensante, da altra galassia venuta, chiede a sé medesima: “Cosa mai essere amore?”

 
 
 

***parolacce***

Post n°374 pubblicato il 19 Aprile 2010 da fragolozza

Prendi Sam e Molly o Ralph e Maggie. Anche Minnie e Topolino vanno bene. Pensi che se avessero avuto più tempo per viversi, non lo avrebbero trovato un modo di scornarsi?
Due ore sono poche o forse troppe perché la finzione cinematografica impregni l’esistenza di chi la guarda. E per ciascuna di queste coppie io avrei trovato un finale diverso. Un finale migliore. (Anche se confesso che non lo so Minnie e Topolino che fine hanno fatto).
Perché pure il soffitto a guardar bene non è altro che un pavimento messo male e troppo distante. Dipende da dove si poggia la testa. E quando io penso certe cose mi rendo conto che,  se fossi l’Uomo Ragno, me ne fregherei delle grandi responsabilità e userei tutto il mio grande potere per saltare da una parete all’altra e  capire se sei superfici calpestabili, in luogo di una, renderebbero meno angusto il luogo in cui vivo. Ma, soprattutto, penso che se fossi l’Uomo Ragno non mi farebbero così schifo le ragnatele.  
E’ un disegno di ragnatela anche quello che tratteggia il fumo di scarico dell’ultima automobile in coda. Voglio sentirmi a posto, voglio sentire che è giusto e, se proprio giusto non fosse, vorrei che qualcuno mi correggesse, come quando ero piccola e dicevo le parolacce.
Culo- schiaffetto.
Culo piscio merda- schiaffone
Culo piscio merda fanculo stronzo- schiaffone sui denti.
Diventi grande quando nessuno ti prende a schiaffi se dici parolacce.
Diventi grande quando, anziché rimediare ai tuoi errori o aiutarti ad evitarli, la gente li usa per riderci sopra.

 
 
 

*°*l'angioletto*°*

Post n°373 pubblicato il 15 Aprile 2010 da fragolozza

“Indossalo per 21 giorni. Tienilo sempre. Al massimo toglilo giusto il tempo di farti una doccia. Ma mi raccomando: fa’ attenzione a come lo tratti e vedrai che tutto ti andrà molto meglio.”
Ok… tanto una stronzata in più, una in meno… cosa cambia?
Cambia che, angioletto metallico viola appeso ad un laccio altrettanto viola o meno, era un sacco che non mi capitava di provare l’esigenza di licenziarmi. Anzi a dire il vero non l’avevo mai provata. Ma forse l’angioletto è servito a mettere in chiaro le cose, perciò… grazie angioletto!
Solo che… era  un sacco che non mi capitava di dimenticare la tessera atac a casa.
Sono già alla seconda tappa del mio percorso e vuoi mettere che proprio oggi ci sono i controllori?  Ho fretta, perché devo comprare un caricabatterie al cellulare, visto che quello che avevo l’ho trovato col filo inspiegabilmente tranciato di netto, e aspetto una chiamata importante e non posso permettere che mi si scarichi proprio adesso. Avvisto l’autobus e gli faccio segno di fermarsi. Si aprono le porte e… PORCA PUZZOLA! “Biglietto o abbonamento?” “Sticacchi!” Ma l’autobus è uno di quello su cui puoi fare il biglietto a bordo e il controllore è così gentile da credermi sulla parola. Forse l’angioletto mi è servito a non farmi fare la multa, perciò… grazie angioletto!
Solo che… era anche un sacco che non mi capitava di subire un furto.
Torno a casa e, prima di entrare, noto che lo stendino è mezzo vuoto. In pratica, non so da chi e, soprattutto, non so perché, ma sono state rubate tutte le mutande e le canottiere del mio ragazzo. Forse l’angioletto è servito a che non rubassero anche le mie??? Su questo, non sono tanto convinta di rendere grazie.
E per fortuna domenica mi scadono i 21 giorni!

 
 
 

*°*lavoro_di_fantasia*°*

Post n°372 pubblicato il 12 Aprile 2010 da fragolozza

La distesa di niente delle sua faccia, intervallata dai normali dettagli anatomici che distinguono una persona da un pezzo di merda qualunque, si allarga in una forma di sorriso predatore... in una forma di sorriso di chi si senta già vincitore.
Io tengo le mani poggiate sui fianchi, a volte le muovo, a volte sto ferma, impalata come un imputato che in realtà è giudice, ma non di se stesso, bensì di chi ha di fronte.
Mi siedo- sebbene non mi sia stato chiesto di farlo-  e, alla mia quasi stessa altezza, la distesa di niente che è la sua faccia diventa l’ideale bersaglio per una gara di sputi, in cui non è solo la capacità di gettata il metro di valutazione per la riuscita dell’impresa, ma anche la potenza dell’impatto.
A confronto con un siffatto ideale, seguo la linea logica del mio pensiero riflettendola sulla mia persona. Quante e quali persone, in un momento qualsiasi della mia e della loro esistenza, hanno provato forte il desiderio di sputarmi in faccia? Spero poche e proseguo nell’analisi del mio interlocutore concentrandomi, stavolta, sul contenuto, data l’impossibilità di dare un senso alla forma.
Ne viene fuori un’accozzaglia di concetti male esposti e male assemblati, dalla quale, presumendo in maniera non troppo lontana dal vero l’intenzione di chi li espone, dovrei ricavare una necessità di riverenza.
Ma io ne ricavo la necessità corretta e ha poco a che fare con l’orgoglio, con la correttezza o con la salvaguardia della mia integrità. E’ piuttosto una forma di giustizia superiore, aliena da qualunque forma di ipotetica e futura vertenza (sindacale e non), che evidenzia in maniera incontrovertibile la differenza tra quanto ancora una volta ho dato e quanto ancora una volta stavo ricevendo.
Secondo mia madre, lavoro troppo di fantasia (e forse per un po' lavorerò solo così). Me lo ha ripetuto sabato mattina, quando le ho raccontato con le mie parole una notizia sentita al telegiornale (c’era una volta un presidente che non andava d’accordo con un altro presidente. Un giorno il primo presidente va nel paese del presidente con cui non andava d’accordo e casualmente muore… ma la cosa più casuale è che l’inchiesta sulla morte viene affidata al presidente col quale il presidente morto non andava d’accordo. Lavoro di fantasia?).
Secondo me, invece, sono fin troppo previdente e piuttosto che fare metaforicamente la fine di quel presidente, io abbandono ogni possibile velleità di mettere ancora piede in territorio nemico.
Non si chiama resa. Io lo chiamo attacco travestito da difesa.
E i miei livelli di stress, di sopportazione e di disgusto, ridimensionati a parametri decisamente inferiori a quelli sfiorati negli ultimi mesi, me ne sono immensamente grati.

 
 
 

***INNOCENT***

Post n°371 pubblicato il 01 Aprile 2010 da fragolozza

Anche una torta a contatto con un palato gaudente, talvolta, se ne frega di quanto la si ritenga buona e si sente semplicemente divorata.
Mi dilungherei se avessi più tempo, più spazio nella testa e più energia... ma non ne ho e mi limito ad autocelebrarmi con l'ennesima canzone che KELLY JONES (che già tempo fa mi aveva dedicato "you're my star") ha scritto per me.

INNOCENT
...Sei innocente
Pensi che tutto sia possibile
E niente potrà accadere a te
Tutto è raggiungibile
Niente ti sconfiggerà in questa vita
Va bene
Tenere le mani
Bere
Nella luce arancione
Brezza estiva
Sentendoci liberi
Baciandoci per la prima volta...

 
 
 

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POETRY

Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.

Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.

 

 

 

 
 

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I really hope ya happy,
 both of you
and maybe sometimes
you miss me too!

 

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