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Messaggi di Maggio 2016

***se_la_vita_ti_affanna***

Post n°524 pubblicato il 26 Maggio 2016 da fragolozza
 

Una delle frasi che non mancavo mai di trascrivere, ogni anno, dalle medie alla maturità, nel mio diario scolastico era "se la vita ti affanna, fatti una canna". Non mi facevo di canne (ne ho provata una, a ventidue anni, dopo aver visto L'erba di Grace, perché speravo di uscirne felice come la protagonista, ma il massimo che mi capitò fu di gettarmi dall'auto del mio ragazzo coi palmi a terra e di farmi tutte le scale di case nello stesso medesimo stile da uomo ragno; e un'altra la sera prima di un concerto dei Placebo, in un club di Roma, di cui ho ancora bene impresse in mente- e forse pure in fronte- le piastrelle e la tazza del bagno per quanto vomitai; peraltro il giorno dopo il concerto venne pure annullato...machevvelodicoaffare), ma trovavo fosse di notevole effetto, soprattutto se preceduta dalla sua variante pornografica "se la vita ti frega, fatti una sega".

 

Oggi ho trascorso una mattinata molto piacevole.  All'Academia Mineira das Letras era ospite Enzo Moscato per una conferenza sul teatro napoletano. Che bello sentir parlare la mia lingua, il mio dialetto! 

Sono rientrata a casa tutta felice e mi preparavo all'impegno successivo, non altrettanto piacevole, quando ho ricevuto un messaggio da una persona che semplicemente mi scriveva - Maria Piaaaaa

L'ho interpretato come un grido ed ho risposto - Ciao. Che succede?

In tutta risposta, mi è arrivato un - Dimmi gioia.

Il fatto è che io non avevo un bel cavolo da dire a quella persona, ma per educazione le ho inviato un messaggio dicendole - Oggi è un giorno molto pieno. A te come va?

Risposta - Non lo so, ma mi sento triste.

Ed è a questo punto che mi è partita la riflessione sul "se la vita ti affanna, fatti una canna" con un mavafancúl allegato, pronunciato con la cadenza di Enzo Moscato. Dico sul serio. 

Perché se vi sentite annoiati, frustrati, tristi, ci sono tante alternative. Compratevi e leggetevi un libro; uscite per strada e limonate con la prima persona che vi piace e ci sta; ascoltatevi un pezzo di funky brasiliano e ballate come delle scimmie; e se proprio non volete fare nulla di questo, ubriacatevi, drogatevi! Ma, per favore, non mandate messaggi a cacchio alla prima persona che vi viene in mente raccontandole della vostra tristezza. Perché non avete idea di cosa quella persona stia vivendo e di quanta fatica faccia a reggerlo. Perché quella persona potrebbe essere molto più triste di voi nonostante vi dica sempre che va tutto bene. Perché a quella persona potrebbe non interessare un emerito cacchio di quanto siate infelici. Ma soprattutto perché forse quella persona darebbe letteralmente un occhio della testa per barattare la sua tristezza con la vostra.

 
 
 

***casa_è_piena_di_ombre***

Post n°523 pubblicato il 24 Maggio 2016 da fragolozza
 

Il bimbo dell'appartamento adiacente non piange. Ulula. E lo so che lavoro troppo di fantasia, ma metti che stavolta sia diverso. Del resto, sono certa che, dopo aver tagliato quelle ultime due fette di salame, il tagliere era rimasto lì, sul tavolo. Potrei averlo poi lavato, ma non ricordo. Supponendo però che lo abbia fatto, dove l'ho posato? La cucina è piccola, pochi mobili ma pieni di cose. E, in mezzo a quelle cose, il tagliere non c'è. Ho controllato persino nel forno, nel frigo, pure nel congelatore. Mi manca di cambiare stanza e cominciare a guardare negli armadi, ma se veramente lo trovassi sepolto tra le magliette o, peggio, adagiato sulla tavoletta del water, il tagliere tornerebbe a posto, ma io no. Casa è piena di ombre, il tagliere potrebbe essere ovunque. Forse qualcuno si è infiltrato di soppiatto in casa, lo ha preso e ci si è chiuso nell'armadio pronto ad aggredirmi appena lo apro. Ma io non sono mica così scema? Non ci guardo nell'armadio, anzi proprio non vado in camera. Passo la notte qui, nella cucina. Casa è piena di ombre e il lupo mannaro continua a ululare.

 
 
 

***tu_vivi***

Post n°522 pubblicato il 19 Maggio 2016 da fragolozza
 

Le sedie e le riviste della sala d'attesa sono le stesse di un negozio di parrucchieri, solo che qui la maggior parte delle persone non ha i capelli. Si porta le mani alla testa per controllare che i suoi ci siano ancora.

C'è qualcosa di profondamente sbagliato nei fatti e pure nelle parole. Perché le parole mica sono tutte buone? Eppure basterebbe poco, perché sono i nomi che fanno le cose e se i tumori si chiamassero tuvivi forse farebbero meno paura. 

Dietro la porta c'è un camice bianco e il sorriso le si blocca nella smorfia dell'ultimo tiro e la cenere persa per strada. 

Le mappe di Google segnavano quindici minuti a piedi che in realtà sembravano quindici kilometri per cinquantacinque minuti a piedi, scanditi dai tac della busta, in cui ha infilato le due ultime tac e la risonanza, contro la coscia. 

È una zona un po' brutta, una zona di quelle che fanno paura a passarci da sola. Ma tanto oramai la paura è qualcosa che associa a quel tempo in cui ancora ignorava di essere vile e mortale. 

Ora il camice bianco le stringe le mani ed appare commosso; lei si ingelosisce per quel dispiacere che proprio non riesce a provare.

 
 
 

***nuotare***

Post n°521 pubblicato il 18 Maggio 2016 da fragolozza
 

Non sa nuotare, ma non è certo questo a fermarla. 
Pochi minuti prima ha litigato con tutti. 
Pensa che i genitori vogliano più bene a sua sorella che a lei e, per la frustrazione, la picchierebbe con palette e secchielli. 
Provano a convincerla che non è vero, che danno più attenzioni alla piccola, proprio perché è piccola, mentre lei è già grande. 
Ma ha sette anni e ricorda bene che, anche quando ne aveva cinque, come sua sorella adesso, già la consideravano grande. Quindi la spiegazione non torna, perché, in teoria, se a cinque anni lei era grande, anche sua sorella potrebbe esserlo.
Essere piccoli è un diritto che i primogeniti perdono nel momento in cui arriva l'altro o, in altre parole, essere grandi è una responsabilità che i primogeniti sono costretti ad assumersi non appena arriva un altro.
Di fronte ha il mare, gigante, azzurro. E l'azzurro è il colore che preferisce, molto più che il rosa.
Dentro quell'azzurro, dove si riflettono nuvole gommose, replicando un cielo molto più a portata di mano, nessuno può farla arrabbiare. Dentro quell'azzurro immenso, lei che non è grande affatto, torna a sentirsi un puntino. Perciò bagna un piede, poi l'altro. Il salvagente è una ciambella di plastica e aria aggrappata a ai suoi fianchi. 
Si volta a guardare a riva, ma non arriva risposta. Muove altri due passi.
L'acqua è tanto fredda, ma almeno la abbraccia.

 
 
 

***sorride***

Post n°520 pubblicato il 11 Maggio 2016 da fragolozza
 

Sorride. Lo fa per gli altri, mica per se stessa? Se vedono che riesce a sorridere, pensano che stia bene e, in fondo, non è così distante dalla realtà. 

Per la logica degli opposti, il fatto che non stia male vale come garanzia di benessere, di cui però coglie meno l'aspetto del bene e più quello dell'essere, inteso come stare, esistere e, quindi, vivere. 

Sopravvivere. 

L'ultima volta, al risveglio, aveva gli occhi rigati di lacrime.

- Non piangere.

Ma non riusciva a smettere.

- Perché piangi?

Non sapeva dirlo e non riusciva a smettere.

Mica voleva piangere? Era un riflesso condizionato dalle sue condizioni, pur tuttavia incondizionato dalla sua volontà. Si sforzava di rassicurarli, di raccontare loro che era un atto spontaneo e incontrollabile, come il tremore quando si ha freddo, il brontolio dello stomaco quando si ha fame.

Temeva avrebbe pianto di nuovo. Temeva che anche stavolta, al risveglio, l'effetto dell'anestetico avrebbe tramortito il suo autocontrollo, scatenandole, in singhiozzi, tutto il pianto ingoiato e taciuto nei giorni precedenti.

Eppure stavolta non piange. Stavolta riesce a controllarsi. Stavolta sorride. Ma lo fa per gli altri, mica per se stessa? Se vedono che riesce a sorridere, pensano che tutto vada bene e, in fondo, non importa se è tanto distante dalla realtà. 

 
 
 

***cuore_alle_ortiche***

Post n°519 pubblicato il 10 Maggio 2016 da fragolozza
 

I brasiliani ti chiedono "Todo bem?" e devi rispondere di sì, altrimenti, se dici no, vogliono sapere perché e magari piangono con te. I brasiliani ti vogliono bene a prescindere, senza riserve, senza diffidenze, e non importa se non conoscono il tuo nome, perché basta loro un attimo per chiamarti amica, sorella, figlia. I brasiliani hanno un sorriso aperto, autentico e sincero, e, quando ti abbracciano, lo fanno forte, come se volessero lasciarti addosso un pezzo di sé, quel pezzo che a te manca, quel pezzo che ti fa male. 

 

Un paio di giorni fa, in preda ad una desolazione senza troppi precedenti, contrariando la mia tipica reazione di fuga dal mondo e da me stessa, consistente nel rintanarmi in una stanza possibilmente buia, sono uscita di casa. Non avevo molta voglia di vedere gente, tantomeno di parlare, avevo solo bisogno di non pensare. 

L'atelier era aperto al pubblico, a chiunque avesse voglia di trascorrere qualche ora disegnando e cimentandosi con gli acquerelli. È stato lì che ho conosciuto P. 

Dopo avermi dato un paio di dritte su come usare i colori, ha cominciato a parlarmi di sé, della sua vita, dei suoi sogni. All'inizio non lo ascoltavo, impegnata a seguire le linee distorte che io stessa tracciavo, con la mano sul foglio e con la mente nei pensieri. Finché alcune delle cose che ha detto hanno attirato la mia attenzione. 

- Sai, io non sono uno che soffre troppo. Una volta, la persona che amavo mi ha tradito. Certo, mi ha fatto male, ma, il giorno dopo averla lasciata, l'avevo già dimenticata. Credo dipenda dal mio essere estremamente razionale. Non lascio mai che le emozioni prendano il sopravvento. Per me tutto ha una logica, soprattutto il peggio. 

Ho alzato gli occhi dal foglio e l'ho fissato. Al contrario di quanto il suo discorso raccontava, non dava affatto l'idea di un individuo superficiale o distante o incapace di emozionarsi. 

- Non hai paura che questa forma di eccessivo controllo sulle tue emozioni, alla fine ti impedisca del tutto di provarne?- gli ho chiesto. 

- Assolutamente no. 

- Io, invece, sì. Perché, vedi, sto passando attraverso qualcosa di orribile e l'aspetto peggiore è che non riesco a provare nulla. So che, al mio posto, un'altra persona sarebbe disperata, spaventata, mentre io, a parte qualche raro momento di rabbia, sono completamente indifferente, come se non mi riguardasse. 

- E dov'è scritto che tu debba per forza provare qualcosa?

- Da nessuna parte, ma comunque mi sento vuota e non voglio che, da una semplice sensazione, questa diventi davvero la mia natura.

- Impedirti di provare emozioni negative non ti renderà mai vuota, anzi, ti permetterà di apprezzare di più le emozioni positive. Tu hai bisogno di difenderti e l'indifferenza, in questo momento è la tua difesa. Perciò non lamentartene, ma, se ti permette di stare bene, vivitela, coltivatela. A proposito, che titolo vuoi dare al tuo disegno?

- Cuore alle ortiche.

 
 
 

***artefice***

Post n°518 pubblicato il 05 Maggio 2016 da fragolozza
 

È frequente scrivere di ciò che si è vissuto, ma vi è mai capitato di vivere qualcosa che avevate scritto? 

Anni fa, parecchi anni fa, cominciai a scrivere una storia. Nulla di importante, niente di preciso, solo una serie di situazioni immaginate, con una protagonista che un po' ero io, un po' non ero affatto io. Ogni capitolo era un racconto a se stante, ma ben armonizzato con gli altri. La disposizione all'interno della storia non era fissa. Avevo deciso solo quale sarebbe stato il racconto iniziale e quale quello finale. 

Poi mi capitò di vivere una circostanza quasi identica ad una di quelle descritte in un racconto. Col senno di poi, potrei pensare di aver forzato un po' la mano affinché i dialoghi, i gesti, fossero uguali a come precedentemente li avevo immaginati, descritti e scritti. Chissà... Sta di fatto che uno di quei racconti prese vita.

La settimana scorsa è successo di nuovo. Solo che stavolta so per certo di non aver fatto nulla affinché le circostanze fossero simili al mio racconto, peraltro al racconto finale, peraltro un finale di merda.

E poiché una parte di me è tanto sognatrice da credere davvero di essere artefice del proprio destino, ho deciso che scriverò un nuovo finale e farò il possibile affinché diventi reale. 

 
 
 

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Le cloache di notte somigliano
a fiumi nascosti.
Scommetti che a perdere il cuore
guadagni più spazio?
Sul banco dei pegni
ho impegnato
il mio ombretto di rosa.
Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.

Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.

 

 

 

 
 

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