MALESIA: tra citta`, giungle e isole da sogno

Post n°39 pubblicato il 26 Ottobre 2011 da marci1987
 

Vista la precedente esperienza del blog che ho tenuto l’anno scorso sul meraviglioso viaggio in Australia (sempre su questo sito, al quale ho semplicemente cambiato il nome!), ho capito che non posso fare a meno di parlare dei miei viaggi. Ho deciso quindi di raccontare delle due settimane passate in Malesia prima di volare di nuovo in Australia. Come mi ero ripromessa a marzo, riesco a realizzare ancora una volta il mio desiderio: tornare nella mia adorata Perth e successivamente fare il giro del sud est asiatico. Ormai tutti sanno quanto ci tenessi a tornare a Perth ma questa volta ci andrò nelle vesti di studente, non più backpacker per questioni burocratiche, infatti, il visto vacanza lavoro che ho usato l’anno scorso si può usare una volta sola e ho dovuto  trovare un altro stratagemma per poter riuscire nel mio intento. Che c’entra la Malesia? Per raggiungere l’Australia il volo avrebbe fatto comunque scalo a Kuala Lumpur e data la mia passione per i viaggi mi è venuta la bella idea di dire “già che sarò lì perché non ci resto un po’ di più e mi visito tutta la Malesia?!”. Così, già a giugno ho cominciato ad organizzare voli e date e pian piano il viaggio si stava pianificando:
10 ottobre la partenza!
preparativiHo iniziato a fare lo zaino solo il giorno prima di partire, non pensavo ce l’avrei mai fatta tra una visita e l’altra degli ultimi amici da salutare. Eppure per l’una di notte ho già tutto pronto e addirittura la stanza in ordine. Alle 6 di mattina i miei genitori mi accompagnano all’aeroporto di Bergamo per dare inizio alla prima parte del viaggio: volo Ryanair fino a Londra Stansted da dove, dopo qualche ora, sarebbe partito l’altro volo fino a Kuala Lumpur con AirAsia.
Durante il tragitto in autostrada, tra uno sbadiglio e l’altro, cerco di fare mentalmente una scansione a raggi X dello zaino per ricordare se ho messo dentro tutto, cosa abbastanza inutile dato che anche avessi dimenticato qualcosa non saremmo certo tornati indietro a prenderla! Saluto mamma e papà e con la mia solita calma e tranquillità mi sposto con nonchalance per l’aeroporto tra imbarchi di bagagli e controlli vari. Troppa calma, mancano poche ore alla partenza e non ho ancora realizzato cosa sto per fare. I primi accenni di emozione li ho quando vedo arrivare il mio zaino dal nastro del recupero bagagli:
lo prenderò e lo metterò in spalla
indossando di nuovo –per sole 2 settimane-
i panni di Backpacker,
un nuovo viaggio ha inizio!
Ma soprattutto tornerò a Perth!
Altra emozione quando leggo il tabellone dei voli in partenza e realizzo che il mio è davvero diretto a Kuala Lumpur! Alle 17.25 l’aereo parte, scelgo sempre il posto vicino al finestrino per gustarmi il panorama e visti i prezzi super economici della compagnia, ci manca poco che debba anche io andare fuori a tenere uniti i pezzi dell’ala traballante. Dopo un paio di ore le cortesi e sorridenti hostess asiatiche ci servono la cena e tra le varie scelte decido di immergermi già in Malesia con un piatto tipico: il Nasi Lemak, riso cucinato in latte di cocco e servito con del pollo, acciughe, mezzo uovo sodo e qualche salsa piccante. Iniziano fortissime turbolenze e il comandante fa sospendere il servizio ristorazione e fa sedere anche le hostess che sono visibilmente preoccupate. Non avevo mai avuto paura di volare prima d’ora, arrivo perfino a sudare freddo e far partire il film mentale con tutta la mia vita che scorre davanti: famiglia, amici ecc ecc ecc. I vuoti d'aria spaventosi ci fanno perfino saltare dai sedili per la perdita di quota. Voglio scendere. Sono passate solo un paio di ore dalla partenza e ne ho ancora 12 prima di arrivare a destinazione. Durante il volo non riesco a dormire per la tensione, la scomodità, la presenza di persone al mio fianco e per gli sbuffi della cena che mi si ripropone con quelle capriole allo stomaco.
volonasi lemak
Poi l’aereo finalmente atterra, puntualissimo, alle 13.25 e mi colpisce, oltre alla soffocante umidità, l’insistenza dei tassisti che assalgono i turisti appena usciti disorientati dall’aeroporto. Mi do un paio di minuti per capirmi e per capire dove prendere la navetta che in un’ora e mezza mi porta alla stazione centrale. Stazione molto grande ed organizzata da dove partono metropolitane, treni e bus che collegano più o meno tutta la Malesia. Raggiungo Chinatown, a una sola fermata con la metro, dove ho l’ostello che mi aspetta. Sono ormai le 4 del pomeriggio e voglio solo sistemare i bagagli e buttarmi in un letto un paio di ore. L’ostello è in una buona posizione, in pieno centro, offre gratuitamente colazione e connessione internet e la stanza è da 24 letti, mai visti cosi tanti, che cigolano anche al semplice respiro ma va bene così, ci si fa l’abitudine. Quasi non ricordavo come fosse dormire in ostello con altre persone, e lo capisco quando un ragazzo inglese continua a parlarmi e farmi domande su domande e io invece avrei solo voglia di dormire.  Verso sera  esco per fare un breve giro della zona, è impressionante l'odore che c'è per strada, talmente penetrante che a tratti mi vengono gli sforzi di vomito! Odori di cibo di tutte le etnie che viene cucinato per strada, il sudore della gente, la spazzatura in qualche angolo delle strade con ratti che cercano la loro cena. Passando tra le bancarelle devo pulirmi ogni due minuti gli occhiali per il vapore di unto, fritto e quant’altro. Odori che non se ne vanno, impregnandosi sui vestiti e sulle lenzuola del letto. Ma in fondo tutto questo mi piace, è il bello del viaggiare entrare nella cultura del popolo assaporandone e odorandone il tutto, buono o cattivo che sia.
Attraversare le strade è una vera sfida tra il pedone e l’automobilista che raramente si ferma per farlo passare, non si fanno nessun problema ad investire qualcuno. Semafori ce ne sono ma la gente attraversa quando vuole e ogni tanto si sente qualche clacson, qualche inchiodata e qualcuno che impreca in malese correndo tra un’auto e l’altra. Sono tantissimi anche i motorini che sbucano da tutte le parti e vorrei capire perché tutti, anche con 30 gradi e più, indossano un giubbotto al contrario cioè a coprire solo le braccia tenendo la chiusura sulla schiena.
kuala lumpurkuala lumpur
Mi ci vorrà qualche giorno per liberarmi dall’effetto del jetlag che mi scombussola gli orari della fame e del sonno e mi ritrovo, per esempio, bella pimpante e super affamata all’una di notte. L’indomani, mercoledì, dopo una lunga dormita esco alla scoperta della città. L’umidità è soffocante, mi infilo in ogni centro commerciale, ce ne sono tantissimi, solo per farmi una dose di aria fresca condizionata. È bello tornare a far funzionare il senso dell’orientamento, le mappe non si capiscono molto, troppo poco dettagliate, cerco di muovermi solo seguendo i cartelli, in lingua malese ovviamente ma riconosco qualche parola chiave scritta ritrovo anche sulla cartina e faccio 2 più 2. Ogni tanto mi perdo in qualche via secondaria o scopro di aver fatto semplicemente il giro dell’isolato, ma non c’è nessun problema, ho tutto il tempo che voglio, nessuno mi aspetta. Il mio stomaco non è ancora pronto a ricevere cibo particolare dopo quello che ho mangiato in aereo, provo quindi a fermarmi in una di quelle catene tipo Mc Donald e company ma in realtà scopro di non aver fame e le alette di pollo impanate scendono a fatica. Piccola curiosità: abituata a svuotare il vassoio quando finisco di mangiare nei fast food italiani, quando faccio lo stesso in questo locale, l’omino che sta sistemando i vassoi si scusa più volte per non aver fatto in tempo a prendere il mio dal tavolo; gli dico che non c’è problema, pensavo fosse il cliente a dover svuotare i vassoi!
klklklkl
Passeggio per i vari quartieri, anche quelli dove le case hanno i tetti in lamiera, ragazzini di forse dieci anni girano in tre sul motorino e altri, più piccoli, corrono per le strade inseguendo galli, gatti e ratti. Sullo sfondo si intravedono le imponenti Petronas Towers che voglio però  raggiungere al tramonto per l’atmosfera più affascinante, a parer mio. La fermata della metro per le Petronas è proprio sotto all’enorme centro commerciale costruito all’interno delle torri e impiego mezz’ora solo per capire come uscirne per vedere le torri dall’esterno. Per lavori, fino a dicembre non si può salire al 41esimo piano, dal quale si può vedere tutta la città. Dopo qualche foto alle Petronas in tutto il loro splendore, rientro al centro commerciale nel tentativo di mangiare qualcosa e assaggio dei noodles tipici della zona, che dovrebbero pure essere piccanti ma non sento nulla essendomi fulminata le papille gustative l’anno scorso a Perth mangiando per 5 mesi la piccante cucina coreana dei miei coinquilini. Un’altra ora, non sto scherzando, per cercare di capire come prendere la metro che parte da sotto al centro commerciale e tornare all’ostello.
petronaspetronastramonto
solo donnePer giovedì mattina ho in programma di andare a visitare le Batu Caves, un’area di 3 cave con templi e statue che tutti suggeriscono di visitare. Mi colpisce il fatto originale che il treno abbia le carrozze centrali destinate alle sole donne, l’ingresso degli uomini è vietato. Sono l’unica europea in quella carrozza e mi sento quasi fuori luogo, mi sento osservata e inizio anche a farmi mille ossessioni su quello che è accettato o meno nella loro cultura, della serie “oh no mi sto mangiando le unghie, posso?”, “sto sbadigliando, come funziona dovrò coprirmi la bocca o è vietato?”, “sono in pantaloncini e infradito, sarò troppo indecente?”, alla fine tutte cose che fanno normalmente anche loro, a parte l’indossare canotte: con quelle, sì, credo di aver osato troppo per loro.
monkeyL’attrazione principale delle Batu Caves potrebbero essere le scimmiette dispettose che importunano i pellegrini e turisti impegnati ad affrontare la scalinata di 270 gradini che porta a due delle cave. Mi aggrego anche io alla massa e mi maledico per aver scelto l’ora migliore per fare quella faticosa scalata: le 9 di mattina e ci saranno già 30 gradi minimo. In cima trovo refrigerio nella prima cava, grandissima, con un paio di templi e statue colorate come tipico di questa cultura e non mancano le bancarelle di souvenir. Vorrei visitare la seconda ma l’entrata è costantemente controllata da un gruppo di quelle scimmiette malefiche, preferisco quindi guardarla da lontano e comincio la discesa ritrovandomi ogni tanto alle spalle qualche scimmietta che mi punta silenziosa con quegli occhioni furbi ma faccio finta di niente e proseguo verso la terza cava. Qui fanno pure pagare l’ingresso 15RM (3 euro) per vedere la galleria interna con varie statue, qualche gabbia con dentro uccelli e scimmie (quando nella cava affianco le scimmiette giravano liberamente), uno spettacolo di 10 minuti di danze tipiche fatte da 4 ballerini abbastanza svogliati.
batu cavesbatu scimmiettescimmiette scimmiette sorvegliano l-entratacave
Per tutto il giorno, tra una cava e l’altra, la mia mente era impegnata ad organizzare i luoghi da visitare nei giorni successivi, cosa vedere e cosa sacrificare, come incastrare bene il tutto. Cosi per porre fine ai miei tormenti, tornando all’ostello chiedo ad un’agenzia viaggi di aiutarmi a sbrogliare i miei pensieri contorti e me ne esco dopo una mezzoretta con in mano il voucher per un tour di 3 giorni, tutto compreso, al Parco Taman Negara, la giungla più antica del mondo, dicono. Dopo la giungla mi sposterò a nord ovest per passare qualche giorno sulle isole Perehntian prima che vengano spazzate via dai monsoni, vista la stagione, da li mi sposterò poi sulla costa opposta per andare all’isola di Penang, restarci qualche giorno e infine prendere l’aereo per Kuala Lumpur dove aspetterò in aeroporto il volo fino a Perth.
danze270 scalini con 3 scatole in testa,ce la fara?lezioni di malese
La giornata di venerdì voglio dedicarla alla visita di Melaka, città 2 ore a sud di Kuala Lumpur e dato l’intricata combinazione di trasporti che devo fare, cerco di essere in stazione abbastanza presto per aspettare il treno che dovrebbe partire intorno alle 9. Dico “dovrebbe” perché dopo 15 minuti di ritardo una vocina all’altoparlante annuncia che il treno in questione è in ritardo… ma va? Non me ne ero accorta… Con il treno devo raggiungere la stazione degli autobus a lunga percorrenza dove prendo quello per Melaka guidato da un curioso autista che mangia arachidi, si pulisce con lo stuzzicadenti, con tanto di rutto libero e sputo fuori dal finestrino. Arrivata alla stazione di Melaka devo poi salire su un bus urbano per raggiungere, verso mezzogiorno, il centro città. Come scendo vengo assalita dai simpatici guidatori di rickshaw, le carrozzine a 2-3 posti tirate da questi omini che pedalano allegramente. C’è un caldo fastidioso e mi limito a guardare la zona del mercato e quella ancora più interessante, la Jonker Street Walk, via con centinaia di ristorantini, botteghine e negozietti di tutti i tipi che avrei svuotato volentieri visti i prezzi stracciati.  Per le 18 sono di nuovo sul bus a rifare tutto il complicato percorso per tornare all’ostello e ancora una volta il treno non passa e devo aspettare pazientemente quello dopo.
melakajonker walkrickshaw
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MALESIA -seconda parte- Tra citta`, giungle e isole da sogno

Post n°38 pubblicato il 26 Ottobre 2011 da marci1987
 
Tag: male2

-seconda parte-
Sabato mattina c’è il tour per la giungla Taman Negara e nessuno alla reception per fare il check out, fortunatamente non devono restituirmi nessun deposito, lascio quindi lenzuola e chiave della stanza sulla scrivania e me ne vado al punto di ritrovo. 8.30 salgo sul minibus che mi porta in circa due ore al villaggio di Jerantut dove ci consegnano i voucher per le varie parti del tour e ci danno le info di base sul viaggio. Per non parlare del buonissimo pranzo a base di riso bianco accompagnato da vari piatti di pollo in agrodolce, frittata, verdure cotte e banana, il tutto da mescolare a piacimento nel riso.
variepranzo super natura
NeI viaggio i grandi palazzoni e il caos cittadino vengono sostituiti dall’immensa distesa di alberi e dal silenzio della natura. Con un altro pulmino, che in salita non ce la può proprio fare, io e gli altri partecipanti raggiungiamo la zona del fiume da dove partono le barche lunghe e strette che portano al villaggio all’entrata del Parco Taman Negara. La gita in barca di 3 ore è rilassante ma allo stesso tempo non è piacevole sentirsi il motore della barca sotto al sedere, che per di più inizia ad indolenzirsi dovendo stare appoggiato sul fondo di legno. Sulle sponde del fiume solo fitta vegetazione, qualche barca abbandonata e ogni tanto dei pescatori o gruppi di bambini che giocano in acqua. Arriviamo nel tardo pomeriggio e conosciamo la simpatica guida dal nome impronunciabile che ci da le varie dritte su come muoverci nel villaggio e sugli orari delle varie attività. Come arrivo all’alloggio, proprio in cima alla collina che guarda il fiume, non vedo l’ora di farmi una doccia per il caldo insopportabile. I bagni sono un po’ rudimentali, la porta della doccia non si chiude, c’è qualche geco che corre lungo le pareti ma specialmente, come nella maggior parte dei bagni malesi, non c’è la carta igienica bensì un rubinetto munito di canna come quelle da giardino, per potersi sciacquare nei punti giusti. Beh un pacchetto di fazzoletti di carta in tasca fa sempre comodo. Tempo di uscire dalla doccia e sto di nuovo grondando di sudore e per l’uscita serale devo fare un’ardua scelta, se morire di caldo o venire divorata dalle zanzare, preferisco la prima perciò indosso pantaloni lunghi e maglia a maniche lunghe, oltre a spruzzarmi addosso una bella dose di Autan.
fiumefiume e barchettefiume
Dopo la cena al ristorante convenzionato (il menu non cambia molto, riso, frittata, verdure cotte e pesce), è in programma l’inutile (per i miei interessi) passeggiata notturna nella giungla alla ricerca di qualche insetto/animale interessante e per le dieci sono già nella mia misera stanza dell’ostello, sola soletta, in compagnia di qualche geco e ranocchie. Ah, a cena scopro che le caraffe di acqua sul tavolo del ristorante non sono per essere bevute bensì per lavarsi le mani…
fiumefiume
fiumefiume
Per mia fortuna, la colazione della mattina seguente prevede la scelta tra fette di pane con marmellate color evidenziatore, o la loro tipica noodles-frittata-verdure. Sto forzando abbastanza il mio stomaco in questi giorni quindi scelgo pane e marmellata con un bicchiere di caffè che uniscono ad una salsina dolcissima misteriosa. Ci dirigiamo nella giungla per la camminata di 3 ore, di cui la prima passata attraversando un percorso di 500mt su ponti sospesi da corde, dicono sia il più lungo al mondo. L’attività del pomeriggio prevede invece la visita di un villaggio di aborigeni malesi, inizia a piovere e mi si scarica la batteria della fotocamera proprio sul più bello quando potevo immortalare i bambini, le mamme davanti al pentolone sul fuoco o gli uomini seduti semplicemente ad osservare noi turisti. Con la pioggia incessante saltiamo di nuovo a bordo di queste barche lunghe e strette per l’ultima parte del viaggio organizzato e la più adrenalinica, affrontare le rapide! Secchiate d’acqua infinite, inutile dire che ero fradicia dalla testa ai piedi…e avevo quasi freddo!
ponti sospesofiumeaborigeni
..segue nell'altra pagina..

 
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MALESIA -terza e ultima parte- Tra citta` , giungle e isole da sogno

Post n°37 pubblicato il 26 Ottobre 2011 da marci1987
 

- terza parte -
Lunedì mattina, l’ennesimo spostamento con i soliti minivan, dalla giungla a Cameron Highlands, altopiano al centro della Malesia che raggiungiamo dopo 6 lunghe ore di sorpassi azzardati, tornanti su tornanti, tra campi di fragole e piantagioni di tè. La temperatura si è abbassata e l’aria è più pulita, la prima impressione nel vedere le case della zona è quella di essere in Trentino Alto Adige, hanno più o meno lo stesso stile e non sembra assolutamente di essere in Asia. Dopo essermi registrata in un ostello scelto sul momento, esco subito a fare un giro del paese che si sviluppa lungo la via principale con negozietti e ristoranti. Per  10 ringgit (quasi 3 euro) mangio quello che è il pasto più buono che abbia preso finora: Banana Leaf Chicken, nient’altro che tante piccole porzioni di verdure e salsine da aggiungere a piacimento su una porzione di riso accompagnata a delle specie di patatine, il tutto, servito su una foglia di banana. Ma è quando vedo annegare nella salsa un misterioso insetto che mi verrebbe voglia di vomitare tutto ma cerco di non pensarci. Con una breve visita dei negozietti scopro, altra piccola curiosità, che l’olio di oliva Bertolli viene messo nel reparto cura per il corpo…
Banana Leafolio
il tempo cambia ed è in arrivo un temporale, anche il giorno seguente, martedì, il cielo è coperto e si alternano leggere pioggerelline a forti rovesci. Giornata ideale per raggiungere le isole eh! Di prima mattina un minivan mi porta al nord, a Kuala Besut Jetty da dove prenderò la barca per raggiungere Perhentian Island. Il viaggio dura 5 noiose ore, saliamo ancora per altri tornanti e il paesaggio dal finestrino sembra un’immagine fissa di quelle verdi colline di tè e fragole. Anche questo autista è un pazzo scatenato azzardando sorpassi da paura rischiando frontali con enormi tir che trasportano altrettanto enormi tronchi di legno, o ancora prendendo a tutta velocità dune di asfalto che fanno saltare dal sedile me e un altro backpacker inglese che trovo a bordo. Io e lui non sappiamo ancora che diventeremo involontariamente “compagni di avventura” sulle Perhentians.
Alle 13 arriviamo al molo dal quale partirà un’ora dopo la barca per Perhentian Kecil, la più piccola delle due isole che formano questo arcipelago. Nell’attesa io e John, quel giovane backpacker, mangiamo qualcosa assieme in un piccolissimo ristorante dove veniamo invitati da una coppia di altri giovani viaggiatori a sederci al loro tavolo e tra un racconto di viaggio e l’altro aspettiamo le nostre ordinazioni che arrivano dopo “solo” 40 minuti e dobbiamo pure mangiare in fretta altrimenti perdiamo la barca. Al molo mi aspetto di trovarmi un traghetto o qualcosa del genere invece ad aspettare noi c’è un comunissimo motoscafo, sul quale salgono oltre a noi altre due coppie. Le borse e borsoni vengono messi nella parte anteriore dell’imbarcazione, noi invece al centro, seduti lungo i bordi. Inizia a piovere a dirotto e in più il motoscafo corre alla velocità della luce, ci arrivano addosso secchiate d’acqua in continuazione dal mare e dal cielo ed è il caso, forse, di tirare fuori gli spolverini. Non c’è speranza invece per borse e borsoni là a poppa, guardo il mio zaino tutto fradicio e spero solo che resista a tutta quell’acqua e che non salti in mare con tutti quegli sbalzi sulle onde. Ogni tanto con gli altri sventurati passeggeri ci guardiamo, guardiamo le valigie e non ci resta che ridere e augurarci che quella mezz’ora di viaggio adrenalinico finisca presto. Arriviamo all’isola, a una trentina di metri dalla riva e viene a prenderci un’altra barchetta ancora più piccola per portarci sulla spiaggia sempre sotto un’incessante pioggia torrenziale che non toglie comunque il fascino di quelle azzurrissime acque dell’oceano. Ci ripariamo nel bar più vicino alla riva dove chiediamo ad altri giovani backpackers consigli su quale alloggio scegliere tra i 15 che si trovano uno dopo l’altro sulla spiaggia. I giovani ci danno la “bella” notizia che il monsone ha  deciso di arrivare prima del previsto e tante strutture e negozi stanno già chiudendo e nel giro di qualche giorno tutta l’isola chiuderà. Io e John decidiamo di cominciare insieme a fare il giro degli ostelli per sentire i prezzi dei dormitori fino a raggiungere la più conveniente conclusione di dividere un mini chalet per 20ringgit a testa (5 euro) con bagno e ventilatore… e letto matrimoniale. Cosa non si fa per risparmiare! Prenotiamo solo una notte, decideremo l’indomani mattina cosa fare, se tornare sulla terra ferma o restare un’altra giornata, per me comunque non più di una perché ho in programma di spostarmi a est, sperando di trovare tempo migliore. Scopro che lo zaino purtroppo non ha resistito a tutta quella pioggia, i vestiti si sono completamente bagnati e non c’è neanche caldissimo perché possano asciugarsi in fretta.
Perhentian diluvioPerhentiansPerhentians
Come se non bastasse, mi si rompe il cellulare perché lasciato proprio dove gocciolava lo spolverino che John aveva appeso ad asciugare. Bene, bloccata su un’isoletta nell’oceano colpita da monsoni, senza contatti con l’esterno e senza la possibilità di girare l’isola per la forte pioggia: questa sì  che è avventura! Quando il tempo si calma esco per vedere la spiaggia e per un bell’hamburger di carne e patatine fritte; dopo dieci giorni di dieta a base di riso e noodles in tutte le salse mi serviva un breve ritorno alla cucina occidentale. Mercoledì mattina il cielo è coperto ma c’è qualche sprazzo di sole all’orizzonte, combattuta sul da farsi affronto i miei dubbi con un pancake alla banana e arrivo alla conclusione di restare un’altra notte sull’isola. Decisione appropriata perché il tempo migliora decisamente e vado con John sull’altra costa, Coral Bay, dove noleggiamo maschera e pinne per immergerci e guardare il meraviglioso fondale ricoperto di coralli. Con noi c’è Will, conosciuto sul motoscafo, un logorroico canadese che dopo aver tossito deve sempre sputare per terra. In uno dei ristorantini sulla spiaggia per 15 ringgit (3euro circa) ci facciamo la cena più buona che abbia mai mangiato in Malesia che supera per fino il pasto sulla banana leaf che ho preso in quel “trentino asiatico”: un pasto completo con porzione di riso, mini patata al cartoccio, tra i pesci alla griglia a scelta ho provato il polipo, fetta di torta alla banana e fetta di anguria. Torniamo poi allo chalet dove passo la notte insonne per il fastidioso ronzio delle zanzare nelle orecchie e per il concerto che un gruppo di rane e rospi stanno tenendo proprio là fuori provando tutte le tonalità possibili.
Coral Bayfantastica cena
Venerdi mattina riorganizzo lo zaino nel caso di un eventuale bagno di pioggia come all’andata, raggruppando i vestiti in vari sacchetti nella speranza che diminuiscano l’effetto bagnato. Lasciamo la stanza e fuori dalla porta dobbiamo scavalcare senza mosse brusche una lucertola di un metro e mezzo. In spiaggia c’è una transumanza di backpackers che spuntano da tutti gli chalet per prendere i motoscafi in partenza alle otto per tornare sulla terraferma. È quasi commovente vedere l’isola svuotarsi, pian piano partono i turisti e partono anche i proprietari delle strutture che chiudono per la stagione dei monsoni. Giornata soleggiata e mare tranquillo, non mi resta che godermi quella mezz’ora di motoscafo guidato da un pazzo che corre a tutta velocità e fa qualche curva improvvisa giusto per schizzarci un po’ d’acqua.
un metro e mezzopartenza
nuvoloni su georgetownSaluto John, tipo molto pacato dall’abbigliamento un po’ hippy e per pigiama una strana tunica, le nostre strade si dividono e alle 10.30 parto, sempre in pullmino, per raggiungere in 6 ore Georgetown, cittadina principale dell’isola di Penang, collegata alla terraferma da un ponte. Per tutta la durata del viaggio il sole splende ma avvicinandoci Georgetown si vedono sulla città nuvoloni neri e non voglio quasi crederci, comincia a diluviare e sono costretta ad aspettare sotto un portico che il tempo si calmi  prima di fare il giro degli ostelli alla ricerca di un dormitorio economico. Il primo mi propone una stanza singola per quasi 5euro e quando chiedo di vederla scopro che è un buco 2 metri per 2 senza finestra, solo un letto e un ventilatore. Ringrazio l’offerta e vado avanti per altri due ostelli fino a trovare una stanza in comune con altre 7 persone per soli 3euro, inclusi internet (un tot al giorno) colazione basilare e super gentilezza dei proprietari.
Le due giornate successive che passo a Georgetown sono praticamente identiche: mattina qualche ora alla spiaggia di Batu Ferringhi ad abbrustolirmi cogliendo quelle poche ore in cui il sole si mostra in pubblico e dove tanti malesi, giovani e meno giovani si avvicinano per chiedere di fare una foto con me o per offrirmi alloggio a casa loro… I pomeriggi invece sono per la città e a fare shopping: andare in luoghi dove tutto costa pochissimo a volte è pericoloso perché si vorrebbe comprare di tutto e di più invece di porsi un freno. La cosa importante è che ho finalmente preso un cellulare nuovo!
batu ferringhibatu ferringhibatu ferringhiriso e pesce in belilssima terracotta
Mi chiedevo perche la via dove sta il mio ostello si chiamasse Love Lane e perché la guida Lonely Planet sconsigliasse di passare da li durante la sera. Un po’ dal nome ci posso arrivare e lo confermo quando passando di sera vedo tante signorine in tacchi e minigonna ferme sui marciapiedi in attesa di qualcosa, o meglio, qualcuno…
Domenica mattina lascio pure Georgetown, con le sue strette vie dove a malapena ci passano 2 macchine e dove nell’aria si sentono misteriose urla di tutti quei gatti randagi. Sono pronta a lasciare anche tutti questi malesi sempre sorridenti con qualche dente mancante che fumano una sigaretta dietro l’altra, ruttano o si mettono le dita nel naso senza problemi mentre gli sto chiedendo un’informazione. Da Penang volo a Kuala Lumpur e qui ecco l’agitazione, una fame improvvisa, mi abbuffo di brioches, crackers, dolcetti e patatine, non riesco a stare seduta cammino avanti e indietro per la sala d’attesa.
In attesa di quello che desideravo ardentemente da tanti mesi : il volo delle 23.50 diretto a Perth.
Perth  ____THE END___

 
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Capitolo Finale, PARTE SECONDA

Post n°36 pubblicato il 12 Marzo 2011 da marci1987
 
Foto di marci1987

(continua da articolo precedente)

Località da ricordare

Perth! (Western Australia), Sydney (New South Wales), Fraser Island (Queensland), Great Barrier Reef – Cairns (Queensland), Broome, Cable Beach (Northern Territory),  Coral Bay, Exmouth (Northern Territory), Wineglass Bay e Cradle Mountain (Tasmania), Uluru (Northern Territory),  Rainbow Beach (Queensland), Noosa Heads (Queensland)

Sensi da ricordare

OLFATTO. Il profumo di eucalipto nelle Blue Mountains. Il profumo di banana bruciata dal sole a Coffs Harbour. Il forte odore di kimchi che i coinquilini preparavano ogni giorno in appartamento a Perth. Il sudore aborigeno per le strade di Alice Springs. Il particolare profumo di vaniglia che usciva dai lavandini dell’ostello di Airlie Beach.

GUSTO. La carne di canguro e coccodrillo. Il piccante cibo coreano in appartamento. L’Apple crumble con custard, dessert che preparavamo (e mangiavamo)all’agriturismo in cui ho lavorato in agosto a Geraldton. La colazione a base di meraviglioso pancake alla frutta, a Katherine vicino a Darwin. L’honey chicken e fried rice del ristorante Chillyz in Perth. La disgustosa pasta dal sugo indefinito in ostello. La disgustosa Vegemite!

UDITO. Lo strano verso di corvi e pappagalli sugli alberi. Il fastidioso cigolìo di quasi tutti i letti d’ostello. Il segnale di via libera dei semafori.

TATTO. Il senso di libertà e freschezza camminando scalza per le vie pedonali, nei centri commerciali, nei parchi. Graffiarmi toccando per sbaglio i coralli della barriera corallina.

VISTA. Gli indimenticabili spettacolari tramonti. Il contrasto tra la sabbia rossa e gli arbusti verdi dell’outback. Il temporale con lampi rosa a Noosa Heads. Il mondo marino nella barriera corallina di Cairns. I sentieri di Byron Bay e Noosa Heads con vista sulle spiagge sottostanti o sulla foresta pluviale. I colori e le forme di Ayers Rock-Uluru in una bellissima giornata di sole.

Curiosità da ricordare

-     Perdere la sim card e ritrovarla mesi dopo nel fondo dello zaino. Perdere la carta d’identità. Perdere la carta di credito italiana. Dimenticare sul bus diretto a cairns il cellulare e farselo mandare il giorno successivo.

-     Venire accusata di aver rubato la piastra per capelli da una ragazza in stanza d’ostello che non riusciva a trovarla nel suo disordine.

-     Comprare una macchina fotografica dopo che la mia, nuova di zecca, non funzionava più per granelli di sabbia nell’obiettivo.

-     Restare a piedi con il van nel mezzo del nulla vicino a Cairns. Essere seguita dalla polizia a sirene spiegate e prendere una multa di 466 dollari per eccesso di velocità.

-     Venire cacciata dalla fattoria vicino a Brisbane, perché non pulivo abbastanza a fondo la cacca di cavallo nella stalla…

-     La frase che mi sono sentita dire più spesso “sono invidiosa/o della tua abbronzatura!”

-     Bruciarmi le papille gustative dopo aver mangiato per 5 mesi il piccante cibo coreano

-     Comprare un Ukulele (piccola chitarrina) all’Ukulele Cairns Festival, in preda a un momento di pazzia! (mi piacciono le miniature) nonostante non sappia suonarlo!    Passare improvvisamente da un taglio di capelli medio lunghi a taglio corto in preda ad un altro momento di pazzia.

-     Ritrovarmi a piangere disperatamente per interminabili ore dopo aver lasciato Perth, il lavoro e gli amici. Non sono ancora “guarita” dalla nostalgia di Perth e capita ancora di commuovermi per esempio in un bar guardando le ragazze che preparano il caffè, facendomi rivivere le stesse scene che vivevo io sul lavoro.

A chi mi chiede se volessi restare di più in Australia rispondo sempre che ormai l’ho visitata tutta e resterei solo per poter passare a Perth un po’ più di tempo, cosa che farò comunque dopo il periodo in Italia! Tante persone mi hanno detto che questo Paese mi mancherà, che una volta tornata a casa starò male perché sarà difficile tornare alla realtà dopo un anno di libero girovagare. Lo so, immagino che non sarà facile cambiare le abitudini che ho avuto per un anno, come non è stato facile all’inizio appena arrivata, cambiare le abitudini che avevo.

Sinceramente considero il periodo che passerò in Italia come una “lunga vacanza” tra parenti e amici, non è ancora tempo per me di fermarmi, comincerò una nuova avventura!

ARRIVEDERCI AUSTRALIA !!!

 

(per motivi di lunghezza del testo, ho dovuto suddividerlo in due pagine e non sono riuscita a caricare foto )

 
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Capitolo Finale , PRIMA PARTE

Post n°35 pubblicato il 12 Marzo 2011 da marci1987
 
Foto di marci1987

Eccoci qui, l'ultimo capitolo di questo racconto del mio Viaggio in Terra Australis incognita. Sarà strano non dover più scrivere pagine su questo blog. Il cerchio si è chiuso, ero arrivata un anno fa a Sydney ed eccomi di nuovo qui dove ho passato in completo relax gli ultimi due giorni di questa avventura. E’ stato diverso arrivare e sapere già orientarmi per la città, la conoscevo, sapevo le vie, le scorciatoie, i parchi, i negozi. Ed è stato emozionante quando tornavano in mente episodi vissuti negli stessi luoghi esattamente ad un anno di distanza, “quello è l’ostello dove ho alloggiato appena arrivata! Chissà se hanno tolto la muffa dalle docce”.. “questa è la banca dove sono andata il primo giorno ad aprire il conto australiano”.. “ed ecco il mc donald’s dove ho consociuto Konrad!”.. "i giardini botanici! vediamo se c'è ancora l'albero di pipistrelli!"

Da qualche settimana non mi rendevo conto che il viaggio era quasi concluso, forse non volevo pensarci e solo a 4 giorni dalla partenza ho davvero realizzato “ehi, non devo più preoccuparmi di prenotare ostelli e spostamenti vari, è tutto finito, sto davvero per tornare in Italia!”. Mi sembra semplicemente di aspettare l’ennesimo aereo per muovermi in una nuova città australiana e invece questo aereo mi porterà a casa! Nonostante sia eccitata all’idea di tornare in Italia, c’è una parte di me che forse vuole restare, l’ho davvero capito ieri, ultimo giorno, quando inconsciamente mi muovevo quasi al rallentatore, in uno stato di iper rilassatezza, come a non voler far finire la giornata per arrivare ad oggi, giorno della partenza. Ho realizzato che per lo stesso motivo, ho passato la notte a guardare episodi di dr House sul pc, il mio inconscio non voleva che mi addormentassi perche sapeva che una volta sveglia sarebbe stato il momento di partire.

È già passato un anno, così in fretta, ho visitato un’infinità di luoghi e girato un intero Continente! Ho conosciuto un sacco di persone da tutto il mondo e stretto bellissime amicizie. Ho vissuto esperienze uniche, momenti di gioia, momenti di sconforto, tensione, nostalgia, euforia, tristezza, noia, meraviglia, stanchezza, tantissime emozioni! Ricordo quando prima di partire ero cosi eccitata all’idea di fare un viaggio all’estero per un anno intero, quasi non ci credevo e non vedevo l’ora di provare tutte quelle impressioni di una nuova esperienza.. e cosi ho fatto! Tra le varie aspettative speravo di passare del tempo in appartamento e ci sono riuscita: ben 5 mesi nella mia adorata Perth. Sempre prima di lasciare l’Italia ero rimasta affascinata dalla semplice descrizione  dei paesaggi australiani che leggevo sulle guide turistiche e ho finalmente avuto la possibilità di godermeli dal vivo. Speravo, tra altre destinazioni, di raggiungere Fraser Island e ce l’ho fatta! Mi aspettavo di fare un periodo di lavoro in fattoria e ci sono riuscita, mi immaginavo nelle vesti di gelataia di un chiosco in qualche spiaggia e sono riuscita davvero a lavorare in una gelateria, non su una spiaggia ma a Perth! Fantasticavo vedendomi su una tavola da surf e infatti non dimenticherò quella sensazione che si prova quando in equilibrio sulla tavola, ci si lascia trasportare a riva dalle onde. Mi immaginavo anche in qualche stanza d’ostello a riguardare tutte le foto scattate fino a quel momento e cosi ho fatto, quante serate passate davanti al pc a guardare e riguardare tutte quelle foto, rivivendo quei momenti indimenticabili, soddisfatta di quello che sono riuscita a fare in tutto questo tempo!

Una volta mi sono chiesta perché dobbiamo fare viaggi così belli con luoghi affascinanti e persone meravigliose se poi sappiamo che dovremo lasciarle per continuare il cammino. Mi è stato risposto che fa parte del viaggiare, fa parte del gioco e dobbiamo accettarlo e in fondo in fondo ci piace cosi. Cosa sarebbe stato se avessimo trovato solo delusioni, luoghi orrendi e persone ostili? O ancora, avremmo forse preferito non fare viaggi del genere, non aver fatto nuove amicizie, che potremo comunque mantenere vive anche migliaia di km di distanza?

Poche ore e tornerò alla vita reale in Italia, impaziente di rincontrare amici e parenti e racconterò loro di questa esperienza unica, questo viaggio meraviglioso, non solo alla scoperta di questo bellissimo Paese, ma anche un piccolo viaggio interiore che mi ha cresciuta sotto vari aspetti, ho anche scoperto e affrontato limiti, pregi, difetti, ai quali in Italia probabilmente non davo la giusta importanza. Credo che anche il vivere in ostello sia stata una lezione di vita, trovo che le regole d’oro siano il rispetto e la pazienza. Il rispetto verso le altre persone, considerazione che tanti backpackers purtroppo non hanno, altri invece si preoccupano di non fare rumore in stanza quando rientrano nel mezzo della notte, si preoccupano di lavare piatti e posate in cucina e metterle a disposizione di altri che stanno aspettando il loro turno per mangiare e tante altre piccole situazioni per una civile e pacifica convivenza. E quando invece si trovano i backpackers maleducati e incivili che non hanno rispetto verso il prossimo, che mi rubano le posate per le quali ho pagato un deposito in reception per averle, che mi rubano vestiti che avevo appeso ad asciugare in terrazzo e che arrivano anche a rubarmi il cibo dalla “borsa del cibo” nel frigo della cucina, bisogna solo armarsi di tanta tanta tanta tanta pazienza.

Non vedo l’ora di tornare a dormire nella mia stanza, con un solo letto tutto per me, senza altre 10 persone che entrano ed escono ad ogni ora del giorno e della notte,  ubriache il più delle volte. Non vedo l’ora di abbandonare l’idea di mettermi in coda per usare quell’unica pentola a disposizione nella cucina dell’ostello; non vedo l’ora di smettere di preoccuparmi di avere sempre con me la chiave della stanza per non restare chiusa fuori, la stessa chiave poi, nella maggior parte degli ostelli, serve anche per aprire la porta dei bagni o per attivare l’ascensore. Non vedo l’ora di smettere di cambiare ostello in media ogni tre giorni spostandomi da una località ad un’altra, impacchettando ogni volta i miei bagagli e non vedo l’ora di avere un vero armadio con vestiti piegati e appesi, non ammucchiati in uno zaino. Non vedo l’ora di indossare i vestiti che ho lasciato a casa e di sentire di nuovo il profumo e la morbidezza dell’ammorbidente: qui infatti non potendo girare sempre con litri di ammorbidente e detersivi vari, ero costretta ad usare un banale detersivo inodore, che era già tanto se riusciva a togliere qualche macchia. Non vedo l’ora di smettere di mangiare panini o quella semplice pasta con salse dal gusto indefinito, smettere di andare direttamente agli scaffali di prodotti di bassa qualità con prezzo super ultra ribassato al supermercato, perché il risparmio veniva prima di tutto. Non vedo l’ora di smettere di pagare 4 dollari per ogni lavaggio di lavatrice, 50 centesimi per ogni pagina stampata o 2 dollari per 15 minuti di internet o cercare il locale più vicino che offrisse connessione gratuita!

Non vedo l’ora di abbandonare tutto questo ma allo stesso tempo sarà strano non dover più convivere con queste piccole attività quotidiane da backpacker.

Ho provato anche cosa vuol dire lavorare per avere uno stipendio con cui pagarsi appartamento, bollette e spese ..e tirare la cinghia nei momenti peggiori. Ho dato un “valore” al risparmio. Il cibo, che era la cosa più importante, qui in Australia credo che costi relativamente troppo e per un backpacker disoccupato tutto quello che costava sopra i 6 dollari (4,5euro) era costoso, sopra i 12 dollari (9euro) era inaccessibile. Comparandolo all’euro può sembrare conveniente, ma vivendoci ogni giorno per un anno si inizia a capire che è tutta un’altra cosa. La mia classificazione di ristorante economico prevedeva una fascia di prezzo tra 4 e 6 dollari, la maggior parte delle volte era cucina asiatica con riso e due scelte di carne; iniziavo a storcere il naso per la fascia tra 8 e 12 dollari che solitamente poteva essere una bistecca con insalata o qualche altra cucina; oltre i 12 dollari non se ne parlava e si cercava un locale economico mandando giù l’amaro in bocca. Quando invece avevo l’entrata finanziaria del lavoro in gelateria potevo permettermi un tenore di vita un po’ più elevato e anche qualche serata con amici in vari ristoranti senza preoccuparmi troppo della fascia di prezzo.

Considerando i prezzi appena citati, la tipica spesa più economica che facevo al supermercato mi durava per circa 4 pasti ed era composta, per un totale di 4 dollari, da 500g di pasta della marca più economica (1 dollaro) e un vasetto di 500ml di sugo dal gusto indefinito nonostante sull’etichetta fosse scritto Carbonara, Napoletana, Bolognese (marca più economica 3 dollari). Sempre meglio dei famosi “2 minutes noodle”s da 50 centesimi, spaghetti insapore da buttare in acqua bollente e pronti in due minuti. Si cercavano sulle riviste per backpackers quei coupon di offerte prendi due-paghi uno, o di pasti da 5 dollari o addirittura gratuiti in locali convenzionati per backpackers. Non si sprecavano soldi in gustosi capricci, bisognava resistere alla tentazione di sacchetti di patatine o dei famosi e Tim Tam, buonissimi biscotti ricoperti di cioccolato con cuore di altro morbido cioccolato: costavano troppo, al massimo si aspettava con ansia l’offerta del 2x1;  i crackers si mangiavano anche se erano vecchi e mollicci, cosi come il pane. Per non parlare di come ci si sentiva quando si passava davanti alla vetrina di qualche pasticceria, con tutte quelle torte invitanti, quei muffins giganti al cioccolato, e quei pasticcini alla crema con tutta quella panna montata sopra: si valutava che il prezzo di una fetta di torta, partivano da un minimo 4 dollari, era l’equivalente di 4 pasti fatti in casa (la spesa al supermercato che ho citato poco fa) e in bocca restava solo l’acquolina, di quelle golosità neanche una briciola. Ogni tanto variavo e mi facevo un paio di wurstel o una bistecca con dell’insalata, o compravo un panino da 60 centesimi e lo imbottivo con un paio di fette di prosciutto da 40 centesimi; lo stesso panino, magari con qualche foglia di insalata e qualche fetta di pomodoro e formaggio, in un bar costava almeno 5 volte tanto. E c’era chi aveva la bava alla bocca guardando con invidia i piatti un po’ più elaborati che altri backpackers con un pizzico in più di fantasia e voglia di cucinare si preparavano in ostello. In rari casi di risparmio di assoluto,  un pranzo era composto da un frutto e una barretta di cerali o altre volte si andava a letto senza cena! Anche le bevande come Coca Cola e Fanta erano bandite, si comprava una bottiglia di un litro di acqua (la più economica mi raccomando!) e una volta finita la si riempiva con quella disgustosa acqua del rubinetto. Si cercava di non spendere soldi per i trasporti pubblici e spostarsi invece a piedi, che lo trovo comunque il modo migliore per visitare una città! Per raggiungere la stazione dei pullman, se non era troppo vicina, io preferivo comunque faticare e farmi mezz’ora a piedi con 18 kg di zaino sulla schiena e altri 5kg di zainetto sul davanti, pur di risparmiare quegli 8 dollari di taxi che avrei potuto invece usare per regalarmi una cena “costosa” in qualche economico ristorante take away o una gustosa merenda con muffin gigante al cioccolato! Se arrivavo in una nuova città nel mezzo della notte, preferivo aspettare su una panchina o in qualche negozio aperto 24 ore, pur di non spendere soldi per pernottare in ostello quelle poche ore rimaste. L’entrata al cinema costava 15 dollari, una notte in ostello partiva da un minimo di 20 dollari, si valutava quindi se era meglio spendere quei soldi per un paio di ore di film o per passare la notte in ostello e guardarsi magari un film salvato sul proprio pc. Anche una semplice rivista di gossip o cruciverba per far passare il tempo durante un lungo viaggio in pullman, costava come il muffin gigante al cioccolato e si preferiva quindi restarsene annoiati a guardando fuori dal finestrino.

 Dura la vita del backpacker eh! Però ci sono anche lati positivi come il rifarmi gli occhi guardando un’intera squadra di rugbisti neozelandesi fare riscaldamento nella piscina del mio stesso ostello! Più seriamente, conoscere tanti nuovi ragazzi, diverse culture, ascoltare le loro esperienze, i loro consigli, condividere le stesse emozioni e le stesse avventure.

...segue nel post successivo...

 
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