Mi chiamo Navarro e faccio il calciatore. Non sono
forte e famoso tanto da fare la pubblicità di un paio di scarpe o da
andare in televisione a dire la vita è adesso (come Totti non
come Baglioni). Però gioco in una grande squadra. Diciamo che non ho
seguito il consiglio di Cesare (Giulio non Maldini) che sosteneva
essere più dignitoso fare il primo in un paesino che il secondo a Roma.
Così gioco poco e guadagno tanto. Ho collezionato talmente tante
panchine che potrei arredare un parco cittadino. Ammetto però che a
lungo andare girano le palle e non parlo di quelle sul campo di gioco.
Coi soldi ci puoi comprare il Cayenne, ma una cosa che ti fumi e ti passa la frustrazione non la vende nemmeno il medico sociale della mia squadra. Capita così che al termine di una partita della fase finale della coppa dei campioni,
quella giocata dai più bravi tra i bravi, mi alzo dall'odiata panchina
(che anche se non è più di legno a strisce ma di pelle di velina
firmata recaro, fa venire lo stesso il culo a strisce e
capita pure di trovarci delle schegge di legno) e mi dirigo colmo di
rabbia repressa verso un giocatore avversario. A causa della mia
tendenza alla sportività (sono un calciatore, mica un ballerino di tip
tap), tra i tanti che in campo emanavano feromoni come licaoni in
calore, ho selezionato il più basso che, incidentalmente era l'unico
mantenuto fermo da una dozzina di compagni di squadra. Sopraggiunto nei
di lui pressi mi sono sentito in dovere di renderlo partecipe della
problematica inerente l'esasperazione del concetto di vittoria generato
da un malsano sistema di valori e della conseguente spirale di violenza
che dai campi di gioco passa agli spalti, dagli spalti alle città poi
porta alla sacrestia, quindi alla cattedra di un tribunale, giudice
finalmente, arbitro (cornuto) in terra del bene e del male.
Lì per
lì il modo migliore di spiegare tutto ciò nella cambogia che si era
creata mi è sembrato quello di assestare un destro dimostrativo, chiaro
e diretto, con l'unico effetto collaterale di fratturare un setto
nasale. Avrei voluto rimanere lì a sentire che ne pensava il mio
onorevole interlocutore, ma in quel preciso istante ho sentito
l'esigenza di correre senza una traiettoria precisa sui prati verdi
dello stadio (visto che il mister non me lo fa mai fare), esprimendo la
mia gioia interiore con un sorriso solo all'apparenza ebete. Ero
felice. Perché molti altri calciatori come me, famosi e meno famosi (io
meno, come avrete capito) hanno seguito il mio esempio e correvano
dietro di me con lo stesso animo giulivo.
Purtroppo qualcuno ha
frainteso le mie intenzioni e le menti semplici hanno percepito solo un
panchinaro che senza motivo ha colpito da vigliacco un avversario che
non poteva difendersi e che poi è scappato ridendo come un seienne che
ha appena suonato dei citofoni a caso. A causa di questa gente semplice
ora vogliono squalificarmi per cinque giornate.
La cosa ha leggermente
scosso la mia dignità di calciatore, ma il provvedimento non
cambierebbe di una virgola il mio minutaggio in campo e mi
consentirebbe di fare una capatina al billionare per mondare le mie colpe e trovare la forza di perdonare.
Se
io fossi una persona di buon senso potrei pensare che cinque giornate
di squalifica non sono niente. Che forse uno come me non dovrebbe fare
sport. Cioè magari potrei andare a correre la domenica mattina nel
parco cittadino (quello con le panchine), ma non dovrei rappresentare
l'elite dello sport perché violenza gratuita, codardia e stupidità non
hanno nulla a che fare con i valori della sportività e i ragazzini che
sognano la coppa dei campioni guardano anche gente come me, anche se
sto seduto a bordo campo. Sull'onda di tutta questa intelligenza
penserei anche che forse non è giusto che noi calciatori bravi e
fortunati veniamo tutelati in questo modo. Che forse un giocatore di
hockey su prato di terza categoria amici degli amatori, se da
un pugno a un avversario lo mandano a casa per un anno. Potrei anche
pensare (ci sto prendendo gusto) che fare il calciatore è il mio
mestiere e che se facessi lo sportellista alle poste e dessi un pugno
in faccia (avete notato che coniugo verbi come uno grande?) a un
postino avversario o a un cliente, probabilmente dovrei trovarmi un
altro lavoro. E a volte uno sportellista delle poste ha più motivi di
un calciatore per menare le mani.
Ora dovrei smetterla perché se
continuo con tutto questo scavare nei ragionamenti potrei arrivare a
pensare che invece di cinque giornate di stop dovrei passare un po' di
tempo in miniera (con tutto il rispetto per i minatori).
Io comunque
ho chiesto scusa. Anche se, sempre in accidentale presenza di
raziocinio, potrei considerare queste scuse solo una forma di captatio benevolentiae
(una forma di che?? è un formaggio svizzero?) perché uno si scusa di un
atto involontario, un errore non voluto, un momento di follia. Io mi
sono alzato dalla mia panca di legno recaro con l'idea di
andare a rompere il naso a un tizio che non mi aveva fatto niente e poi
sono scappato ridacchiando. Quali scuse posso avere? Forse la cosa più
furba sarebbe riguardare quello che ho fatto (tanto le indignatissime
televisioni di tutto il mondo lo rimandano come fosse una cosa
importantissima, chessò, un fallo di mano in area) e riuscire
finalmente a vergognarmi e a vedere tutto ciò che non è sport in ciò
che faccio insieme ai miei amici calciatori famosi (seduti e in piedi).
E chissà magari il calcio tornerebbe ad essere come l'hockey su prato:
uno sport. E non si vedrebbero più bambini di 10 anni scimmiottare i
grandi e rotolarsi lamentandosi di un fallo mai subito reggendosi il
parastinco firmato.
Penserei tutto questo, ma per fortuna sono un calciatore.
(thanks to CelodiceHillman)
Inviato da: nefertiti_86
il 22/06/2009 alle 14:11
Inviato da: life insurance basics
il 17/04/2009 alle 09:25
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il 17/04/2009 alle 09:11
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il 17/04/2009 alle 08:00
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il 17/04/2009 alle 06:29