Creato da Airetikios il 18/06/2011
Se Dio esiste ,forse non sono io.

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Sono qui

Post n°154 pubblicato il 09 Novembre 2011 da Airetikios

Sono qui!

E' un periodo un po' così-così, il lavoro mi prende e devo fare attenzione  a come si svolge perchè ci sono ondate pericolose e si sa che di solito il primo a finire in mare è colui che sta in coperta.

L'altro giorno il miracolo l'ho realizzato davvero, ma è stata una goccia nel mare e diventa sempre più difficile far emergere la fatica di raggiungere gli obiettivi soprattutto dovendo denunciare che la zavorra più grossa che mi devo portare dietro è rappresentata dalla burocrazia aziendale a cui ultimamente si è aggiunto un altro pezzo.

Diventa difficile se i burosauri che costituiscono il problema se ne devono rendere conto.

E' caratteristica dell'animo umano, più si sale nella carriera e più si è convinti di essere importanti, di essere indispensabili e ci si ostina a voler far pesare questa situazione con il risultato di bloccare i flussi naturali, di sconvolgerli, ingrovigliarli.

Per contro se una posizione di rilievo richiede l'assunzione di responsabilità, a quel punto tutti nicchiano, tentenanno, aspettano che qualcun altro più in alto o più in basso se ne assuma l'onere.

Visto che mi faccio un vanto di essere il più in basso di tutti, il soldato Nemecsek dei ragazzi della Via Paal, unico soldato semplice in un esercito di caporali, sergenti, capitani, colonnelli, generali, alla fine tocca a me assumere e rogne e le responsabilità ben sapendo che alla fine se tutto funzionerà avrò semplicemente fatto il mio lavoro, in caso contrario sarò aspramente biasimato.

Qualcuno potrebbe dire "ma chi te lo fa fare?"

Semplice, è la mia faccia quella che si vede, quella che i clienti conoscono ed alla mia faccia bruttina fin che si vuole, sono affezionato , ci tengo.

Sono piemontese, abituato da sempre al concetto dell'onore e del dovere, se una cosa deve essere fatta si farà, mi piace andare in giro a testa alta e poter guardare le persone negli occhi.

Per questo i clienti di me si fidano.

Scusate lo sfogo, il caffè è pronto per chi lo vuole.

Alex

 
 
 

Domenica di pioggia

Post n°153 pubblicato il 06 Novembre 2011 da Airetikios

Ormai non si capisce più se in tutta Italia ci sia un clima di isteria o se sia il caso di preoccuparsi davvero e magari iniziare a costruire un'arca.

Sul giornale leggo di allarmi, sfollamenti, preoccupazione per le piene, il Po salito di 4 metri e mezzo , (altre volte è salito di dieci metri) , le scuole chiuse a Torino Lunedì  prossimo e via dicendo, ma non riesco a rendermi conto se sia emergenza vera o piuttosto un cautelarsi preventivamente dopo quanto accaduto a Genova.

Queste sono le prime piogge autunnali, c'è da prevedere che non saranno le ultime soprattutto se le temperature non scenderanno, (ieri sera c'erano 18 gradi), non possiamo vivere nell'ansia e nell'angoscia ad ogni rovescio.

Capisco la preoccupazione ad Alessandria, in quella zona c'è una conformazione particolare con il Tanaro e la Bormida che confluiscono nel Po a breve distanza l'uno dall'altro.

Se il Po è in piena è ovvio che l'acqua dei due fiumi non riesce a defluire ed allora torna indietro ad allagare le aree golenali.
Fino a qui tutto normale, le aree golenali sono fatte apposta, ma quando sono ridotte e soprattutto quando si è costruito in quell'area è facile che il reflusso delle acque arrivi fino in città.

Mi pare che manchi quella cosa basilare che si chiama "conoscenza del territorio" e che alla fine si traduce in prevenzione.
Mi pare anche che ormai manchino, da parte dei tecnici comunali, provinciali e regionali le competenze idrogeologiche necessarie a fare il proprio lavoro o forse mancano semplicemente i soldi, ma allora perchè riempire le strade di tante rotonde inutili?

Per andare su toni più leggeri trovo che questo cielo di novembre sia dispettoso come quello di marzo.
Ieri volevo andare a fare una passeggiata. Scruto il cielo, non piove ed in più ci sono ampi squarci di azzurro, quindi lascio a casa l'ombrello e mi avvio.

Faccio 200 m ed inizio a sentire delle gocce sul coppino. Tra me e me penso che siano gli alberi che gocciolano, ma poi mi accorgo che anche in mezzo alla strada le pozzanghere sono interessate dal plin plin delle gocce.

Ritorno velocemente verso casa a prendere l'ombrello mentre il rovescio si fa più violento.

Prendo l'ombrello, lo apro, riprendo il mio cammino e  ritornato grosso modo dove aveva iniziato a piovere improvvisamente smette.
La mezzora successiva è stato tutto un aprire e chiudere l'ombrello e non mi sono goduto la passeggiata nemmeno un po'.
Uffa!

Alex

 
 
 

Sabato di relax

Post n°152 pubblicato il 05 Novembre 2011 da Airetikios

Piove, ma non fa freddo ed allora me sto qui con il caffè da una parte e la finestra aperta dall'altra a vedere la pioggia che scroscia sui tetti, scivola tra i coppi, infradicia gli alberi e le foglie morte che fino a ieri crocchiavano sotto i passi.

E' un periodo in cui la tecnologia si ribella contro di me e considerando che risolvere le rogne tecnologiche è il mio lavoro significa che le cose non vanno propriamente bene.

Capitano questi periodi, crdeo che nessuno li abbia mai studiati, ma sono delle specie di bioritmi . Ci sono momenti normali, in cui le rogne arrivano, (è nella loro natura presentarsi), ma le affronto e le risolvo con la fatica strettamente necessaria.

Ci sono poi delle sorta di "magic moment", in cui mi basta l'imposizione delle mani o la semplice presenza e tutto si risolve , ma capitano anche periodi come le ultime due settimane in cui tutto ciò che tocco si rompe, sistema una cosa e se ne guastano altre due.

Ieri sono stato fino alle nove di sera ad inseguire problemi su problemi , ma davvero se tutto funziona mi prendo il merito di un piccolo miracolo, staremo a vedere , al momento mi riposo.

Stamattina era bellissimo stare sotto le copertucce ad ascoltare la pioggia cadere, l'aria profumata di pulito che entrava dalla finestra aperta.

Ho messo le lenzuola di flanella "caldose" nel letto, due copriletto pesanti che però non tengono caldo, ma dalla mia parte ho messo 'n coppa a tutto, un plaid di pile ed è una goduria girarsi e rigirarsi inseguendo i pensieri senza il tormento di doversi alzare.

Poi, vabbè, più che il piacer potè il digiuno e mi è venuto un irrefrenabile desiderio di caffè e dunque eccomi qua.

Buon sabato a tutti

P.s Mi rendo conto che , pensando a Genova, alla Lunigiana, alle Cinque Terre il video possa sembrare di cattivo gusto, in fondo la "november rain" ha portato disastri, ma è comunque una canzone bellissima



Alex

 
 
 

IV Novembre

Post n°151 pubblicato il 04 Novembre 2011 da Airetikios

Pioveva quel 4 novembre 1918!
Pioveva sulle trincee che si stavano svuotando
Pioveva sulle interminabili colonne di uomini, animali e mezzi che arrancavano nel fango in una lenta marcia
pioveva sugli uomini dalle diverse divise, ma con lo stesso sentimento nel petto:"E' finita, sono sopravvissuto"
pioveva soprattutto su 1.500.000 tombe, sui piccoli cimiteri di guerra, sulle fosse comuni, sui campi intrisi di sangue, sui reticolati divelti.

La resa era stata firmata alle 15.30 del 3 Novembre, ma sarebbero ancora servite 24 ore per avvisare tutte le truppe austriache lungo il fronte e per permettere agli italiani di conquistare altro terreno.
Servivavo 24 ore anche e soprattutto per inviare in tutta fretta una nave da guerra a Trieste, quasi un simbolo della liberazione, della città irredenta.

Attorno alle 15 del IV Novembre un gruppo di cavalleria italiana agli ordini di un giovane ufficiale si lancia all'assalto di una postazione di mitragliatrici rimasta a proteggere la ritirata dell'esercito austriaco, non si sa ancora oggi il perchè di questa carica, cosa abbia pensato l'ufficiale, quella che era stata la regina della guerra canta per l'ultima volta, Non sopravvivrà nessuno, nè gli uomini, nè i cavalli.

Un minuto dopo la guerra era finita!

E' da quando sono bambino che mi interesso alla Prima guerra mondiale, guerra di uomini, prima che di mezzi, una linea netta nella storia, ciò che era prima non sarà più dopo, il modo di combattere, il modo di concepire il nemico, il modo di morire.
Come amo fare in ogni cosa mi piace scostare i veli della Storia fino ad arrivare agli uomini, all'eroismo degli umili che morivano perchè qualcuno li mandava in salita incontro ad una mitragliatrice, all'idea di eroismo dei generali e degli ufficiali che credevano disonore mettersi al riparo, tanto da ridurre dei plotoni al comando di un caporale solo pochi mesi dopo l'inizio della guerra ed obbligare gli alti comandi ad emanare una direttiva che vietava ai sig. ufficiali di esporsi senza motivo al fuoco nemico.

Ma scostando i veli della retorica si scopre come la nostra più grande virtù sia stata quella di saper resistere, non il valore tattico degli strateghi militari, non la preponderante massa umana, non la superiore qualità tecnica dei mezzi, ma la pazienza e l'abnegazione degli uomini disposti a morire da ambo le parti senza chiedersi il perchè.

Non sono stati i generali italiani a vincere la guerra, non sono stati i fanti austriaci a perderla, leggendo le pagine di Fritz Weber, ufficiale di artiglieria dell'esercito austriaco vi si trovano le stesse emozioni, le stesse sensazioni, la stessa umanità priva di esaltazione delle pagine di Lussu, di Ungaretti.

A cosa è servita la Prima guerra mondiale? Si potrebbe fare un lungo discorso sulle motivazioni, i pro ed i contro, ma sinteticamente si può dire che dal punto di vista territoriale è stata inutile, trentanni dopo avevamo perso quanto si era guadagnato a così alto prezzo, ed anche prima, per garantirsi la neutralità dell'Italia l'Austria era disposta a concessioni pressochè totali.
La prima guerra mondiale serviva come collante per tanti popoli, divisi da secoli e che da pochi anni erano divenuti uno solo, serviva a creare un senso di patria, un senso di unione tra tutti gli abitanti della penisola, per questo è oggi festa dell'Unità Nazionale.

Per questo vorrei prendere per i marroni i leghisti che predicano "i soldi del Nord rimangano al Nord" e farli percorrere leggendo ad uno ad uno le file di Esposito, Palumbo, Siciliano posti sotto una croce ed una data, per far loro  capire che la loro "ricchezza" poggia ancora oggi su quelle scommessa.

Alex

 
 
 

Caterina

Post n°150 pubblicato il 03 Novembre 2011 da Airetikios

Il cancello della casa famiglia si apriva su una via abbastanza vicino al centro di Racconigi, una di quelle vie vecchie dei paesi di una volta, troppo centrali per essere periferia e troppo periferiche per essere curate.

Dietro al cancello un piccolo cortile, al piano terra le zone comuni, il refettorio con la cucina ed il laboratorio dove si facevano quei lavoretti che non rendono nulla, ma servono ad impegnare il tempo, al primo piano le camerette dove si dormiva in due o tre per stanza e c'era sempre lo spazio per accogliere un ospite o un amico.

Una piccola comunità di cui non ricordo il nome, poteva essere "arcolabeno" o "girasoli", un nome semplice, un grande disegno sulla porta che serviva più che altro perchè se un ospite si perdeva gli bastava poter dire quella parola o mostrare il cartoncino con l'indirizzo e veniva riaccompagnato.

Gli ospiti erano liberi di andare e venire, si cercava di inserirli in qualche modo nel tessuto sociale della città cercando piccoli lavoretti, ma a quei tempi, quasi 35 anni fa non c'era ancora la sensibilità di oggi e si pensava che quelli li , "ca l'eru pa da bin", fossero più che inutili, un peso per la comunità.

Nel mio dialetto la frase che ho riportato prima significa che non erano a posto, non erano normali , o meglio non erano per bene e veniva usata indifferentemente sia per i down, che per i malati psichici. E' una frase talmente radicata in me, nella mia cultura, che ancora oggi non riesco a vederla con una valenza di giudizio negativo, ma come una classificazione povera e sommaria, un po' come il tempo che si divideva in giornate in cui pioveva oppure no.

In questa casa abitavano dai sei agli otto ragazzi e ragazze con problemi di varia natura e tre ragazze che fungevano da assistenti,  coordinatrici, amiche ma che per nessun motivo volevano essere distinte dagli altri, quella era una famiglia e loro erano a tutti gli effetti membri di quella famiglia, con pari diritti degli altri.
I doveri erano ovviamente diversi, ma questo faceva solo parte del concetto per cui chi poteva dare di più lo avrebbe fatto, come si direbbe oggi, senza "se" e senza "ma".

Una di queste ragazze era Caterina. L'avevo conosciuta per via di quegli incroci strani che avvengono quando sei adolescente, un mio amico era moroso della MariaTeresa che era amica dell'Ornella che era la sorella di Caterina, così' un giorno al compleanno a casa dell'Ornella mi sono trovato a parlare con lei. Ci siamo raccontati, o meglio lei mi ha raccontato, io avevo ben poco da raccontare se non qualche cazzata alle spalle di cui ero più o meno orgoglioso. A quel tempo bazzicavo con il gruppo Abele di Rivalta, nel senso che frequentavo i locali, partecipavo alle attività, suonavo la chitarra insieme a Dario e facevo parte di quei ragazzi fuori dal giro che danno un senso di normalità al tutto.

Lei mi ha raccontato di quello che faceva e tra le altre cose mi ha detto che tra gli ospiti c'era un ragazzo del mio paese che conoscevo, e poi l'invito "Perchè non vieni a trovarmi?"

E' iniziato così un periodo bello, lei era poco più vecchia di me ed aveva già la patente, passava a prendermi con la sua 2CV rossa, la mitica Citroen 2CV con i finestrini che si aprivano a metà in senso orizzontale e quando viaggiavamo alla pazzesca velocità di 70Km/h si muovevano nell'aria come le orecchie di un cocker.
Quando sopra eravamo in quattro la partenza in salita non era possibile, se ci fermavamo al passaggio a livello di Racconigi, per ripartire dovevamo scendere, lei iniziava a muoversi e risalivamo al volo.
Tempi mitici!

Ma per me il suo lavoro non era semplice, per me non era facile essere di aiuto. per carattere, per educazione metto barriere alte alla comunicazione, alle relazioni interpersonali, metto spazio tra me e l'interlocutore e così un sistema di relazioni per cui era naturale che un ragazzo o una ragazza della comunità ti abbracciasse per dirti che era contento di rivederti mi metteva in imbarazzo, quasi in soggezione.

Per Caterina invece era tutto naturale, li capiva, si entusiasmava per i loro stessi entusiasmi, lei sorrideva ed il suo sorriso era una luce che le accendeva il viso e gli occhi.

E cercava di spiegarmi quel mondo in cui mi muovevo come un pesce fuor d'acqua, il più a disagio ero proprio io, quasi a rimorchio, anche io come gli altri ad accudire a semplici compiti, taglia le cipolle, pela le patate, lava i piatti, suona qualcosa.

Caterina rideva quando le spiegavo le difficoltà che incontravo, e mi raccontava che forse avrei dovuto semplicemente lasciar fare ai ragazzi perchè il mio problema era la rigidità, in un certo senso mi sentivo superiore e dentro di me pensavo di dover essere io ad instaurare una comunicazione, mentre invece la comunicazione deve sempre avvenire ad un livello comune.

Mi ricordo bene quella chiaccherata, era l'estate del '77, sera tardi, tutti riposavano e noi stavamo fumando una sigaretta nel cortile godendoci un po' di fresco.

"Tu sei bravissimo", mi diceva, "ma come tutti quelli che si reputano normali pensi di dover essere tu a scendere al loro livello, pensi di dover essere tu ad aprire ponti con loro e non ti rendi conto invece di quello che loro possono insegnare a te, tu pensi a loro come portatori di handicap, e non riesci a vedere che sono semplicemente persone, ragazzi come te e me
Tu pensi di doverti abbassare al loro livello e non capisci che invece sono su un altro livello, non più in alto o più in basso, semplicemente un altro piano, in cui sanno muoversi e si sentono a loro agio, un piano in cui invece tu ti trovi in difficoltà"
Ed un altra volta mi disse ancora
"Tu credi di sapere cosa sia l'amore ed hai la testa piena di concetti epici, di parole altisonanti, ed invece l'amore è sostanzialmente capirsi, accettare che un altro entri nel tuo spazio, non difenderti, ma accoglierlo".

E' difficile cambiare un atteggiamento in maniera razionale, è difficile capire qualcosa con il cervello ed applicarla al cuore, perchè di norma ragione e sentimento camminano per strade differenti, per cui ho continuato a faticare, ma ad impegnarmi gratificato dal sorriso di Caterina, dalla sua amicizia e da quella sensazione di avere a portata di mano qualcosa di straordinario, ma che non riuscivo ad afferrare.
Dove però mi trovavo a mio agio era con la chitarra, stonato io, stonati i ragazzi, ma chissenefrega, si canta tanto per cantare mica per andare a sanremo.
Uno degli ospiti era Antonio, un ragazzino taciturno, introverso, che amava solo la sua tromba. Quasi mai c'era verso di riuscire a suonare qualcosa insieme, anche se si interessava alla musica che gli facevo ascoltare. Il "gloria in excelsis deo di Handel", "l'Ave Maria" di Gounod, i concerti di Vivaldi, tutti pezzi a cui la tromba regala un fascino particolare.
Ma anche Granada, il De Guello, il silenzio.

Per uno spettacolo avevamo provato l'Ave Maria di Gounod, io alla chitarra e lui alla tromba, Caterina a fare da mediatrice.
Era davvero bravo, non leggeva la musica, andava ad orecchio, ma se imparava una cosa non la dimenticava più.
Avevamo partecipato ad uno spettacolino in una parrocchia e tutto era andato bene, tanto che Caterina gli aveva detto che lo avrebbe voluto a suonare l'Ave Maria al suo matrimonio.
Era questa una promessa penetrata nella testa di Antonio che molte volte le faceva capire a suo modo che se ne ricordava  quasi a chiederle "quando sarà?"

Nel frattempo la vita seguiva i suoi ritmi, la vita di ognuno di noi segue le sue personali strade che a volte si allontanano altre si avvicinano, nel maggio 1978 sono partito militare, di ciò che avvenne in seguito ho avuto solo un racconto.

E' successo una sera che ad un incrocio, un furgone non avesse rispettato la precedenza e centrato in pieno la 2CV che stava arrivando, quella scatoletta di sardine si era accartocciata come fosse stagnola ad avvolgere un corpo immobile.
Trasportata all'ospedale le erano state riscontrate varie fratture, ma soprattutto un grave trauma cranico. Caterina era in coma e sembrava non volesse svegliarsi.
Al suo capezzale si alternavano i genitori, gli amici, i ragazzi e le ragazze della casa famiglia, le parlavano, le facevano ascoltare la musica che le piaceva, la stimolavano massaggiandole le mani, ma sembrava davvero che nulla potesse arrivare là dove lei era, nulla che potesse richiamarla, riportarla indietro.

I medici avevano lasciato fare, anzi all'inizio avevano anche incoraggiato questi tentativi, ma erano ormai passati quasi due mesi dalla data dell'incidente e Caterina non reagiva assolutamente, oltretutto l'ospedale di Fossano era troppo piccolo per tenere una persona così grave ed allora si stava decidendo di trasferirla a Torino, alle Molinette dove avrebbe potuto essere seguita meglio, ma questo significava la quasi impossibilità per i ragazzi di andarla ancora a trovare, di starle vicino.
La disperazione era palpabile,

Quel pomeriggio Antonio uscì da solo, da solo prese l'autobus, da solo arrivò fino all'ospedale. La porta che conduceva alla rianimazione era chiusa, ma c'era un'altro modo per arrivare, passando attraverso gli spogliatoi degli infermieri si arrivava ad un piccolo vestibolo dove i visitatori dovevano indossare le maschere protettive, il camice e le soprascarpe per non portare batteri in quegli ambienti sterili:
Diligentemente Antonio si vestì come aveva fatto altre volte, poi tolse dal suo zaino l'oggetto che aveva portato con se e tenendolo stretto si avviò verso la stanza dove Caterina dormiva il suo sonno senza risveglio.
Il ronzio delle macchine, i piccoli suoni degli apparecchi erano l'unico rumore nel reparto.
A me piace immaginare che quei suoni siano stati l'arpeggio introduttivo, poi nel silenzio del reparto si alzò piano, con quel suono pulito che è proprio delle trombe il canto lieve dell'Ave Maria.

Far ascoltare la musica ad un degente è facile, gli metti in testa le cuffiette, non disturbi nessuno, il suono di una tromba è tutta un'altra cosa, le note rimbalzano sulle pareti, si propagano, svegliano chi dorme, fanno saltare sulle sedie dottori ed infermieri.
In un attimo ci fu un trambusto indescrivibile, ma Antonio non lo poteva sapere, lui era li, solo in quella stanza dove dormiva la sua grande amica, lui , consapevole di essere il solo che potesse svegliarla e se questo non fosse avvenuto, tutto il resto non avrebbe comunque avuto importanza.

E le note salivano di intensità mentre la melodia si snodava, nessuno sa perchè l'infermiera fermò il medico che si stava per lanciare su Antonio, forse fu colpita dalla melodia, forse intenerità dal fatto che Antonio suonasse mentre le lacrime gli scorrevano sulle guance come un fiume in piena, o forse perchè semplicemente si era resa conto che il canto stava finendo ed ormai quel che era stato fatto era stato fatto, tanto valeva attendere quei pochi istanti in cui il ragazzo avrebbe staccato le labbra dalla tromba ed il silenzio sarebbe tornato
Poi dolcemente come una madre lo abbracciò e lo tenne stretto finchè si fu calmato e smise di piangere.

...ma le note erano entrate in cunicoli scuri dove l'oscurità è regina, come un filo d'Arianna si erano distese nei labirinti della mente fino ad arrivare al luogo dove dormiva la coscienza di Caterina, l'avevano presa per mano e la stavano riportando indietro...

... forse
.... e forse no!

Personalmente credo che i miracoli avvengano quando Dio si accorge di essersi distratto e che le situazioni hanno preso pieghe inaspettate, mi piacerebbe credere ad un Dio pietoso che ascolta l'umile suono di una tromba, la disperazione di un ragazzo scartato dalla vita e che aveva in un angelo dai capelli neri la sua unica speranza di riscatto.
Mi fermo qui, ma voi potete decidese se questo sia fiaba o realtà ed in base a questo, potete scegliere il vostro finale.
La vita ha scelto il suo.

Alex

 
 
 
 
 

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