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Anima Alchemica

I colori dell'Essere Umano

 

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Stanza 216

Post n°395 pubblicato il 27 Agosto 2012 da alkimias.alkie

Il portiere dell’albergo ci accoglie sorridente, forse ammicca squadrandomi o è quello che io credo di cogliere. Mi chiedo se il mio imbarazzo è così evidente mentre fingo di interessarmi a un depliant che racconta le meraviglie del Parco dei divertimenti di Roma. Marco compila il foglio di ingresso, paga la camera, lasciamo i nostri documenti e chiacchierando come se nulla fosse ci avviamo all’ascensore, fingendo di essere due amici viaggiatori che si concedono una pausa prima di proseguire il loro viaggio.

In quel piccolo abitacolo Marco mi bacia all’improvviso come se non attendesse altro che quel momento. Poco prima in macchina mi ha solo sfiorata la mano per concedersi un breve tocco fisico. Null’altro, per non aumentare il mio imbarazzo di “vergine prescelta” perché è così che mi sento adesso, come se stessi per aprire una nuova porta, un altro mondo nuovo, curiosa di ciò che proverò, di come mi darò perché disabituata a farlo.

Marco scherza molto, mi piace quando lo fa e in questo caso si prende un po’ giro per il suo scarso senso dell’orientamento nel trovare la camera attraverso i corridoi dell’albergo.

Stanza 216.

Ci siamo.

Inserisce la scheda nell’apposito meccanismo, un breve ronzio e un “clac” che aprono magicamente la porta (cazzo,  ma non ci sono più le chiavi di una volta? che razza di pensiero stupido…).

La camera è silenziosa, accogliente: la moquette verde oliva fa il paio con le tende. Sul mobiletto di fronte al letto un grazioso vassoio ospita due tazze in porcellana con tanto di cucchiaini (perché mi stupisco anche di questo?).

Anche se nella camera non si può fumare accendo una sigaretta per sciogliere il mio imbarazzo, offrendone una anche a Marco così mi illudo di raddoppiare il tempo e rimandare ancora un po’.

Mi sento con le spalle al muro, sono qui con lui. E chi l’avrebbe mai immaginato che un incontro di lavoro si sarebbe rivelata un’attrazione simile? Perché Marco mi prende, mi ha presa subito quando, scherzando, ha accennato a brevi passi di  twist durante una piacevole conversazione in ufficio insieme al mio capo. Si impossessa della testa che poi confluisce nei sensi, rapidamente così come profondamente ha bruciato le mie difese, scardinando i miei chiavistelli.

Quel primo bacio in ascensore è seguito ora da altri baci: sfiorati, cercati, sottratti per gioco mentre il mio corpo trema al suo contatto. Mi accarezza il seno attraverso la camicetta e questo bastardo di seno gli risponde facendo rabbrividire i capezzoli. La mia reazione mi sorprende ma mi impongo di non farmi rapire dal desiderio.

Come se fosse facile con Marco: le sue mani sono esperte, sanno dove andare, cosa e come toccare, titillare, irrompere, corrompere. Si toglie la camicia, mi aiuta a togliere la mia così che gli regalo la vista del reggiseno che a malapena riesce a camuffare quei piccoli torsi di carne inturgiditi che spuntano attraverso il merletto.

Cavolo, la sua bocca sa di buono, le sue mani sanno di buono. La sua corruzione continua sa di buono, è inesorabile perché non mi concede ulteriori spazi, altre deroghe.

Accarezza il mio sesso delicatamente, ne gusta il tatto umido offerto al mio piacere che mi costringe a chiudere gli occhi mentre vorrei guardarlo. Tra le mie dita il suo sesso diventa un impero e mi stupisce il fatto che io sappia ancora dare tanto. Penso troppo, dovrei lasciarmi andare, ma siamo come due strani adolescenti che scoprono il corpo dell’altro, delicatamente, senza fretta ma senza programmare il viaggio sul corpo dell’altro.

Liberi di fare.

Lascio che la sua bocca si impossessi della mia carne, due labbra incollate che mi fanno perdere nell’oblio mentre mi sugge la vita per lunghi istanti. Vita per la vita, un solo momento che segue un altro suggello, reciproco, che al suo piacere dà il prolungamento ad altro piacere misto ai sorrisi, agli abbracci stretti, agli scherzi, all’acqua bevuta, alle sigarette fumate, consumate.

Come i nostri sensi che, lo so, avranno altre occasioni.

Perché è quello che vogliamo: viverci

 
 
 
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