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« La Chiesa e le profezie ...La Chiesa e le profezie ... »

La Chiesa e le profezie della beata Emmerick. La Sicilia, feudo di Maria e la fine dell’Europa di Kalergi - Seconda parte

Dipinto raffigurante Maria Santissima delle Milizie, patrona di Scicli (Ragusa)   

 

La falsa chiesa    

Questi alti prelati, successori degli apostoli e quindi posti da Dio a fondamento della barca di Pietro, la Chiesa Cattolica, e a guardia della fede, stanno tradendo in realtà la loro missione e il sacramento che hanno ricevuto. 

La chiesa che essi stanno costruendo, esattamente come disse profeticamente la Emmerick, non è la Chiesa di Cristo, bensì una sorta di Onlus dove raccogliere persone provenienti da tutte le dottrine o fedi religiose. 

Il mescolamento della fede cristiana e cattolica con altre dottrine è un fenomeno ben conosciuto nella Storia della Chiesa e dal quale già nell'antichità i Padri della Chiesa, perlopiù santi, avevano messo in guardia insorgendo con vigore contro tali gravissimi pericoli. 

Questo infatti avrebbe comportato inevitabilmente il tradimento del Vangelo di Cristo, lieto annuncio per tutte le genti. Già l'apostolo Paolo aveva avvertito: il Vangelo di Cristo deve essere trasmesso nella forma in cui è stato ricevuto (cfr. 1 Corinzi 15,1). Pena la vanificazione della salvezza, che è subordinata al riconoscimento di Cristo Gesù come unico Signore (Kyrios) e Salvatore. 

È Gesù Cristo infatti l'unico Mediatore tra Dio e gli uomini. 

Ma la falsa chiesa, che pure conosce molto bene le Sacre Scritture, tenta di confondere le acque e vanificare la fede e quindi la salvezza offerta da Cristo a tutti gli uomini. E per farlo ha scelto una via subdola, in modo che i fedeli non si rendano conto del tradimento. 

E quale via migliore del "buonismo" che caratterizza questi ultimi tempi? Arrivano i migranti, dobbiamo accoglierli e dobbiamo farli sentire a casa loro. 

Sbandierando i documenti del Concilio Vaticano II, citando la dichiarazione Nostra Aetate sul dialogo interreligioso e il decreto Unitatis Redintegratio sull'ecumenismo, non si vuol tentare un dialogo mantenendo ovviamente fermi i propri irrinunciabili principi cristiani, bensì si vuole in realtà annacquare e sciogliere il cattolicesimo all'interno delle altre religioni come all'interno dello stesso protestantesimo.  

Per infine riuscire a distruggerlo.  

Tutti coloro che potevano essere di ostacolo a questo progetto sono andati via, in un modo o nell'altro, come è accaduto con i magistrati onesti per i fatti che hanno riguardato la Repubblica. Un uomo da non dimenticare è Cataldo Naro, arcivescovo di Monreale. 

Naro aveva già dato dimostrazione della sua tenacia e della sua ostinazione nell'andare avanti senza cedere ai ricatti e nemmeno di fronte alla violenza fisica. Un uomo come questo, se fosse rimasto qui, avrebbe potuto dare molto fastidio. 

Invece è molto meglio oggi lodarne da morto le virtù eroiche, all'interno degli ambienti ecclesiastici, parlandone - giustamente - come di un santo. Purché egli non sia più qui, ora, e non possa far sentire la propria voce autorevole all'interno della Chiesa. 

Infatti quando Naro si trovò nel bisogno, all'indomani della sua aggressione fisica a Cinisi dove pure le forze dell'ordine latitarono, nessuno intervenne in suo favore

Non una parola di solidarietà da parte della Santa Sede, né dalla Conferenza Episcopale Italiana o Siciliana, né da nessuno degli alti prelati che pure, in certe occasioni, si erano dimostrati assai più benevoli verso altri. Non un sostegno: Naro se ne lamentò personalmente in una lettera all'amico, il professore Francesco Mercadante, non preoccupandosi nemmeno in quell'occasione per se stesso ma solo per «l'immagine che diamo della Chiesa».  

Ma molti di coloro che lo abbandonarono allora sono anche quelli che oggi ne tessono diffusamente le lodi. Persino la sua teologia è stata piegata ad hoc alle esigenze della falsa chiesa, abusandone: perché Naro era e rimase sempre un conservatore, saldamente ancorato all'antica Tradizione della Chiesa.

 

La statua della Madonna di Trapani a La Goulette e nella Cattedrale di Tunisi (foto: Russo)  

 

La Madonna del limite   

C'è un libro di Carmelo Russo, intitolato: Nostra Signore del limite. L'efficacia della Madonna di Trapani in Tunisia, Ed. Morcelliana, 2020. Si tratta di un libro incentrato sul culto della Madonna di Trapani in Tunisia, radicatosi soprattutto a La Goulette, piccolo centro costiero situato a circa dodici chilometri da Tunisi. Si fa riferimento nel libro a una migrazione poco nota: quella dei siciliani che tra i secoli XIX e XX lasciarono l'Isola alla volta della Tunisia. I siciliani portarono con loro il culto della Madonna di Trapani, incontrando un contesto in cui coesistevano mescolamenti tra diversi gruppi sociali e nazionali nell'allora protettorato francese. 

Molto si è scritto a partire da questa migrazione e dal culto della Madonna di Trapani, che i siciliani sbarcarono in un quartiere di La Goulette, denominato "Piccola Sicilia". Il libro di Russo è edito proprio a partire proprio dal 2020, un anno significativo per l'umanità e destinato ad entrare nella storia non certo per i suoi eventi positivi. Guarda caso. 

Si è discusso intorno al dialogo interreligioso, dove i grandi monoteismi, come cristianesimo, ebraismo e islamismo, vengono guardati come «dogmatismi autoreferenziali e autistici» che non permettono alcuna convivenza, né alcun dialogo, come ha scritto Antonino Cusumano nel suo articolo: "Una Madonna di frontiera, tra la Sicilia e la Tunisia" in "Dialoghi mediterranei", n. 44, luglio 2020.

 

La Goulette, Murale, 2017 (foto: Russo)  

 

«A fronte delle teologie - continua l'autore - che nel tentativo di surrogare la dittatura dell'economia torcono le fedi in ideologie, c'è ancora spazio per il dialogo tra le religioni [...]». 

«In questo orizzonte culturale madonne e santi prima di essere espressioni e rappresentazioni del cattolicesimo sono simboli e in quanto tali significanti che rinviano ad altro da sé, investiti da significati mobili, permeabili, negoziabili». 

Ma a guardar bene, afferma Cusumano, «"le porosità religiose - ha scritto Dionigi Albera (2017) - che hanno segnato nel lungo periodo la regione mediterranea [...] mostrano che anche delle religioni autosufficienti e tendenzialmente intransigenti come quelle monoteiste possono essere attraversate da pratiche transfrontaliere". La Madonna di Trapani e di La Goulette in Tunisia è forse l'interprete più emblematica di queste migrazioni transculturali e transfrontaliere».

 

La statua di Maria Santissima di Trapani, custodita nella cappella situata nel Santuario di Maria SS. Annunziata  

 

Maria Santissima di Trapani   

La Madonna di Trapani è conosciuta in tutto il Mar Mediterraneo oltre che in tutto il mondo come protettrice dei naviganti ma anche per l'immenso numero di miracoli compiuti. Da quando, intorno al XII - XIII secolo, giunse nella città di Trapani la splendida statua marmorea che la raffigura, opera a grandezza naturale attribuita allo scultore Nino Pisano. Iniziò da allora un culto senza pari e di enormi proporzioni, che si diffuse fuori dai confini della città, tanto da attirare la devozione e la preghiera di re, principi, prelati e semplici fedeli lontani, che la invocarono per chiedere e molto spesso ottenere delle grazie. 

La statua marmorea fu allora coperta d'oro, gemme preziose e corallo, che formò un tesoro inestimabile, chiamato "tesoro della Madonna". Una rete, indossata come una veste dalla Vergine, sosteneva questi numerosissimi ex voto che ricoprivano interamente la figura della Madonna e del Bambino che porta in braccio. La Madonna, nella cappella a lei dedicata all'interno del Santuario, era visibile in questo modo fino ai primi del Novecento. Poi, per ragioni di sicurezza, almeno così si disse, il tesoro fu portato via e ne rimasero solo le due preziose corone sulla testa della Madonna e del Bambino.

 

Un'immagine primonovecentesca della Vergine di Trapani, totalmente rivestita di ex voto 

 

Il viso della Vergine è di tale bellezza, capace di accogliere il visitatore infondendogli serenità e fiducia, che il conte di Albadalista, viceré di Sicilia, dopo averla lungamente contemplata disse: «Chi la vuol veder più bella vada in paradiso» e il marchese Pietro Fuxardo, anch'egli viceré di Sicilia, esclamò: «Mai mi cadrà dal cuore questa Vergine di Trapani»

Il volto della Madonna di Trapani è rivolto verso il visitatore e gli sorride, mentre quello del Bambino guarda fiducioso verso la Madre.    

Lo studioso trapanese Mario Serraino, nel suo La Madonna di Trapani e i Padri Carmelitani (Trapani 1983), ritiene che la statua della Vergine di Trapani vanti origini molto più antiche di quanto comunemente riconosciuto. 

La sua scultura risalirebbe infatti intorno all'anno 733 sull'isola di Cipro, come riportato da un ignoto autore in un manoscritto del 1380 e di cui purtroppo non ci è rimasta traccia a causa dell'incendio che fu appiccato intenzionalmente nel XV secolo per disinfettare il Convento dell'Annunziata, divenuto allora ricovero degli appestati. 

Tuttavia, quella che è la leggenda più conosciuta sulle origini della statua della Madonna di Trapani, è stata riportata per intero nel Rollo I di scritture del 1736 ricomposto dal padre Martino Fardella e conservato nell'archivio storico del sacro Convento dell'Annunziata.  

Mario Serraino ci riporta un particolare interessante in proposito: rimase sull'isola di Cipro il piedistallo originale che aveva sorretto la preziosa statua. Su questo fu collocato - dopo la partenza del Simulacro della Madonna a causa della cacciata dei cristiani dall'isola - un quadro rappresentante la Beata Vergine, la quale, secondo l'arcivescovo di Cirene Giovanni Logara, «dà agli storpi, sordi, indemoniati, lebbrosi, febbricitanti, arrivati in detta Chiesa, la salute». Lo stesso arcivescovo di Cirene, trovandosi quindi a Trapani, riconobbe nella Madonna trapanese la Vergine di Cipro, come riporta la relazione di padre Francesco Annibale. 

Per lo studioso Mario Serraino, sfrondata delle sfumature mistico leggendarie che avvolgono la storia della Madonna di Trapani, questa può essere la vera origine storica del celebre Simulacro.       

 

La dominazione dei padroni arabi   

La Vergine fu invocata anche, e soprattutto, dai trapanesi a protezione della città, a causa delle continue invasioni dei secoli scorsi. Forse qualcuno lo ha dimenticato. 

È falso il mito insegnato nelle scuole che vedrebbe i siciliani felici con l'arrivo, intorno all'anno 800, dei cosiddetti arabi ma che in realtà sarebbe più corretto chiamare islamici, in quanto fra loro si annoveravano berberi, siriani, persiani, egiziani e anche arabi. 

La realtà storica ci racconta invece come quello fu un periodo di sanguinosi e continui conflitti su tutta l'Isola, tra le compagini islamiche, spesso in lotta anche tra loro, e quella cristiana. Anche se il periodo fu caratterizzato da uno sviluppo dell'agricoltura, un rinnovamento delle tecniche di irrigazione e l'introduzione di nuove specie vegetali. Ecco perché gli storici sono soliti indicare la dominazione araba in Sicilia come un periodo di floridità, ma solo dal punto di vista economico. 

Durante l'assedio degli islamici fu altissimo il tributo di sangue pagato dai siciliani. 

Ne scrive lo storico palermitano Igor Gelarda, dottorato in "Storia della Sicilia e del Mediterraneo antico": «Palermo assediata dagli Arabi resiste disperatamente per un anno, dall'agosto del 830 fino al settembre del 831. Secondo una fonte islamica dei 70.000 palermitani presenti in città al momento dell'assedio, ne rimasero in vita solo 3.000 al momento della resa. Quasi certamente la fonte esagera, ma comunque la strage di palermitani fu enorme, e la nuova città araba risultò semisvuotata ai nuovi padroni, che ebbero la possibilità di occupare i grandi spazi rimasti scoperti in città. Sorte similare toccò a Siracusa, che cadde in mano agli arabi nel maggio dell'878, anche qui dopo una resistenza estrema ed un eccidio, compiuto anche dopo la capitolazione, compiutamente raccontato dall'arcivescovo di Siracusa, Teodosio. L'ultima città siciliana ad arrendersi agli islamici fu Rometta nel 965». 

Numerose furono le rivolte dei siciliani, in particolare dei palermitani. Secondo lo storico Gelarda, «gli oltre due secoli di permanenza araba in Sicilia furono un periodo di guerra continua, come dicono le stesse fonti arabe, una tra tutte la cronaca di Cambridge». 

Fino all'arrivo dei Normanni, che velocemente conquistarono la Sicilia e restituirono ai siciliani il diritto di praticare la religione cattolica, senza gli onerosi fardelli economici imposti dagli islamici. Nonché una serie di obblighi che venivano anch'essi imposti ai cristiani, come quello di cedere il passo agli islamici per strada; di non portare armi o usare selle per la cavalcatura; di non costruire nuove chiese; di non avere case grandi come quelle dei musulmani e di dover rasarsi persino la parte anteriore della testa! 

Anche se non sempre questi divieti furono applicati in maniera rigida, poterono essere usati come strumento di minaccia o vessazione contro i siciliani e insieme alle tasse da pagare furono la ragione di una islamizzazione veloce, ma superficiale e controvoglia di buona parte della popolazione della Sicilia. 

Quanto sopra spiega perché i Normanni riconquistarono velocemente la grande Isola con pochi uomini, e l'islamizzazione in pochissimo tempo divenne solo un brutto ricordo. 

Papa Nicolò II consegnò infatti nel 1061 al conte Ruggero d'Altavilla un vessillo raffigurante la Beata Vergine con il Bambino, che accompagnerà il condottiero normanno in 31 anni di battaglie.

 

La statua della Madonna delle Milizie: Maria Santissima brandisce in alto una spada. Così anche nelle visioni della beata Emmerick (22 ottobre 1822), la Madonna appare sopra una collina, con indosso un'armatura, per combattere insieme ai suoi contro i nemici, molto più numerosi del piccolo esercito di fedeli  

 

La Madonna delle Milizie   

La devozione alla Madonna delle Milizie, per rinfrescare la memoria perduta, fa riferimento ad una battaglia avvenuta nel 1091 sulle coste di Scicli. I musulmani infatti erano arrivati dal mare con 60.000 uomini e ben armati. Gli sciclitani resistettero sulla spiaggia invocando la Madonna, che apparve in cielo su un cavallo bianco e con in pugno una spada. Improvvisamente la nebbia avvolse i saraceni che nella confusione si uccisero tra loro, nel frattempo giunse Ruggero con il suo esercito e insieme agli sciclitani ricacciò in mare i saraceni.  

Ce ne scrive Diego Torre sul periodico Radici cristiane

Ancora oggi si celebra in quella zona del ragusano la festa della Madonna delle Milizie, con una bella statua equestre e la ricostruzione scenica della battaglia.  

Persino i dolci tipici locali, i "testi ri turcu", richiamano il copricapo indossato allora dai nemici, che i siciliani chiamavano genericamente "turchi". 

La partecipazione decisiva della Vergine Maria viene testimoniata in tanti altri conflitti che bagnarono di sangue la terra siciliana, ma anche la sua intercessione nella lotta alle pestilenze che afflissero l'Isola e che cessarono repentinamente dopo la preghiera alla Madonna. Ovunque furono edificati santuari e costruite nuove chiese, che i siciliani riconoscenti dedicarono anzitutto a Maria ma anche ad altri santi, come santa Rosalia, le cui ossa portate in processione liberarono Palermo dalla peste il 9 giugno 1625, come era stato promesso alla giovane santa proprio dalla Madonna stessa.

 

La statua di santa Rosalia, patrona di Palermo, in posizione sdraiata e di ascolto, custodita nel santuario all'interno della grotta di monte Pellegrino, dove la Santuzza trascorse gli ultimi anni della sua vita (foto: Io Amo La Sicilia)   

 

La devozione mariana in Sicilia      

Si spiega quindi lo stringersi di molte città siciliane in difesa dell'Immacolata Concezione di Maria, che già nel 1425 diventa festa di precetto religioso. Così è a Palermo che nasce il primo trattato di mariologia (1602), quale disciplina autonoma e non quale branca della patristica; del primo Mariale (1623) e nel 1619 sempre la città di Palermo invia una petizione a papa Paolo V perché ne proclami il dogma. 

Così in tutta l'Isola, continuamente esposta nel corso della storia agli attacchi via mare provenienti dalla vicina Africa, la devozione alla Santissima Vergine ha costituito il baluardo di difesa dei siciliani tutti dalle invasioni degli stranieri. La devozione alla Madonna fu perenne caposaldo e difesa sicura di un intero popolo, quello siciliano, che per la sua posizione geografica rimase sempre meta ambita dei dominatori di ogni specie.

Si potrebbe bene affermare che se il popolo siciliano continua ad esistere oggi, lo deve alla Beata Vergine Maria e alla costante devozione che ha serbato per lei attraverso i secoli. 

E' dunque un paradosso tutto moderno quello di definire la Madonna di Trapani «l'interprete più emblematica di queste migrazioni transculturali e transfrontaliere», come scrive Antonino Cusumano nel suo già citato: "Una Madonna di frontiera, tra la Sicilia e la Tunisia". Mentre quella custodita a La Goulette, in Tunisia, è, e rimane, invocata e venerata come Madre di Dio e della Chiesa Cattolica, secondo la religione cristiana: tutto il resto è una forzatura che, celata dietro a un linguaggio forbito, certi ambienti letterari e teologici stanno tentando di far passare in ogni modo.  

Ma il popolo siciliano, definito a ragione «feudo di Maria», in un radiomessaggio di papa Pio XII al Congresso Mariano Regionale della Sicilia nel 1954, non permetterà la sostituzione del culto a Maria, riconosciuta dalla Chiesa Cattolica come Madre di Dio (in greco Θεοτόκος, traslitterato: Theotokos; titolo attribuito a Maria già nel Concilio di Efeso dell'anno 431), con un culto sincretista verso una "Madonna" inclusiva, globalista e assolutamente falsa. 

Un culto che per la sua stessa natura sarebbe di carattere idolatrico. 

Sono ormai tanti i siciliani, come gli italiani, che hanno compreso e colto fino in fondo i segni degli ultimi tempi: la cosiddetta pandemia infatti ha aperto gli occhi a molti.    

 

Fine seconda parte. Qui la prima e terza parte dell'articolo.

 

 
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