AppenninoFrazione di Pieve Torina ( Mc ) |
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di Appennino
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Nickname: Appennino_paese
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Sesso: M Età: 17 Prov: MC |
LA STORIA DI APPENNINO
IL SITO: http://web.tiscali.it/Appennino/
IL GRUPPO: http://www.facebook.com/groups.php?id=1474636966&gv=12#/group.php?gid=108144955007
Appennino è il tipico castello medievale, non solo nel senso di luogo fortificato, ma anche come centro di vita agricola, con strade da esso irradianti. Da secoli faceva capo ad Appennino una delle più frequentate vie di comunicazioni con l'Umbria e con Roma lungo la valle del Chienti e del Nera. Si tratta di un castello che sorge al centro di un vasto territorio plebano, sulla cima di un colle a cui facevano capo i distretti minori popolati da pastori, liberi agricoltori, enfiteuti o servi della gleba. Le mura costruite attorno al castello servivano essenzialmente a proteggerlo da incursioni nemiche. Particolare considerazione merita la porta pubblica, arcuata a tutto sesto, collocata sulle mura , non come semplice apertura ma come luogo d'incontro tra due mondi: l'urbano ed il rurale. Il castello servì da rifugio e da deposito del raccolto in caso di pericolo. Gli abitanti dovevano pagare un contributo per il servizio loro reso, chiamato castellanza . La primitiva cerchia del castello era molto ristretta sia per risparmio della manutenzione sia per più facilmente controllarla con l'ausilio di pochi uomini. Il castello acquisì un insieme di diritti che formarono la sua "Curia" : possedeva beni propri, riscuoteva pedaggi ed introiti dei mulini, dei forni, dei dazi, dei bandi, delle multe, e ordinava un suo esercito. Tali diritti erano elementi essenziali di una unità del distretto castellano e dell'honor della Signoria che per tutto il secolo dodicesimo risulterà in mano ai signorotti locali.
I signori del castello di Appennino furono i Magalotti che qui costituirono un perno per il loro quadrilatero feudale: Fiastra, da cui governarono, Poggio di Fiastra, Macereto, e Appennino. Tra il XII e il XVI secolo la storia di Appennino è costellata di passaggi di proprietà, di incendi e distruzioni. Il castello fu venduto al comune di Camerino in due tempi tra il 1252 ed il 1259. Monaldesco de' Monaldeschi il 14 Marzo 1252 vendette metà del castello , torre, girone, edifici, borgo, poggio, uomini e giurisdizione di Appennino per seicento libre ravennati a Scagno sindaco di Camerino. Magalotto Magalotti l'8 Gennaio del 1259 vendette a Migliorato Talenti l'altra metà del castello. "Importantissima" era infatti definita dal Lili " la ricuperazione del castello, posto a mezzogiorno fra i monti in quel sito, per cui da Camerino si passa a Visso, Norcia ed altri luoghi di quel lato". Da allora la storia di Appennino e della comunità è fusa con quella della città dominante. Nel 1277, i vissani, in lotta contro i camerinesi, bruciarono Appennino. I camerinesi mossero in soccorso del castello ed i vissani tornarono all'obbedienza e restaurarono Appennino. Giovanni da Varano fece restaurare il castello nel 1382 dandogli il volto non più cancellato: la porta, la parete castellana che l'accompagna fino alla torre con lo stemma datato 1344 e la chiesa con la torre campanaria. Quando nel 1400 i Varano si divisero i numerosi castelli acquistati con danaro o con guerre, Appennino toccò a Gentil Pandolfo. Nel 1435 Nicolò Fortebracci, in lotta con Francesco Sforza, scese da Colfiorito verso Serravalle senza riuscire ad espugnarla, ripiegò allora in Valsantangelo e giunse ad Appennino che incendiò. Nei documenti di investitura ai Varano Appennino viene sempre citato: nel 1468 a Giulio Cesare, nel 1515 al duca Giovanni Maria. All'avvento dei Borgia nel 1502 appare nella cartina dei luoghi fortificati come castello senza torre. Passò di nuovo nelle mani dei Varano finché Guidobaldo di Urbino nel 1539 vi rinunciò spontaneamente in favore della Santa Sede.
Giovanni da Varano fece restaurare il castello nel 1382 dandogli il volto non più cancellato: la porta, la parete castellana che l'accompagna fino alla torre con lo stemma datato 1344 e la chiesa con la torre campanaria.
Nel museo nazionale di Ancona sono segnati come provenienti da Appennino frazione fornaci tre bozzetti raffiguranti due uomini oranti ( alt. 0,044 e 0,049 ) e una donna pure orante ( 0,072 ). E così sono passati ai cataloghi. Si tratta di ex voto minuscoli tra i 4 e i 7 centimetri, appartenenti all’ambiente umbro meridionale, con braccia allargate, solcate obliquamente verso le estremità, capezzoli e ombelico indicati con cerchielli, databili 525-375 a. C. Richiamano in ogni modo la devozione e la povertà degli abitanti del territorio in quel tempo lontano.
Il nome di Appennino è di origine gallica. La radice pen, altura, la stessa che dette il nome alla catena di monti che divide la penisola, fa pensare che gli antichi galli ( presenti in tutte le zone come dimostrano i toponimi di Gagliole, Gallano ed il nome stesso del capoluogo ) alzassero gli occhi e immaginassero il colle di Appennino come un’area per Giove Pennino, il dio delle vette, o più semplicemente, nel nostro caso, dio delle alture. E così, umbri e galli si successero e convissero quassù; ove certamente passarono gli etruschi e i piceni che scendevano verso l’Adriatico. Dell’epoca romana sappiamo solo che una strada saliva da Pieve Torina ad Appennino e logicamente doveva discendere a Visso. Le lapidi di Roti ne sono una sicura prova.
http://www.archiviodistatomacerata.sinp.net/NR/exeres/2D8F9698-BCFF-499D-8C8F-A48776E6521C.htm
Nel medioevo il luogo si offriva naturalmente per diventare castello di difesa nello spartiacque tra il Chienti e il Nera e al bivio con la strada che saliva a Macereto. I signori Magalotti vi costruirono un perno per il loro quadrilatero di castelli: Fiastra ( la Capitale ), Poggio di Fiastra, Macereto e Appennino. Tra il 1170 e il 1259 i Magalotti non fecero che costruire pastorizia e agricoltura e forse l’arte della lana dettero a loro e alle popolazioni una certa prosperità. Monaldesco de’ Monaldeschi il 14 marzo 1252 vendette metà del castello torre, girone, edifici, borgo, poggio, uomini e giurisdizione di Appennino e suo distretto per seicento libre ravennati a Scagno sindaco di Camerino; Magalotto Magalotti l’8 gennaio 1259 vendette a Migliorato Talenti sindaco di Camerino l’altra metà del castello cioè della torre e del girone, del poggio e del borgo. Non per questo i Magalotti furono fuori; l’8 agosto dello stesso anno Pietro ricevette da Bartolomeo Bonaccorsi castellano di Appennino la torre, il palazzo, il castello con le sue pertinenze e giurisdizione, promettendo di guardarlo e custodirlo per il comune di Camerino. Di fatto siamo di fronte ad una amministrazione fiduciaria. Nel 1382 Giovanni Da Varano ( Varana, quasi unico, potrebbe essere del lombardoveneto, Varanelli, assolutamente rarissimo, sembrerebbe del foggiano, Varani ha un ceppo emiliano, nel reggiano soprattutto, un ceppo genovese, uno a cavallo tra Piceno e teramese ed uno romano, Varano oltre al nucleo calabrese, parrebbe avere un ceppo romano, potrebbero derivare da toponimi come Cagnano Varano (FG), San Varano (FC), Varano (AN), (MC), (AP), Varano Borghi (VA), Varano de' Melegari (PR), e così altri, ma è pure possibile una derivazione dal cognomen latino Varanus di cui abbiamo un esempio in un'antica lapide: "...C(aius) Val(erius) Varanus / et Nanea Galli sibi vive / f(aciendum) c(uraverunt) ...", tracce di queste cognominizzazioni le troviamo a Milano in un atto del 1491, dove come teste viene citato: "...Bertolameus Varanus filius quondam..." e nelle Marche verso la metà del 1200 con Gentile da Varano che diviene Signore di Camerino, il massimo spledore il casato dei Varano lo raggiunse nel 1400 con Giulio Varano Signore di Camerino: "Sixti IV tempore ... ...sub nomine pacis Spoletium perducti fuerunt, ubi Julius Varanus Camertii dominus, qui cum magno equitato a Legato arcessitus aderat...". ) restaurò il castello ormai vecchio di secoli e gli dette un volto non più cancellato; la porta ancora esistente anche se giunta a noi con notevoli ritocchi, la forma a gironi concentrici salienti al vertice e la chiesa che, oltre la struttura, conserva, dell’epoca, la statuina romanico-bizantina della vergine.
Tornati Camerino e suo stato all’amministrazione diretta dello stato pontificio, nel 1599 la comunità di Appennino si dotò di un proprio statuto il cui testo originale esiste tuttora a Pieve Torina. Gli statuti mostrano una comunità piccola, Appennino, Vari e Gabbiano, ma autonoma dalle vicine e soggetta direttamente ai governatori e delegati apostolici di Camerino. Il testo mostra le preoccupazioni di una società dedita totalmente all’agricoltura e alla pastorizia; sono inflitte pene a chi pascola entro il lavorativo, a chi danneggia vigne, orti, frutteti; a chi asporta,, anche dalla propria vigna, più di tre grappoli d’uva; a chi insudicia fontane; a chi lascia sciolti cani e maiali prima della fine della vendemmia; a chi tiene capre nella pertinenza del castello; a chi conduce bestie grosse o piccole per le vie o per i boschi cedui di due anni; a chi taglia alberi adatti per gli attrezzi agricoli; a chi lascia sostare greggi forestieri più di una notte.
E’ commovente la volontà del legislatore di lesinare fino all’osso il grappolo d’uva, o l’alberello atto ad attrezzi agricoli, l’erba che il gregge bruca in una notte…Si vive di poco, si obbliga l’attenzione: da questo tipo di società l’economia da scienza dell’amministrazione ha assunto il significato di scienza del risparmio.
Dagli statuti sappiamo che ad Appennino esistevano guardiani della proprietà; vi dovevano essere più macellai possidenti diretti di bestiame; da un foglio cucito nel volume sappiamo che nel 1739 esisteva una pizzicheria. Nonostante il titolo, più che “statuti” si tratta di “usi civici”. Si tace infatti delle magistrature comunitarie: solo da citazione indiretta veniamo a sapere che la comunità aveva quattro massari i quali si eleggevano un aiuto ciascuno per comporre le immancabili controversie ( <> ). La comunità era tenuta a pagare dieci fiorini l’anno al “Maestro della scola di grammatica”; non tutte le piccole comunità erano così avvedute da permettersi un maestro nel secolo XVI.
Una revisione dei confini tra Appennino-Visso-Aschio-Villa S. Antonio-Cupi fu fatta il 19 agosto 1738.
Le guide oggi registrano i ruderi del castello, lo stemma dei Varano su una casa ( 1384 ), la statuina e la croce astile della chiesa. Non si pensi sia poco se storia ed arte si sposano all’alto valore paesistico e all’importanza delle vie che ad Appennino incrociano. Il turista in cerca di panorami, prima di imboccare il traforo della nazionale guarda all’antico centro e ci fa un pensierino; il fedele che sale a Macereto nel bar di Appennino sosta a rifocillarsi; il cultore d’arte e storia raramente incontra un interesse maggiore in un paese più piccolo; l’emigrato vi aggiusta casa o costruisce la villa nelle adiacenze. Evidentemente la sorte di Appennino è legata alle fortune, o sfortune, generali della montagna maceratese, alle piccole industrie pieve torinesi, alla volontà di sopravvivenza dei suoi abitanti. Qualche possibilità di più la trae dalla posizione topografica. E non è poco se è lecito sperare che dopo la bufera migratoria, il sereno sia possibile, se è lecito sperare che dopo l’orgia dell’urbanesimo la ripresa della campagna sia immancabile.
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