Creato da counselor63 il 27/03/2008

LOGOS

Proviamo a comunicare, condividere, criticare per costruire, confrontarci, ascoltarci, relazionarci. Proviamo a crescere oltre i nostri confini.

 

 

COLORIAMO IL MONDO

Post n°34 pubblicato il 08 Dicembre 2009 da counselor63
Foto di counselor63

06/12/2009 - OSTIA  (RM) - PONTILE

Piazza dei Ravennati

Grande affluenza di pubblico domenica 6 dicembre al pontile di Ostia. Oltre 2.000 persone hanno transitato presso gli stand che ospitavano un evento dedicato ai più piccoli. Circa 1.000 bambini hanno colorato, con i loro volti sereni e allegri, armati di pennelli e colori,  il sito storico di Ostia. A fare da cornice una giornata di sole meravigliosa.
Una manifestazione da ripetere sicuramente. Tutto è andato secondo programma, l’affluenza del pubblico è stata continua in tutta la giornata, fino all’imbrunire.
Un grazie particolare va a tutti i volontari delle associazioni partecipanti che si sono impegnati  affinché si potesse assicurare il divertimento in totale sicurezza a tutti i bambini presenti. È stato bello vedere alcuni artigiani (artisti) mettersi a disposizione dei bambini per farli giocare con pennelli, colori, creta.
Positivo il commento dei genitori che hanno esaltato l’iniziativa, manifestando consenso per eventi di questo genere.
A tal proposito è giusto sottolineare il patrocinio del Municipio XIII di Roma ed in particolare l’interesse del Presidente, il Dott. Giacomo Vizzani, il quale ha voluto assicurarsi in prima persona, che tutto si realizzasse nei tempi e nelle modalità in cui era stata progettata. Ci auguriamo che, a seguito del successo ottenuto, l’amministrazione locale, continui a sostenere le iniziative della “Federazione Rete Carrozza 12 bis” che ha dimostrato la possibilità concreta di riunire molte associazione del territorio del Municipio XIII di Roma in un’unica grande forza, per realizzare progetti comuni di carattere sociale e culturale e sicuramente a beneficio della collettività.
Nella pagina delle foto riportiamo alcune istantanee della manifestazione (per vederle clicca qui). Successivamente produrremo anche un video dell’evento.

                                                                  Massimo Catalucci

 

 

 
 
 

Post N° 33

Post n°33 pubblicato il 13 Novembre 2009 da counselor63
Foto di counselor63

DISAGIO SOCIALE: Individuale e collettivo.

Avete notato come tutti i giorni sentiamo frasi preoccupanti su giornali e radio-tv-giornali? Ne riporto di seguito alcune per poi riflettere insieme a Voi sulle responsabilità del disagio:

 

  • Aumentano i precari, diminuisce il lavoro a tempo indeterminato.
  • Il disagio urbano aumenta: nelle persone, nei gruppi nelle comunità.
  • Le famiglie sono più povere;
  • Stiamo toccando il fondo, siamo nel periodo peggiore della storia dell’umanità.
  • I giovani non hanno valori e punti di riferimento sani.
  • La scuola è un disastro, la stanno distruggendo.
  • La viabilità stradale è diventata assurda.
  • L’ambiente è contaminato dallo smog dei gas di scarico, dai campi elettromagnetici, dalle onde sonore, dallo smaltimento abusivo dei rifiuti tossici, ecc..
  • Nel 2009 oltre un miliardo di persone è a rischio di morte per mancanza di cibo nel mondo.
  • L’obesità è in aumento. Nel 2014 si stima che i malati di diabete, causa l’obesità, in Italia saranno circa 4,5 milioni di persone.
  • Sono in aumento le tragedie familiari. Persone che uccidono i propri familiari sono quasi ogni giorno sui giornali e notiziari radio e tv.
  • Il 70% degli Italiani soffre di malattie determinate dallo stress e che possono rivelarsi fatali. Ne consegue un abuso di prodotti farmacologici.

Guardando al mondo giovanile troviamo inoltre quanto segue:

  • Aumento della dipendenza da droghe.
  • Abbassamento dell’età media dell’inizio di abuso di alcoolici ed aumento della dipendenza da essi.
  • Inserimento in clan camorristici e spacciatori di droghe nel Sud Italia, mentre  si formano “baby gang” nel Nord.
  • Aumento di delitti per motivi spesso superficiali.
  • Aumento del fenomeno di bullismo in particolare nelle scuole e nelle strade.
  • Aumento della sfiducia nelle pubbliche istituzioni e nei loro rappresentanti.
  • Cinismo, individualismo, egoismo e materialismo sempre più diffusi.
  • Abbassamento del livello di istruzione.


A tutto questo è interessante considerare che sono in aumento i comportamenti suicidari, generati da forti disturbi psichici e grande tendenza ad accusare stati di: ansia, attacchi di panico, anoressia e bulimia e depressioni varie.

Nel gruppo familiare, possiamo notare  “problemi” relativi a:

1) cambiamenti profondi nel pensiero inconscio dell’individuo con manifestazioni negative sul comportamento;

2) Abbassamento del rendimento scolastico da parte del giovane;

3) Mancanza di interesse e/o capacità di comunicazione;

4) Aumento di aggressività e ribellione, con tendenza dei giovani a squalificare “figure autoritarie” (p. es., insegnanti, genitori, preti, poliziotti, etc.);

5) Affiancamento di persone poco raccomandabili;

6) Utilizzo, da parte dei giovani, di espressioni verbali scandalosi in presenza di adulti.

Credo di aver fatto un "bel" quadro e se non completo, quasi, di ciò che viene spesso messo in risalto dai mass media

Ora la mia domanda è:

Chi è responsabile di tutto ciò?

Mi sono dato questa risposta alla quale mi aspetto i Vs. graditi commenti.

Senza andare a fare una considerazione di ciò che accade in tutto il mondo, ma soffermandomi solo su quello che avviene nel mio piccolo mondo, quella realtà urbana in cui vivo, mi sono reso conto che i responsabili di ciò che accade siamo tutti noi.

Mi spiego meglio.

Tutti, o comunque la maggior parte di noi,  siamo sicuramente pronti a dire che questo non è vero e che i responsabili di quello che accade sono “………………..” e qui ognuno conclude la frase con chi ritiene che abbia specificamente la responsabilità di quello che accade e di cui ho riportato sopra un’ampia panoramica.

Ma questo pensiero, anche se trova il referente soggettivo specifico quale causa del problema/disagio, toglie in qualche modo chi sostiene questa tesi, dalle proprie responsabilità. È come dire, io non c’entro e non posso fare nulla, è “Tizio” o “Caio” che devono dare risposte e risolvere il problema/disagio che esiste nella nostra società/comunità.

A questo punto è bene fare una precisazione in merito ai termini società/comunità. Per comunità intendiamo un insieme di individui legati tra loro da uno o più elementi di comunione e riconosciuti singolarmente da ogni persona. Possiamo altresì dire che, l’elemento condiviso dal gruppo, si trova nello stesso ambiente fisico nel quale sono presenti anche determinate dinamiche relazionali.  E già questo aspetto forse ci indica che la responsabilità andrebbe suddivisa all’interno del gruppo (società/comunità), tra gli attori che ne fanno parte e che ne condividono uno spazio specifico oltre agli elementi in esso contenuti

Ma forse, un dato specifico che ci indica da dove partono gli esempi di responsabilità ce lo abbiamo e questo ci riconduce inevitabilmente alla figura umana di un adulto. Sappiamo che i giovani infatti, sono il futuro e gli uomini della società di domani. Ma allo stesso tempo vivono la società di oggi e, la società attuale, è governata dagli adulti e come tali credo che le responsabilità di quello che accade partano proprio da questi ultimi (io compreso).

Sono del parere che non avremo mai una società rispettosa, antirazziale, produttiva, evoluta e economicamente agiata, fino a quando gli esempi (adulti) non saranno conformi alle aspettative dei giovani.

Facciamo finta di ascoltarli, parliamo dall’alto dei nostri pulpiti, ma quando dobbiamo metterci in gioco, accettando le loro critiche, tiriamo fuori il nostro titolo, la nostra età, il ruolo che ricopriamo e sviamo in qualche modo la responsabilità di costruire il mondo come i giovani veramente desidererebbero.

Giorni fa ho partecipato ad un Convegno dal titolo: “Disagio Urbano: nelle persone, nei gruppi, nella comunità”; tenutosi presso la Sala Protomoteca del Campidoglio a Roma.  A tale Convegno partecipavano al tavolo dei conferenzieri, personaggi qualificati che offrivano il loro contributo professionale su cosa è necessario fare per risolvere il Disagio in cui vertono molte persone e le comunità intere.

È inutile sottolineare, quanto ben articolati sono stati gli interventi dei professionisti, ricchi di molti contenuti e sani principi.

Purtroppo però, tutto quello che appare sensato e di notevole attenzione verso il sano e coerente esempio socio educativo, è risultato, come spesso accade, contestualmente incoerente nella pratica.

Mi spiego.

Mentre gli adulti esprimevano l’importanza che si deve dare con il proprio esempio vivente ai giovani, dimostrando che attraverso la politica del “fare” oltre che del “dire”, si acquisiscono dettagli nella memoria che rimangono indelebili, gli stessi, assumevano atteggiamenti contrari a quelli verbalmente espressi.

Porto solo un esempio. Il professionista che si trova al tavolo dei conferenzieri, se utilizza diverse volte il suo telefono cellulare nel corso della conferenza, nessuno gli dice che tale comportamento è in antitesi con i principi di esempio che nella stessa riunione si intende far passare. Ma se questo accade ad una ragazza della scolaresca seduta in platea (erano presenti al Convegno su indicato classi di Istituti Socio-Psico-Pedagogici), quest’ultima potrebbe venire immediatamente ripresa dalla sua insegnante (o altro adulto accompagnatore o presente) per cui le verranno fatte le seguenti osservazioni:

  • È maleducazione. Quando si è in riunione il telefono va spento;
  • Se rispondi sempre al telefono, probabilmente non trovi interessante quello che stanno dicendo i relatori;
  • A te piacerebbe se qualcuno, mentre stai parlando con lui,  facesse qualche altra cosa senza prestarti attenzione?
  • Spegni quel telefono altrimenti te lo ritiro e te lo consegno alla fine del Convegno.
  • Avete sempre questi telefonini accesi! Ma che avrete mai da dirvi!

Questo di solito e quello che accade in una situazione simile. Nello stesso ambiente troviamo l’adulto ed il giovane che però hanno due ruoli diversi. Il fatto è che il ruolo pesa, infatti laddove l’adulto può dire e fare quello che vuole, il ragazzo no.

Naturalmente l’adulto motiverà anche con molta attenzione e logica, il fatto che lui, se utilizza il telefono cellulare anche durante il Convegno, è solo perché ha molti impegni e responsabilità oltre l’evento a cui sta prendendo parte e quindi, il suo comportamento è razionalmente giustificato, perché deve rispondere ad altre persone che lo contattano per motivi molto importanti.

Quanto motivato dall’adulto, anche bene e con molta logica, influisce però emotivamente sul ragazzo in modo negativo, perché lo stesso accusa comunque uno stato di disagio, che potremmo azzardare di tradurre in pensieri che lo stesso può generare e che possono essere di questo tenore:

  • Tu adulto puoi farlo ed io no;
  • Tu adulto dici quello che va fatto ma tu non lo fai;
  • Tu adulto eserciti il tuo potere del ruolo su di me ed io devo sottostare.
  • Tu dici che vuoi ascoltarmi ma se ti faccio notare che oltre alle parole io osservo i fatti, continui ad essere sordo e ad avere i tuoi soliti atteggiamenti.
  • Se mi chiudo e non comunico mi dici che sono un soggetto disagiato.
  • Se continui a “dire” e “non fare” quello che dici sia giusto “dire” e “fare”, farò in modo che tu possa notare ciò che io faccio e che è il contrario di quello che tu dici verbalmente di fare.  
  • Il mio disagio sei tu, adulto. 

A tal proposito, mi viene in mente la scena di una ragazza chiamata a commentare gli interventi dei relatori. La stessa dopo diversi tentativi da parte dell’adulto di indurla a commentare, si ritrova con un microfono in mano in piedi con gli occhi addosso e le orecchie pronte ad ascoltare di circa 150/200 persone, in particolare, gli occhi e le orecchie delle compagne di scuola. L’adolescente inizia subito dicendo:

vorrei manifestare il mio grande disagio nella situazione in cui mi trovo. Voi adulti, parlate di disagio e poi mette le persone nella condizione di trovarcisi in mezzo. Sono stata spinta dalla mia insegnante a fare ciò che non avrei voluto fare, parlare in pubblico. Quindi denuncio il mio forte senso di disagio. Inoltre voi adulti dite sempre quello che bisogna fare ma poi voi siete i primi a non fare quello che dite. Vorrei vedere i fatti oltre che le parole, perché oramai di parole ne sentiamo troppe da molto tempo.   

Credo che sia significativa la denuncia della giovane ragazza. Occorre quindi riflettere sulle responsabilità che all’interno di una società devono sicuramente partire dall’adulto, ma successivamente, devono approdare nel giovane che, sappiamo, se messo nella condizione di capire (attraverso i fatti degli adulti)  che le responsabilità di ciò che accade in una comunità sono di tutti, comprenderà più facilmente che anche lui, nel caso di un qualsiasi disagio giovanile, ha la sua responsabilità, se non altro di domandarsi perché accade quello che sta vivendo e come poter fare, magari con l’appoggio dell’adulto coerente, per far fronte allo specifico problema/disagio, tramutandolo in un a opportunità di crescita personale e sociale.

Ringrazio anticipatamente quanti commenteranno il presente post.

Cordialmente

Massimo Catalucci

 

 
 
 

Attività Sociali

Post n°32 pubblicato il 15 Ottobre 2009 da counselor63

 

EVENTO SOCIO EDUCATIVO

 

Patrocinato da

 

COMUNE di ROMA

Municipio XIII

                          

 

DOMENICA 6 DICEMBRE 2009

PIAZZA RAVENNATI -

Pontile di OSTIA (RM)

dalle ore 10:00 alle ore 19:00

 

UNA GIORNATA DI FESTA

PER I RAGAZZI DELLE ELEMENTARI E MEDIE:

Animazione, disegni, pittura, karaoke, creta…..

 

 

VI ASPETTIAMO

 

Organizzano per “Federazione Rete Carrozza 12 bis”:

Ass. IDEAS EUROPA

Ass. Naufraghi della Vita

Ass. I.N.S.E.U.

 

in collaborazione con: 

Ass. Cocid, Ass. Fertililinfe,

Ass. Rovistando tra i Sogni,

Ass. Romanimazione,

Ass. F.o.r.i.f.o.,

Ass. Testimoni della carità,

Com. di Quartiere Rep. Marinare-Duca di Genova, Artigiani.

 

PER MAGGIORI DETTAGLI CONTATTARE LA DOTT.SSA MARIA CRISTINA FRANCESCHI AI N.RI 065213530 - 3496031677

 

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RECENSIONE

Post n°31 pubblicato il 02 Ottobre 2009 da counselor63
Foto di counselor63

Libro di Thomas Gordon Ed. La Meridiana

 

            Un’indicazione bibliografica tra le più utili e accessibili per l’educazione dei  figli

 

di Pier Luigi Lando


            Da diversi anni genitori ed educatori sono oggetto di particolare interesse da parte di addetti ai lavori. Nonostante le buone intenzioni di scrivere in modo comprensibile per un pubblico di utenti il più possibile vasto, in pratica, poi, il linguaggio di tali addetti difficilmente raggiunge lo scopo.

            D’altro canto nel nostro Bel  Paese lo sviluppo delle discipline attinenti l’educazione dei soggetti in età evolutiva, grazie anche al vigoroso apporto dall’estero, è iniziato dopo l’ultima guerra, per cui, per quel che riguarda l’educazione dei piccoli, ci si era del tutto affidati al buon senso comune, nonché a vari espedienti che mirano ad ottenere comunque lo scopo, ossia l’adeguamento comportamentale degli educandi alle direttive dei grandi.

            Il termine pedagogia per gli Addetti significa guidare un bambino illuminati da un’adeguata conoscenza dell’educando. In pratica, spesso, lo si è inteso nel senso di condurlo arbitrariamente verso  gli obiettivi dell’”educatore” oppure lasciare che “il veicolo” prosegua da solo. Educare: il suo vero significato, implicito e indissolubile dal su accennato termine di pedagogia, è quello di favorire le potenzialità evolutive del bambino, mentre per tanti adulti forse tuttora significa inculcare determinate norme di comportamento.

            In genere l’orientamento  pedagogico si è espresso secondo una vasta gamma che va dal più deresponsabilizzato e deresponsabilizzante lassismo al più severo autoritarismo, più o meno con il sostegno di famosi addetti i cui metodi appaiono anche contraddittori,  al punto da frastornare i destinatari che non sanno più a chi dare retta.

            Il volume di Thomas Gordon: “Genitori efficaci – Educare figli responsabili” (edizioni la meridiana) si dimostra tra i più rispondenti alle esigenze educative sia per il linguaggio sia per le numerose esemplificazioni relative alle più diverse e comuni situazioni problematiche in cui essi si possono trovare quotidianamente, ossia essere fermissimi.

            Tra i più utili e chiarificanti argomenti c’è, nella soluzione dei conflitti, quello di considerare criticamente i due metodi tuttora dominanti nella nostra cultura: quelli indicati come Metodo I e  Metodo II che danno per scontato che una delle due parti debba predominare, Insomma, al momento, non si fa generalmente caso al fatto che l‘instaurazione di una specie di braccio di ferro tra genitori e figli, cioè di un campo di scontro frontale comporti dei vinti e dei vincitori.

            Ciò che si reprime si potrà comportare come una molla o un gas, cioè un ordigno che prima o poi potrà causare danni, ma altrettanto negativo è il lasciar correre irresponsabilmente, ossia essere permissivi.

            Ancora più gravi conseguenze si potranno avere quando, come di solito avviene, un genitore è per l’eccessivo permissivismo e l’altro per la più rigida disciplina. Tramite segnali contraddittori, Pavlov procurava sperimentalmente la nevrosi nei cani.

            Altro dannoso metodo educativo è il ricorso alla falsa motivazione per cui si tende a incentivare un determinato comportamento dei figli in vista di un premio.

            Di particolare interesse nel libro di Gordon è l’esposizione delle conseguenze deleterie che di solito si hanno nell’imporre autoritariamente la propria volontà da parte del genitore di vista del genitore (Metodo I) o al contrario nel darla  vinta ai figli (Metodo II). Sia l’uno che l’altro estremo rischiano di provocare quei comportamenti, sia nell’ambito familiare sia in quello scolastico, ivi inclusi i fattacci i cui responsabili sono i giovani e di cui le cronache abbondano

            Il Metodo III, è auspicato e illustrato in una amplissima casistica dall’autore, si inserisce nelle strategie volte a educare nel modo più adeguato i figli, ottenendo il loro coinvolgimento collaborativo, evitando così conflitti distruttivi e relative nefaste conseguenze sopra accennate. 

            Una sempre più diffusa consapevolezza degli ingannevoli risultati che si possono ottenere con i metodi educativi tradizionali adottati e un’approfondita conoscenza delle su accennate metodiche potrebbe dare l’avvio a una nuova era per i rapporti con i nostri simili-

 
 
 

PEDAGOGIA

Post n°30 pubblicato il 01 Ottobre 2009 da counselor63
Foto di counselor63

Premessa al "Progetto Nessuno Indietro"

di Pier Luigi Lando

La constatazione che i genitori umani, a differenza di quelli delle altre specie, son dovuti ricorrere ad espedienti per “tenere a bada i figli”, ma, spesso, non riuscendo a ottenere l’optimum delle potenzialità evolutive né rapporti interpersonali soddisfacenti, ha indotto la ricerca ecopsicosociale ad approfondire lo studio dei fattori e delle condizioni favorenti e ostacolanti agenti sull’essere umano seguendone lo sviluppo dall’ecosistema uterino a quello sociale. Privilegiata la dimensione relazionale, si è centrata l’attenzione sugli ecosistemi familiari e scolastici. Per analogia con ciò che avviene nelle combinazioni chimico-fisiche, tenendo ovviamente conto delle più complesse implicazioni umane, si è adottata l’espressione di valenze relazionali rilevando le differenze qualitative tra quelle “primarie” del legame simbiotico madre:figlio e quelle secondarie (pedagogiche. amicali, coniugali, genitoriali, lavorative. Una volta acquisita la nozione che il tutto avviene a spese di energia sin dai primi momenti di vita e che l’investimento del flusso energetico, almeno nei primi tempi della vita intrauterina, viene prevalentemente governato dalle informazioni genetiche e che, a mano a mano che il sistema nervoso centrale procede nella sua maturazione, assumono sempre più influenza le informazioni ambientali, ci si è orientati verso una pedagogia importata sul criterio bio-energetico. Quindi, si è resa sempre più importante la conoscenza di ciò che avviene dal punto di vista bio-energetico nell’insieme somato-neuro-psichico dell’educando in rapporto agli interventi educativi. Se pedagogia significa guidare un bambino tenendo conto delle sue potenzialità evolutive, la stragrande maggioranza degli educatori, primari e secondari, rischia di trovarsi nelle condizioni pregiudicanti la sua funzione educativa molto più di chi pretenda di guidare un autoveicolo sapendolo soltanto mettere a moto. Per i genitori delle altre specie, data la struttura di gran lunga meno complessa del loro sistema nervoso centrale, sono pressoché sufficienti le informazioni eredogenetiche e quel tanto che le precedenti generazioni hanno acquisito; per l’Homo sapiens si richiedono molte e ulteriori conoscenze che vanno acquisite attingendo a varie aree del sapere. Insomma non ci si può improvvisare educatore e se abbiamo il mondo che abbiamo lo dobbiamo al fatto che l’Homo sapiens si è trovato nelle condizioni di dover procedere per tentativi ed errori. Buccia di banana: l’umanamente comprensibile urgenza di ottenere l’effetto immediato. Vi sono comunque comportamenti “fisiologici” che accadono di frequente, specialmente durante i primi anni dell’età evolutiva che si tende a reprimere e che, se non se ne conosce la natura, si rischia non solo di perpetuarle, addirittura indurcendo il soggetto a utilizzarli anche per tutta la vita arbitrariamente a uso e consumo proprio. Con un’enorme popolazione che ricorre a cure medico-chirurgiche, psichiatriche, psicoterapeutiche e un superaffollamento delle carceri, si potrà ritenere che molte delle relative manifestazioni traggano origine da prestazion8i pseudopedagogiche, dall’incapacità degli educatori di discernere se per quel determinato comportamento o sintomo si trattava di qualcosa che normalmente si ha durante quell’età, o di un messaggio S.O.S oppure diimitazione di un altro compagno di asilo, scuola, come spesso avviene per i tic ecc. Per es. le bugie possono essere indici che è entrato in funzione il cervello immaginante-creativo, ma possono essere sollecitate da interventi ritenuti educativi che inducono il bambino a difendersi. La mancata comprensione di altri comportamenti propri dei primi anni vita, come quelli oppositivi, se non “trattati secondo la loro natura, potranno “cronicizzarsi” nelle loro forme peggiori Per spiegare questo concetto si pensi ciò che può avvenire se si somministra un antidolorifico o un antipiretico sopprimendo i relativi sintomi che avrebbero guidato verso la diagnosi di una grave infezione. Altrettanto nefasti possono essere gli interventi educativi consistenti in espedienti che puntano alla repressione di comportamenti disturbanti senza cogliere i sottostanti motivi come messaggi. Il lasciare andare è come non intervenire adeguatamente su un processo morboso che non tenda spontaneamente alla guarigione. Un’altra analogia si ha con ciò che avviene per la salute della prole: si pensi a ciò che responsabilmente farebbero genitori consapevoli di essere affetti sa una malattia trasmissibile. Non sarebbe altrettanto doveroso avviare a soluzione problemi risalenti alla propria infanzia, interferenti con le prestazioni educative? Un altro punto importante è quello della dinamica di gruppo sia di quello familiare che dei gruppi di estranei. Per un insieme di persone motivate dal raggiungimento di compiti prefissati si parla di gruppo di lavoro quando esso funziona in tal senso. Di particolare importanza è anzitutto il contenimento del numero dei componenti. Infatti, a mano a mano che si supera quello di dieci, si rischia di avere un gruppo di dipendenza se il leader è particolarmente “forte”: Per es. un docente, autorevole o autoritario, potrà pure ottenere la disciplina della classe che potrà durare fintantoché sia assicurata tale sua funzione. Tuttavia i componenti non crescono e le loro potenzialità evolutive rimangono pressoché congelate, essi rischiano di divenire soggetti succubi, passivi oppure ribelli, non appena la “compressione” sarà venuta meno. Oppure andranno ad alimentare i servizi sanitari o le istituzioni giudiziarie Un gruppo numeroso tende a frantumarsi in sottogruppi di alleanze o l’un contro l’altro armato, cioè prevarrà l’aggressività, l’insubordinazione, insomma ciò che oggi viene lamentato da tanti docenti.

 
 
 

Post N° 29

Post n°29 pubblicato il 22 Settembre 2009 da counselor63
Foto di counselor63

CONVEGNO NAZIONALE:

Il counselling: una nuova risorsa nel sistema socio-sanitario italiano. Interventi e prospettive in Italia e nei paesi anglosassoni

 

Sabato 3 Ottobre 2009 dalle ore 9.00 alle 18.00

presso la sala convegni del Distretto di Aprilia

della ASL Latina - Via Giustiniano, snc – Aprilia

 

INGRESSO GRATUITO

 

(Evento formativo E.C.M. richiesta crediti inoltrata per Medici, Infermieri e
Psicologi. Crediti come monte ore formativo per i counsellor.)

responsabile e Coordinatrice del Convegno

Maria Julia Iris

Per Info e Iscrizioni

massimo.catalucci@libero.it

http://www.assomediciaprilia.org/home.html

 
 
 

LA COPPIA......

Post n°28 pubblicato il 12 Settembre 2009 da counselor63
Foto di counselor63

EFFETTI COLLATERALI DELL'INNAMORAMENTO

 

È strano lo scherzo che fa l’innamoramento.

Innamorarsi è come entrare in una trance profonda dove tutto quello che ci circonda rimane distante dalla coppia.

Esistiamo solo noi e l’altro/a, tutto il resto, per utilizzare il titolo di un grande successo musicale, “è noia”.

Travolti da questa ondata di emozioni esaltanti ci sentiamo completati in tutto, non abbiamo bisogno di altro, tutto il resto diventa superfluo, anche ciò che ci faceva arrabbiare precedentemente, diventa superabile ed accettabile.

Sono fantastici gli effetti dell’innamoramento.

Come mai allora accade che si perdono a distanza, più o meno lunga e soggettivamente, gli effetti positivi di un benessere fisico, spirituale ed emotivo?

Io la vedo in questo modo. È come se accecati all’inizio da un unico interesse (l’altro/a) non ci accorgiamo che in realtà, li, proprio vicino alle nostre gambe, abbiamo portato con noi ognuno una valigia con tutti i nostri “effetti personali”.

Naturalmente non diamo nessuna considerazione al contenuto delle valige, siamo troppo intenti a vivere giustamente il momento magico dell’amore.

Andando avanti nella relazione, gli effetti dell’innamoramento cominciano a diminuire, lasciando trapelare altri aspetti, quelli che ho definito: “effetti collaterali”. Gli “effetti collaterali” sono sicuramente derivati degli stessi effetti che provavamo prima: fiducia, complicità e condivisione, accettazione, conquista.

Infatti:

  1. la fiducia implica il fatto di poter essere traditi; ma quando siamo innamorati non pensiamo sicuramente al tradimento ma alla grande fiducia che riserviamo nei confronti del nostro partner;
  2. la complicità/condivisione ci fa sentire uniti. In qualsiasi contesto ci troviamo, anche solo attraverso uno sguardo, riusciamo a comunicare quello che insieme desideriamo ottenere;
  3. l’accettazione dell’altro/a per quello che è, e non per quello che dovrebbe sembrare, ci da la possibilità di considerarlo/a come essere umano unico (anche per questo lo/a abbiamo scelto/a), con un proprio bagaglio di esperienze personali che lo/a hanno formato/a. Quando siamo innamorati accettiamo questo stato;
  4. la conquista è l’elemento che implica forse più degli altri l’utilizzo della creatività. Quando siamo innamorati, ogni momento cerchiamo di conquistare il nostro partner. In questo stato evitiamo di dare per scontate anche le cose più banali. Siamo sempre particolarmente attenti a ciò che potrebbe piacere a lui o a lei.

 

Questi quattro stati a cui ho fatto riferimento, secondo una mia personale visione del rapporto di coppia, sono punti di forza che spesso si tramutano in punti di debolezza, di rottura dell’innamoramento stesso.

Si sente dire che, dopo la prima fase dell’innamoramento, segue nelle coppie più fortunate (o sfortunate a voi la scelta) una fase che viene definita come affettiva, cioè la passione, l’amore, lascia il passo all’affetto. Ma dietro la parola “affetto” nascondiamo spesso la descrizione di una stasi del rapporto, uno stato scontato di situazioni. Personalmente credo che ciò porti ad una routine, nella quale, uno o l’altra potrebbero avvertirne gli effetti negativi e agire di conseguenza, scappando verso nuove esperienze, o rimanendo nello stato attuale con rassegnazione. Nell’uno e nell’altro caso, comunque, si nasconde la sofferenza.

Naturalmente qui entrano anche in gioco i valori, le credenze, le convinzioni, ecc.,  sulle quali si basa il singolo individuo per fare le proprie scelte nel mondo, anche in relazione appunto, al fatto di scappare o restare nel rapporto attuale.

Sono del parere che tutto ciò che ha vita, è in movimento. L’esempio è quello di uno stagno e di un torrente.

Ø      Nello stagno l’acqua è sicuramente calma, sempre la stessa ed intorbidita, gli abitanti di questo habitat sono sempre gli stessi;

Ø      nel torrente, ci sono sicuramente molte insidie, forse sotto il livello del fiume si possono nascondere rocce ed ostacoli, ma le sue acque sono sicuramente chiare e limpide, in alcuni tratti scorrono veloci, in altri lente, curvano, scivolano via diritte, ma sempre in movimento per raggiungere il proprio scopo, quello di congiungersi al mare, ed in tutto il suo percorso il torrente da vita a tante qualità di pesci, a seconda dell’ambiente e delle temperature in cui si trova a scorrere.

 

A questo punto la domanda potrebbe essere la seguente: come è possibile allora(per coloro che vorrebbero avere un rapporto duraturo) ridurre ai minimi termini l’eventualità di minare il proprio rapporto di coppia?

 

All’inizio di questo post ho parlato metaforicamente (ma non troppo) di due valige che portiamo con noi nella fase di innamoramento.

In queste due valige, ognuno porta con se: paure, delusioni, abbandoni, insicurezze, sicurezze, dubbi, gratificazioni; insomma una serie di stati psicoemotivi che in qualche modo hanno formato la nostra personalità.

Credo necessario, per la salute della coppia, prendere prima coscienza dell’esistenza delle esperienze che portiamo con noi nel rapporto a due, in considerazione anche del fatto che successivamente questa relazione potrebbe vedere allargato il suo piccolo gruppo con la nascita di uno o più figli.

La presa di coscienza delle esperienze che in qualche modo ci hanno formato è il primo passo, successivamente, rivivere e rielaborare conformemente al nostro desiderio più profondo ed in modo “ordinario” al nostro sistema psicoemotivo, quegli stati che nel nostro vissuto precedente non sono risultati appaganti, ci offre l’opportunità di evitare di far affiorare nel rapporto di coppia, elementi di disturbo che possono farci attaccare, vincolare a determinati stimoli a cui siamo sottoposti nell’interazione con l’altro/a e dai quali non possiamo sottrarci ed ai quali rispondiamo con reazioni e azioni specifiche e spesso controproducenti per la salute della coppia stessa.

 

Sarebbe interessante aprire un dialogo con i lettori di questo blog per confrontarci in merito al rapporto di coppia.

 

Cordialmente

 

Massimo Catalucci

 

 
 
 

Post N° 27

Post n°27 pubblicato il 03 Settembre 2009 da counselor63
Foto di counselor63

NOI EDUCATI...

Provo a commentare, per quanto mi è possibile e secondo una mia personale visione, il concetto di educazione dei giovani.


Credo che di modelli di insegnamento, educativi, ve ne siano molti e forse in qualche modo potrebbero essere tutti più o meno validi.

Il problema secondo me da affrontare al di la del modello pedagogico da assumere e più evidente, è invece quello dell’educatore, spesso molto bravo da un punto di vista teorico, molto meno bravo da un punto di vista pratico ed esperienziale.

In particolare nella scuola primaria, per sistema educativo, si tende principalmente se non quasi  esclusivamente, con eccezione di alcuni insegnanti più attenti ai bisogni dei bambini, ad impartire le varie discipline didattiche: aritmetica, storia, lingua italiana e straniera, ecc., ecc..

Questo è sicuramente formativo da un punto di vista della conoscenza e della formazione culturale dell’individuo, ma diventa limitativo quando la base (bambino) per ricevere tali informazioni non è pronta per acquisirle, anche per la velocità di trovarsi da un ambiente familiare ad uno sociale più esteso e sicuramente più competitivo (altri bambini e adulti) ed impositivo (regole). Mi spiego meglio. Considero la scuola, quella delle prime classi, un luogo nel quale si dovrebbero formare i ragazzi alla partecipazione attiva della comunità, passando attraverso lo sviluppo della individuale personalità, secondo le caratteristiche di base dell’individuo stesso. Un luogo dove sarebbe più importante impegnare del tempo (parlo della fase iniziale) all’insegnamento ed all’utilizzo dei propri “filtri” naturali che ci permetteranno di formarci emotivamente nel rispetto di una personalità forte e propositiva, ma ancor di più farci apprezzare la scuola come luogo di libere opportunità e crescita individuale in un contesto piacevole anziché sofferente.

Quando ci accingiamo a frequentare la prima classe elementare, ma forse ciò avviene già nella  classe precedente,  portiamo in una comunità formata da altri nostri coetanei, le nostre esperienze educative, dirette ed indirette e ricevute nei nostri primi anni di vita in un ambiente familiare (inteso come gruppo intimo – genitori, fratelli, nonni, zii).

Improvvisamente siamo costretti a confrontarci con altri nostri simili e obbligati a ricevere informazioni che spesso utilizzano, quasi esclusivamente, salvo qualche eccezione individuale, un metodo educativo piatto e troppo lineare. Il bambino che arriva alla scuola è un vulcano di emotività, talvolta soppressa o libera, comunque non è ancora pronto alla razionalità, alle regole, alla competizione. Occorre secondo me introdurlo nel mondo delle regole, con strumenti che rispettino le sue attuali caratteristiche, evitando di forzarlo verso un atteggiamento troppo ordinato e lineare. Con questo non voglio dire che l’educazione e la formazione di un individuo non debba prevedere anche l’insegnamento delle regole comuni ed in particolare della razionalità, della logica. Ma prima di arrivare a questo, credo che sia necessario che un individuo possa passare dall’ambiente familiare, in cui ha assorbito nei primi anni l’impronta educativa dei suoi tutor (parenti), all’ambiente sociale più esteso, gradualmente, avendo così la possibilità di rielaborare eventuali esperienze emotive negative che potrebbero creare successivamente limitazioni allo stesso.

Per essere più chiaro, vorrei indicare alcuni esempi in cui una persona cresce nei sui primi anni di vita. Esistono ragazzi che hanno ricevuto un’educazione fatta di particolari attenzioni, atteggiamenti iperprotettivi dei genitori e/o chi per loro – vedi “genitore mantello”, oppure fatte di troppe regole – vedi “genitore autoritario”, per non parlare di altre situazioni dove esiste l’assenteismo, fisico e/o affettivo dei suoi punti di riferimento primari, ovvero, l’atteggiamento del “genitore demolitore”, una posizione dell’adulto che demolisce nel vero senso della parola ogni eventuale possibilità di scelta del ragazzo.

In questi anni e relativamente anche all’attività di direttore didattico di un centro di formazione professionale regionale (Lazio), ho avuto purtroppo la spiacevole esperienza di verificare che la scuola, al di la dell’età dei discenti, è considerata dai più, luogo di sofferenza e costrizione.

Eppure la scuola dovrebbe essere quel luogo di “saperi” e “conoscenze”, dove, prima di attivare nell'individuo il potere  dell’intelletto razionale, per conoscere ed approfondire le varie discipline che gli verranno insegnate (leggere, scrivere, contare), sarebbe importante, secondo me, sviluppare il suo intelletto emotivo con un accrescimento della sensibilità di cui ogni essere umano è già dotato dalla nascita, attivandolo all’ascolto attivo del mondo a se circostante, per mezzo dei suoi filtri naturali:

1)      gli organi  di senso;

2)      la rappresentazione interiore del contesto che lo stesso individuo vive.

Lavorando su questi aspetti principali, e qui potremmo discutere sul metodo da utilizzare per farlo al meglio, si proietta il giovane verso una maggiore visione del mondo, dandogli la possibilità di elaborare eventuali tensioni emotive che nella sua prima fase di vita, volutamente e/o involontariamente, potrebbero essersi create in famiglia.


A tal proposito, voglio sottolineare anche che, esistono situazioni in cui il ragazzo ama la scuola e non la vede come luogo di sofferenza, ma bensì come valvola di sfogo intesa a volte anche come motivo di attenzione verso di sé da parte del genitore. Faccio un esempio. In quel ragazzo che accusa una carenza (fisica e/o emotiva) affettiva da parte in particolare del genitore che è un maggiore riferimento educativo/emotivo per lui, lo stesso può sviluppare l’esigenza di ricevere gratificazioni ed attenzioni (carezze ed apprezzamenti, fisici e non) proprio attraverso lo strumento scolastico, divenendo un alunno modello con ottimi profitti.

Anche in questo ultimo caso però, vediamo come il ragazzo porti con sé le sofferenze di una relazione affettiva non conforme, relativamente alla qualità e quantità ricevute, al suo sistema psicoemotivo ordinario, lasciando così inadeguatamente appagate le proprie esigenze emotive che ritroviamo anche nella scala dei bisogni umani prodotta da Maslow.


Credo quindi che l’intervento maggiore oggi, anziché farlo sui ragazzi, sia da fare sugli insegnanti e sulla scuola, i quali dovrebbero, in primo luogo abbandonare i concetti e preconcetti relativi alla struttura del sistema scolastico attuale, ed in secondo luogo, intraprendere un nuovo cammino educativo della propria emotività, di natura esperienziale.

Sono convinto che in questo modo, da una parte, l’insegnante troverà nei ragazzi un terreno più fertile e pronto a ricevere le varie discipline scolastiche con più facilità,  dall’altra parte troverà un ragazzo più propenso all’ascolto del suo insegnante, riconoscendolo, prima come educatore attento ai suoi bisogni emotivi e successivamente fonte di conoscenza.


Questo in parte è ciò che il progetto “Giovani Solidali – Formazione In Valori dei Giovani” (di Ideas Europa), di cui ho già accennato in passato in questo blog,  si prefigge di ottenere. Purtroppo, essendo un prodotto privato e di conseguenza non ancora recepito nel modo giusto dalla macchina istituzionale, rimane difficoltoso introdurlo nella scuola con continuità ed il larga scala. Anche in questo caso, laddove troviamo consensi da parte di presidi e/o direttori scolastici nell’introduzione di questo progetto, nelle scuole che rappresentano, ciò viene sempre fatto  senza un’adeguata formazione. Non parlo della formazione teorico/pratica che viene già somministrata ai docenti che prendono parte al progetto su indicato e/o ad altri progetti in circolazione, ma a quella relativa all’aspetto esperienziale personale dell’insegnante/educatore. Mi spiego meglio. Se un docente vive ancora vincoli emotivi per i quali ha dovuto creare comportamenti compensatori, razionalmente potrebbe aver superato alcune situazioni, ma inconsciamente tali esperienze vissute continueranno ad avere un’influenza sui suoi comportamenti stessi. L’educatore, per come la vedo io, deve essere necessariamente una persona che conosce il nostro sistema psicoemotivo ed il suo funzionamento, avendolo in prima persona sperimentato.


In conclusione, credo che di metodi educativi ve ne siano  molti, ma pochissimi istruiscono gli educatori sul loro funzionamento psicofisico emotivo, sulle funzionalità del’inconscio e sull’importanza della creatività nell’applicazione di strumenti educativi e/o pedagogici.


Massimo Catalucci

 

 
 
 

Post N° 26

Post n°26 pubblicato il 28 Agosto 2009 da counselor63
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(SEGUE post 22)

IPNOSI…..UN FENOMENO NATURALE?

 Rispondo alla domanda inviatemi da Pier Luigi Lando

 

http://www.pierluigilando.net/Ecologiapsicosociale/Eps.htm 

relativa al post 22 su indicato.

 

1) …si potrà considerare atto ipnotico quando nel training autogeno si propone al soggetto in rilassamento di concentrare l'attenzione su un punto, un'area, una figura geometrica, ecc.?

 

 

 

 Per quanto mi riguarda, credo proprio che l’attenzione rivolta in uno specifico punto, sia essa una figura geometrica o quant’altro, induca ad uno stato ipnotico. Poi naturalmente potremmo parlare della profondità dello stato ipnotico. Dal semplice stato di trance leggera (onde alpha), dove il soggetto è presente (rilassamento vigile - conscio/inconscio), a stati di trance più profonda, dove il soggetto ipnotizzato non ricorda nulla consciamente (sonnolenza e primo stadio del sonno: onde theta; sonno profondo: onde delta).

Credo altresì che, in base ai casi da trattare, sia valido utilizzare stati di trance diversa. Mi spiego meglio. Forse ci sono situazioni passate della persona, come ad esempio traumi derivati da violenze sessuali in giovane età, che richiedono un trattamento profondo della psiche del malcapitato, senza far affiorare alla sua coscienza l’esperienza negativa dallo stesso vissuta. In questo caso credo che una trance profonda possa essere utile. In situazioni invece quali ad esempio una fobia, quale la paura dell’altezza, salire in ascensore; oppure in altri blocchi emotivi quali ad esempio sostenere un esame scolastico, affrontare il proprio capo al lavoro e/o ancora il cambiamento di una cattiva abitudine e/o altre simili limitazioni; credo che uno stato di trance leggera con una frequenza delle onde cerebrali tra gli 8 e i 14 Hz. (onde Alpha) sia più indicata.

Non escludo però la possibilità di utilizzare una trance leggera anche in situazioni quali traumi violenti su già riportati, in questo caso però è importante assicurarsi che l’inconscio della persona sia d’accordo (1) a far rivivere consciamente alla stessa il suo passato fortemente traumatico e debilitante.

 

(1)…l’inconscio della persona sia d’accordo……:

con questa espressione intendo dire di essere attenti non alla convinzione conscia della persona ma ai messaggi non verbali che la stessa ci invia quando stiamo indagando se veramente nel profondo ogni sua parte è d’accordo che i dettagli di un’esperienza negativa vengano in superficie, emergano fino alla sua coscienza.

Massimo Catalucci

 
 
 

Post N° 22

Post n°22 pubblicato il 19 Agosto 2009 da counselor63
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IPNOSI…..UN FENOMENO NATURALE?

 

Quando sentiamo pronunciare questa parola, ci troviamo a discutere con chi crede che la forza di volontà possa ostacolare le capacità comunicative di qualcuno, impedendogli di avere un’influenza significativa nei propri confronti; altre persone credono invece che i messaggi subliminali fatti ad arte possono condizionare chiunque, nessun escluso; altre persone ancora affermano di aver provato l’ipnosi e c’è anche chi sostiene di non averne mai provato gli effetti.

La maggior parte però, in qualche modo, guarda con una certa distanza all’ipnosi. Forse perché se ne è sempre parlato come una risorsa affiancabile al plagio. Si pensa di solito all’ipnosi come un processo comunicativo indotto da qualcuno per avere il sopravvento su di noi. Si ha insomma un po’ paura.

Eppure… e qui sta il bello, l’ipnosi, che potremmo chiamare anche stato alterato di coscienza, trance, comunicazione emotiva, sonno ad occhi aperti e chi più ne ha… più ne metta, è un fenomeno naturale che tutti abbiamo in qualche modo provato.

Sarà sicuramente capitato anche a voi, almeno una volta,  di trovarvi a camminare per strada a piedi o in macchina e rendervi conto solo dopo qualche metro (talvolta anche centinaia di metri), di aver percorso il tragitto senza che ve ne siate coscientemente resi conto. È come se avessimo inserito in quel momento il nostro pilota automatico interiore. Ad esempio in macchina, siamo in grado di manovrare il volante a destra o a sinistra, mettere le frecce direzionali, spingere la frizione e mettere le marce, frenare, accelerare, ascoltare la radio, vedere i segnali stradali, ecc.; ma ci potrebbe capitare di non far caso a tutte queste manovre e solo dopo che abbiamo percorso un bel po’ del nostro tragitto, ci rendiamo conto di aver guidato l’auto, di essere arrivati da qualche parte, mentre la nostra mente era assorta in altri pensieri che nulla avevano a che fare con l’attenzione conscia di guida di un’auto.

Come chiamereste voi questo fenomeno?

Sovrappensiero? Sbadataggine? Disattenzione? Incoscienza? Irresponsabilità?

Potremmo chiamarla come meglio desideriamo, fatto sta che, questo stato emotivo nel quale abbiamo percorso un certo tragitto, ci ha fatto trovare, fisicamente e mentalmente, seduti nella nostra auto e contemporaneamente da qualche altra parte. Stavamo in sostanza vivendo due stati completamente veri ed anche se potremmo affermare che consciamente non ricordiamo nulla di quello che è accaduto, sia mentre eravamo alla guida, sia mentre ci eravamo proiettati mentalmente da qualche altra parte,  ovvero avvertire la sensazione di essere totalmente presi dai nostri pensieri che l’attenzione conscia alla guida era in quegli attimi andata perduta,  siamo stati in grado di crearci in automatico un bello stato ipnotico.

Ecco perché, come già affermato da molti luminari in questa disciplina  (vedi ad esempio: Milton Erickson, Richard Bandler), sostengo che l’ipnosi è uno stato naturale che tutti abbiamo in qualche modo provato. Quello da me riportato, quando siamo alla guida della nostra auto, è solo un esempio per dimostrare che tutti siamo passati più di una volta, attraverso uno stato ipnotico.

Personalmente, considero lo stato ipnotico un momento di alta concentrazione, dove la nostra completa attenzione viene focalizzata in un determinato punto, lasciando che le funzioni vitali controllate dal nostro sistema nervoso continuino a funzionare, ma facendo in modo che il mondo esterno venga pian piano allontanato dalla nostra coscienza, dando spazio ad una nuova realtà del qui ed ora e che può anche essere qualcosa che ha a che fare con il nostro presente e/o passato e/o futuro.

Quest’altro esempio potrebbe venirci in aiuto: quando siamo emotivamente coinvolti in una conversazione, pur trovandoci in un ambiente con molte persone che parlano (un party) e ci sentiamo attratti dall’argomento che stiamo affrontando e magari anche fisicamente dal nostro interlocutore, siamo in grado di focalizzare la nostra attenzione esclusivamente su quello che in quello specifico momento a noi interessa, escludendo la ricezione conscia di tutti gli altri suoni (voci, rumori), immagini (persone, contesti). È uno stato di “focus” sul nostro interesse del momento.

Allora se l’ipnosi (oppure chiamatela come volete) è qualcosa che già naturalmente facciamo, perché la maggior parte ne ha paura?

Sono convinto che i messaggi pubblicitari (Tv, radio, stampa) abbiano un forte impatto sulla nostra emotività, stimolando ad arte i nostri istinti, i nostri valori, i nostri desideri, portandoci ad acquistare qualsiasi prodotto. 

D’altra parte chi crea spot pubblicitari, sa quanto importante sia lasciare che il consumatore  consideri la sua scelta libera, ma allo stesso tempo sa che è importante stimolarlo dal suo interno (istinti, valori, desideri) affinché inconsciamente lo stesso possa indirizzare il suo acquisto verso un prodotto piuttosto che un altro.

Anche il rilassamento psicofisico è in qualche modo uno stato ipnotico. Molte persone riescono a raggiungere stati più o meno profondi di rilassamento psicofisico emotivo, grazie alla visualizzazione autoindotta di alcune immagini e la sovrapposizione di altre submodalità legate al nostro sistema sensoriale.

Per concludere, non credo che  esistano persone non ipnotizzabili, penso piuttosto che vi siano esseri umani facilmente o difficilmente ipnotizzabili. Considero altresì l’ipnosi come uno “strumento” utile per il superamento di alcuni disagi psicofisici emotivi accusati dagli esseri umani, ma anche, nella sua forma più leggera (rilassamento) uno strumento capace di dare maggiore serenità e tranquillità a chi ne fa uso.

Rimane naturalmente la considerazione che l’ipnosi può essere imparata da chiunque e pertanto come tale può essere praticata su chiunque ad insaputa del ricevente, ecco perché scuole serie di ipnosi si assicurano che tali tecniche vengano insegnate a professionisti e dagli stessi utilizzate nel rispetto della professione che svolgono e della categoria che rappresentano.

 

Massimo Catalucci

 

 
 
 

COUNSELING

Post n°21 pubblicato il 13 Giugno 2009 da counselor63
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"DIALOGO CON L'ESPERIENZA EMOTIVA PERSONALE"

 

Il Counseling è una professione socio-relazionale che muove verso le problematiche emotive dell’essere umano, privilegiando l’empatia affettiva rispetto a quella cognitiva, facendo riferimento anche alle strutture archetipiche dell’umano, sia nella coscienza collettiva che nell’inconscio collettivo. È una forma di dialogo consapevole tra il Cliente ed il Counselor, nella quale quest’ultimo utilizza tecniche e metodologie specifiche atte ad aiutare la persona nei momenti di particolari blocchi emotivi che gli impediscono di vivere serenamente la propria esistenza. Questi blocchi emotivi hanno origine generalmente negli aspetti relazionali, per cui la persona potrebbe vivere internamente sensazioni di: abbandono, rabbia, delusione, avvilimento, oppressione, ansia, isolamento, esclusione, insicurezza, timidezza, ecc., che possono essere interpretati dalla persona stessa, consciamente, diversamente dal significato che hanno, spingendo la stessa verso comportamenti compensatori non ordinari. Tale situazione, può generare inoltre una minaccia per la sua vita sociale fino anche ad allontanarla da essa, aumentandone di conseguenza la sofferenza. Il Counselor è quindi un professionista con conoscenze e competenze specifiche, preparato per aiutare ed orientare la persona bloccata emotivamente verso la ricerca di nuove opportunità, affinché il suo assistito possa arbitrariamente scegliere gli eventuali cambiamenti da adottare nella propria vita, sia nel comportamento conscio che inconscio, al fine di sentire appagati ordinariamente i suoi bisogni emotivi. Ogni essere umano ha una sua personale rappresentazione della realtà che lo circonda, per cui ognuno di noi porta con sé un proprio modello del mondo unico, al quale fa riferimento per vivere. In questo modello del mondo unico e personale, avvengono dei processi di pensiero che sono la struttura portante di ogni nostro comportamento. Possiamo immaginare che ognuno di noi inizi a costruire il proprio modello del mondo già dal momento in cui viene concepito. Se pensiamo infatti a noi come un nucleo biologico, emotivo e spirituale([1]), che prende vita nel momento in cui il seme maschile feconda l’ovulo femminile, potremmo accorgerci che in quell’istante, cominciamo a formarci come esseri umani che portano con sé memorie attraverso la trasmissione genetica e genealogica. Tutto questo da origine a quella che io chiamo registrazione di una “traccia delle memorie dell’esperienze umane”. L’essere umano è materialità e immaterialità. Così come ha necessità di appagare i suoi bisogni fisiologici, ha necessità di appagare i suoi bisogni emotivi e spirituali. Quest’ultimi, in particolare, si alimentano proprio attraverso le relazioni. Ne consegue che ogni persona, in relazione alla quantità e qualità dei rapporti interpersonali che instaura con i propri simili, formerà una individuale personalità, ed è da queste relazioni che possono nascere conflitti interiori che successivamente possono bloccarci emotivamente ed indurci in comportamenti straordinari già definiti compensatori, che tendono in qualche modo ad allontanarci dalla sofferenza emotiva. Generalmente però questi comportamenti compensatori, rappresentano un rifugio di piacere apparente e talvolta di breve durata, nascondendo il seme di una costante sofferenza che difficilmente riusciamo a placare.

Quando ci troviamo a vivere situazioni emotive così penalizzanti, solitamente siamo coscienti solo del risultato finale di un prodotto che è frutto di un processo del nostro pensiero inconscio, per cui ci capita spesso di arrivare anche a somatizzare il disagio, di natura psichica, in specifiche aree del corpo. Un esempio più rappresentativo del concetto espresso, ci viene da comuni espressioni verbali da noi manifeste e al quanto specifiche, apparentemente poco significative. Se pensiamo ad esempio ad una persona che costantemente ha un fastidio ricorrente alla gola con una tosse stizzosa ed alla quale non è stato diagnosticato nulla di patologico, molto probabilmente ci troviamo davanti ad un soggetto che esprime attraverso l’espressione fisica, corporea, il disagio psicoemotivo che sta vivendo. Il disagio psicoemotivo, viene convertito in sintomi fisici le cui manifestazioni possono diventare sempre più fastidiose. Secondo la medicina psicosomatica, la somatizazione è un processo diffuso di dislocazione di un processo psichico di disagio in specifiche aree del corpo. Ascoltare il sintomo diventa determinante quindi anche per individuare l’eventuale relazione malvissuta dalla persona e ritenuta  inappagante emotivamente. Possiamo anche affermare che le somatizzazioni sono frutto di memorie inconsce che, stimolate successivamente nella nostra quotidianità nel confronto con gli altri, tornano fuori sotto forma di sintomo psicofisicoemotivo.

In questo caso il Counselor interviene sulla somatizzazione concentrata nell’area specifica del corpo della persona, facendo emergere dalla persona stessa, attraverso il dialogo e le verbalizzazioni, le informazioni necessarie che meglio rappresentano la sofferenza manifestata nel suo corpo. A tal proposito e a tutela della persona stessa, che potrebbe ritenere scomodo per sé raccontare i fatti della sua esperienza di vita che secondo lei rappresentano meglio quel sintomo, il Counselor instaura un processo di verbalizzazione basato sulla simbologia. Mi spiego meglio. Laddove alla persona dovesse venire in mente di collegare quel sintomo ad un ricordo, ad esempio traumatico, di cui intende tenere per sé i dettagli di ciò che sta rivivendo mentalmente e fisicamente, il Counselor la invita a dare delle definizioni diverse a ciò che sta vivendo nel “qui ed ora” in relazione al ricordo psicofisico emotivo e ciò, può essere identificato anche con un colore, una forma e tutte quelle rappresentazioni e accostamenti simbolici che la sua mente creativa gli permette di produrre. Potrebbe essere definita una “investigazione discreta” della sintomatologia espressa. Questo lavoro di ascolto attivo a cui la persona viene invitata a prestare attenzione, fornirà al Counselor quegli elementi simbolici che saranno utilizzati nel “training” per soddisfare in modo conforme al sistema inconscio della stessa, i suoi bisogni emotivi. È importante quindi considerare che è necessario  che si instauri tra il Counselor ed il suo assistito, un rapporto empatico([2]) ed assertivo([3]) , affinché  il professionista possa diventare per la persona che assiste, ciò di cui lei ha bisogno per sviluppare quelle dimensioni relazionali di affinità elettiva  che sono rimaste insoddisfatte nel rapporto con le figure importanti della sua esistenza in ogni sua forma e dimensione. Il Counselor attraverso la “Relazione di Aiuto” instaurata con il suo assistito, riporta l’equilibrio nella relazione stessa, sostenendolo con disponibilità, dialogo, riconoscimento, incontro, mediazione, complementarità ed integrazione. Personalmente ritengo l’attività professionale di Counseling una forma di “Training” personale, dove è possibile apprendere, in primo luogo, il  modo individuale di come funziona il nostro sistema emotivo, ed in secondo luogo, liberare le potenzialità che risiedono dentro ognuno di noi, spingendoci verso la comprensione logica e/o emotiva dei propri bisogni ordinari e dei comportamenti correlati, nonché la comprensione logica e/o emotiva di cosa abbiamo bisogno per modificare e/o esaltare comportamenti passati, presenti e futuri, con l’obiettivo di migliorare la qualità della propria vita emotiva.


 

 Massimo Catalucci

Iscr. Reg. Naz. Counselor F.A.I.P. nr. 522 del 30/10/2006

(Federazione delle Associazioni Italiane di Psicoterapia)

Studio di Counseling - Via Savuto 31 - 00040 Tor San Lorenzo - ARDEA (RM)

Tel. (+39) 06.89.82.83.50 - Cell. 328.95.90.875






[1] Spirituale: “nel dizionario della lingua italiana (edito da De Agostini) questa parola viene definita come essenza incorporea posta da alcune religioni e da alcune concezioni filosofiche quale principio universale di vita, identificata con Dio e comunque con una divinità”. Non è da escludere comunque che ognuno possa avere una sua personale definizione di spiritualità, libera da concetti religiosi e/o filosofici, attribuendola ad esempio ad un’essenza incorporea ma riconducibile alle funzioni prettamente mentali dell’essere umano.

(definizioni tratte dal dizionario essenziale di counseling edito da “Pre-Pos” scuola transteorica di Counseling del Prof. Vincenzo Masini)

[2] “Empatico” – Empatia cognitiva: capacità di accogliere il mondo razionale del cliente e codificare i suoi pensieri e i suoi atteggiamenti sulla base della sua diversità dal nostro. È tipica dell’approccio comunicazionale di tipo simbolico; E. emozionale o affettiva: capacità di accogliere il vissuto altrui percependo il substrato emozionale della persona. È tipica dell’approccio comunicazionale di tipo narrativo.

[3] “Assertivo” – Assertività: capacità di individuare e delimitare i propri spazi nei gruppi e di esercitare pressione psicologica e controllo mediante espressioni linguistiche semplici ma con elevata densità di significato. […..] L’addestramento all’assertività è una forma di intervento per la costruzione o la ricostruzione dell’identità.

 

 
 
 

Post N° 20

Post n°20 pubblicato il 07 Aprile 2009 da counselor63
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LA "PRESENZA" PERCETTIVA NEL "QUI ED ORA"


Rifletto spesso su quello che diciamo in merito alla nostra percezione della realtà che ci circonda. Siamo sempre pronti, da bravi adulti formati e strutturati, a considerare di avere sempre sotto controllo la realtà in cui viviamo. Poi soffermandomi a riflettere di più su questo aspetto, mi rendo conto che invece omettiamo continuamente delle parti importanti dalla realtà che ci circonda, forse anche perché vittime, di un sistema che corre oramai veloce a ritmi molto sostenuti. Spinti forse da questa forza, siamo alla ricerca continua di una velocità di azione che compromette la nostra  personale sensibilità di osservare con attenzione ciò che è importante veramente e singolarmente per ognuno di noi.

Mi spiego meglio. Il vortice emotivo in cui ci muoviamo costantemente, sollecitati se volete, dalle condizioni e dal contesto in cui viviamo, ci rende insensibili e lontani "ascoltatori attivi" della realtà a noi circostante. Purtroppo poi, questo si riversa non solo in quegli aspetti della vita definiti da noi irrilevanti, ma anche in quegli aspetti ritenuti da noi importanti e degni di significato.
Per rendere più comprensivo il mio messaggio, voglio riportare l'esperimento sociale che fece il "Washington Post" in relazione alla percezione, al gusto ed alle priorità delle persone.

L'evento si concretizzò in quanto segue.

Era un mattino di gennaio molto freddo e all'interno della metro di "Washington DC" c'era un violinista che suonava dei brani di Bach. Era l'orario di punta e molta gente sarebbe passata di li per andare a lavorare. Sono quei momenti dove si concentrano molte persone.

Il violinista suonò i celebri brani musicali del noto compositore per circa 45 minuti. Nel via vai veloce, tra passi frettolosi e decisi, solo alcune persone rallentavano il passo per girarsi ad ascoltare quei suoni che in qualche modo percepivano nel grande caos in cui si muovevano. Altri correvano via velocemente senza neanche rendersi conto della presenza del violinista. Altri ancora lanciavano velocemente, quasi in modo automatico, una monetina della cassettina delle offerte del violinista. Solo un uomo, dopo qualche minuto dall’inizio dell’esibizione del violinista, si soffermò un attimo ad ascoltare quella musica appoggiandosi ad un muro. Ma anche lui, poco dopo, guardò l'orologio e riprese velocemente il suo ritmo giornaliero.

Tra i tanti passanti, solo i bambini rallentavano il passo all’ascolto di quella musica, costretti però dagli adulti con i quali passeggiavano a procedere senza fermarsi. Ma i bambini attratti da quelle note musicali, continuavano, mentre si allontanavano, a voltare la testa verso il violinista.

In 45 minuti solo 6 persone si fermarono qualche istante ad ascoltare la musica prodotta dal violinista e circa una ventina di persone gli donarono qualche dollaro. Il musicista, trascorsi i 45 minuti, smise di suonare. Nessuno applaudì né tantomeno nessuno si accorse che in quel ritmo frastornante, come una meteora, si era materializzato un momento di sublime spiritualità artistica, alla quale in pochi erano stati capaci di prestare “ascolto”, ma in tanti forse erano solo stati capaci di “sentire” o addirittura neanche “sentire” (inteso in questo ultimo caso come ricordo cosciente di aver udito o meno qualcosa in particolare).

Nessuno lo sapeva, ma il musicista era un certo Joshua Bell, uno dei più grandi violinisti al mondo. In quei 45 minuti della sua esibizione artistica tra la folla della metro di “Washington DC”, suono uno dei pezzi più complessi mai scritti e lo fece con un violino del valore di 3,5 milioni di dollari. Due giorni prima di questo esperimento alla metro, organizzato come detto da “Washington Post”, Joshua Bell fece il tutto esaurito al teatro di Boston, dove le poltrone per assistere allo spettacolo, costavano in media 100 dollari.

 

Riflettere su questo aneddoto, ci da la possibilità di riflettere maggiormente su tutte quelle volte in cui troppo frettolosamente diamo giudizi, tutte quelle volte in cui  prestiamo poco “ascolto” a qualcuno o qualcosa, tutte quelle volte in cui, travolti magari dal contesto, non riusciamo a fermarci un attimo per valutare meglio cosa, come, con chi, dove e quando stiamo vivendo una determinata situazione.

In sintesi, se non troviamo un attimo di tempo nella nostra vita  per rallentare i ritmi a cui siamo sottoposti e magari soffermarci anche ad ascoltare attivamente ciò che viviamo giornalmente, in termini di qualità della vita ed in particolare nei rapporti con i nostri simili (figli, partner, collaboratori di lavoro, amici, ecc.),  sarà di più quello che potremmo acquisire o perdere?

 

Massimo Catalucci

 

 
 
 

Post N° 19

Post n°19 pubblicato il 28 Marzo 2009 da counselor63
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FALSA SOCIETA'?

 

Ho deciso di pubblicare il commento di un utente del blog (franztravel),fatto al mio post nr. 11 dal titolo “L'opportunità e la libertà di scegliere”, perché trovo interessante il suo intervento, al quale ho già rivolto le mie riflessioni e mi piacerebbe che altrettanto venisse fatto da altri utenti che si troveranno a leggere le righe che seguono.


Commento di franztravel al post nr. 11 L'opportunita e la libertà di scegliere.


"questa società è solo una falsità. la gente siaffida a questi materialismi che distolgono lo sguardo dalla vera vita, che andrebbe vissuta e non buttata. la futilità però distrugge qualsiasi valore, cisi basa sui pregiudizi e sull'apparenza e in questo modo si perde il carattere di esseri umani. la società condanna tutti coloro che pensano alla libertà e al sentimento interno alla persona. la gente ha perso qualsiasi valore e questo è stato raggiunto a causa dell'attaccamento al denaro e al potere. è facile vivere con gli occhi chiusi, ma questo non è vivere, è esistere."


Commento di Massimo Catalucci a franztravel.


Ciao franztravel, grazie innanzitutto della tua attenzione e di aver commentato il mio post. Leggo molta rabbia nelle tue parole, sia nel tuo presente commento che nelle tue pagine blog. E’ vero quando dici che la società in qualche modo crea modelli di riferimento insani, che apparentemente ci fanno credere di vivere in uno stato di benessere totale, che i soldi, il materialismo, sono i simboli accecanti, per i più, di un appagamento (straordinario, non ordinario) totale della persona. Tutto vero. Ma questo, non so se ti è mai capitato di pensarlo, esiste da quando esiste l’uomo. Il bene ed il male fanno parte di questa società e formano un riferimento significativo nello stesso, è qualcosa che fa parte di noi. Certo che poi ognuno ha la sua individuale visione di ciò che è il bene e ciò che èil male. Ognuno elabora in modo strettamente personale ed univoco i segnali che gli arrivano, decodificandoli secondo un suo sistema interpretativo. Forse è per questo motivo che molti di noi, pur considerando obiettivamente, ad esempio, il fumo di una sigaretta come un “male” (vedi la scritta sulle confezioni) per se stessi e per la società, allo stesso tempo non riescono a farne a meno, anzi, spesso mi sento dire da chi fuma che una sigaretta lo rilassa. Ma come è possibile che il veleno rilassi. Ma forse si. È Vero. A lungo andare rilassa “definitivamente”! Al di la di questo ironico esempio, la domanda che ti pongo è, “è solo una questione di intelligenza, o c’entra qualcosa anche l’emotività”?

Credo altresì che ognuno di noi, indistintamente, alla sua nascita, porti con sé gli archetipi dei sani valori umani, siano essi materiali che spirituali (immateriali). Sotto la continua pressione di stimoli esterni questi riferimenti sani vengono minati gettando nella confusione il soggetto che reagisce ad una spinta emotiva proprio verso ciò che gli è avverso. Anch’io in passato me la prendevo con tutto e tutti, additando la società come coscienza collettiva superficiale autodistruttiva, aumentando quella rabbia interna mista ad una forma di impotenza. Poi successivamente ho cominciato a pormi una serie di domande quali:

Ma quando parlo della società, io dove mi posiziono? Non sono anch’io parte integrante della società in cui vivo?

Se non accetto questa società, cosa posso fare per cambiare qualcosa?

Ma è possibile cambiare la società?

Credo che queste stesse domande se le siano fatte in passato, tanto “Hittler” che “Ghandi” (solo per portare degli esempi). La differenza sta nelle risposte. Forse il primo pensava che l’esercizio del potere sugli altri, per mezzo di strumenti distruttivi quali le armi, potesse veramente cambiare il mondo secondo il suo modello interiore di riferimento; ma anche il secondo, pensava di poter cambiare il mondo esercitando il potere dell’amore e della condivisione della carità umana, secondo un suo modello interiore di riferimento.

Ad oggi possiamo dire che ilmondo non è né l’uno né l’altro, ma sicuramente ci sono più persone che approvano e seguono l’esempio di Ghandi (meno male!) piuttosto che quello di Hittler. Ma come dato effettivo possiamo però anche affermare che a tutt’oggi esistono i seguaci sia di uno che dell’altro personaggio e delle loro idee. Quindi c’è chi tra noi ha fatto la sua scelta individuando il bene ed il male, da una o dall’altra parte.

Per quanto mi riguarda e per onor di cronaca, io mi schiero sicuramente dalla parte di Ghandi, non per l’aspetto religioso ma per il suo comportamento umano e umanitario.

Poi, rispondendomi alla domanda,“è possibile cambiare la società?”. Mi sono detto che forse non potrò mai cambiare la società, ma posso sin d’ora rapportarmi ad essa secondo un modello di vita umanitario. Quindi parlerò poco ai miei figli di razzismo, di olocausti, di potere economico, ma concentrerò molto di più la mia e la loro attenzione sulla loro umanità, mettendoli nella condizione di ascoltarsi ed ascoltare, per sapere e conoscere. Certamente non potrò pretendere che vadano verso una direzione specifica. Posso solo informarli. Credo che l’aspetto umanitario nei rapporti tra gli uomini passi attraverso il diritto degli stessi di sapere e di conseguenza conoscere, solo in questo modo si rende l’uomo veramente libero. Poi naturalmente ognuno ha quella vera e democratica possibilità che si chiama “libero arbitrio” e può utilizzarla come meglio crede.

Ora vorrei porti una domanda. Secondo te i mass media mettono più in risalto le bellezze dell’umanità, intese non solo come bellezze naturali ma come capacità sane insite nell’essere umano, o le sue brutture?

Per quanto mi riguarda, i telegiornali possono esser un esempio e una risposta a questa mia domanda. Se non c’è scandalo, sofferenza, non c’è ascolto, non c’è business.

Troppo spesso (questa è una mia visione), assisto a programmi, dibattiti, conferenze, convegni, che mettono in risalto ciò che dobbiamo sconfiggere ciò che non è buono, ma poco risalto viene dato ai tanti aspetti positivi della vita degli uomini.

Queste continue immagini di scandali, prepotenze, potere, ecc.ecc., influiscono molto sugli aspetti psicoemotivi di tutti noi, creando delle insofferenze che possano sfociare, ad esempio, proprio in rabbia verso tutti e tutto, o magari, fatto ancor peggiore, diventare modello di riferimento su cui poggiarci, con la classica frase che spesso  sentiamo pronunciare: tanto il mondo è così e non è possibile cambiarlo, quindi mi adeguo ad esso facendo ciò che fanno tutti. D’altra parte è scontato che, chi ha i soldi può avere tutto quello che vuole dalla vita.

Ma l’esempio è che te, io e molti altri nostri simili, non siamo quei tutti e questo credo che sia l’aspetto positivo e propositivo, oltre che il vero senso di libertà. Forse non cambieremo il mondo, ma abbiamo scoperto che ci siamo e credo che siamo anchei n tanti.

Preferisco concentrarmi su questa visione del mondo, piuttosto che su altre, continuando a pensare e a comportarmi con i miei simili nel rispetto della mia e della loro umanità per vivere ed esistere secondo quei valori in cui credo, e verso i quali mi sembra di capire tu faccia riferimento. E questo mi fa sentire libero.

 

Grazie ancora per la tua attenzione.

 

Massimo Catalucci

 

 

 

Definizioni tratte da: http://www.dizionario-italiano.it 

 

ESISTERE = avere attuale e reale esistenza;

VIVERE = vintr avere vita;  vintr condurre lavita, con riferimento al modo di vivere e ai mezzi di sostentamento; vintr [in sensofigurato] durare; vtr passare, trascorrere; sm modo di vivere;  sm quel che è necessario al vivere.

SOCIETA’ = sf il complesso degli uomini uniti da vincoli naturali eda leggi e convenzioni comuni intese a stabilire rapporti di tranquilla convivenza e di mutua collaborazione; sf associazione di persone che si propongono di collaborare per uno scopo comune; impresa commerciale costituita con capitali comuni da due o più persone; sf ceto, ambiente elegante, mondano; sf compagnia di altre persone.

UMANO =  [u'mano] agg.,s.m;  agg dell'uomo, dell'umanità; agg conforme, adeguato alla persona umana; agg comprensivo,buono

UMANITARIO = [umani'tarjo] agg., s.m.; agg improntato ai migliori sentimenti umani.

 
 
 

Post N° 17

Post n°17 pubblicato il 24 Dicembre 2008 da counselor63
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COMUNICARE

Il modello verbale

Nel modello personale verbale, ognuno di noi include una serie di riferimenti che sono frutto delle proprie esperienze. Queste esperienze, che sono di varia natura, sappiamo che andranno a formare un modello individuale del mondo. Nello specifico le parole sono il risultato del modello del mondo che ci rappresentiamo internamente e che ci permettono di comunicare con il mondo esterno. Ma nel comunicare un nostro concetto, un nostro sentimento, o semplicemente un fatto accaduto, un aneddoto, tendiamo a fare tre passaggi:

  1. Generalizziamo;

  2. Cancelliamo;

  3. Deformiamo.

Nel comporre una qualsiasi frase quindi omettiamo elementi importanti che sono propri della struttura profonda del linguaggio, dando luogo ad una struttura superficiale. Questo è naturale perché, come abbiamo visto, nel rappresentarci internamente le nostre esperienze tratte dal mondo esterno, è come se le catalogassimo per grandi gruppi e questo è sicuramente un vantaggio se lo vediamo come elemento organizzativo di guida nella nostra vita. Potremmo definirla una forma di sintesi verbale del nostro personale modello del mondo, che facilita la comunicazione ordinaria.

Per essere più chiaro vorrei fare questo esempio. Mettiamo che io dica: “Ho aperto la porta dalla maniglia”.
Questa frase ha comunque un senso, sta ad indicare la mia azione nel fare qualcosa di specifico. Nella quotidianità utilizziamo spesso forme di linguaggio di questo tipo che vengono da noi integrate in dialoghi più o meno lunghi. Frasi che, utilizzate in un processo di comunicazione che ho definito ordinario, trovano nell'interazione con i nostri simili, una forma fluida di dialogo per farci capire e per capire gli altri. Ne consegue quindi che frasi del genere non hanno bisogno di un'analisi attenta della struttura profonda del linguaggio. Mi spiego meglio, la frase: “Ho aperto la porta dalla maniglia”, indica sicuramente un'azione nella quale il mio interlocutore riesce a farsi un'idea di quello che sto dicendo, questo perché sa a cosa attribuire le etichette “porta” e “maniglia” e sa che generalmente una porta si può aprire e chiudere, non c'è bisogno in questo tipo di comunicazione approfondire il come, cosa, dove, ecc. In questo caso la frase viene lasciata così com'è, rappresenta un'azione che è stata eseguita da qualcuno e non impone pertanto nessun tipo di ricerca nella struttura profonda. Potremmo affermare che la fonte da cui è partito il messaggio è arrivata al ricevente dando chiara indicazione dell'azione che vuole rappresentare. Sarebbe inutile infatti approfondire la ricerca per una frase di questo tipo per capire se: 
  1. la porta si apriva spingendola da destra verso sinistra o viceversa;

  2. la porta si apriva tirandola da destra verso sinistra o viceversa;

  3. la porta si apriva facendola scorrere da sinistra verso destra o viceversa;

  4. la porta si apriva sia verso l'interno che l'esterno come quelle dei saloni del far west;

  5. la maniglia aveva le seguenti caratteristiche, colore, consistenza, forma, ecc;

  6. la maniglia doveva essere girata in senso orario per aprire la porta;

  7. la maniglia doveva essere girata in senso antiorario per aprire la porta;

  8. la maniglia doveva essere impugnata e spinta verso il basso per aprire la porta;

  9. la maniglia doveva essere impugnata e spinta verso l'alto per aprire la porta.

  10. ho provato una particolare sensazione quando ho aperto la porta;

  11. la porta era di un materiale specifico fatto di ...................;

  12. la porta era di colore .......;

  13. quando ho afferrato la maniglia ho esercitato una pressione particolare nell'impugnarla.

Tutto questo non avrebbe avuto nessun senso in una comunicazione ordinaria.

La cosa cambia quando invece ho necessità di capire meglio il mio interlocutore, cioè quando voglio avere chiaro e dettagliato il modello del mondo a cui fa riferimento la persona con la quale sto interagendo verbalmente. A questo punto potremmo definire la comunicazione straordinaria.
Facciamo un esempio. Se mio figlio mi comunica un suo stato emotivo e si rivolge a me dicendomi: “sono triste”.
In primo luogo queste due parole sono una generalizzazione della quale ognuno ha una sua personale rappresentazione della “tristezza”, per cui all'affermazione fatta da mio figlio potrei rappresentarmi tale sofferenza secondo il mio modello del mondo. Ma questo sarebbe sufficiente a farmi capire solo che mio figlio vive uno stato di sofferenza e nulla più. In secondo luogo se intendo capire meglio cosa vuole comunicarmi mio figlio con la frase “sono triste”, dovrei invitarlo a spiegarmi i motivi per cui è triste, “investigando” nella struttura profonda del suo linguaggio. Se infatti chiedo a mio figlio: “sei triste rispetto a cosa?” Lui potrebbe rispondermi così: “nessuno mi vuole bene”.
In questa ulteriore frase ci sono delle cancellazioni nella formulazione verbale, manca il referente che è indicato con la generalizzazione “nessuno”.
Continuando nella comprensione del messaggio reale che mio figlio mi sta inviando, avrei bisogno ora di chiedere chi sono “nessuno” per lui. Per recuperare quindi il referente mancante potrei chiedere: “riesci ad indicarmi chi esattamente non ti vuole bene?”
Ponendo ora che il ragazzo insista cancellando il referente di cui sono alla ricerca, opponendo volutamente o involontariamente resistenza rispondendomi ad esempio con la parola “tutti”, potrei cambiare strategia di domanda chiedendogli: “cosa fanno tutti per dimostrarti di non volerti bene?”
A questo punto, evitando di dilungarmi nell'esempio di ulteriori resistenze che potrebbero avere luogo nell'ipotetica conversazione tra me e mio figlio, immaginiamo che riceva la risposta seguente: “non giocano mai con me”. Di rimando la mia domanda potrebbe essere la seguente: “Chi esattamente non gioca mai con te?” E di seguito potrei ora ricevere una risposta di questo tipo: “i miei compagni a scuola non giocano con me”.
Ora ho finalmente un referente (i compagni) da sostituire all'etichetta “nessuno” e potrei a questo punto pensare di avere sufficienti informazioni per agire: 
  • potrei contattare gli insegnanti e dire cosa accade a mio figlio;

  • potrei dire a mio figlio che la maggior parte della gente è cattiva;

  • potrei dire a mio figlio di avere pazienza, più avanti impareranno a conoscerlo e vorranno tutti giocare con lui;

  • poteri dire a mio figlio che deve farsi rispettare di più dagli altri perché il mondo è dei prepotenti;

  • potrei dire a mio figlio che se i suoi compagni a scuola non lo fanno giocare con loro, a casa può farlo con i fratelli, i genitori, i nonni, gli zii, ecc.;

  • potrei dire a mio figlio che se non vogliono giocare con lui è probabile che lui abbia fatto qualcosa a loro, per cui hanno deciso di non giocarci insieme;

  • potrei dire a mio figlio che certe persone è meglio perderle che acquistarle;

potrei fare insomma diverse azioni in relazione a ciò che mio figlio mi ha comunicato e/o dargli molti suggerimenti in merito a cosa deve fare e come/cosa deve pensare, ma tutto questo sarebbe solo frutto di una ricerca referenziale nel mio modello del mondo, una mia interpretazione affrettata del messaggio ricevuto, al quale mancano ancora dei pezzi per essere completo.

Allora se intendo ridurre ai minimi termini la possibilità di trarre conclusioni affrettate dando consigli veloci e/o agendo in modo altrettanto affrettato, potrei approfondire ancora le mie conoscenze del modello del mondo di mio figlio, cercando di capire cosa fanno i suoi compagni. Attenzione, qui la risposta potrebbe essere scontata e potrebbe farci cadere nella trappola di pensare che abbiamo in realtà già raggiunto il nostro obiettivo, individuando la causa della tristezza del ragazzo: “i compagni non lo fanno giocare con loro”.
Ma proviamo per un attimo a pensare che io voglia comprendere meglio la struttura del linguaggio profondo di mio figlio e cosa intende dire con la frase da cui sono partito (“sono triste”) per cui gli chiederò: “in che modo i tuoi compagni ti fanno capire che non vogliono giocare con te”.
Il ragazzo potrebbe rispondermi così: “non mi chiedono mai di giocare con loro”. La successiva mia domanda potrebbe essere la seguente: “tu hai mai provato a chiedergli di giocare con loro”? Mio figlio: “no”. Io: “cosa accadrebbe se glielo chiedessi”? Sempre per rimanere in una forma sintetica di esempio e senza aggiungere quelle che potrebbero essere le ulteriori resistenze verbali messe in atto da mio figlio nella conversazione, immaginiamo questa risposta: “non ho il coraggio di chiederglielo”. Ora potrei domandargli: “cosa pensi che ti risponderebbero se glielo chiedessi”? Mio figlio: “mi risponderebbero di no”. Io: “e come ti senti quando ti dicono di no”? Mio figlio: “sento che non mi vogliono”. Io: “e come ti fa sentire quando qualcuno non ti vuole”? Mio figlio: “sono triste”.
Quello che ho voluto evidenziare in questo nuovo articolo, è che esistono due strutture nel linguaggio verbale che utilizziamo: superficiale e profonda. Laddove non abbiamo interesse di approfondire una tematica, possiamo tranquillamente poggiarci sulle strutture superficiali del linguaggio, ma dove intendiamo capire veramente cosa ci sta comunicando il nostro interlocutore di turno, figlio, partner, amico, allievo, abbiamo l'esigenza di approfondire le nostre conoscenze nel loro modello del mondo, attraverso l'investigazione verbale dei significati che ognuno di loro mette in atto nella comunicazione stessa. Nel caso sopra portato ad esempio di una conversazione ipotetica tra me e mio figlio, sono partito dalla seguente espressione: “sono triste”; per arrivare a capire che la tristezza espressa verbalmente da mio figlio, nasconde in realtà una sofferenza più profonda chiamata “rifiuto”. Il fatto di evitare di chiedere ai propri compagni di poter giocare con loro per paura di ricevere un “no”, lo mette nella condizione di limitarsi a non fare proprio quello che gli piacerebbe fare, giocare appunto con i suoi compagni. Rimanendo nell'esempio proposto, ecco che la struttura del linguaggio profondo, ha portato alla luce un riferimento sul quale dovrò principalmente lavorare se intendo aiutare mio figlio: la sua paura di ricevere un “rifiuto”. Naturalmente ne consegue che dovrò valutare anche se nel rapporto con mio figlio io possa aver in qualche modo suscitato in lui questo sentimento di “rifiuto”, attraverso alcuni atteggiamenti volontari o involontari da me espressi nella comunicazione. Eventualmente affronteremo questa tematica, la responsabilità del risultato di un'azione, in un prossimo mio articolo.
Torniamo ora al tema di questo documento.
Dovendo fare riferimento al linguaggio inteso come “modello” di scrittura e lettura, sappiamo che tutti noi abbiamo dovuto impararlo rispettando delle regole ben precise. Mi spiego meglio. Se prendiamo la seguente frase: “è ciò questo fare che piace a me lavoro”; questa di primo impatto risulta senza senso, poi magari con un po' di attenzione riusciamo a trovare il senso esatto, poggiandoci proprio sulle regole che ci sono state indotte nell'apprendimento della nostra lingua. Sta di fatto che la frase proposta può essere definita malformata. Cosa invece che non potremmo dire se la stessa frase fosse stata scritta così: “questo lavoro è ciò che a me piace fare”.
Questo avviene quindi anche nella formulazione di frasi verbali nel corso del trasferimento di un messaggio da una fonte ad un ricevente e cioè, nella comunicazione tra due o più persone. Così come si impara a leggere e a scrivere in modo corretto nel rispetto delle regole che determinano l'uso corretto della lingua, è possibile apprendere gli strumenti verbali che ci permettono di comprendere la struttura del linguaggio profondo degli esseri umani e passare da una frase malformata, dove sono presenti delle “cancellazioni”, ad una frase ben formata, dove sono presenti tutti i “referenti” di cui abbiamo bisogno.
Invito come sempre gli utenti del blog a prendere in considerazione i miei articoli come esclusiva provocazione a partecipare ad un sano confronto sulle tematiche da me proposte, anche per mezzo di critiche che possano ulteriormente fare espandere le nostre conoscenze.
Auguro a tutti i lettori un Sereno Natale ed un Emozionante Nuovo Anno da condividere con chi meglio desiderano.
Massimo Catalucci

 
 
 

 

Post n°16 pubblicato il 30 Novembre 2008 da counselor63
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Le Favole che Raccontano la Realtà.

LE METAFORE

Giorni fa rileggevo un bel libro di Milton H. Erickson, “la mia voce ti accompagnerà” (edito da Astrolabio) in cui sono racchiusi alcuni dei racconti didattici del famoso Ipnologo, racconti che apparentemente possono sembrare senza senso, ma che al contrario si rivelavano strumenti terapeutici raffinatissimi, offrendo all’interlocutore di turno (paziente, figlio, allievo, ecc.) una nuova visione di sé e della realtà ad esso circostante. Questo è il grande potere delle parole e di chi impara a comunicare per gli altri e non per sé stesso. Un noto Psichiatra di cui non ricordo il nome, che vidi in una trasmissione televisiva qualche tempo fa, disse: “Il farmaco cura la malattia, le parole curano la persona”.

Ecco perché grandi icone della storia dell’uomo: Gesù, Buddha, Gandhi, Martin Luther King, hanno coinvolto masse e continuano a coinvolgerle! Proprio per il potere che le loro parole sprigionano. I concetti espressi, sotto forma di parabole, enigmi a chiave, apologhi, hanno tuttora un potere immenso di comunicazione, arrivano negli strati più profondi dell’uomo fino alla sua “anima”.

Le metafore esercitano un forte impatto comunicativo in chi le ascolta, abbattendo le resistenze del ricevente il messaggio stesso. Raccontano la realtà della vita in modo più soft, ma penetrante. L’isomorfismo(1) abbassa le difese della parte razionale nel soggetto, coinvolgendo lo stesso individuo in FORMA INDIRETTA. Diciamo quindi che la realtà del soggetto ricevente il messaggio metaforico, verrà sostituita da una realtà virtuale con personaggi e contesti equivalenti a lui e al suo caso, ma non uguali e diretti al soggetto in forma esplicita. Prendiamo una storia a caso di quelle che potremmo sentire nella nostra quotidianità. Facciamo un esempio:


Ipotesi di realtà


Mauro è un lavoratore dipendente e soffre il rapporto di lavoro con Giorgio, il suo capoufficio. Mauro si lamenta perché si sente sempre ostacolato da Giorgio, in ogni cosa che fa. Questa situazione provoca a Mauro un forte irritamento per il fatto che descrive il suo superiore come un grande brontolone, uno che urla sempre anche quando non ce ne sarebbe motivo, tanto che alla fine, Mauro s’innervosisce e si confonde, perdendo la concentrazione sulle attività che svolge, sentendosi inoltre insoddisfatto del suo lavoro. In questo stato Mauro, che è una persona sensibile e responsabile, non riesce a lavorare serenamente e comincia a sentire il suo lavoro come una fatica eccessiva, irritandosi ulteriormente perché non riesce a svolgerlo nei tempi previsti, arrivando addirittura a pensare di dare le proprie dimissioni dall’incarico. Ma anche questa ultima eventuale soluzione rende Mauro nervoso, perché è consapevole che lasciando il lavoro questo creerebbe degli ulteriori disagi alla sua famiglia. Oggi non è facile trovare subito un altro lavoro. Non può quindi permettersi di sottrarre alla propria famiglia uno stipendio sicuro. Ha il mutuo di casa da pagare e i figli da crescere. Ma il disagio che Mauro vive è comunque forte.



Esempio di Metafora (la storia potrebbe essere riscritta così):


C’era una volta un falegname abile e volenteroso che, causa il poco spazio disponibile nel magazzino della sua piccola attività, doveva attraversare spesso a piedi un piccolo torrente per andare a rifornirsi di legna nel villaggio vicino. Il letto del piccolo fiume non era molto profondo e quindi al Falegname, per poterlo attraversare, bastava indossare un paio di stivali che lo coprivano fino al ginocchio. Il falegname però non sempre aveva la possibilità di attraversare il torrente, perché nella località montana dove risiedeva con la sua attività, pioveva di frequente, creando spesso piene nel fiume che a sua volta formava delle paurose e minacciose “rapide” dal rumore assordante. Il falegname suo malgrado, era costretto a rinunciare ad attraversarlo con grande irritazione, perché questo rallentava il suo lavoro e lo preoccupava in merito alle consegne imminenti che doveva fare ai suoi clienti. Ogni volta che gli capitava di vedere il fiume in piena cominciava ad agitarsi e non riusciva più a lavorare serenamente, perché era costretto a rimanere nel suo laboratorio preso dalle preoccupazioni delle consegne dei lavori ai suoi clienti che sapeva sarebbero tardate, colto anche da sconforto. Incominciava pian piano a maturare la voglia di lasciare quel posto immerso nella natura per andare a vivere nel villaggio vicino, magari cercando un altro lavoro. Aveva però le consegne da fare ai suoi clienti per gli ordini di lavoro che aveva precedentemente ricevuto e quindi, si trovava a combattere con se stesso. Da una parte era tentato di abbandonare il suo laboratorio di falegname e andare a vivere nel villaggio, dall’altra sapeva degli impegni presi con i suoi clienti. E intanto il tempo passava e lui si sentiva sempre più nervoso per la situazione che non riusciva a sciogliere. Questa scena si ripeteva troppo spesso e la sua agitazione aumentava ogni qualvolta si trovava nel suo laboratorio ed era costretto a vedere da una parte il lavoro che c’era da fare e dalla sua finestra il fiume in piena che non gli permetteva di andarsi a rifornire dei materiali necessari. Cominciò a sentire il lavoro che tanto amava e che faceva con molta dedizione, come qualcosa che ostacolava la sua libertà. Un giorno però, mentre il fiume era per l’ennesima volta in piena e brontolava tra le rapide, decise di non rimanere nel suo laboratorio ma bensì di andare nella sua casa che era adiacente la sua falegnameria, distogliendo per qualche minuto la sua attenzione dalla sua attività professionale, dai lavori che doveva consegnare e dal fiume in piena che brontolava tra le rapide. Mentre si trovava in questa posizione, si rese conto che ciò lo rendeva più tranquillo, allorché, rivolse a questo punto lo sguardo verso la sua falegnameria e notò che da quella posizione il fiume in piena e il suo laboratorio artigianale assumevano un’importanza diversa. Cominciò a vedere cose che prima d'ora non aveva mai notato. Era come se ci fosse qualcosa in quella prospettiva a cui non aveva fatto attenzione prima. Infatti, osservando la stessa solita scena ma da una posizione diversa rispetto alla precedente, si rese conto che ciò provocava in lui qualcosa di propositivo. Ebbe come la percezione che quel cambiamento di visuale gli dava delle opportunità diverse. E rimaneva tranquillo mentre continuava ad osservare con attenzione quali fossero queste opportunità.

Allora si domandò: cosa potrei fare per avere la possibilità di andare a rifornirmi anche quando il fiume è in piena?

A questo punto con la sessa scena davanti agli occhi ma vista da un’angolazione diversa e rilassata, esclamò: non mi ero accorto prima d’ora che intorno alla mia falegnameria ci sono degli alberi che stanno troppo vicino al fabbricato e che sono abbastanza grandi ma che cresceranno ancora e in qualche modo potrebbero compromettere la sua struttura. E se utilizzassi quegli alberi per costruire un ponte sopra il torrente, affinché possa passarci sopra tranquillamente quando è in piena?

Potrei impegnare un po’ del mio tempo libero per lavorare gli alberi e farne delle tavole per costruire il mio ponte. In questo modo potrei risolvere diverse situazioni: evitare che gli alberi diventino troppo grandi compromettendo la struttura della mia falegnameria; evitare ulteriori spese per ripristinare il fabbricato, laddove dovesse essere danneggiato dagli alberi; avere la possibilità di attraversare il fiume per andare a rifornirmi dei materiali a me necessari per il mio lavoro ogni qualvolta ne avrò bisogno, anche quando il fiume stesso è in piena; avere la possibilità di svolgere il lavoro come sono capace di fare, riuscendo a consegnare gli ordini ai miei clienti secondo i giusti tempi.

………… Ed ora sono anche convinto di una cosa, che il burrascoso rumore del fiume in piena proveniente dalle sue rapide, sarà qualcosa su cui posso fisicamente passarci sopra senza accorgermene e senza nessun disagio tante volte quante ne ho voglia, perché è un ponte creato da me e quindi stabile e so anche che posso sempre tornare in questo luogo tranquillo per qualche minuto, magari rilassandomi e non pensare al mio lavoro per qualche minuto per poi tornare sereno alle mie attività.



Sarebbe interessante a questo punto provare, con Voi utenti, a creare dei collegamenti tra la metafora (realtà virtuale) e la Realtà (ipotetica e creata apposta per questo esempio) di Mauro.


Aspetto come sempre i Vs. preziosi interventi.


Massimo Catalucci

(1) Isomorfismo: proprietà di molte sostanze di cristallizzarsi nella stessa forma, o di dare cristalli misti nei quali i componenti siano nella stessa proporzione che nella soluzione o fusione da cui provengono (Tratto da: Grande Dizionario della lingua Italiana – Edizioni: De Agostini)

 
 
 

Post N° 15

Post n°15 pubblicato il 25 Ottobre 2008 da counselor63
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CIAO PICCOLO GRANDE JULIAN

E' difficile accettare di lasciarti volare via.

Voglio però seguire l'esempio dei tuoi genitori che con tanto coraggio sanno guardare a questo evento con gli occhi dell'amore e voglio credere anch'io che ora tu stai bene. Ed ogni volta che guarderò il cielo saprò che ora c'è una stella in più nel firmamento che brilla per ricordarmi sempre che bisogna fare attenzione ogni giorno della nostra vita terrena ai veri valori, quelli che si nascondo ad esempio dietro un sorriso donato ai nostri simili (genitori, moglie, marito, figli, amici, conoscienti, ecc.) o nel gesto di porre una mano a chi ne ha bisogno.

Grazie Julian.   

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VISITA IL BLOG DI JULIAN:

http://blog.libero.it/julianjmml/view.php?reset=1&id=julianjmml 

 
 
 

Campagna Nazionale "GIU' LE MANI DAI BAMBINI"

Post n°14 pubblicato il 10 Ottobre 2008 da counselor63
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Non ETICHETTARE tuo figlio, ASCOLTALO!
www.donttouchthechildren.org

Oggi ho ricevuto dal mio amico Pierluigi Lando (neuropsichiatra) questa comunicazione che spero attiri l'attenzione degli utenti del blog e in qualche modo sensibilizzi gli stessi verso un ascolto attivo nei confronti dei nostri bambini.
Massimo Catalucci
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Messaggio originale:
Cari amici,
a seguire, le news di oggi dagli Stati Uniti, dove 5 grandi case farmaceutiche sono state richiamate e diffidate dalla Food and Drug Administration per pubblicità false e ingannevoli che "omettono informazioni importanti, minimizzano rischi rilevanti, esagerano l´efficacia dei medicinali o fanno affermazioni non provate". Le pubblicità contestate riguardano psicofarmaci per bambini in uso anche in Italia. Nel comunicato, anche le dichiarazioni del nostro portavoce nazionale sul caso.
 
In considerazione della delicatezza della questione con riguardo alla difesa del diritto alla salute dei bambini, Vi siamo grati per la vostra collaborazione nella diffusione del messaggio.
 

FDA USA, diffidate 5 case farmaceutiche, sotto accusa per gli psicofarmaci per bambini: "hanno promosso pubblicità false, ingannevoli ed incomplete, che minimizzano rischi rilevanti ed esagerano l´efficacia dei medicinali". Poma (Giù le Mani dai Bambini): "questi psicofarmaci sono pericolosi e mettono a rischio la salute dei bambini, anche l´AIFA in Italia lo sa, ma tace". Alla Camera, prosegue l´esame del Progetto di Legge nazionale sugli psicofarmaci dell´On. Bocciardo.

Rockville (USA) - E´ di oggi la notizia che la Food and Drug Administration (FDA), l´ente Statunitense per il controllo sanitario, ha inviato cinque lettere di richiamo e diffida ad altrettante industrie farmaceutiche, responsabili di aver diffuso pubblicità incomplete, false ed ingannevoli sui farmaci indicati per l´ADHD, la presunta sindrome da iperattività e il deficit di attenzione, per la quale milioni di bambini ed adolescenti americani assumono ogni giorno pericolose metanfetamine. Secondo l´FDA, le pubblicità promosse da big-pharma "...omettono informazioni importanti, minimizzano rischi rilevanti, esagerano l´efficacia dei medicinali o fanno affermazioni non provate". Le case farmaceutiche destinatarie delle lettere sono la Ely Lilly per lo Strattera, Johnsos & Johnson per il Concerta, Novartis per il Focalin, Shire per l´Adderal e Manninckrodt per il Methylin. Le pubblicità sono apparse su molti siti web, compreso YouTube, e in materiali promozionali di queste aziende, distribuiti sia a medici e farmacisti che alle famiglie. Già nel giugno 2005, uno spot pubblicitario di Eli Lilly per promuovere lo Strattera era stato giudicato ingannevole dall´FDA, perché minimizzava i gravi rischi epatici del farmaco e lasciava intendere che può essere utilizzato anche per indicazioni più ampie di quelle contenute nell´autorizzazione al commercio, concessa nel novembre 2002. L´Adderall, prodotto da Shine, era invece salito all´onore delle cronache nel 2005, quando in febbraio Health Canada, l´autorità Canadese di controllo sanitario, ne aveva sospeso l´autorizzazione al commercio, in seguito alla segnalazione di venti morti improvvise registrate nel mondo tra i bambini che assumevano questo medicinale correttamente e alle dosi consigliate. In Canada, l´Adderal venne poi riammesso in commercio 7 mesi dopo su pressioni del produttore, ma con avvertenze d´uso rafforzate.

"Questi psicofarmaci - ha dichiarato Luca Poma, giornalista e portavoce nazionale di "Giù le Mani dai Bambini"®, primo e più rappresentativo Comitato per la farmacovigilanza pediatrica in Italia - sono pericolosi, e non lo afferma solo l´FDA, ma ne hanno prove ed evidenze anche le autorità sanitarie di controllo italiane, come l´Istituto Superiore di Sanità e l´Agenzia Italiana del Farmaco. Ma in nessun paese del mondo le autorità hanno potuto resistere alle pressioni dei produttori da un lato, che sono disposti pressoché a tutto pur di promuovere il proprio business, e di gruppi di famiglie dall´altro, che si fanno stregare dallo psicofarmaco, che è la soluzione facile per risolvere ogni problema di comportamento dei loro figli. Lo scarso profilo etico dei managers di Ely Lilly, Johnson, Novartis e delle altre case farmaceutiche coinvolte, parrebbe confermato una volta di più da questa querelle negli USA: mentono, ingannano, nascondono i rischi, fanno affermazioni scientificamente non provate, sono disponibili a tutto pur di vendere questi psicofarmaci. Il problema - conclude Poma - è che poi qui in Italia c´è chi crede a queste baggianate, genitori ed a volte anche medici, pronti a giurare convinti sulla bibbia di big-pharma e ad attaccare con arroganza chiunque abbia l´onesta intellettuale di schierarsi contro queste malepratiche sanitarie".

Ieri, intanto, sono proseguite alla Camera dei Deputati le audizioni sui Progetti di Legge nazionale dell´On. Mariella Bocciardo e dell´On. Marcello De Angelis, che hanno come obiettivo quello di porre sotto controllo l´uso disinvolto di questi contestati prodotti farmaceutici, nella speranza di evitare in Italia gli abusi registrati in molti altri paesi del mondo.

Per media-relations: 337/415305 - portavoce@giulemanidaibambini.org

Campagna Nazionale "GIU' LE MANI DAI BAMBINI"
Non ETICHETTARE tuo figlio, ASCOLTALO!
 www.donttouchthechildren.org
  


 

 


 
 
 

Post N° 13

Post n°13 pubblicato il 10 Settembre 2008 da counselor63
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IL "TEMPIO"  

 

DELLE NOSTRE CONVINZIONI

A scanso di equivoci, voglio subito evidenziare che i termini da me utilizzati in questo documento quali “fede” e “credenza”, sono esclusivamente intesi come convinzione di un nostro qualsiasi pensiero rivolto a qualsiasi cosa o qualcuno. Invito pertanto gli utenti ad evitare di attribuirli esclusivamente al riconoscimento di una qualsiasi religione, anche se non si può escludere che possano essere contemplati in una convinzione di questo tipo.

Bene, proviamo ora a domandarci: cos’è una credenza?

Sappiamo che noi generiamo continuamente dei pensieri e che questi sono il frutto di infinite connessioni che determinano la formazione di complessi circuiti nervosi attraverso i quali viaggia l'informazione. Ma non tutti i nostri pensieri sono da noi considerate informazioni su cui fondiamo i nostri principi, la nostra fede, verso concetti specifici della vita.

Ad esempio quando si parla di cambiamento di un’abitudine, spesso si pensa che sia sufficiente la sola volontà di farlo, ma forse poi ci rendiamo conto che non è poi proprio così. Un’abitudine, qualsiasi essa sia, al di la dell’automatismo acquisito, è sorretta anche da convinzioni forti che non è possibile sciogliere con il solo volere.

Le convinzioni sono qualcosa di potente, sono la fede, la credenza in qualcosa o qualcuno e sono radicate dentro di noi.

La differenza tra un pensiero forte nel quale crediamo fermamente e per il quale siamo anche pronti a combattere, a sostenerne la causa ed un altro pensiero qualsiasi al quale non diamo assolutamente un rilievo fondante, è che questo ultimo non poggia su una base ben solida come il primo.

Mi spiego meglio, potremmo dire che il semplice pensiero che si trasforma nel tempo in una credenza, è come un filamento di seta che ogni giorno si unisce a quello precedentemente già creato, per arrivare a sviluppare una corda ben consistente alla quale è legato ora il nostro pensiero sotto forma di convinzione/fede.

Vorrei fare ora un esempio ancora più pratico e vi invito quindi a prendere un foglio di carta e a disegnare nella parte alta un triangolo che possa contenere una frase. In mezzo a questa figura geometrica scriveteci una vostra convinzione, qualcosa in cui credete fermamente. Qualcosa di cui vi sentite integralmente convinti, irremovibili. Potrebbe essere qualsiasi cosa, qualsiasi affermazione, sia essa positiva che negativa per voi, ma qualcosa in cui credete. Di seguito suggerisco alcune espressioni che possono rendere meglio l’idea, potete utilizzare queste frasi se rientrano in una vostra convinzione forte oppure e credo che questo sia ancora meglio, potete  utilizzare la vostra personale convinzione di cui ne conoscete bene la consistenza:

 

  1. “Mi ritengo un bravo genitore”;
  2. “Dio esiste”;
  3. “Sono ateo”;
  4. “I soldi sono tutto nella vita”;
  5. “Sono una persona fortunata”;
  6. “L’amore è la vita”;
  7. “L’amore non esiste, tutti sono egoisti ed opportunisti”;
  8. “La vita è solo sofferenza”;
  9. “Mio figlio (partner) mi rende infelice (felice)”;
  10. “Sono capace ….(sostituisci i puntini con qualcosa di cui ti senti sicuro, capace)”;
  11. “Sono incapace ….(sostituisci i puntini con qualcosa di cui ti senti insicuro, incapace)”;

Immaginiamo di aver scritto nel triangolo la frase: “Sono capace nel mio lavoro”. Ora, per valutare se ciò che abbiamo scritto si riferisce a qualcosa di veramente forte e concreto, qualcosa che sentiamo profondamente dentro di noi e di conseguenza quello che chiamiamo convinzione/credenza/fede, dobbiamo considerare se il concetto da noi espresso si poggia su solide basi.

Quindi, le domande che dovremmo farci per capire se ci stiamo riferendo ad una convinzione vera, sono le seguenti:

 

1.      Cosa provo dentro di me quando esprimo questo concetto?

2.      Quali e quanti sono i motivi per cui posso affermare con certezza questo mio pensiero?

 

A queste domande naturalmente ne puoi aggiungere delle altre che a te vengono in mente, ma se già provi solo a prestare attenzione a quelle che ti ho proposto, potresti accorgerti che queste, laddove ci sia una corrispondenza con una credenza/convinzione, generano due, tre, quattro o più risposte abbastanza dettagliate che rispondono alle motivazioni che sostengono il tuo pensiero. E visto che hai inserito la tua convinzione nella figura del triangolo, vorrei ora che facessi la stessa cosa per le motivazioni che la sorreggono, inserendole in dei rettangoli tante quante sono le motivazioni stesse, come ho fatto io nell’esempio qui sotto.

Bene! A questo punto se hai realizzato almeno quattro motivazioni (quattro rettangoli) che ritieni possano sostenere la tua convinzione, avrai sicuramente una buona base per dire che il tuo non è un semplice pensiero per questo o quell’altro aspetto della vita che stai vivendo, ma bensì una vera e propria convinzione in cui credi fermamente.

Naturalmente più rettangoli sostengono la tua convinzione, più la consapevolezza di questa ultima è forte.

Ecco! Hai realizzato ora il tuo personale “TEMPIO delle CONVINZIONI”.

Quanto abbiamo su evidenziato corrisponde certamente all’esempio di una convinzione potenziante, cioè vantaggiosa per la persona che la mette in atto. Ma cosa accadrebbe se ci si esprimesse con una convinzione negativa delle proprie capacità, che in questo esempio abbiamo voluto riferire al campo lavorativo/professionale? Non pensate che il risultato che se ne trarrebbe possa essere in qualche modo limitante per la persona stessa, per cui ne consegue che autostima, relazioni interpersonali, soddisfazione, energia e quanto altro, possano venire meno?

Immagino che pochi possano affermare il contrario e allora cosa è possibile fare se una convinzione/credenza che abbiamo instaurato dentro di noi ci limita?

Potrebbe ad esempio essere abbastanza utile mettere in dubbio tutte le motivazioni (rettangoli contenenti le frasi motivazionali) che sorreggono il nostro pensiero principale ovvero, che sorreggono il nostro “TEMPIO delle CONVINZIONI”, che in questo ultimo esempio negativo si riferisce a qualcosa di limitante.

Mettendo in dubbio le motivazioni che sorreggono la convinzione/credenza limitante (negativa), avremmo in questa ottica, un punto di osservazione diverso rispetto a quello rigido in cui ci trovavamo. Mettendo in dubbio ogni singola motivazione, potremmo renderci conto che la convinzione perde la sua consistenza, per cui sarà più facile ora lavorarci per iniziare a cambiare la situazione che consideravamo limitante.

Quando siamo convinti fermamente di qualcosa, difficilmente vengono spostate le colonne che sorreggono il nostro “TEMPIO delle CONVINZIONI”. Diciamo anzi che, più ci sentiamo attaccati dall’esterno nelle nostre convinzioni, più combattiamo per difenderle, ma quando vengono messe in dubbio le motivazioni che sorreggono la nostra convinzione/credenza/fede e questo non ha importanza se avvenga per cause di terze persone o se nasca da un nostro personale pensiero interno, il nostro “TEMPIO delle CONVINZIONI” crolla come un edifico di cartapesta. È quindi importante nell’eventualità di un cambiamento, assumere un ruolo di dubbio.

Se non altro potremmo sperimentare cosa succede e chissà…………….. forse qualcosa di diverso potrebbe accadere!

 

Attendo come sempre i Vs. gentili e costruttivi commenti ed approfitto per ringraziare tutti coloro che partecipano a questo Blog, oltre coloro che prendendo spunto da queste pagine mi scrivono privatamente per approfondire alcune tematiche specifiche sempre molto interessanti.

 

Buona giornata.

 

Massimo Catalucci

 
 
 

Post N° 12

Post n°12 pubblicato il 20 Agosto 2008 da counselor63
Foto di counselor63

IL COUNSELING - RELAZIONE DI AIUTO

In questi ultimi due mesi ho ricevuto contatti da alcuni utenti che mi chiedevano informazioni in merito all'attività professionale di counseling che si sta sempre di più diffondendo in Italia, ma che è già molto conosciuta all'estero.

Innanzitutto è bene partire dalla definizione del vocabolo "Counseling" che, come è stato evidenziato dal Prof. Vincenzo Masini, in occasione dell'ultimo convegno bilaterale Italia - U.S.A.  tenutosi a Firenze il 31 maggio e 1° giugno di quest'anno, sta a significare: "sostenere chi è solo". In merito alla sua etimologia, l'origine è nella radice latina del verbo "consulo - ere", che non conduce alla voce consultazione o consulenza (consulto - are) ma al significato di "consolo" la cui struttura semantica è quella di "cum" ("con", "insieme") e "solère"  ("alzare", "sollevare"), ovvero "sollevarsi insieme" oppure "cum" - "solus" nel senso di "essere con chi è solo".

Quindi chi è il "Counselor"?

E' una figura professionale iscritta in registri nazionali di associazioni (vedi ad es.: http://www.faipnet.it ) che sono iscritte nella banca dati del C.N.E.L. (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro). Il Counselor ha conoscenze e competenze adeguate a fornire un orientamento ed una guida al soggetto che vive un particolare disagio esistenziale, caratterizzato da blocchi emotivi che non gli permettono di vivere serenamente la sua quotidianità. Il Counselor favorisce lo sviluppo delle risorse interne dell'individuo fornendo ad esso una visione più ampia del suo problema emotivo, affinchè lo stesso possa trovare liberamente valide alternative al comportamento indesiderato. Le persone che si rivolgono al Counselor non sono affette da patologie, sono bensì persone sane che vogliono imparare a gestire la propria emotività per superare situazioni sgradevoli che si manifestano nel corso della loro vita. Ad ognuno di noi potrebbe capitare di trovarsi in un momento particolare della propria vita, dove l'aspetto emotivo prende il sopravvento sul nostro aspetto razionale, ma questo non significa che si debba ricorrere ad una rsistrutturazione profonda della nostra personalità. Ecco quindi che nella "Relazione di Aiuto", il Counselor favorisce nel suo utente/cliente l'esplorazione della natura dei suoi problemi, in modo che la persona stessa possa decidere autonomamente cosa fare. Rispetto alla psicoterapia, la quale richiede un processo globale di crescita (aspetto strutturale), il Counselor induce la persona verso un cambiamento focalizzato su obiettivi specifici (aspetto adattivo). 

Il counseling è un'attività che la "British Association  For Counseling" (B.A.C., 1992)  così definisce: "Il counseling è un uso della relazione abile e strutturato, che sviluppa l'autoconsapevolezza, l'accettazione delle emozioni, la crescita, le rsiorse personali. L'obiettivo principale è vivere in modo pieno e soddisfacente. Il counseling può essere mirato alla soluzione di problemi specifici, alla presa di decisioni, ad affrontare i momenti di crisi, a confrontarsi con i propri sentimenti ed i propri conflitti interiori e/o a migliorare le relazioni con gli altri. Il ruolo del Counselor è quello di facilitare il lavoro dell'utente/cliente in modo da rispettarne i suoi valori, le sue risorse personali e la sua capacità di autodeterminazione."

Il Counselor  può svolgere la sua attività di counseling non solo nella singola relazione tra il professionista ed il suo utente/cliente, ma anche con coppie, famiglie, gruppi:

Counseling individuale: quando un individuo ha la necessità di chiarire le proprie emozioni e risolvere i propri personali disagi;

Counseling di coppia: diversamente dalla psicoterapia di coppia si affrontano i problemi contingenti, fornendo ai partner gli elementi di una comunicazione critica ma costruttiva e quindi efficace;

Counseling familiare:  si affrontano i problemi specifici della famiglia, per esempio i conflitti  tra i coniugi, i conflitti della famiglia allargata, le problematiche relative alla competenza genitoriale, i problemi legati alla separazione dei genitori;

Counseling di gruppo: l'attività di gruppo si può aggiungere in alcuni casi a quella individuale, particolarmente per l'esercizio di specifiche abilità  (skill training).

In conclusione il Counselor professionista, oltre ad un agiornamento continuo tramite l'acquisizione di crediti annuali è tenuto ad osservare il codice deontologico della professione che svolge ed al quale è vincolato, pena l'esclusione dai registri nazionali in cui è iscritto.

Massimo Catalucci       

 
 
 

Post N° 11

Post n°11 pubblicato il 05 Agosto 2008 da counselor63
Foto di counselor63

L'opportunità e la libertà di scegliere.

Sensibilizzare la propria attenzione verso l'ascolto attivo di quelli che sono i nostri bisogni fisiologici ed emotivi, ci offre l’opportunità di vedere il mondo da angolazioni diverse, potendo optare per soluzioni diverse. Sappiamo che avere un ventaglio di scelte ampio rispetto ad uno più ristretto, o addirittura unico, è sinonimo di  libertà.  Ma la cosa contrastante che emerge in questo nuovo millennio è quella per cui si parla molto di libertà ma non ci si rende conto che poi si diventa attori di una società tecnologicamente avanzata, ma nella quale però, sentiamo spesso (troppo) notizie agghiaccianti: omicidi giornalieri tra conoscenti e parenti (es.  genitori, figli, fidanzati, amicizie); alta percentuale di ragazzi adolescenti che fanno uso di droghe illegali ed altri che per causa di stati depressivi, bulimia, anoressia, attacchi di panico (solo per citarne alcuni), sono sottoposti alla somministrazione di droghe legali (farmaci); coppie (moglie e marito, fidanzati,) che scoppiano. L'elenco  di quello che succede nella nostra apparente società evoluta è purtroppo drammaticamente troppo lungo.

Ma abbiamo bisogno di tutto questo? Siamo nella cosiddetta era del "benessere", allora perchè esiste tutto ciò? Forse perchè la libertà che civiene spesso propinata e decantata anche attraverso i media, non esiste. O meglio è la falsità di una libertà che ci chiude gli occhi davanti a ciò che è veramente utile per noi. In questa era di grandi conquiste scentifiche chi potrebbe dire che la droga è un prodotto sano e necessario all’uomo per la sua sopravvivenza? Chi potrebbe affermare che il modo di alimentarsi iperproteico o ipoproteico sia una sana abitudine per il corpo umano? Chi affermerebbe con certezza che abbiamo finalmente imparato a comunicare, termine inteso come essenza del dialogo costruttivo? Eppure la nostra società è piena di persone che fanno uso di droghe, che si alimentano disordinatamente, che cambiano spesso partner solo per allontanarsi dalla sofferenza, verso un’apparente piacere.

Quello che viviamo purtroppo è l’allucinazione di un desiderio che vorremo raggiungere ma che in mancanza di reali scelte diverse da adottare, ci spinge troppo spesso a ripiegare su situazioni e contesti che interpretiamo come piaceri (di breve durata). Per utilizzare una metafora oserei dire che è come se decidessimo di riparare una  parete che si sta pian piano sgretolando. Ai nostri occhi potrebbero apparire solo delle crepe nel muro alle quali non sappiamo dare il loro vero significato. Per noi sono solo delle crepature. Non conoscendo come quelle crepe potrebbero essersi sviluppate, probabilmente provvederemo a stuccarle semplicemente scegliendo magari una bellissima vernice o carta da parati, come finitura del lavoro. Al termine davanti ai nostri occhi avremo molto probabilmente un lavoro eccezionale. Ma quanto durerà? Se il problema è nella struttura della parete quando ci appoggeremo ad essa, questa molto probabilmente ci cadrà contro, proprio  per la sua instabilità. Occorre quindi lavorare nella struttura per avere la certeza di una duarata nel tempo, avendo innazitutto la volontà di agire e la possibilità di scegliere materiali di qualità. Ma vista la situazione attuale rapportata alla nostra società, molto probabilmente ci accingeremo a ristuccare la parete e a riverniciarla! Proprio come facciamo quando sappiamo ad esempio che una passeggiata è più salutare di una sigaretta, ma ahimè! Non si spiega come mai scegliamo sempre la sigaretta anziché una buona passeggiata ed una boccata di ossigeno. Eppure sappiamo che il fumo fa venire il cancro. Il fatto è che è molto più semplice e rapido prendere una, due, tre, quattro ……. sigarette, piuttosto che mettersi una tuta, delle scarpette da ginnastica, fare jogging, farsi la doccia, mettere i panni usati in lavatrice e poi stenderli ad asciugare. Questo comporterebbe un impegno maggiore rispetto a quello di fumare. E poi la nostra emotività non ci offre alternative, quella e solo quella strada. Certo, poi ci rifugiamo dietro la classica frase: "ma a me piace fumare"; alla quale rispondo sempre: "molto di più che respirare ossigeno?".

Ecco allora che lo pseudo piacere a cui ho fatto riferimento poche righe più sopra con l’esempio della parete crepata, diventa un’abitudine che riconosciamo come piacere ma emotivamente, probabilmente, non ci rendiamo conto, o forse si,  che rappresenta una sofferenza. Ma è possibile con la volontà iniziale, intaprendere un nuovo cammino per fare un cambiamento di rotta. L'attività di counseling che svolgo si prefigge proprio l'obiettivo di creare nell'uomo un ventaglio di scelta più ampio, offrendo allo stesso l'opportunità di intravedere e sperimentare nuove strade, evitandogli la percorrenza di un unico percorso scontato. Questo è ovvio: più scelte si hanno meglio si va. 

Bisogna  trovare nuove alternative a quei comportamenti che abbiamo adottato, che sono considerati da noi inadeguati e che in qualche modo però, anche provvisoriamente, ci rappresentiamo come piaceri.  Occorre creare nel nostro sistema psicodinamico le possibili alternative,  quali sostitute del vecchio comportamento, caricandole di una forte energia emotiva.

Immaginate cosa accadrebbe allora se invece di allontanarci dalla sofferenza cominciassimo ad indirizzarci diritti verso l’appagamento emotivo ordinario dei nostri bisogni?

RingraziandoVi sempre per i Vs. costruttivi commenti,

Auguro Buone Vacanze a Tutti!

Un cordiale saluto ed abbraccio.

 

Massimo Catalucci

 
 
 

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