DON CAMILLO'S BLOG
"Che la tua vita non sia una vita sterile - Sii utile - Lascia traccia" San Josemaria Escrivà
Post n°181 pubblicato il 15 Dicembre 2008 da Il.Don.Camillo
“I miei giorni sono come ombra che declina, come erba tagliata inaridisco. Ma Tu, Signore, rimani in eterno, il tuo ricordo per ogni generazione” [Salmo 101 (102)] Quale speranza! Quale speranza donano all’uomo queste parole! Quale speranza dona all’uomo l’esistenza di un Dio, Padre, che tutto può, tutto sa, tutti ama! Un Dio che si è fatto uomo per salvare i suoi figli! E’ una realtà rivoluzionaria, che sveglia il cuore, che cambia la vita. Non sono parole che ci trapassano lasciandoci indifferenti. Cristo sta arrivando. Il Natale è prossimo. Apriamogli le porte! Lui è la nostra speranza! E dalla speranza saremo salvati! “Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!” (Fil 4, 4-5)
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Post n°180 pubblicato il 14 Dicembre 2008 da Il.Don.Camillo
Vox clamantis in deserto: “Dirigite viam Domini” (Gv 1,23) Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore! Le parole di Giovanni Battista ci smuovono il cuore. È un grido di esultanza: preparate la via del Signore! Sta arrivando! Signore, rendici tuoi testimoni. Perché vogliamo essere come Giovanni. Vogliamo essere testimoni per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credano in Te. (Cfr prologo del Vangelo di Giovanni) Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce (Gv 1,8) Signore, fa’ che siamo tuoi testimoni! Donaci la grazia per preparare le tue vie, per aprire i cuori degli uomini alla tua luce. Perché Tu sei la luce del mondo, chi segue Te non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. (Cfr Gv 8,12) E allora, una volta aperti i cuori degli uomini con la grazia dello Spirito Santo, una volta preparate le tue vie, verrai Tu, Gesù mio, e potrai dire “Seguimi” a questo e a quello. E tutti ti seguiranno. Perché Tu, Signore, solo Tu “hai parole di vita eterna” (Gv 6, 68). Preparate la via del Signore! Spalancate le porte del vostro cuore a Cristo! Lui solo può riempire d’Amore il cuore dell’uomo! E chi crederà in Lui avrà la vita eterna, perché così ha voluto il Padre nostro che è nei cieli. |
Post n°179 pubblicato il 13 Dicembre 2008 da Il.Don.Camillo
Proposta del presidente del Consiglio regionale della Toscana Riccardo Nencini: sia "la Toscana ad offrire a Eluana, se dovesse occorrere, quel 'dignitoso accompagnamento' alla fine vita" [dichiarazione ANSA] Diciamo che è abbastanza triste constatare l’inconscia (spero) ipocrisia di Riccardo Nencini su un così delicato tema, a proposito di una vita umana. Si parla di “dignitoso accompagnamento”. Accompagnamento? Ciò che si vuole fare è ucciderla, non accompagnarla alla morte. Eluana, se nessuno la toccasse (escluse, ovviamente, le carezze delle suore della clinica di Lecco che da anni le dedicano attenzioni e affetto), potrebbe vivere ancora a lungo. E loro parlano di accompagnamento! Come si può parlare di accompagnamento, quando le si toglierebbero il sostentamento del cibo e dell’acqua? La si farebbe morire, non la si accompagnerebbe alla morte. E’ diverso. Eluana, lo ripeto ancora, non sta andando verso la morte. Non ha bisogno di alcun accompagnamento. Eppure c’è chi cambia le carte in tavola. Se l’obiettivo è ammazzarla, farla fuori, toglierla dai piedi, almeno lo si dica. “Vogliamo ammazzarla”. E invece no. Si parla di accompagnamento alla “fine vita”. Che poi, detto tra noi, cosa sarebbe questa “fine vita”? Morte. Morte. Si chiama morte. Non fine vita. Si abbia il coraggio di essere sinceri, di chiamare le cose col proprio nome. Le parole, in questa circostanza, sarebbero due sole: omicidio e morte. |
Post n°178 pubblicato il 12 Dicembre 2008 da Il.Don.Camillo
“In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova” Così Dante comincia la sua famosissima Vita Nuova. Prima o poi tocca tutti. È toccata anche a me. Non è stata una Beatrice, bensì un Altro. Incipit vita nova. Dicono che ci si ricorderà sempre questo giorno. Io l’ho scelto bene, il giorno. E lo ricorderò. Ricorderò quattro cose. La stanza. L’abbraccio. Il thè. Le parole. Incipit vita nova. Le parole le porterò nel mio cuore. Ciò che è rimasto a me su carta lo regalerò a chi ho aperto il mio cuore. Se bisogna fare regali, mi hanno detto, si doni una parte della propria vita. Lo farò. Incipit vita nova. Cor Mariae dulcissimum, iter serva tutum |
Post n°177 pubblicato il 10 Dicembre 2008 da Il.Don.Camillo
La vigilia di Natale, un uomo, dalla finestra della sua stanza, vide uscire sua moglie e i suoi figli che andavano verso la chiesa del paese per assistere alla Messa di mezzanotte. La neve e il vento gelido di fuori rendevano ben più che accogliente il salotto di casa di quell’uomo. E così, preso il suo libro di lettura si sedette sulla poltrona della sala, si rilassò e cominciò a leggere, assaporando la beatitudine di quel momento, con il caminetto scoppiettante, la casa calda, la pancia piena della cena di Natale. Che andasse pure, la moglie, alle sue Messe. Lui aveva altro da fare. E non capiva che gusto ci trovasse la consorte a uscire, tutti gli anni, puntuale, a mezzanotte meno un quarto, con la neve così fitta. Comunque, ben presto i suoi pensieri tornarono al suo libro, alla sua sala calda, al suo divano comodo. Dopo qualche pagina sentì un rumore strano alla finestra. Cosa poteva essere? Qualcosa di simile ad un ticchettio. Andò a vedere, e, guardando attraverso la finestra, non vide niente. Solo un manto di neve sulla strada. Tornò alla poltrona comoda e si immerse nuovamente nella lettura. Dopo poche pagine, ancora questo rumore. Di nuovo alla finestra, non vide niente. Solo bianco, tutto bianco. Riaccomodatosi sulla poltrona, tenne le orecchie aperte e, come previsto, il rumore giunse di nuovo. Questa volta aprì la finestra. Ma non vide solo la neve. Vide anche due piccoli uccellini, semi-congelati, sporgenti sul davanzale. Era il loro battere col becco sulla finestra che faceva rumore. Stava per avvicinarsi, era sul punto di sfiorarli quando una folata di vento li spinse via dalla finestra. Ed essi caddero al piano di sotto. L’uomo si mise una giacca addosso e corse giù per le scale. Li trovò davanti alla porta della sua stalla, che era situata accanto alla casa. Erano sul punto di morire. E l’uomo pensò bene di aprire la stalla, bella calda e accogliente. Mise anche del cibo per terra per attirarli. Ma loro non si avvicinavano. Guardavano ora lui, ora il cibo, ora la stalla. Ma niente. Rimanevano fuori al gelo. L’uomo provò un po’ di volte a stuzzicarli, attirandoli con i bocconcini che aveva in mano. Ma niente. E l’uomo non si dava pace. Pensò: “Se solo fossi uno di loro, potrei salvarli…” Improvvisamente alzò gli occhi al cielo e cadde in ginocchio. Gli occhi inumiditi dalle prime lacrime. Aveva capito. Aveva capito la follia d’amore di quel Dio che s’era fatto uomo per salvare gli uomini dalla morte. |
Post n°176 pubblicato il 09 Dicembre 2008 da Il.Don.Camillo
“Come un figlio alza gli occhi al viso della mamma e, vedendolo sorridente, dimentica ogni paura e ogni dolore, così noi, volgendo lo sguardo a Maria, riconosciamo in lei il 'sorriso di Dio', il riflesso immacolato della luce divina, ritroviamo in lei nuova speranza pur in mezzo ai problemi e ai drammi del mondo”. (Benedetto XVI) "Se tu e io ne avessimo avuto il potere, l'avremmo fatta anche noi Regina e Signora di tutto il creato. Un grande segno apparve nel cielo: una donna incoronata di dodici stelle. Vestita di sole. La luna ai suoi piedi (Ap 12, 1). Maria, Vergine senza macchia, riparò la caduta di Eva: e ha calpestato, con il suo piede immacolato, la testa del dragone infernale. Figlia di Dio, Madre di Dio, Sposa di Dio. |
Post n°175 pubblicato il 26 Novembre 2008 da Il.Don.Camillo
Con una maestria ben più che rara, la storica Angela Pellicciari riesce, nel suo fortunato "Risorgimento da riscrivere", a trasmettere al lettore una grande quantità di notizie, dati, informazioni, volti, storie. Senza annoiare. Non una pagina pesante, impossibile da leggere, e così semplice da saltare. Autore: Angela Pellicciari |
Post n°174 pubblicato il 19 Novembre 2008 da Il.Don.Camillo
ROMA, martedì, 18 novembre 2008 (ZENIT.org).- Le azioni eroiche compiute da un Vescovo cattolico per salvare una bambina ebrea e la sua famiglia perseguitate dalle leggi razziali nazifasciste rivive ora attraverso il racconto che ne fa “L'Osservatore Romano”. “Ricordo la grande semplicità e la purezza del suo sguardo, quel qualcosa di immediatamente buono e ingenuo che sembrava sprigionarsi, insieme a una grande forza, da ogni suo gesto, da ogni parola. Nell'ombra e nel silenzio delle grandi stanze, la figura del Vescovo era rassicurante — come qualcosa a cui ci si poteva appoggiare”. Il presule di cui si parla è monsignor Giuseppe Placido Nicolini e chi ricorda la sua figura a più di sessant'anni dall'incontro è Mirjam Viterbi Ben Horin. Era il 1943 e lei era una bambina che, con i suoi genitori e la sorella, poté liberarsi dalla persecuzione nazifascista ad Assisi grazie all'organizzazione di sostegno agli ebrei avviata propria dal Vescovo con l'aiuto di due sacerdoti in particolare: don Aldo Brunacci e padre Rufino Nicacci. I tre protagonisti di quei fatti sono stati riconosciuti “Giusti tra le Nazioni” dal Museo dell'Olocausto di Gerusalemme Yad Vashem, ma questo documento rappresenta un'ulteriore tessera per la ricostruzione della verità storica di quei tragici anni. Ogni racconto rivela qualcosa di inedito – non fosse altro per il punto di vista del narratore – accanto alla gratitudine per quell'aiuto disinteressato, e non esente da rischi. E' stata proprio la riconoscenza a spingere Mirjam Viterbi Ben Horin a rendere pubblici i suoi ricordi, filtrati dal suo sguardo di bambina. Mirjam Viterbi Ben Horin ha scritto il libro "Con gli occhi di allora" (Morcelliana, 2008), in cui racconta la sua storia di bambina ebrea che, dopo le leggi razziali del 1938, fu costretta ad abbandonare la casa di Padova e a rifugiarsi con la famiglia ad Assisi, tra il 1943 e il 1944. Lì scoprì l'esistenza di uomini e donne che non rinunciarono alla propria umanità e non si sottrassero al dovere del bene, pur consapevoli che ciò avrebbe potuto costare loro la vita. “Lo scrivere queste pagine – scrive l'autrice – è anche il mio modo, oggi, per dire grazie a tutti coloro che mi hanno fatto sentire che la vita anche nei momenti più oscuri può essere bella, se qualcuno ti è vicino, ti tende una mano o semplicemente, anche con il suo stesso silenzio, è insieme a te: se qualcuno con la sua presenza rompe il guscio della tua solitudine e della paura”. La figura centrale del racconto è quella del Vescovo. “La mamma e il papà gli spiegarono chi eravamo e gli consegnarono quei pochi oggetti ebraici che ci avevano seguito da Padova e che, se scoperti, avrebbero potuto denunciare la nostra identità”, ricorda Mirjam. “Monsignor Nicolini li prese con attenzione e delicatezza, assicurando che li avrebbe messi personalmente in un luogo sicuro. Infatti, come poi si venne a sapere, era solito nasconderli lui stesso nei sotterranei del Palazzo vescovile, picconando e murando, mentre don Aldo Brunacci gli faceva luce con una candela”. L'obiettivo successivo era quello di ottenere “carte false”, una cosa “essenziale per il nostro futuro, e di cui si sarebbe occupato più direttamente don Aldo”. Il problema principale per gli ebrei era infatti rappresentato dai documenti. Bisognava procurarsene di falsi e in genere si usavano nomi di persone residenti in zone dell'Italia meridionale già liberate, dove era più difficile effettuare controlli. Per questo, su indicazione del Vescovo, venne avvicinato un tipografo dichiaratamente comunista, Luigi Brizi, che acconsentì coinvolgendo anche il figlio Trento, malgrado i rischi di una tale attività. Don Brunacci raccontò più volte come era nata quell'organizzazione. Il terzo giovedì del settembre 1943, dopo la consueta riunione mensile del clero nel seminario diocesano, il Vescovo lo chiamò in disparte e gli mostrò una lettera della Segreteria di Stato dicendogli: “Dobbiamo organizzarci per prestare aiuto ai perseguitati e soprattutto agli ebrei, questo è il volere del Santo Padre Pio XII. Il tutto va fatto con la massima riservatezza e prudenza. Nessuno, neppure tra i sacerdoti, deve sapere la cosa”. Seguendo le sue direttive, il Vescovo cercò di coordinare gli sforzi e soprattutto di trasmettere un esempio ai fedeli. “Non si trattava soltanto di organizzare burocraticamente la ricerca dei dispersi e l'assistenza ai prigionieri”, ha affermato di recente il Segretario di Stato, il Cardinale Tarcisio Bertone. Da questa indicazione generale e dalla direttiva di monsignor Nicolini nacque ad Assisi il Comitato assistenza agli sfollati, un nome di copertura per un'attività che comportava un alto rischio. Il convento delle clarisse di San Quirico divenne il quartier generale dell'organizzazione. Qui, come nelle foresterie delle collettine, delle stimmatine, delle suore cappuccine tedesche e delle benedettine di Sant'Apollinare, i perseguitati venivano ospitati fino a quando si riusciva a trovare per loro nuove carte di identità, grazie alle quali ottenevano le tessere annonarie e potevano vivere in albergo o in appartamenti privati. Bruno Angeli, un altro ebreo fuggito con la famiglia, “fu il primo a parlarci di un'organizzazione che aiutava in modo straordinario tutti gli ebrei arrivati ad Assisi – racconta Mirjam — fornendo anche documenti di riconoscimento con generalità false, cioè 'ariane'”. “A tutti i conventi, compresi quelli di clausura, era stato impartito l'ordine di aprire le loro porte ai perseguitati per ospitarli. E la nostra identità religiosa, aggiunse, veniva rispettata a tal punto che pochi giorni prima, al termine del digiuno di Kippur, le clarisse del Monastero di San Quirico avevano preparato una grande tavolata adorna di fiori, volendo servire loro stesse il pasto che chiudeva la lunga giornata di preghiera e di penitenza”. Padre Vincenzo, del convento di San Damiano, avvicinò la famiglia Viterbi e le disse: “Se avete un amico ebreo, ditegli di venire nel nostro convento e indossare la tonaca dei frati”. I Viterbi sapevano già di cosa si trattava, perché era una direttiva del padre guardiano, Nicacci. Mirjam e i suoi familiari non si rifugiarono in convento, ma in abitazioni private, sempre pronti a partire immediatamente. “In quel periodo controllavo sempre più attentamente la mia piccola valigia, sempre pronta in un angolo, specie quando la sera udivo un camion fermarsi sotto casa o il rumore di stivali sul selciato. Sapevo che era accaduto e che poteva accadere anche a noi. Non mi sentivo in colpa di essere viva; no; ma... fino a quando? Con quelle valigie allineate, io credo di aver cominciato a capire allora, forse senza rendermene pienamente conto, che nella vita bisogna sempre essere pronti a partire. Non si sa per dove. Non si sa perché”. A un certo punto le cose parvero precipitare. I nazifascisti intensificarono i controlli. Ancora una volta, nel racconto di Mirjam emerge la figura di monsignor Nicolini: “Mio padre andò a consigliarsi col Vescovo e a chiedergli se in caso di estrema necessità avesse potuto accoglierci in vescovado, già asilo di un incredibile numero di sfollati e di perseguitati. Monsignor Nicolini sorrise, con quella sua espressione buona: 'Sono rimaste libere solo la mia stanza da letto e lo studio' - disse con spontaneità - 'ma posso benissimo sistemarmi nello studio e la stanza da letto è per voi'. Papà, di fronte a quell'offerta tanto generosa, non si sentì ovviamente di accettare”. L'attività di aiuto agli ebrei non passò del tutto inosservata. Don Brunacci venne arrestato dalla polizia fascista che lo aveva aspettato sotto casa. Fu portato a Perugia, dal prefetto Rocchi, e rilasciato una decina di giorni dopo, purché abbandonasse Assisi per la Città del Vaticano. Quella notizia gettò nello sconforto gli ebrei rifugiati in città, ma fortunatamente non accadde nulla. Fino a che giunsero i liberatori, la mattina del 17 giugno 1944. Più di trecento si salvarono dalla deportazione grazie al Vescovo, ai due sacerdoti e alle persone che sostenevano in vario modo l'organizzazione. Dopo la guerra, Mirjam e la sua famiglia provarono a tornare a Padova. “La nostra casa era stata incendiata – sottolinea – e a mio padre non rimase altra possibilità che alienarla, con un acuto senso di lacerazione. Venne reintegrato all'università e all'accademia patavina, ma non si sentì più di ritornare a vivere a Padova, pur rimanendone affettivamente molto legato. Riprese il suo insegnamento all'università di Perugia. Nell'incertezza di dove stabilirsi, si rimase ad Assisi per 7 anni. Nel '50 ci si trasferì a Roma”. Fu proprio il padre di Mirjam, Emilio Viterbi, a esprimere pubblicamente, come riportano altri documenti, la gratitudine dei salvati: “Noi ebrei rifugiati in Assisi non ci dimenticheremo mai di ciò che è stato fatto per la nostra salvezza. Perché in una persecuzione che annientò sei milioni di ebrei, ad Assisi nessuno di noi è stato toccato”. Nella città di Francesco, scrive Mirjam Viterbi Ben Horin, “il Pax et Bonum divenne presto per me il saluto più spontaneo, non sapendo minimamente, allora, che era proprio come il dire shalom in ebraico”. In quel modo “si compì un miracolo d'amore”. Un miracolo che aveva i volti di monsignor Nicolini e dei sacerdoti suoi collaboratori. Volti che gli occhi di quella bambina non hanno dimenticato. |
Post n°173 pubblicato il 17 Novembre 2008 da Il.Don.Camillo
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Post n°172 pubblicato il 15 Novembre 2008 da Il.Don.Camillo
Rompo questo silenzio (in parte non scelto) per abbracciare la causa di Eluana Englaro. Per spendere qualche parola in favore della Vita, contro un culto della morte mascherato da finto amore per il prossimo. Abbiamo scoperto che i giudici italiani, oltre a far cadere i governi, possono anche decidere chi deve vivere e chi deve morire. Ottimo. Ora una toga qualunque può prendere le parti di Dio, e stabilire per chi la vita non ha più senso, chi può morire di sete e di fame, chi, chi, chi. Perché? Perché, questo? Come siamo arrivati a tutto ciò? Alla vita alla mercè di uno schifosissimo tribunale? Come? La povera Eluana ha vissuto sedici anni in questo stato. Ora basta. Il giudice ha deciso che lei deve morire. E non morirà di malattia o di altro: morirà di fame e di sete. E non c’è niente di peggio. Già con Terri Schiavo c’avevano rifilato la balla che la vittima non avrebbe sofferto. E invece chi se ne intendeva veramente ha parlato, e ha detto ciò che c’era da dire: “La morte per fame e per sete, soprattutto per sete, è dolorosissima”. E l’ha detto uno che di gente a cui la spina viene tolta se ne intende. Lapidario. Altroché balle varie: non soffrirà, non sentirà nulla, eccetera, eccetera. La nostra amata Cassazione ha deciso, ma c’è chi non si arrende. Con una terribile verità che squarcia ogni possibile velo di indifferenza, Eugenia Roccella ha detto, quasi con un urlo straziante: “E’ la prima volta che una cittadina italiana morirà per una sentenza”. Sarà un caso, ma l’eutanasia l’hanno introdotta Hitler e i suoi amici. Prima usavano solo i campi di concentramento, poi hanno pensato bene di far fuori la gente anche in modo “legale”, e così l’eutanasia, l’assassinio legale è entrato, si è insinuato nelle legislazioni. E poi ci sono le suore che hanno curato con immensa carità Eluana. Che l’hanno servita per tutti questi anni. Anche loro non ci stanno. E hanno lanciato un appello, che sa tanto di supplica: “ancora una volta, affermiamo la nostra disponibilità a continuare a servire, oggi e in futuro, Eluana. Se c’è chi la considera morta, lasci che Eluana rimanga con noi che la sentiamo viva”. Perché Eluana è viva! E non ce ne può fregare di meno delle idee di coloro che amano la morte. Noi amiamo la vita! E anche Eluana la ama. E anche Terri Schiavo l’ha amata. Entrambe amanti della vita fino al loro assassinio legalizzato. C’è chi ha difeso Eluana in quanto persona, in quanto vita, in quanto prossimo. E c’è chi l’ha fatta slogan per la morte. Una lurida pubblicità pro-death. Benvenuto assassinio legalizzato: in Italia ti aspettavano in molti. |
Post n°171 pubblicato il 20 Settembre 2008 da Il.Don.Camillo
Di otto per mille rubati allo Stato, di privilegi, di banche vaticane, di ingerenze e altro si è sempre abili a parlare, al giorno d'oggi. E non solo si parla: si straparla. Ma non ci si preoccupa più di tanto dei cristiani perseguitati nel mondo. Quelli no. Perchè il Tibet è una cosa, e le magliettine "Free Tibet" vendute in edicola sono molto chic. Mentre i cristiani che muoiono sono un'altra. Due semplici fatti che dimostrano quanto sia difficile la vita per i nostri fratelli in Cristo dispersi in giro per il mondo. Umiliati, vessati, minacciati e perseguitati. |
Post n°170 pubblicato il 18 Settembre 2008 da Il.Don.Camillo
A morte l’apostata. L’Iran vara la pena capitale contro chi lascia l’islam È la formalizzazione di un fenomeno che già da molti anni domina la vita dell’Iran. La messa a morte per legge dei non musulmani e dei convertiti. Così l’iran tocca l’apice dell’oscurantismo nei rapporti fra la Rivoluzione e le altre religioni, da quando nel 1979 l’ayatollah Ruhollah Khomeini concesse a tutti i sacerdoti, religiosi e religiose cattolici stranieri un mese di tempo per lasciare il paese. è passata inosseravata la quasi unanime approvazione al Parlamento iraniano del disegno di legge che sanziona la morte per gli apostati, coloro che abbandonano l’islame e bracciano un’altra fede, cristiana o zoroastriana. Considerando il voto schiacciante, 196 a favore e 7 contrari, l’iter legislativo è tutto in discesa per una legge unica nella umma. La rivoluzione khomeinista si volge al purismo sunnita, fino a contemplare una punizione assoluta (per chi abbandona l’islam) estranea alla tradizione sciita. L’Iran è più vicino al Pakistan, la “terra dei puri” dove gli apostati hanno vita dura almeno quanto in Arabia Saudita, Mauritania e Sudan. L’Unione europea aveva ufficialmente chiesto a Teheran di abbandonare il progetto di legge che, per la prima volta, introduce nel codice penale la sentenza capitale per il reato di apostasia. L’Istituto sulle politiche religiose e pubbliche, con sede a Washington, per primo ha reso nota l’iniziativa e precisa che il testo in esame stabilisce la morte per l’apostata-uomo e il carcere per l’apostata-donna. “In passato, la condanna a morte è stata emessa ed eseguita in alcuni casi di apostasia, ma mai era stata inserita nella legislazione del paese” dice Joseph Grieboski, presidente dell’Istituto. La legge individua due tipi di apostasia: innata o di origine parentale. Nel primo caso, l’apostata ha genitori musulmani, si dichiara musulmano e da adulto abbandona la fede di origine; nel secondo, l’apostata ha genitori non musulmani, diventa musulmano da adulto e poi abbandona la fede. L’articolo 225-7 stabilisce che “la punizione nel caso di apostasia innata è la morte”, mentre per l’articolo 225-8 “la punizione nel caso parentale è sì la morte, tuttavia, dopo la sentenza finale, per tre giorni il condannato sarà invitato a tornare sulla retta via e incoraggiato a ritrattare. In caso di rifiuto, la condanna a morte verrà eseguita”. “questa revisione del codice penale costituisce una violazione dei diritti fondamentali dell’uomo da parte di un regime che ha oppresso ripetutamente le minoranze, soprattutto quelle religiose” prosegue Grieboski, aggiungendo che “si tratta di una minaccia non solo per i cristiani convertiti dall’islam, ma anche per le minoranze considerate apostate dalla maggioranza sciita, come i Bahai”, abramitici sincretisti. Un mese fa sono stati arrestati cinque convertiti, fra cui Ramtin Soodmand, figlio di un neocristiano convertito. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad ha sempre presentato l’Iran come uno dei rari paesi nei quali “le minoranze religiose godono di diritti uguali”. L’Iran in passato ha condannato tre seguaci Bahai a quattro anni di carcere per aver leso la sicurezza pubblica facendo propaganda contro il sistema politico e proselitismo per la loro fede, “con il pretesto di aiutare i poveri”. I Bahai sono la più grande minoranza religiosa dell’Iran, circa 300 mila fedeli. Una religione vietata e perseguitata dalla rivoluzione islamica del 1979. da allora oltre 200 seguaci sono stati giustiziati, centinaia sono finiti in carcere, decine di migliaia sono stati privati dei più elementari diritti. Tutte le loro istituzione sono vietate e luoghi sacri, cimiteri e proprietà sono stati confiscati dal governo o distrutti. Molti bahai sono stati condannati per avere tenuto lezioni ai loro figli. i giovani non possono iscriversi all’università, se non si dichiarano “islamici”. Nel luglio del 1994 Mehdi Dibaj è stato ucciso dopo aver scontata una pena di nove anni per aver rifiutato di abiurare la fede cristiana e di ritornare all’islam. Considerando l’affermazione del religioso sciita Hassan Mohammadi, secondo cui “ogni giorno circa 50 giovani iraniani si convertono in modo segreto al cristianesimo”, la legge sull’apostasia è una clava sulla testa dei non musulmani. Le stime parlano di circa 30 mila protestanti, 17 mila evangelici, settemila carismatici e quattromila pentecostali convertiti dall’islam. “Se mi uccideranno, sarà perché ho parlato e non perché ho taciuto”, aveva detto nel 1994 il pastore Haik Hovsepian. Fu ucciso e sepolto in una fossa comune con un musulmano convertito al cristianesimo che Hovsepian aveva difeso pubblicamente. Il convertito, Mehdi Debaj, era stato giustiziato per aver lasciato l’islam. È con il suo sangue che i pasdaran hanno scritto la nuova legge. Nel 1998 il vescovo pachistano John Joseph si sparava alla tempia davanti a un tribunale in cui era stato condannato a morte il cristiano e amico Ayub Masih. Oggi come allora, le ciglia del mondo libero si abbassano sulla sorte degli “infedeli”. Giulio Meotti. Il Foglio, 17 settembre 2008
“Zone selvagge” di sharia. Ecco il piano islamista per conquistare Londra Scomparsa la vecchia guardia dopo gli attentati del 7 luglio del 2005, è nata una nuova generazione di imam fondamentalisti. Sono i fautori delle corti della sharia attive in tutto il Regno Unito e propugnano la conquista del potere attraverso la bomba demografica e la creazione di “società parallele”. Anjem Choudary è il più noto di questi predicatori fondamentalisti. Il suo nome uscì la prima volta dopo il discorso che Benedetto XVI tenne a Ratisbona. Nel corso di una manifestazione all’esterno della cattedrale di Westminster, Choudary disse che il Papa doveva esse “sottoposto alla pena capitale”. Lo slogan di Choudary è semplice: “Musulmani, fate più figli e conquisteremo il Regno Unito”. È stato il combattivo Sun a filmare un convegno shock di islamisti nell’East London. Il tabloid ha mandato una squadra di reporter in incognito a una riunione di islamisti nell’East London, in occasione dell’anniversario dell’11 settembre. Choudary sostiene che un’esplosione demografica permetterà ai musulmani di prendere il controllo del paese, che sarà finalmente governato in base alla sharia. “L’islam è superiore e non sarà mai sorpassato. La bandiera dell’islam sarà issata a Downing Street” ha dichiarato il responsabile del gruppo islamico britannico al Ghurabaa. Di fronte a una folla di un centinaio di giovani musulmani adoranti, Choudary ha annunciato che sarebbe semplice per un vasto numero di musulmani dichiarare il jihad contro il Regno Unito e che ognuno di loro potrebbe diventare “una bomba a orologeria pronta a esplodere”. Il predicatore è stato accolto con una vera e propria ovazione, quando ha dichiarato: “Circa 500 persone diventano musulmane ogni giorno nel paese”. L’Inghilterra è sotto choc e i grandi quotidiani titolano sul ritorno degli imam dell’odio. “Non ci integriamo con la cristianità – ha tuonato Choudary – ci assicureremo che un giorno vi possiate integrare nella legge islamica. I nostri occhi sono su Downing Street”. Sono intervenuti al convegno i nuovi volti più noti dell’estremismo britannico, fra cui Abu Omar, Saiful Islam e Abu Saalihah. Il discorso più incendiario è stato quello di Saiful Islam, che ha ringraziato Osama bin Laden per il suo “coraggio”. Il libretto rosso d nuovi movimenti islamisti si intitola “Edarat al-Wahsh”, governare in un mondo selvaggio. È scritto da uno dei maggiori strateghi di al Qaida, lo sceicco Abu-Bakar Naji. Si tratta di creare “società parallele”, accanto a quelle già esistenti; devono esistere nelle città principali, “sotto gli stessi occhi delle autorità, come società segrete con le proprie regole, valori e forze”. Devono costituirsi ampie minoranze musulmane, iniziando a “dare alle zone dove i musulmani vivono un’apparenza chiaramente islamica”, imponendo speciali stili di abbigliamento alle donne e barbe agli uomini. Poi si comincerà ad imporre la sharia. Come già accade in Inghilterra con le corti islamiche parallele che regolano questioni domestiche, matrimoniali, di vicinato e sessuali. Sorgono ovunque e sfruttano le falle del sistema inglese. Nella fase finale, i jihadisti creeranno un “sistema parallelo di tassazione e rispetto della legge”, sottraendo effettivamente in tal modo quelle zone al controllo del governo. Queste “zone selvagge”, come le chiama Naji, offriranno la copertura per basi e operazioni del jihad. L’obiettivo è far sì che l’”infedele” esca di casa ogni mattina con la paura di non rientrarci più. “una volta stabilite queste società parallele, essi faranno pressione sui non musulmani perché si sottomettano”. Naji è certo che, sottoposti a costanti intimidazione e a una paura di morire stimolata a “bassa intensità”, i non musulmani alla fine si sottometteranno: “L’Occidente non ha lo stomaco per una lunga battaglia”. Perchè, conclude l’ideologo di al Qaida, l’Occidente ama la vita e la tratta come “una festa continua”. Giulio Meotti. Il Foglio, 18 settembre 2008 |
Post n°169 pubblicato il 17 Settembre 2008 da Il.Don.Camillo
Gli effetti della visita del Papa in Franciasono appena cominciati. La chiesa francese, dormiente da tempo, ha riaperto gli occhi e, tenendo lo sguardo fisso su Maria e seguendo le istruzioni del nostro amatissimo Pontefice, può riprendere il largo. E Benedetto XVI, tra gli altri, si è rivolto anche ai giovani in un discorso che, tra i vari bellissimi pronunciati dal Papa in questi giorni, vale la pena pubblicare e ricordare con affetto. 15 settembre 2008 Cari giovani, dopo il raccoglimento orante dei Vespri a Notre-Dame, è con entusiasmo che voi mi salutate stasera, dando così un carattere festoso e molto simpatico a questo incontro. Esso mi richiama quello indimenticabile dello scorso luglio a Sydney, al quale alcuni di voi hanno partecipato in occasione della Giornata mondiale d ella Gioventù. Questa sera, vorrei parlarvi di due punti profondamente legati l’uno all’altro, che costituiscono un vero tesoro nel quale voi potrete porre il vostro cuore (cfr Mt 6, 21). Il primo si collega col tema scelto per Sydney. E’ pure quello della vostra veglia di preghiera che sta per cominciare tra qualche istante. Si tratta di un passo degli Atti degli Apostoli, libro che alcuni qualificano molto giustamente come il Vangelo dello Spirito Santo: “Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni” (At 1, 8). Il Signore lo dice a voi, e ve lo dice ora. Sydney ha fatto riscoprire a molti giovani l’importanza dello Spirito Santo, nella nostra vita, nella vita del cristiano. Lo Spirito ci mette intimamente in rapporto con Dio, presso il quale si trova la sorgente d’ogni ricchezza umana autentica. Tutti voi cercate di amare e di essere amati! È verso Dio che voi dovete volgerv i per imparare ad amare e per avere la forza di amare. Lo Spirito, che è Amore, può aprire i vostri cuori per ricevere il dono dell’amore autentico. Tutti voi cercate la verità e volete viverne, viverne realmente! Questa verità è Cristo. Egli è la sola Via, l’unica Verità e la vera Vita. Seguire Cristo significa veramente “prendere il largo”, come dicono diverse volte i Salmi. La strada della Verità è una e nello stesso tempo molteplice, secondo i diversi carismi, come la Verità è una e nello stesso tempo di una ricchezza inesauribile. Affidatevi allo Spirito Santo per scoprire Cristo. Lo Spirito è la guida necessaria per la preghiera, l’anima della nostra speranza e la sorgente della vera gioia. Per approfondire queste verità di fede, vi incoraggio a meditare la grandezza del Sacramento della Confermazione che avete ricevuto e che vi introduce in u na vita di fede adulta. È urgente comprendere sempre meglio questo sacramento per verificare la qualità e la profondità della vostra fede e per rafforzarla. Lo Spirito Santo vi fa avvicinare al Mistero di Dio e vi fa comprendere chi è Dio. Egli vi invita a vedere nel vostro prossimo il fratello che Dio vi ha donato per vivere in comunione con lui, umanamente e spiritualmente, per vivere nella Chiesa dunque. Nel rivelarvi chi è il Cristo morto e risuscitato per noi, Egli vi spinge a testimoniare. Voi siete nell’età della generosità. È urgente parlare di Cristo attorno a voi, alle vostre famiglie e ai vostri amici, nei vostri luoghi di studio, di lavoro o di divertimento. Non abbiate paura! Abbiate “il coraggio di vivere il Vangelo e l’audacia di proclamarlo” (Messaggio ai giovani del mondo, 20 luglio 2007). Per questo io vi incoraggio a trovare le parole adatte per annunciare Dio intorno a voi, poggiando la vostra testimonianza sulla forza dello Spirito implorata nella preghiera. Portate la Buona Novella ai giovani della vostra età e anche agli altri. Essi conoscono le turbolenze degli affetti, la preoccupazione e l’incertezza di fronte al lavoro ed agli studi. Affrontano sofferenze e fanno l’esperienza di gioie uniche. Rendete testimonianza di Dio, perché, in quanto giovani, voi fate pienamente parte della comunità cattolica in virtù del vostro battesimo e in ragione della comune professione di fede (cfr. Ef 4, 5). La Chiesa conta su di voi, ci tengo a dirvelo! In questo anno dedicato a san Paolo, vorrei affidarvi un secondo tesoro, che era al centro della vita di questo Apostolo affascinante: si tratta del mistero della Croce. Domenica, a Lourdes, celebrerò la festa della Croce Gloriosa unendomi ad innumerevoli pellegrini. Molti di voi portano al collo una catena con una croce. Anch’io ne porto una, come tutti i Vescovi del resto. Non è un ornamento, né un gioiello. È il simbolo prezioso della nostra fede, il segno visibile e materiale del legame con Cristo. San Paolo parla chiaramente della Croce all’inizio della sua Prima Lettera ai Corinzi. A Corinto, viveva una comunità agitata e turbolenta che era esposta ai pericoli della corruzione presente nell’ambiente. Questi pericoli sono simili a quelli che conosciamo oggigiorno. Non citerò che i seguenti: le discussioni e le contese all’interno della comunità dei credenti, la seduzione esercitata dalle pseudo-sapienze religiose o filosofiche, la superficialità della fede e la morale dissoluta. San Paolo inizia la sua lettera scrivendo: “La parola della Croce è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio” (1 Cor 1, 18). Poi l’Apostolo mostra l’opposizione singolare che esiste fra la sapienza e la follia, secondo Dio e secondo gli uomini. Egli ne parla quando evoca la fondazione della Chiesa a Corinto e, poi, a proposito della propria predicazione. Egli conclude insistendo sulla bellezza della sapienza di Dio che Cristo – e, sulle sue orme, i suoi Apostoli – sono venuti ad insegnare al mondo e ai cristiani. Questa sapienza, misteriosa e restata nascosta (cfr 1 Cor 2, 7), ci è stata rivelata dallo Spirito, perché “l’uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito” (1 Cor 2, 14). Lo Spirito apre all’intelligenza umana nuovi orizzonti che la superano e le fa capire che l’unica vera sapienza risiede nella grandezza di Cristo. Per i cristiani la Croce è simbolo della sapienza di Dio e del suo amore infinito rivelatosi nel dono salvif ico di Cristo morto e risorto per la vita del mondo, per la vita di ciascuno e di ciascuna di voi in particolare. Possa questa scoperta sconvolgente di Dio che si è fatto uomo per amore invitarvi a rispettare e a venerare la Croce! Essa è non soltanto il segno della vostra vita in Dio e della vostra salvezza, ma è anche – voi lo comprendete – la testimone muta dei dolori degli uomini e, allo stesso tempo l’espressione unica e preziosa di tutte le loro speranze. Cari giovani, io so che venerare la Croce attira a volte la derisione e anche la persecuzione. La Croce mette in questione in qualche modo la sicurezza umana, ma rende sicura, anche e soprattutto, la grazia di Dio e conferma la nostra salvezza. Questa sera, io vi affido la Croce di Cristo. Lo Spirito Santo ve ne farà comprendere i misteri d’amore e voi esclamerete allora con san Paolo: “Quanto a me non ci sia altro vanto che nella Croce del nostro Signore Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6, 14). Paolo aveva capito la parola di Gesù – apparentemente paradossale - secondo cui solo donando (“perdendo”) la propria vita la si può trovare (cfr Mc 8,35; Gv 12,24) e ne aveva concluso che la Croce esprime la legge fondamentale dell’amore, la formula perfetta della vera vita. Possa l’approfondimento del mistero della Croce far scoprire ad alcuni fra voi la chiamata a servire Cristo in maniera più totale nella vita sacerdotale o religiosa! È tempo ora di cominciare la veglia di preghiera, per la quale vi siete raccolti stasera. Non dimenticate i due tesori che il Papa vi ha presentato stasera: lo Spirito Santo e la Croce! Vorrei, per concludere, dirvi ancora una volta che io conto su di voi, cari giovani, e desidererei che voi faceste esperienza oggi e domani della stima e dell’affetto della Chiesa, e il mondo vedrà così la Chiesa vivente! Che Dio vi accompagni ogni giorno e benedica voi insieme con le vostre famiglie e i vostri amici. Ben volentieri imparto a voi la Benedizione Apostolica, così come a tutti i giovani della Francia. Sua Santità Benedetto XVI |
Post n°168 pubblicato il 11 Settembre 2008 da Il.Don.Camillo
Nel settimo anniversario degli attacchi terroristici alle Torri Gemelle e alla civiltà occidentale, pubblichiamo due articoli. Uno del Giornale e l'altro del New York Sun. *** Giuseppe De Bellis, Il Giornale È troppo facile dimenticare. L'11 settembre 2001 è un ricordo sbiadito, una memoria residua, una rievocazione appannata. Dov'è finito il «siamo tutti americani» del giorno dopo? Non c’è: è sparito così in fretta da non lasciare più spazio nemmeno alla retorica. Ci saranno due fasci di luce a simboleggiare le torri gemelle e poco altro. Ci sarà una cerimonia poco globale, perché il mondo non si sente più parte di questa storia. La montagna di speciali tv e di dibattici politici internazionali, si è già esaurita. Neppure la campagna elettorale per le presidenziali americane tocca l'argomento, se non per la tangente. Il ricordo non è più collettivo, ma personale. Sette anni sono pochi per ridurre solo a una data il momento che ha cambiato la storia, eppure non c'è un altro fatto che sia diventato passato con la stessa velocità. Sembra che l'Occidente abbia un pudore tutto suo ad alimentare la memoria e a piangere i suoi morti: qualcosa che assomiglia alla paura di dare fastidio all'islam e alla vergogna per essersi sentiti tutti colpiti al cuore. Abbiamo visto due aerei schiantarsi su New York, abbiamo contato tremila vittime, abbiamo visto cadere le persone in cerca di scampo dalle fiamme del World Trade Center, abbiamo pulito la polvere che ricopriva ground zero. Ci siamo promessi che nulla sarebbe stato come prima, che nessuno avrebbe considerato quello un attacco solo all'America. E ora? Ricordare l'11 settembre non è più chic. La rimozione è un gioco perverso perché appiattisce le emozioni. Le lacrime, il terrore, la certezza che tutti noi, in quei giorni, potevamo essere vittime della vigliaccheria terroristica non ci sono più, masticati e digeriti dalla rielaborazione buonista e autolesionista dell'11 settembre. Abbiamo dimenticato che c'è stata una dichiarazione di guerra globale e a dichiararla non è stato l'Occidente. Tutto quello che è successo dopo ha scavalcato quella tragedia: la guerra in Irak, reputata sbagliata e illegittima a scoppio ritardato, ha alimentato il sentimento antiamericano che è cresciuto in Europa e persino in una parte degli Stati Uniti; le centinaia di notizie sul carcere di Guantanamo hanno portato nell'oblio i morti innocenti nell'attentato alle torri gemelle per dare dignità solo alle storie dei reclusi in tuta arancione. La paura di giustificare la reazione considerata sproporzionata ha fatto prendere le distanze: l'Europa ha progressivamente abbandonato il sentimento di vicinanza con l’America e ha cominciato a fare dei distinguo. Siamo passati dal «siamo stati colpiti», al «sono stati colpiti». Siamo passati dall'attacco alla civiltà occidentale, all'attacco agli Stati Uniti, quindi all'impero, quindi a Bush, quindi al cattivo. Ci manca solo che qualcuno dica che hanno fatto bene, quelli di Al Qaida. Certo, perché dimentichiamo che la campagna del terrorismo islamico ha colpito anche in Spagna, in Turchia, in Inghilterra, in Marocco e in tutti i paesi arabi che non si vogliono piegare all'islam radicale. Questo in sette anni è stato cancellato, incredibilmente spodestato dal senso di colpa per tutto quello che l'11 settembre ha provocato. Nessuno sente più la puzza della morte provocata dai kamikaze di Al Qaida e invece aumentano quelli che sentono puzza di qualcosa di strano attorno agli attentati. Così è cresciuta l'onda dei negazionisti, è montato il complottismo: oggi, fuori dall'America una persona su due crede alle teorie della cospirazione. Un'enormità. E tra quelli che non credono alle piste alternative monta la «cordata» di chi è convinto che in fondo gli americani quantomeno se la siano cercata. Si alimenta il secondo revisionismo, quello di chi crede che l'11 settembre sia stato solo un pretesto per dare più potere ai potenti, per rendere schiavi i cittadini, per farli vivere nel terrore e governarli meglio. È vero, da quel giorno è cambiato tutto. Da allora ci hanno blindato gli aeroporti, non possiamo entrare più liberi nei musei, nelle stazioni, oppure salire tranquilli sui tram e nelle metropolitane. L'Occidente si difende, si protegge, si barrica. Ma è colpa sua o di chi lo vuole attaccare? Ci siamo dimenticati che noi siamo le vittime. E siamo i parenti dei tremila morti dell'11 settembre 2001. The New York Sun The nation paused today to mark the seventh anniversary of the September 11, 2001 terrorist attacks with heartfelt remembrances at the World Trade Center site, the dedication of a memorial at the Pentagon and a planned visit to ground zero by the presidential candidates. Relatives of victims killed at the World Trade Center gathered in a park in lower Manhattan for readings from dignitaries and a recitation of the names of the dead. Later today, Senators Obama and McCain were due at ground zero to pay silent respects. "Today marks the seventh anniversary of the day our world was broken," Mayor Bloomberg said at the start of the ceremony, calling September 11, a "day that began like any other and ended as none ever has." The ritual in New York included moments of silence at 8:46 a.m., 9:03 a.m. and 9:59 a.m. and 10:29 — the times when two hijacked jets slammed into the trade center buildings and the twin towers fell. Services were also held in Pennsylvania and at the Pentagon, where a new memorial was dedicated at a ceremony attended by President Bush. The Pentagon Memorial contains 184 benches — one for each victim that will glow with light in the night, as well as trees and trickling water. Among the speakers at the New York ceremony were three children who were young kids when their father went to work at the World Trade Center seven years ago and never came home. The children are now about 10, 11, and 13. "I remember playing in the yard with him. I remember him pulling my wagon. He was strong. He always made me feel safe," Alex Salamone, wearing the soccer jersey of his father, John, said. "I wish I could remember more, but we were so young when he died." Family members and students representing more than 90 countries that lost victims on September 11 read the names of 2,751 people killed in New York. At the same time, family members descended to the nearby footprints of the twin towers and paid their respects to their lost loved ones. Relatives of victims began arriving at dawn at ground zero, now a huge construction site. American flags were draped over silent cranes, and some families held signs saying "We miss you," "We love you" or "You will never be forgotten." The ceremony included many tearful remembrances as family members reflected on the amount of time that has passed since Sept. 11 and expressed their support for the American troops. "They took from us innocent lives in the names of their God, and it seems some people have forgotten what happened here seven years ago," Rosaria Reneo, sister of victim Daniela R. Notaro, said. "Our lives are filled with pain and always will be. Thank you to all the men and women fighting for us." Edward Bracken, who lost his sister, Lucy A. Fishman, said she was "murdered by coward men using their religion to say they are right and we are wrong," then added, "Pray for the men and women who sleep on the ground every night in the Middle East to keep our world safe." The family of a September 11 victim, Michael Diehl, went to ground zero wearing white T-shirts bearing his photo and 9/11/01. "It's still very hard for us to come here. It doesn't get any easier," Diehl's sister-in-law, Norma Linguito, said. "I just wish they'd get the memorial up so we can have something, a marker, to remember everyone." Messrs. McCain and Obama planned to visit the site after the ceremony concluded Thursday afternoon. The candidates agreed weeks ago to pull their campaign ads for the day and were appearing together Thursday night at a forum on volunteerism and service. Mayor Giuliani spoke at the ceremony — as he has every year in New York — drawing applause from some in the crowd. As the names were being read, the Homeland Security Secretary, Michael Chertoff, Governor Corzine of New Jersey, and Governor Paterson walked down a ramp to lay flowers in the pit where the towers stood. Last year's reading by Mr. Giuliani, then a presidential candidate, drew protests from family members who said the city was ill-prepared for the terrorist attacks under his leadership and questioned whether he should be there while running for the White House. Many families had no opposition to Messrs. McCain and Obama's visit, but some questioned whether the visit was necessary. "It's probably going to be more commercial. This really should be a day for the people who lived and worked down here," Jane Wixted, who lost her police officer son Glen Pettit on September 11, said. But Pettit's former colleague, Chris DeAngelo, was glad they were coming. "One of them is going to lead this nation," he said. "And for that reason, both should come here to see what happened." At the Pentagon memorial dedication, the former Defense Secretary, Donald Rumsfeld, mourned the airline passengers and those who "one morning kissed their loved ones goodbye, went off to work, and never came home." The Pentagon memorial is the first of three major September 11 memorials to be completed. The 2-acre park, located at the spot where American Airlines Flight 77 crashed into the Pentagon's west wall, consists primarily of 184 cantilevered benches, each bearing a victim's name. The president and first lady marked the anniversary during a moment of silence on the South Lawn of the White House, then went to the Pentagon where the president spoke at a service. In Pennsylvania, several hundred people gathered to read the names of 40 victims killed in Shanksville where Flight 93 came down after passengers reportedly stormed the cockpit to thwart terrorists' plans to use that plane as a weapon like the others. Memorials are years away from being built in Pennsylvania and New York. As in past years, two bright blue beams of light will shine at night on the New York City skyline, in memory of the fallen towers. The New York ceremony included one more victim name than last year. The city restored a woman who vanished on September 10, 2001, Sneha Philip, to its official death toll this year after a court ruled that she was likely killed at the trade center. The New York Sun |
Post n°167 pubblicato il 25 Giugno 2008 da Il.Don.Camillo
Il 26 giugno si festeggia, nella Chiesa cattolica, San Josemarìa Escrivà, fondatore dell'Opus Dei. O Dio, che per mediazione di Maria Santissima concedesti a San Josemarìa, sacerdote, innumerevoli grazie, scegliendolo come strumento fedelissimo per fondare l'Opus Dei, cammino di santificazione nel lavoro professionale e nell'adempimento dei doveri ordinari del cristiano, fa' che anch'io sappia trasformare tutti i momenti e le circostanze della mia giornata in occasioni per amarti e per servire con gioia e semplicità la Chiesa, il Romano Pontefice e tutte le anime, illuminando i cammini della terra con la fiamma della fede e dell'amore. INFANZIA E GIOVENTÙ |
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