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Fonte: articolo riportato dall'Internet
Trasformare la CO2 in roccia per frenare il riscaldamento globale
Le rocce basaltiche islandesi.
ANDREA DI PIAZZA2 SETTIMANE FA
L'idea di trasformare la CO2 in roccia per frenare
il riscaldamento globale non è una novità, ma se
anziché riuscirci in migliaia di anni lo si fa in tempi
record ecco che la cosa si fa davvero interessante.
La notizia arriva dall'Islanda. Ecco di cosa si tratta.
Iniettare la CO2 nel sottosuolo e trasformarne il 90%
in minerali nel giro di soli due anni.
Sono questi gli eccellenti risultati raggiunti dal progetto
Carbfix in Islanda, uno dei venti finalisti candidati ad
ottenere il prestigioso Keeling Curve Prize.
Il progetto, che va avanti ormai da diversi anni, sfrutta i
basalti islandesi come volume geologico per lo stoccaggio
del gas, una scelta che si è rivelata efficace e sicura e
che apre nuove prospettive per la lotta al riscaldamento
globale.
I basalti d'Islanda
Gran parte dei progetti di cattura e stoccaggio dell'anidride
carbonica sfruttano le rocce sedimentarie come volume
serbatoio per l'immagazzinamento del gas che penetra nei
pori della roccia e può dissolversi nelle acque sotterranee o
reagire con la roccia incassante formando minerali carbonatici.
Tuttavia il processo richiede migliaia di anni, rendendo questa
soluzione sfavorevole per mineralizzare la CO2 abbastanza
velocemente da soddisfare la potenziale domanda o da evitare
che eventi geologici improvvisi come i terremoti possano
provocare fughe di gas.
Una soluzione a questo problema arriva dalle rocce magmatiche
basiche come i basalti che, oltre ad essere ampiamente diffusi
su tutto il Pianeta, contengono alte concentrazioni di calcio e
magnesio, ioni che possono reagire facilmente con la CO2 producendo
minerali di calcite, dolomite e magnesite. Con l'obiettivo dunque
di testare la capacità di immagazzinamento dell'anidride carbonica
da parte di alcuni dei basalti più famosi del mondo il sito della
centrale geotermica di Hellisheiði in Islanda è diventato il cuore
pulsante del progetto Carbfix.
Il team, guidato dal Reykjavik Energy, ha ideato il sistema che
dissolve la CO2 catturata dal processo industriale nelle acque
reflue dell'impianto, iniettando poi il tutto a centinaia di metri di
profondità nelle rocce basaltiche.
Alla fine del 2018, il sistema aveva catturato e stoccato circa
66.000 t di gas (sia CO2 che H2S), ovvero oltre il 40% delle
emissioni generate dalla centrale.
Secondo i risultati ottenuti, oltre il 90% del gas iniettato si è
trasformato in minerale nel giro di un paio d'anni.
Un processo estremamente rapido ma con qualche punto critico,
l'acqua innanzitutto: per l'iniezione di una tonnellata di anidride
carbonica ne servono 25 di acqua.
Il metodo, inoltre, va testato anche in altri basalti del Pianeta,
piccole variazioni composizionali della roccia ospite possono
portare a ben differenti tassi di mineralizzazione.
Di certo i rapidi tempi di stoccaggio dei gas iniettati candidano
i basalti islandesi come uno dei migliori serbatoi naturali al
mondo.
Un processo naturale
Grazie alle loro proprietà chimiche, rocce basiche e ultrabasiche
come basalti e peridotiti sono l'ambiente ideale per i processi
di carbonatazione naturale.
È stato stimato per esempio che l'alterazione dei basalti presenti
sulle terre emerse del nostro Pianeta, dovuta agli agenti atmosferici,
contribuisce per il 30% alla rimozione naturale della CO2
dall'atmosfera.
Allo stesso modo in natura la mineralizzazione della CO2 è un
processo che avviene costantemente in ambienti vulcanici.
I basalti dei sistemi vulcanici e geotermici sottomarini, per esempio,
ricevono costantemente grandi quantità di anidride carbonica dal
magma che degassa in profondità.
È il caso delle dorsali oceaniche, dove la circolazione idrotermale
coinvolge il primo km di crosta oceanica con una conseguente
interazione CO2-acqua-basalto: soltanto in questo spazio si riescono
a mineralizzare circa 40Mt di anidride carbonica all'anno.
Proprio in Islanda, porzione emersa della dorsale medio atlantica,
è stato stimato che un basalto fresco può immagazzinare naturalmente
oltre 100 kg di CO2 per metro cubo.
Sulla base di questa stima, la capacità teorica di stoccaggio lungo
le dorsali oceaniche (ammesso che la composizione del basalto non
vari grandemente) e dell'ordine di 100.000 - 250.000 Gt di CO2,
diversi ordini di grandezza in più rispetto alla quantità di anidride
carbonica che ogni anno viene liberata a livello globale dalle attività
umane (circa 36,8 Gt nel 2019).
Teoricamente dunque le capacità di immagazzinamento della CO2
da parte dei basalti oceanici e terrestri sono enormi e con la
tecnologia giusta, potrebbero essere una delle soluzioni determinanti
per lo stoccaggio definitivo dell'anidride carbonica e per la lotta
al riscaldamento globale.
Prossimo passo: sottrarre CO2 all'atmosfera
Ad oggi i sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 esistenti (Carbon
Capture and Storage, CCS) riescono a processare circa 40 Mt di gas
ogni anno e sono applicati principalmente a determinati processi
industriali.
Per rispettare l'Accordo di Parigi e contenere la crescita della
temperatura media globale a 1.5°C, bisognerebbe però catturare e
stoccare almeno 190 Gt di anidride carbonica.
Una quantità enorme che richiederebbe un aumento del numero di
impianti CCS esistenti di almeno 2.500 unità entro il 2040, ma
soprattutto la cattura della CO2 direttamente in aria.
Ciò è possibile attraverso i sistemi di cattura diretta dell'aria
(Direct Air Capture, DAC), che filtrano direttamente l'aria
attraverso un solido o un liquido capace di rimuovere selet-
tivamente l'anidride carbonica sfruttando processi di assorbi-
mento e adsorbimento. Combinando i due sistemi ed instal-
landoli nei pressi di un serbatoio basaltico, esattamente come
si sta sperimentando nel progetto Carbonfix, sarà possibile
creare siti di stoccaggio in grado di rimuovere grandi quantità
di CO2 dall'atmosfera.
Tuttavia ad oggi le tecnologie di tipo DAC sono abbastanza
poco mature (al momento la capacità di filtraggio è dell'ordine
delle migliaia di t di CO2 per anno) e anche piuttosto costose
(da 90 a 900$ per tonnellata di CO2), si tratta infatti di
tecnologie estremamente energivore. Ricercatori e aziende,
intraviste le grandi potenzialità di queste tecnologie, si stanno
impegnando per renderle più competitive ed operative in
un immediato futuro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
RIPRODUZIONE CONSENTITA CON LINK A ORIGINALE
E CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM
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