Creato da Blogini il 27/10/2010

Capitani e non solo

Dedicato a tutti coloro che dal mare hanno avuto molto e a coloro i quali da esso si aspettano ancora di più

 

 

ALLA DOMANDA ''COSA TRASPORTA LA MSC FLAMINIA'' L'ARMATORE RISPONDE ''NON SIAMO IN GRADO DI DARE UNA RISPOSTA''

Post n°252 pubblicato il 17 Agosto 2012 da Blogini
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Flaminia, la nave alla deriva rifiutata da tutti i porti
L'armatore tedesco non ha risposto a Francia e Gran Bretagna sulle sostanze nei 2.876 mini container a bordo

La nave portacontainer Flaminia (Afp Photo)Al largo delle coste bretoni della Cornovaglia, fra le onde crescenti dell'Atlantico, fluttua una nave diventata maledetta. Si tratta di una portacontainer lunga 299 metri e battente bandiera tedesca, la Msc Flaminia, salpata il mese scorso dal porto mercantile di Charleston, nella Caorlina del Sud (Stati Uniti), e diretta ad Anversa, sulla foce belga del fiume navigabile Schelda.
La maledizione nasce dal fatto che il 14 luglio, mentre stava nevigando verso l'Europa, è scoppiato un incendio a bordo che si è divorato una parte dei container, facendo una vittima e un disperso, mentre gli altri 24 membri dell'equipaggio sono stati salvati da una petroliera che si trovava sulla rotta ed è intervenuta in soccorso rispondendo all'allarme lanciato dal comandante del cargo in fiamme (i feriti sono stati portati alle Azzorre).


Ebbene, a oltre un mese dall'incidente, nonostante l'incendio sia stato domato in sei giorni e nonostante non abbia compromesso le parti vitali della portacontainer, la sala macchine e la manovrabilità, la Msc Flaminia è ancora bloccata a circa 400 miglia dall'approdo. Il motivo? Nessuno la vuole più perché tutti la temono. Una paura dovuta all'incertezza: non si conoscono le cause dell'incendio e nessuno è in grado di dire quali siano le merci contenute nei 2876 container. Parigi e Londra ripetono da settimane lo stesso refrain: «Bisogna saperne di più sul carico». L'armatore tedesco Reederei Nsb risponde che non è «in grado di fornire questa informazione». Il tutto mentre il Centro francese di documentazione, ricerca e sperimentazione sull'inquinamento delle acque (Cedre), al quale il Ministero dell'ecologia ha chiesto una relazione sul carico, ha anticipato qualcosa di allarmante: «Alcuni dei 37 container situati nella zona colpita dall'esplosione possono rappresentare un rischio a causa dei prodotti chimici che contengono». Nessuna precisazione però su quali siano esattamente questi prodotti. Fonti non ufficiali parlano di sostanze infiammabili, di materiale chimico esplosivo e di gas utilizzato per gli airbag. Anche la Germania, che ha aperto sul caso un'inchiesta, non è al momento in grado di chiarire le cause dell'incendio. Questa, in sintesi, la vicenda, sulla quale si è levato l'urlo delle associazioni ambientaliste che denunciano il rischio di un nuovo disastro ambientale.

Nel frattempo, mentre a terra l'armatore sta trattando con le autorità portuali di Rotterdam, senza comunque escludere la scelta di Anversa, il cargo rimane fra le onde dell'Atlantico, circondato da rimorchiatori che controllano come sentinelle il sorvegliato speciale. È stato un mese davvero nero. Prima con i soccorritori costretti ad abbandonare la nave a causa di una fitta nebbia. Poi, il 9 agosto, con i pompieri che hanno dovuto abbandonarla per non meglio precisati «motivi di sicurezza» dopo averlo portato a cento miglia dalla costa britannica. Infine, per il maltempo, dicono, che ha costretto la Msc Flaminia a riprendere il largo tornando a circa 400 miglia dalla costa. Ora è lì, in attesa che il mare faccia meno paura e che un porto dica sì, l'odissea è finita, ospitiamo la nave maledetta.

Andrea Pasqualetto

 

 
 
 

Comandanti dell'ex Lloyd contro gli imbarchi lunghi

Post n°251 pubblicato il 14 Agosto 2012 da Blogini
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Di seguito quanto pubblicato sul Piccolo di Trieste, a cura di Silvio Maranzana.

Il testo si commenta amaramente da solo, ma quello che ancor più stupisce è che il progetto è stato condiviso da Cgil, Cisl e Uil senza che i marittimi ne fossero preventivamente informati. Unica eccezione il sindacato Federmar Cisal non ha firmato l'accordo. Le associazioni di categoria tacciono come se non fosse di loro competenza metter bocca su un argomento così spinoso che tra le altre cose potrebbe compromettere la stessa sicurezza della vita umana in mare.

Comandanti dell'ex Lloyd contro gli imbarchi lunghi

Italia Marittima porta da quattro a otto mesi il periodo da trascorrere a bordo «Pirati in agguato, decine di fusi orari e famiglie lontane: rischiamo d'impazzire»

Sono sull'orlo dell'ammutinamento i comandanti e gli ufficiali di Italia Marittima, l'ex Lloyd Triestino dopo la decisione della compagnia armatrice di raddoppiare la durata dell'imbarco del personale navigante portandola da quattro a otto mesi. Il blitz è stato fatto a luglio e ha ottenuto l'avvallo di Cgil, Cisl e Uil senza che i marittimi ne fossero preventivamente informati. «Mia moglie ha detto che già le ho rovinato la giovinezza, ma questo è troppo, stavolta quando parto cambia la serratura di casa per non farmi più rientrare - riferisce con amarezza Pasquale Architravo di Torre del Greco - Sono entrato al Lloyd Triestino nel 1974 e da 13 anni comando navi di Italia Marittima, ma non sono mai stato in mare per otto mesi filati. Per noi è stata una doccia fredda, il mio prossimo imbarco è a ottobre, rischio di stare via da casa per una vita». Luigi Salvemini, triestino è primo ufficiale di coperta e due giorni fa è partito dallo Sri Lanka: «É sconosciuto ai più il tipo di vita che si fa a bordo di queste navi: non vediamo le famiglie per mesi, non abbiamo un collegamento internet, non abbiamo una televisione satellitare, cambiamo decine di volte fuso orario: già quattro mesi sono duri, otto sono una follia».

«Per poter affrontare le sfide che giornalmente il mercato globale impone - è stata la spiegazione fornita da Italia Marittima - il gruppo deve poter contare su un sistema omogeneo di gestione anche del proprio personale navigante, evitando oneri aggiuntivi derivanti da situazioni locali particolari, ancorate a dinamiche del passato e non in linea con i tempi». Va tenuto presente che il Gruppo Evergreen che ha sede a Taiwan è composto di quattro società: oltre a Italia Marittima che rappresenta circa il 20 per cento del trasportato complessivo, Evergreen marine corporation di Taiwan, Evergreen marine United kingdom e Evergreen marine Singapore, dove i periodi di imbarco sono già di otto mesi. «L'alternativa a tale omogeneità - ha minacciato la compagnia - è che Italia Marittima spa dismetta la bandiera italiana dalle proprie navi sociali e le noleggi con contratti di "time charter" con le evidenti ripercussioni sul piano occupazionale».

Solo il sindacato Federmar Cisal non ha firmato l'accordo. «Questa posizione - ha denunciato il segretario regionale Giorgio Marangoni - si configura come un ignobile ricatto, tenuto conto che i risparmi conseguenti a questa operazione, derivanti in particolare dalla diminuzione delle spese di avvicendamento (viaggi, diarie) per la sostituzione degli equipaggi risultano assolutamente ininfluenti rispetto ai costi di gestione di una nave».

«Sulle portacontainer della Maersk - sostiene il comandante Architravo - il periodo d'imbarco è di 3 o 4 mesi, quattro mesi ci stanno i comandanti sulle navi della israeliana Zim, su quelle dell'italiana Grimaldi anche i marittimi filippini non vanno oltre i 120 giorni. Raddoppiare questo periodo crea enormi problemi di sicurezza. Dobbiamo attraversare zone infestate dai pirati, effettuare passaggi stretti, rischiamo di impazzire». «Se passa questa - conclude amaro Salvemini - accompagni tuo figlio in prima elementare e quando torni è già in seconda».

 
 
 

La bandiera svizzera in alto mare

Post n°250 pubblicato il 12 Agosto 2012 da Blogini
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Può sembrare strano che un paese senza sbocco sul mare possieda una flotta navale mercantile. Eppure le 41 imbarcazioni commerciali battenti bandiera elvetica rappresentano un pilastro essenziale della strategia di difesa nel caso di una crisi globale.

La marina mercantile svizzera, che fa capo al porto di registrazione di Basilea, è stata fondata nel 1941. In quel periodo la guerra si stava intensificando e bisognava quindi trovare nuove vie per garantire l'approvvigionamento del paese.

Oggigiorno la flotta, che contribuisce soltanto a una minima parte del prodotto interno lordo (se paragonata con le grandi compagnie marittime operanti da Ginevra), continua ad avere la stessa ragione di esistenza.

Sei società private possiedono e gestiscono una serie di imbarcazioni commerciali, dalle navi portacontainer alle petroliere. Su tutte sventola la bandiera rossocrociata. Devono però sottostare a una condizione: su ordine del governo elvetico, devono essere pronte a modificare il loro carico o la loro rotta.

«La nostra flotta è molto variata e deve poter assicurare, su richiesta del governo, l'approvvigionamento della Svizzera di alcune merci che in caso di una grande crisi potrebbero scarseggiare», spiega a swissinfo.ch Reto Dürler, a capo dell'Ufficio svizzero della navigazione marittima.

Le navi sono gestite secondo criteri commerciali e il governo non ha alcuna voce in capitolo sulle loro rotte, aggiunge Dürler.

In cambio della loro flessibilità, la Confederazione - che non sovvenziona la flotta in quanto tale - fornisce delle garanzie di prestito fino a un massimo di 1,1 miliardi di franchi. Queste garanzie consentono agli armatori di acquistare nuove imbarcazioni.

«È una compensazione per il rischio limitato che corrono gli armatori, i quali dovranno forse un giorno mettere le loro navi a disposizione del governo», afferma Dürler, aggiungendo che la Svizzera dispone di una delle flotte mercantili più moderne del mondo.

Una flotta che non cessa di crescere: dalle 32 navi nel giugno 2008 è passata alle attuali 41, più due altri bastimenti la cui consegna è prevista entro la fine dell'anno.

Non un caso unico
La Svizzera non è un'eccezione. Anche altri paesi senza sbocco sul mare, come ad esempio Mongolia, Slovacchia, Kazakistan o Bolivia, dispongono di marine mercantili.

Tra i 156 paesi che possono vantare una flotta marittima, la Svizzera si situa al 76esimo posto per ciò che riguarda le dimensioni, secondo il CIA World Factbook.

Ancor più interessante delle dimensioni è il fatto che la flotta svizzera si stia sviluppando in un periodo in cui, invece, la navigazione mondiale è in regresso.

In seguito alla crisi del 2008, l'industria navale si è ritrovata con una sovrabbondanza di navi di ogni tipo, rileva Ian Lewis, giornalista della rivista TradeWinds che da 20 anni s'interessa al settore. Prima della crisi, aggiunge, le navi portarinfuse facevano guadagnare ai loro proprietari 200'000 dollari al giorno. Una cifra scesa oggi a 5'000 dollari. «A questo punto credo che non sia necessario» sviluppare flotta svizzera, risponde Lewis. «Ci sono già troppe imbarcazioni, inutile costruirne altre».

Disporre di una flotta moderna potrebbe comunque rivelarsi vantaggioso. Le grandi compagnie di trasporto, ritiene Lewis, sono sempre più reticenti a noleggiare imbarcazioni non nuove. L'esperto cita il caso della MSC Napoli, la nave portacontainer vecchia di 16 anni e sotto contratto con la società italiana Mediterranean Shipping Company (MSC) basata a Ginevra, che nel 2007 si incagliò nel Canale della Manica.

«La preoccupazione più grande degli armatori è l'età e lo stato dei natanti. Nessuno vuol vedere una nave affondare come ha fatto la MSC Napoli... altrimenti ci si ritroverebbe con una bella gatta da pelare», osserva Lewis.

Tutte le imbarcazioni che hanno più di 15 anni, sottolinea, sono viste con diffidenza.

Equipaggio straniero
Analogamente alle imbarcazioni che navigano sotto i colori della maggior parte dei paesi occidentali, gli equipaggi delle navi svizzere comprendono per lo più marinai asiatici ed esteuropei.

La ragione, spiega Reto Dürler, è che i viaggi internazionali sono diventati più facili e più a buon mercato. Il richiamo della vita da marinaio si è affievolito. Mentre negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso i marinai svizzeri si contavano a centinaia, la loro proporzione in seno agli equipaggi è oggi scesa a meno dell'1%.

All'epoca esistevano poche altre alternative per scoprire il mondo, ci dice Hans-Peter Schwab, marinaio in pensione che ha iniziato la sua carriera nel 1965. «Ho cominciato su imbarcazioni battenti bandiera svizzera. Nel 1972 ho però optato per delle navi "libere", ovvero navi battenti bandiere di comodo. Per me era più vantaggioso siccome guadagnavo quasi il doppio. Ovviamente, ciò dipendeva dalla compagnia. Ho navigato su barche americane e greche».

Hans-Peter Schwab non conosce il livello dei salari attuali, ma ritiene che «per gli europei dell'Est o gli asiatici che compongono la maggior parte degli equipaggi, i salari siano più alti rispetto a quelli nei loro paesi».

Dal canto suo, Ian Lewis annota che l'aspetto più difficile per gli armatori è reclutare ufficiali qualificati e preparati.

Minaccia dei pirati
L'altra grande sfida per le imbarcazioni svizzere, che attraversano il golfo di Aden tra lo Yemen e la Somalia in media una volta al mese, è la minaccia costante dei pirati.

Nonostante lo statuto neutrale della Svizzera, i tentati attacchi da parte dei pirati sono stati numerosi, rileva Dürler.

Le imbarcazioni di altri paesi possono contare sulla protezione della loro marina nazionale. Le navi svizzere, che non possono invece appoggiarsi su una marina militare elvetica, come fanno a proteggersi?

Per scoraggiare i pirati, risponde Lewis, i capitani hanno chiesto l'autorizzazione di disporre di guardie armate a bordo. Senza fornire dettagli sulle misure di protezione svizzere, Reto Dürler fa notare che gli armatori elvetici devono «attenersi strettamente» alle norme sviluppate dall'associazione internazionale di navigazione Bimco, per dissuadere gli atti di pirateria al largo delle coste somale e nel Mar Arabico. «Ogni armatore ha il proprio metodo per applicare i mezzi di dissuasione».

 
 
 

Help smaller ships avoid pirates' scope

Post n°249 pubblicato il 09 Agosto 2012 da Blogini
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For 21 months he was abused and tortured while his Somali captors awaited their ransom demands to be met. And for 21 months, Jawaid Khan, the captain of the MV Albedo, protected his men from pirates' anger and frustration - so much so that at one point he was lowered into the sea by rope as pirates sprayed bullets around him.
On Thursday, Captain Khan's ordeal finally ended. To the delight of his family he was released, along with seven other Pakistani crew members, after Dh4 million ransom was paid. Mr Khan was never forgotten during his ordeal; friends and family rallied to secure his release. Without these Herculean efforts he and his men would likely still be held captive. Mr Khan was lucky. But who protects the sailors of smaller private dhows, ships and boats in similar binds? Currently, hundreds of ships remain under the control of pirates. Some are backed by large companies with deep pockets and ample insurance to pay off pirates. In the case of the MV Albedo, only the determination of a nationwide effort led by Pakistani businessmen and charity groups managed to raise the ransom money. Even then, the amount was enough to secure the release of only eight of the 22 man crew. The rest are still in captivity. As things stand, paying ransom seems to be the only solution. But while it's impossible not to sympathise with the decision to pay, it is clear doing so only perpetuates the cycle. Unless more coordinated antipiracy measures are taken, along with efforts to address the root causes of piracy, ships big and small will continue to be victimised. Last November, a Dh55 million UAE-funded Coast Guard base opened at Ile Perseverance in Seychelles, complete with sophisticated coastal radar surveillance systems and a helipad. The 30,000 square-metre base took just a year to build, and was the Emirates' gift to a country constantly targeted by Somali pirates. Much more cooperation like this is needed. Smaller firms can coordinate convoys to deter pirate advances. And officials of countries whose sailors are captured must get more involved in forcing their release, and offer naval resources when possible. India, Pakistan, and Bangladesh should carry much of this load. For now, crime seems to pay for pirates. Unless urgent measures are taken, stories like Mr Khan's will sadly be repeated.

 

 
 
 

Marittimi. Le somme per malattia non sfuggono al prelievo Irpef

Post n°248 pubblicato il 02 Agosto 2012 da Blogini
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L'indennità per inabilità al lavoro corrisposta dall'ente previdenziale al personale imbarcato è imponibile perché risarcitoria dei redditi persi dal lavoratore
In tali termini si esprime la Cassazione nelle sentenze 23 maggio 2012, n. 8121, n. 8122, n. 8123, n. 8124, n. 8125, n. 8126, n. 8127 e n. 8128, avendo rilevato che sussiste un evidente e univoco nesso, fattuale e giuridico, e quindi un vero e proprio vincolo sinallagmatico, tra l'"indennità" di malattia delle "persone componenti l'equipaggio di navi mercantili nazionali ... e di rimorchiatori" e il rapporto di lavoro delle stesse. Da ciò l'effetto che la suddetta indennità, rientrando tra le fattispecie disciplinate dall'articolo 6 del Tuir per il quale "i proventi conseguiti in sostituzione di redditi ... e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti", risulta imponibile perché univocamente risarcitoria della "perdita" di quei "redditi" che la malattia ha temporaneamente impedito, in modo assoluto, all'assicurato di percepire perché incapace, a causa della stessa, di "attendere al lavoro" per la cui esecuzione era stato ovvero (ex lege n. 1486 del 1962) potrebbe essere ingaggiato, in quest'ultima ipotesi "fino al massimo di un anno dalla dichiarazione" di temporanea inidoneità ("temporaneamente inidonei").

La sentenza della Suprema corte in rassegna analizza il regime fiscale applicabile all'indennità di malattia riconosciuta al personale marittimo. In particolare, la questione posta all'attenzione del Collegio verte sul trattamento fiscale dell'indennità riconosciuta ai lavoratori del settore marittimo per inabilità temporanea e assoluta al lavoro.
L'Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che, confermando il pronunciamento del giudice di prima istanza, aveva disposto la legittimità dell'istanza di rimborso Irpef sulle ritenute operate dall'ente previdenziale del personale marittimo sulle indennità per inabilità assoluta al lavoro dallo stesso corrisposte. Le conclusioni dettate dal giudice di seconda istanza riposavano sostanzialmente sul fatto che "l'indennità in questione non ha natura di corrispettivo di un rapporto di lavoro in atto, né è rapportata ad esso, ma è unicamente legata alla impossibilità temporanea di prestarlo" e che "l'indennità, in quanto riferita ad inabilità temporanea assoluta, ha finalità indennitario-risarcitorie, essendo corrisposta per il solo fatto della malattia, a nulla rilevando che nel periodo di malattia, il lavoratore non abbia contratto di imbarco, mentre la mancata prestazione di lavoro costituisce un evento posto come condizione per l'applicazione della normativa indennitaria-assicurativa da parte dell'I.P.SE.MA." ("nel periodo di impossibilità di prestare lavoro, il marittimo percepiva l'indennità di che trattasi, anche se in quel periodo non figurava ingaggiato, sicché l'indennità veniva erogata in ragione della malattia")".

Prescindendo dalla questione sollevata dal resistente in merito all'attuale vigenza nell'attuale sistema impositivo della norma che aveva disposto l'esenzione dall'imposta di ricchezza mobile delle indennità e degli assegni a favore degli assicurati o dei loro aventi diritto per le prestazioni previste dal regio decreto legge n.1918 del 23 settembre 1937, infatti, la tematica si incentrava sulla natura risarcitoria o reddituale delle suddette somme. Al riguardo, la Suprema corte osserva che "dalla... lettura nelle norme ... - tenuto conto del costante riferimento al "lavoro" dell'assicurato in esse contenuto, sia come fatto generatore dell'obbligo assicurativo ("l'assicurazione ha inizio dal giorno in cui l'assicurato è imbarcato") sia come fatto impeditivo ("la malattia impedisca") della prestazione lavorativa ("attendere al lavoro") - discende evidente ed univoco lo stretto ed indissolubile nesso, fattuale e giuridico, quindi vero e proprio vincolo sinallagmatico, esistente tra "l'indennità" di malattia delle "persone componenti l'equipaggio di navi mercantili nazionali ... e di rimorchiatori" e il rapporto di lavoro delle stesse .... e, di conseguenza, la obbligata sussunzione della fattispecie (anche quanto alla "indennità giornaliera" di cui alla L. n. 1486 del 1962, art. unico essendo anche questa legata sempre alla "inabilità all'esercizio della navigazione", quindi ad una prestazione lavorativa, come agevolmente evincibile dall'inciso normativo "retribuzione goduta alla data dell'annotazione di sbarco sul ruolo") in quella specificamente prevista dall'art. 6, comma 2 ("classificazione dei redditi") D.P.R. n. 917 del 1986".

Il fatto che le suddette indennità siano riconducibili all'articolo 6 del Tuir, poi, determina, sempre ad avviso della Corte, l'"imponibilità fiscale dei "proventi" e/o delle "indennità" detti perché univocamente risarcitori della "perdita" di quei "redditi" che la malattia ha temporaneamente impedito, in modo assoluto, all'assicurato di percepire perché incapace, a causa della stessa, di "attendere al lavoro" per la cui esecuzione era stato ovvero (ex lege n. 1486 del 1962) potrebbe essere ingaggiato, in quest'ultima ipotesi "fino al massimo di un anno dalla dichiarazione" di temporanea inidoneità ("temporaneamente inidonei")".

L'oggetto dell'assicurazione ("inabilità al lavoro"), la modalità di determinazione dell'ammontare riconosciuto ("indennità giornaliera nella misura del 75 per cento del salario") e il presupposto applicativo ("malattia [che] impedisca totalmente e di fatto all'assicurato di attendere al lavoro"), come rilevato anche nella sentenza in esame, costituiscono elementi decisivi per il riconoscimento della natura sostitutiva di reddito riguardo all'indennità in esame e del conseguentemente regime di imponibilità fiscale ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del Tuir.

Questa ricostruzione, poi, oltre a essere in linea con il dettato letterale della disciplina regolativa e con un precedente pronunciamento del Collegio (Cassazione civile, sezione lavoro, 4 febbraio 1993, n. 1368) in cui era stato riconosciuto che l'"oggetto dell'assicurazione obbligatoria non è ...la malattia in sé, ma l'inabilità temporanea al lavoro, che ne derivi - sia pure in via mediata - in dipendenza della conseguente necessità di sottoporsi a cure mediche o...ad interventi chirurgici", risulta anche conforme alle indicazioni fornite al riguardo dall'Amministrazione finanziaria in un risalente pronunciamento di prassi.
Nella risoluzione n. 8/625 del 19 marzo 1993, infatti, il ministero delle Finanze aveva rilevato che "nella indennità per inabilità temporanea assoluta risulta affievolito, se non addirittura mancante, il carattere risarcitorio e di mera reintegrazione patrimoniale, e deve ravvisarsi in essa, invece, una funzione sostitutiva o integrativa della retribuzione per il periodo di durata dell' inabilità. Tale funzione è ricavabile anche dalle stesse norme che disciplinano le modalità e la misura delle erogazioni economiche in esame, che sono riferite al periodo di temporanea inabilità al lavoro e consistono in una indennità giornaliera pari al 75 per cento della retribuzione degli ultimi trenta giorni precedenti lo sbarco".
Anche per l'Amministrazione finanziaria, dunque, la natura e le modalità applicative dell'indennità costituiscono un solido indice della natura "sostitutiva" e non risarcitoria dell'indennità per inabilità temporanea assoluta al lavoro corrisposta dalla Cassa marittima ai lavoratori del settore.

 
 
 

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