Glup!

Qualcuno dice che quest’anno si andrà a rovistare tra le pellicole di una fastosa 60ma edizione del Festival di Cannes godendosi “cinema degli altri”. Ha aperto il concorso, non a caso, il lussureggiante cinese Wong Kar-Wai, amatissimo sulla Croisette e al primo film negli Usa con My Blueberry Nights. Gli interpreti, la cantante Nora Jones e Jude Law, hanno già inaugurato il tappeto rosso e si sono sottoposti al primo foto call. Gli unici film italiani, ripetiamo per consolarci, sono solo fuori concorso: Centochiodi di Ermanno Olmi, deciso ad abbandonare il cinema di fiction, e Mio fratello è figlio unico di Daniele Luchetti. Altre tracce sparse, a cercarle con la lente, si ritrovano nella giuria presieduta da Stephen Frears, con Marco Bellocchio giurato. Oppure Go Go Tales, evento notturno per Abel Ferrara, girato a Cinecittà ma ambientato in un night club di Manhattan. Tra gli attori Riccardo Scamarcio e due vecchie conoscenze del regista Usa: Stefania Rocca e Asia Argento. Magari sapessero ispirare le attrici di casa nostra! La prima è andata a vivere a Parigi e da tempo lavora con registi stranieri. La seconda sulla Croisette è presente in tre film (quello della Breillat è pure in concorso), nessuno made in Italy. La sconcerto per la quasi invisibilità ne “le plus grand festival de cinéma du monde” non nasce da un inutile spirito campanilista. Restiamo pur sempre la cinematografia più rappresentata nella rassegna transalpina. L’assenza di quest’anno significa soprattutto una cosa: nell’ultimo periodo l’industria cinema italiana ha solo prodotto buoni incassi (De Sica, Boldi, la saga Scamarcio, il ritorno di Brizzi) ma niente ritenuto interessante ed esportabile. Come se ci avessero detto: “Siete provinciali”.

- Concorso

Chiusa la questione, sulla carta l’anniversario tondo sarà festeggiato da un concorso ricco di importanti proposte. Abbiamo già visto (in Italia esce il 18 maggio) Zodiac di David Fincher, un thriller anomalo ma molto intenso sulla vicenda ancora irrisolta di un serial killer che dal ’68 ha ammazzato gente intorno a San Francisco. Ma sarà la prima volta in concorso per 13 registi. Tre i francesi: Christophe Honoré, con la commedia musicale Les chansons d'amour, Catherine Breillat – chiaccherata regista di opere come Romance e Baise moi, con Une vieille maîtresse, l’eclettico Julian Schnabel (è in corso a Roma una retrospettiva artistica e cinematografica su di lui) presenta Lo scafandro e il papillon. E ancora una serie di proposte d’essais: il coreano Kim Ki Duk con Breath, Alexandra del maestro russo Alexander Sokurov. Attesa per il russo Andrei Zvjagintsev (che a Venezia aveva vinto con la crepuscolare opera prima Il ritorno), che presenta The Banishment e per l'austriaco Ulrich Seidl (quello del corrosivo Canicola) con Import/Export. La nutrita schiera di aficionados, i grandi nomi che fanno notizia anche senza il concorso (ma stavolta, deferenti, vi si sottopongono) presenta diversi americani. Quentin Tarantino (che nel ’94 vinse la Palma d’oro con Pulp Fiction) porta Death proof, prima parte del dittico firmato insieme a Robert Rodriguez e omaggio alle amate pellicole di genere, tra exploitation e bassa fedeltà. Negli Usa questo esperimento visivo è stato un mezzo flop al botteghino. Adesso punta sul lancio europeo (in Italia dal 1 giugno). Tornano anche i fratelli Coen con No country for old men, anche loro decorati nel ‘96 col premio per la regia a Fargo, come pure Gus Van Sant con Paranoid Park. Emir Kusturica, ancora impegnato nella post-produzione del doc su Maradona, presenta Promise me this. Lui di Palme ne ha ritirate due e cinque volte è stato in concorso.

Dalla croisette alla conquista del mondo, Steven Soderbergh ha scelto la vetrina francese per Ocean's 13. Si presume porterà a rimorchio una sequela di stars (and strips) per la solita passerella glam, visto che il cast conta Julia Roberts, Catherine Zeta-Jones, George Clooney, Matt Damon, Brad Pitt, Al Pacino e Andy Garcia. Torna anche Michael Moore, con il documentario fuori concorso Sicko, tre anni dopo la Palma per Fahrenheit 9/11, complice Tarantino presidente di giuria. Le polemiche ci sono già state, preventive. Perchè Moore e i suoi hanno avuto problemi con la giustizia Usa per un viaggio a Cuba regalato a soccorritori ammalati dopo aver lavorato nei luoghi della catastrofe delle Twin Towers. Mentre due collaboratori di Moore, guarda caso prima dell’uscita della tragicommedia “sui 45 milioni di americani senza assicurazione sanitaria nel paese più ricco del mondo”, stanno preparando un doc per denunciare il modo spregiudicato di manipolare le notizie utili alle sue cause da parte dell'ex amico. In sostanza si considerano politicamente sulle stesse posizioni ma dissentono dal modo di lavorare di Moore.

Qualcuno aveva notato una presenza meno corposa di film dall’Oriente. Si diceva: finiranno come al solito alla più sinofila Mostra di Venezia. E invece lo staff presieduto da Thierry Fremaux ha calato, come di consueto, gli ultimi assi nella manica: Kitano – Ringo Lam – Johnnie To – Tsui Hark. Nella sezione mezzanotte passerà il thriller cinese girato a sei mani da questi ultimi tre, Triangle, con le star di casa Sun Hong Lei e Louis Koo. Il giappone Takeshi “Beat” Kitano si spartirà lo spazio con il rigoroso maestro israeliano Amos Gitai nel film A ciascuno il suo cinema, che sarà evento speciale. L’episodio del primo si chiama Un bel giorno, quello di Gitai Il dybbuck di Haifa.

(Pasquale Colizzi per L'Unità)