Creato da carrubella il 27/01/2007
E la storia continua
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Post n°130 pubblicato il 06 Febbraio 2009 da carrubella
Velo
Sbarcati pensieri da viaggi lontani da terre lontane di oblii reconditi di popoli e genti e di quelli vicini presenti per sempre nel cavo ricordi. Ma quando a te pare che solo contare del ricordare parlare con te di quello di te o a coloro che prestan l’orecchio e allungano l’occhio per dire chi sei, ti senti rapito da quello che dici ti senti ancor quello che baldo tu andavi. Voler cominciar almen una volta andare per mari o per terre celate lasciar nei miei occhi ,purtroppo velati, ancor di quei popoli e genti vicini che suggeriscan da raccontare.
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Post n°126 pubblicato il 02 Febbraio 2009 da carrubella
Verità Ricordo allora, pensare per dire di cosa sei, parlare con in mano tutto tu. Si dimenticano momenti di confidenze tue dove piacere mostri di dare loro ingenunità sol di piccoli. Ora ancor pensare di dirla? Saperne il costo e dirla anche se rischi d’esser sbranato da sensi leggeri che giuoco prenderanno dell’anima tua? Ma forte la mano spinge lontano il riso m’abbraccia il cuor. |
Post n°124 pubblicato il 31 Gennaio 2009 da carrubella
Fuggiasco
Castelli,prigioni,segrete padrone di luoghi soli che invito dà al nuovo sole d’esser con lui, quando al riparo non v’ha più la speme d’esser plagiato d’altro che d’umano ha, esser sol desio nella sua mente,di vita vera. Fuggire,errar fin quando,fuor di denari, trova musa o di tale aspetto che metta fuori quei sogni che lui fino a quel punto avea serbati fermi in quel cassetto. Eccoli ,allor, lui stesso a rivederli gioirne nello spolverare tante verba che debole lo fanno al sentimento, ma, arido è quel campo che seme ormai vecchio non impiglia. Arrender se dovrebbe, lasciando per sempre che vada alla ruina quel che lui tiene in cuor che sempre brilla? |
Post n°123 pubblicato il 30 Gennaio 2009 da carrubella
Gitano Zingaro Come vento fruscii arriva con altri. Sguardi senza parole nulla dire alla sua gente. Fermo senza fretta a fare allora fuma solo sembra scrutarsi dentro a ricercar di se. Masserizie, aspettano, legati saldi al carro e cenci e corde, opra sua. Affonda scarpa al fango ove abbandona il pasto consunto del dì prima. Mentre loro sul carro guardan di cosa voglia dire quel pensare di marito e padre. Taccion loro ancor quando lo sguardo muto investe loro, come parola fa. Loro guardan con occhi stanchi senza lamento e senza far richiesta, come lecito è loro far per strada, son essi forgiati a dire niente, accetta famigliola questo Re, che cerca,forse, strade doppie che dian riparo a tutti,bestie o sé, cercando tra ricordi di bambino dove ebbe a lasciar o fu lasciato, perché girovagar scelsero i suoi che tener figli,d’amor oppur d’istinto, tra le gonne ampie della madre. E tu zingar gitano dove vai? Alla ricerca dell’immortalità, sembr’egli dire, mentr’esso col suo pensier viene nel mio.
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Post n°122 pubblicato il 28 Gennaio 2009 da carrubella
Nel mezzo chiuso procede con fatica per il peso tratto in su le terga, d’Essa Figura. Poi che lei a scorta si pone accanto a lui come la madre, e lui da figlio ne vuole dar compenso portarla con li altri suoi fratelli in siti dov’è da benedire in siti dove preghiera arriva di voci bisognose e grida di gente maltrattata dalla vita. Allor sebbene rigida in suo stallo si piega accarezzando quelle terga raccogliendone l’umore d’essi dato per aspergerlo a perdono sulla grande folla.
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Frastuono
Sordo a frastuon che inganna isola lontano il pensier mio ove del silenzio sente l’alma mia per stare più con me in quella via.
Mi serve quel frastuon come di lei che porge verso me la mano pia che trae te salvo solo un sol momento a sparecchiar la mente dal colore bigio.
S’odia però il gran silenzio poiché dentro ti trae in quella cerchia che solitamente si chiama riflessione che paura a te fa e annera il core.
M’illudo dunque di veder lontano altri che fanno tutto col lor petto siano dietro, la,dalla mia strada o nei miei pressi vicini al sordo lobo del mio grande orecchio. |
U chiaccu Sulu sempri prontu a bistimmiari Sempri ca menti a genti mia luntana Sempri nirvosu cuomu un jattu straniu Ca di tutti si senti stramannatu
A fudda passa, va, curri, e ritorna Pi dda jurnata ca t’accurza a vita E, iò, senza vuliri m’arritruovu Nmienzu sta fudda e chista confusioni .
Chi fari? A cu chiamari? A cu ci u puozzu diri Ca iò cà un ci vuogliu stari?
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L’albero quella notte, non, linfa,legno vivo nuovo; m’era di sangue come d’umano uomo. Anche se piccol picciuolo, che,stenta a sostener la giovin bacca, egl’è già grande ,sebben,venuto orora. Forte ,sostien il peso della gente che vien ad acclamar lui ,li,nel suo sito, d’amor sempre portato da grembo nella paglia da mamma,la Madonna. E or dopo Gomorra col cuore piccolino dal forte lor bisogno d’avere protezione, per l’anima dei morti e per la loro vita, d’averla gaia e felice pel tempo che Dio dona. Osanna sia di tutti il canto, averlo sì vicino e starsene ai suoi piè. |
Coriamaru
Quantu m’ammara l’arma mia
quannu ci pruovu a stari cu cuarqunu insiemi.
Cu quarcunu ca pariri ,paria,di gran valuri.
Cuomu quannu iò rirannu ciercu l’ aiutu
e vulissi darimillu, chiddu ca nun viri,
ca rapiennu chiddi,a mia, mi fa scantari.
Cchiù tiempu passa ancora e cchiù mi scantu
picchì,chiddu quarcunu,ancora ,un’eni cunchiu,
picchì cerca l’aiutu n’ta la matri paglia.
Allura,allargu i vrazza, no pì rrisa,
ma p’abbrazzari chiddi c’hannu n’arma.
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U pricariu Sunnu di cartuni li me vrachi pi ghirimi assittari n’ta la rina dunni mi niniscissi friddu e vagnatu e cu li funni fatti, iddi, pronti pi l’arripizzata. Allura stetti n’anticchia a pinzarimilla di cuomu avissi a fari pi mettiri o sicuru li me vrachi cu la me culotta sciaccha e u sutta puru. A prima cosa ca passau a mia n’ta tigna fui chidda di diri ca un m’assiettu chhiù, sarvannu tutti li cosi ca pinzaiu prima, anzi sarvannu a tila e li buttuna e cu la scrima, rici u me varvieri, ritta, ritta cuomu di fierru passatu o pantaluni. Mai, accussì un puozzu stari tuttu sirratu e strittu n’ta li me bumetta e d’amitu stiratu. Avissi di natra banna suffiriri tuttu lu iuornu e la santa notti pi farimi appariri a li cristiani sciacquatu e tunnu cuomu un principinu? Ora vulissivu sapiri lu me fazzu: Mi cuminciu a futtiriminni di me vrachi, mi rugnu da fari pi purtari intra senza,mancu,bisuognu cchiù, di dda raccumannata. Ca m’avissi misu mienzu li lagnusi e m’avissi ,puru,livatu onuri e facci.
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HIV
Assordanti silenzi preziosi
ti nutrono adagio
per dare compenso e la lode
al tuo sangue macchiato d’amor.
Sicuro d’amor che non sai
e che forse hai mai conosciuto
perché ,solo ,cercavi di te?
Per dar, solo,motivo e perché
al giovane cuore che sboccia quaggiù.
Non sai oggi nè mai,poi il perché.
Farai i tuoi conti dicendo e pensando
ma invano saprai,
di quel tanto amor ,che di certo,ancora una volta,
per te fu regalo.
Oppure Chi,forse,e dov’è
quel tizio che inconscio o incosciente
volle di sé regalare qualcosa e per forza,
per ripicca al segno d’amor.
Ora,viaggio come straniero tra la gente
in quella strada ch’è stata sempre mia,
ch’essi a vedermi non mi fanno loro,
anz’essi van chiedendo chi foss’io.
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La crisi Cambiare il colore alle bandiere indossare il vestito arcobaleno sentir dentro un cuore batter piano, che il liquido rossastro vada a far strada solo dolcemente. Pensieri,pensare ai popoli, per tutti quelli che si guardano dinnanzi che non vedono nei pressi un giusto verbo m’attaccati solo da un condizionale. Paure sono per l’antico sposo che dovra l’altra metà dovrà lasciar sguarnita e render vita vuota,senza sosta. Cambiamenti terrestri,scossoni, vacillano sicure promesse di domani che a stento si ritrovano. Bandiere e arcobaleni presto si faranno cavalcare, come cavalli bizzarri lasciandosi guidare nel futuro mar certezza. |
Mercato Pigne d’usato abbondano piazze di massa ove gli odori si mischiano a far altri lezzi che impregnano il passo d’Uno segnato al risparmio da sempre per poco. Lei non s’avvede neanche di quello che fa pur di tirare in borsello e poterlo portar di ritorno con peso. L’orgoglio l’assale,l’essere stata ancora bravina con man leggerina,e corto il braccin. Eccola allora sulla dueruote a far l’indiana con culto di Budda, carica zeppa,quasi a cadere, per i suoi pesi mal sistemati. Stanca e spossata ringrazia Dio d’avercela fatta. E l’altro, furbo, una volpe, tutto voglioso di metter la mano su quella vecchina ancora carina. Con arte,il maldestro compie lo stesso, mettendo a vedere cose più belle e sotto il banco le pezze e il pezzame miscela facendo dell’uno e dell’altro. Bella e fregata ,perciò, caralei. E i suoi bambini così carini son diventati dei signorini che non conoscon parola Fatica ma san ben dire quella del Voglio, parlano anzi di quel che gli spetta di questo o di quello che lei non può dare per esser vecchina e poverina. M’apre lo stesso la latta serbata per dare loro quello che c’è. |
Vento d’autunno
Venti impetuosi d’autunno che tracciano segni che lasciano solchi rugosi nell’aia deserta da tempo che un tempo mostrava della vita gai momenti. Quel vento che soffia or plana in luoghi remoti siti ricchi di gente radiosa che vive felice quel tempo. Quel vento d’autunno che incrocia quei visi che nullo presagio propone di speme. Quel vento ti apre le ciglia ti scuote le fronde ti narra dell’altra stagione sussurra all’orecchio il suo canto d’ottobre confessa il sentier da seguire perché trovi la gioia perduta che venti impietuosi violenti ,rubaro lino |
Danza
Danza davanti allo speccho con passi silenti e felpati ricordo dell’albe fiorite quando braccio forzuto reggeva la spina fluttuosa la veste setosa carminia. Poi che danzando quel tango, con foga riserva d’amor che respiro vien meno no di fatica ma d’emozione d’avere le mani legate al bene prezioso,pur d’oro. Quel passo riflesso quel passo di danza quel corpo che tenta, invano in attesa ricorda.
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Pierrot Saltimbanchi che circo cresce sotto teli dipinti e ripinti per pochi denari per solo avere sorrisi di gente per caso che vuole mostrare a se stessi e anche ai bambini cos’è comprensione capire i sorrisi d’artisti di strada; e poi bravo, con tante battute di mani. Ma loro quel mestiere volevano fare non trovar comprensione,ne poverino. Ma di cuor lodati da chi pronti tendon la mano. Mesto l’artista è allor che si cambia, lasciando le vesti, d’artista sportivo per un abito strano e curioso fatto a colore di lutto e candore, e il suo viso dipinto lo stesso di bianco e di nero di puro e di scuro, per quella gente che nulla a lui diede. Con gran delusione allora donò una grossa lacrima stillata dal cuor.
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Poi lei Poi lei Poi lei,la notte,
che sogni sgomenti ruggenti spaventano cuor deboli e soli di donne, di vecchi fanciulli, invalsi,con tanti timori, di lacrime bianche; per l’ora che scorre veloce, di veste ritinta di nero per lutto all’amore perduto per il cuor solo che triste la fa. Ma quante le notti che sogno non hanno da dare che vuote non colman, senza dare riposo un’istante prima ancor il levarsi del sol. |
Uno sguardo
Mandare,donare uno sguardo a qualcuno lontano di anni come spinti da teneri ardori, quei, che or han passato l’infante, con rosse le gote,calda la testa; allor che lo sguardo si ribatte all’altro, come raggio di luce riflessa, che abbaglia quegli occhi, che gonfia quei giovani petti d’amor.
Or non puoi, tu bianco canuto, anche se il tuo petto ancor lesto a carpire quello sguardo fuggente, quel sorriso che inebria la mente, regalarti illusioni, pur sapendo che fa giuco di te. |
A roti Oi cu avi fimmini a maritari Pinsari avi quali roti fari Pi sta fimmina un la fari piniari E a so famiglia faricci guriri . Talari avi cuomu inchiri u baullu Di vesti e suttavesti E di tuvagli i linu ricamati a manu C’hannu l’uocchi saziari e panzi ruossi fari . Pi sapiri fari tagliarini cu sucu di raù E gadduzzi chini aggrassati chi patati N’ta la tannura ramu avi ad aviri E di quartari li misuri un’hannu a mancari . Ora si po’ sta pinna cunsigliari Pigliatili chiù granni chi putiti sti caputi Non tantu pi mmiti chi si fannu Ma pi li figli ca cchiù assai sempri iddi vuonnu . La dote Oggi chi ha figlie da sposare deve riflettere su che dote deve dare per non fare soffrire questa donna e permettergli di godersi la vita senza problemi. Deve pensare cosa mettere dentro il baule , riempirlo, di abbigliamento(vesti e suttavesti) di tovaglie di lino ricamate a mano, tanto da essere bellissime per il piacere degli occhi e invitanti al pasto(pancie grosse fare). In cucina per fare buone pietanze non devono mancare gli attrezzi ovvero il pentolame di rame(quartara) di diverse misure. Si consiglia ,comunque, di prenderle abbastanza capienti queste pentole, non solo perché devono servire nelle grandi occasioni; ma, soprattutto per quel più, che richiederanno i figli. |