Post N° 17

Post n°17 pubblicato il 03 Maggio 2008 da brigante10


sabato 3 maggio 2008

Il PdSUD presenterà alla prossime amministrative una propria lista ed un proprio candidato alla Presidenza della Provincia regionale di Catania.


Da:
erasmovecchio@virgilio.it
 A:
oraziovasta@libero.it

Oggetto:
comunicato stampa
Ricevuto il:
03/05/08 14:20

Ieri si è svolta a Catania all´Hotel Katane, una conferenza di presentazione del Partito del Sud a cui hanno preso parte rappresentanti del Fronte Nazionale Siciliano, Alleanza Federalista, PAS. , attivisti e simpatizzanti.Erasmo Vecchio, coordinatore regionale del PdSUD ha illustrato il progetto:"Uno statuto speciale per la Provincia di Catania."Una proposta del PARTITO DEL SUD realizzabile tramite un referendum provinciale. Ottenuto lo Statuto speciale Catania diventerà Provincia autonoma come Trento e Bolzano. La Provincia autonoma, come Trento e Bolzano, potrà trattenere fino all´80% delle tasse e gestirle per migliorare servizi pubblici (ospedali, asili, scuole, ospizi, mezzi di trasporto) ed infrastrutture ed affermare un modello di sviluppo compatibile con le grandi risorse del territorio e con la capacità di iniziativa imprenditoriale che lo stesso esprime.
Con tale riforma alla Provincia spetteranno compartecipazioni al gettito dei tributi statali e regionali, percepiti nel territorio della Provincia. Una "spallata" al centralismo partitocratrico della Regione Siciliana che accorpa risorse penalizzando le periferie. La Provincia di Catania potrà, grazie a questo progetto, potrà vantare una potestà legislativa provinciale esclusiva grazie alla quale l´Ente potrà emanare sue leggi realizzando l´autogoverno della Comunità.Per sostenere tale progetto, il PdSUD presenterà alla prossime amministrative na propria lista ed un proprio candidato alla Presidenza della Provincia regionale di Catania.
Attorno a questa proposta il PdSUD ha già trovato la condivisione di pezzi della società civile e delle associazioni e, unitamente alla raccolta delle firme per la sottoscrizione della lista promuoverà anche la petizione per la proposta di legge costituzionale d´iniziativa popolare "Catania provincia autonoma" , che dovrà essere sostenuta da 50.000 firme da inviare alla Suprema Corte di Cassazione.
Da sabato 11 un camper del PdSUD sosterrà a Catania nella centrale Piazza Università per incontrare i cittadini ed iniziare la raccolta delle firme.
Segreteria regionale PdSUD - Erasmo Vecchio
Pubblicato da Orazio Vasta a sabato, maggio 03, 2008

Etichette: Catania, Elezioni 2008-lettere al blog-Partito del Sud-Indipendentismo-Autonomismo-Federalismo-Sicilia-Sud--lettere al blog

 
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Ecco chi ci governa

Post n°16 pubblicato il 02 Maggio 2008 da brigante10


MONDADORI,STORIA D’UNA SENTENZA COMPRATA di Marco Travaglio.
 La sentenza del 1991 che annullò il Lodo Mondadori e consegnò il primo gruppo editoriale italiano a Silvio Berlusconi, sfilandolo a Carlo De Benedetti, era comprata. L’acquirente si chiama Cesare Previti, che agiva per conto del Cavaliere e con denaro della Fininvest, beneficiaria finale del mercimonio criminale. Questo, tradotto in Italiano, significa la condanna definitiva emessa l’altroieri dalla Cassazione a carico degli avvocati Fininvest Cesare Previti, Attilio Pacifico e Giovanni Acampora e del giudice Vittorio Metta. Da 17 anni, dunque, Berlusconi – soi disant “uomo che s’è fatto da sé” - possiede abusivamente una casa editrice, con i suoi libri e i suoi settimanali (tra i quali Panorama e il defunto Epoca), che ha utilizzato finanziariamente per accumulare utili e politicamente, prima per sostenere i suoi padrini (Craxi in primis), poi per costruire il consenso necessario alla sua “discesa in campo”, ai suoi due governi e alle sue quattro campagne elettorali. Ancora l’altroieri il sito di Panorama ha diramato, in violazione del segreto investigativo, la notizia della presunta iscrizione sul registro degli indagati di Romano Prodi da parte della Procura di Catanzaro: ma Panorama, senza la sentenza comprata del 1991, non apparterrebbe a Berlusconi. Visto lo spazio lillipuziano riservato dai media “indipendenti” a un verdetto così clamoroso (nemmeno un accenno sulla prime pagine di Corriere della sera, Messaggero e Stampa, per non parlare del Giornale), è il caso di riepilogare la storia di quella sentenza comprata. IL LODO. Nel 1988 Berlusconi, che già da tempo ha messo un piede nella casa editrice rilevando le azioni di Leonardo Mondadori, annuncia: “Non voglio restare sul sedile posteriore”. De Benedetti, che controlla il pacchetto di maggioranza, resiste all’assalto e si accorda con la famiglia Formenton, erede di Arnoldo, che s’impegna a vendergli il suo pacchetto azionario entro il 30 gennaio ‘91. Ma gli eredi cambiano idea e, nel novembre ‘89, fanno blocco con Berlusconi che, il 25 gennaio 1990, si insedia alla presidenza della casa editrice. Oltre a tre tv e al Giornale, dunque, il Cavaliere s’impossessa del gruppo editoriale che controlla Repubblica, Panorama, Espresso, Epoca e i 15 giornali locali Finegil, spostandolo dal campo anticraxiano a quello filocraxiano. La “guerra di Segrate”, per unanime decisione dei contendenti, finisce dinanzi a un collegio di tre arbitri, scelti da De Benedetti, dai Formenton e dalla Cassazione. Il lodo arbitrale, il 20 giugno ’90, dà ragione De Benedetti. Il suo patto con i Formenton resta valido, le azioni Mondadori devono tornare all’Ingegnere. Berlusconi lascia la presidenza, arrivano i manager della Cir debenedettiana: Carlo Caracciolo, Antonio Coppi e Corrado Passera. Ma il Cavaliere rovescia il tavolo e, insieme ai Formenton, impugna il lodo alla Corte d’appello di Roma. Se ne occupa la I sezione civile, presieduta da Arnaldo Valente (secondo Stefania Ariosto, frequentatore di casa Previti). Giudice relatore ed estensore della sentenza: Vittorio Metta, anch’egli intimo di Previti. La camera di consiglio si chiude il 14 gennaio ‘91. Dieci giorni dopo, il 24, la sentenza viene resa pubblica: annullato il Lodo, la Mondadori torna per sempre a Berlusconi. L’Ingegnere lo sapeva già: un mese prima il presidente della Consob, l’andreottiano Bruno Pazzi, aveva preannunciato la sconfitta al suo legale Vittorio Ripa di Meana. “Correva voce – testimonierà De Benedetti – che la sentenza era stata scritta a macchina nello studio dell’ avvocato Acampora ed era costata 10 miliardi… Fu allora che sentii per la prima volta il nome di Cesare Previti, come persona vicina a Berlusconi e notoriamente molto introdotta negli uffici giudiziari romani”. Nonostante il trionfo, comunque, Berlusconi non riesce a portare a casa l’intera torta. I direttori e molti giornalisti di Repubblica, Espresso e Panorama si ribellano ai nuovi padroni. Giulio Andreotti, allarmato dallo strapotere di Craxi sull’editoria, impone una transazione nell’ufficio del suo amico Giuseppe Ciarrapico: Repubblica, Espresso e i giornali Finegil tornano al gruppo Caracciolo-De Benedetti; Panorama, Epoca e il resto della Mondadori rimangono alla Fininvest. I SOLDI. Indagando dal 1995 sulle rivelazioni di Stefania Ariosto sulle mazzette di Previti ad alcuni giudici romani, il pool di Milano scopre il fiume di denaro che dalla Fininvest affluì sui conti esteri degli avvocati della Fininvest e da questi, in contanti, nelle mani del giudice Metta. Il 14 febbraio ‘91 dalle casse della All Iberian parte un bonifico di 2.732.868 dollari (3 miliardi di lire) al conto Mercier di Previti. Da questo, il 26 febbraio, altro bonifico di 1 miliardo e mezzo (metà della provvista) al conto Careliza Trade di Acampora. Questi il 1° ottobre bonifica 425 milioni a Previti, che li dirotta in due tranche (11 e 16 ottobre) sul conto Pavoncella di Pacifico. Il quale preleva 400 milioni in contanti il 15 e il 17 ottobre, e li fa recapitare in Italia a un misterioso destinatario: secondo l’accusa, è Vittorio Metta. Il giudice, nei mesi successivi, fa diverse spese (tra cui l’acquisto e la ristrutturazione di un appartamento per la figlia Sabrina e l’acquisto di una nuova auto Bmw) soprattutto con denaro contante di provenienza imprecisata (circa 400 milioni).Poi si dimette dalla magistratura, diventa avvocato e va a lavorare con la figlia Sabrina nello studio Previti. A proposito di quei 3 miliardi Fininvest, Previti parla di “tranquillissime parcelle”, ma non riesce a documentare nemmeno uno straccio di incarico professionale in quel periodo. Mentono anche Pacifico e Acampora. E così Metta che, sulla provenienza dell’improvvisa, abbondante liquidità (per esempio, un’eredità), viene regolarmente smentito dai fatti. Poi giura di aver conosciuto Previti solo nel ‘94, ma mente ancora: i pm Boccassini e Colombo scoprono telefonate fra i due già nel 1992-93. Poi ci sono le modalità a dir poco stravaganti della sentenza Mondadori: dai registri della Corte d’appello emerge che Metta depositò la motivazione (168 pagine) il 15 gennaio ’91: il giorno dopo della camera di consiglio. Un’impresa mai riuscita a un giudice, né tantomeno a lui, che impiegava 2-3 mesi per sentenze molto più brevi. Evidente che quella era stata scritta prima che la Corte decidesse. IL PROCESSO. Nel 1999 il pool chiede il rinvio a giudizio per Berlusconi, Previti, Metta, Acampora, Pacifico. Nel 2000 il gup li proscioglie tutti con formula dubitativa (comma 2 art. 530 cpp). Ma nel 2001 la Corte d’appello, accogliendo il ricorso della Procura, li rinvia a giudizio, tranne Berlusconi, appena tornato a Palazzo Chigi e salvato dalla prescrizione: a lui i giudici accordano le attenuanti generiche. Perché a lui sí e agli altri no? Per “le attuali condizioni di vita individuale e sociale il cui oggettivo di per sé giustifica l’applicazione” delle attenuanti. La Cassazione conferma: il Cavaliere non è innocente, anzi è «ragionevole» e «logico» che il mandante della tangente a Metta fosse proprio lui. Ma un semplice fatto tecnico come le attenuanti prevalenti “per la condotta di vita successiva all’ ipotizzato delitto”. Anziché rinunciare alle generiche per essere assolto nel merito, Berlusconi prende e porta a casa. E fa bene: gli altri coimputati, senza le attenuanti, saranno tutti condannati. In primo grado, nel 2003, Metta si prende 13 anni, Previti e Pacifico 11 anni sia per Mondadori sia per Imi-Sir, e Acampora (per la sola Mondadori) 5 anni e 6 mesi. Nel 2005, in appello, tutti condannati per Imi-Sir e tutti assolti (sempre col comma 2 dell’art. 530) per Mondadori. Ma nel 2006 la Cassazione annulla le assoluzioni e ordina alla Corte d’appello di condannare anche per Mondadori. La qual cosa accade nel febbraio 2007: Previti, Pacifico e Acampora si vedono aumentare la pena di un altro anno e 6 mesi e Metta di 1 anno e 9 mesi, in “continuazione” con le condanne ormai definitive per Imi-Sir. Scrivono i giudici che la sentenza Mondadori fu “stilata prima della camera di consiglio”, “dattiloscritta presso terzi estranei sconosciuti” e al di “fuori degli ambienti istituzionali”. Tant’è che al processo ne sono emerse ”copie diverse dall’originale”. Berlusconi era all’oscuro dell’attività corruttiva del suo avvocato-faccendiere (che ufficialmente non difendeva la Fininvest nella causa, seguita dagli avvocati Mezzanotte Vaccarella e Dotti)? Nemmeno per sogno: il Cavaliere – scrivono i giudici – aveva “la piena consapevolezza che la sentenza era stata oggetto di mercimonio”. Del resto, “la retribuzione del giudice corrotto è fatta nell’interesse e su incarico del corruttore”, cioè di Berlusconi. E “l’episodio delittuoso si svolse all’interno della cosiddetta ‘guerra di Segrate’, combattuta per il controllo di noti ed influenti mezzi di informazione; e si deve tener conto dei conseguenti interessi in gioco, rilevanti non solo sotto un profilo meramente economico, comunque ingente, ma anche sotto quello prettamente sociale della proprietà e dell’acquisizione dei mezzi di informazione di tale diffusione”. La Corte riconosce infine alla parte civile Cir di De Benedetti il diritto ai danni morali e patrimoniali, da quantificare in separata sede civile: “tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato dei titoli azionari”. Ora che la sentenza è definitiva, la Cir con gli avvocati Pisapia e Rubini chiederà 1 miliardo di euro di danni. In pratica, 17 anni dopo, la restituzione del maltolto. Chissà se il Cavalier Prescritto li farà pagare ai condannati, o se metterà mano al portafogli. Nella prima ipotesi, qualcuno potrebbe innervosirsi e ricordarsi qualcosa. Magari raccontando chi gli chiese di comprare la sentenza Mondadori.

Pubblicato sull'Unità di Domenica Lug 15, 2007

Marco ha scritto anche al sito di Beppe Grillo

Informazione all’italiana: dal corruttore al consumatore

Una sentenza della Cassazione ha condannato Previti, ormai record man italiano di pene aggiudicate, per la Mondadori.
Corruppe un giudice e la Mondadori finì, per la solita coincidenza, alla Mediaset.

La Mondadori va messa sul mercato, non può appartenere a chi l’ha ottenuta grazie alla corruzione.
Scusate: era una battuta... Non volevo mettere in difficoltà rutellifassinodalemabertinottidilibertoviolanteveltroni. Anche loro hanno diritto a tirare a campare, come tutti in questo Paese marcio.
Travaglio, l’informato sui fatti, ci spiega in dettaglio lo scippo del più importante gruppo editoriale italiano.

Previticristosocrate e il Cavalier Prescritto.
“Lunedì, per convincere la giunta per le elezioni della Camera a conservare la poltrona, lo stipendio e la pensione al suo cliente pregiudicato e interdetto Cesare Previti, l’avvocato Giovanni Pellegrino (che è anche ex senatore Ds e presidente Ds della provincia di Lecce) l’ha paragonato a Gesù Cristo e a Socrate. Venerdì Previti, in arte Socrate, in arte Cristo, è stato condannato definitivamente dalla Cassazione a 1 anno e 6 mesi nel processo Mondadori, in aggiunta ai 6 anni già totalizzati nel processo Imi-Sir (i 5 anni subìti in appello nel processo Sme-Ariosto cadranno a giorni in prescrizione grazie a un’altra sezione della Cassazione, che ha avuto la bella pensata di mandare il processo a Perugia proprio sul filo di lana).
Grazie a due leggi vergogna – la ex Cirielli e l’indulto – e a un regolamento-vergogna, Previticristosocrate non sconta la pena in carcere, ma a Montecitorio, anche se è provvisoriamente agli arresti domiciliari. Ma non è il suo destino l’aspetto più importante dell’ultima sentenza. E’ il contenuto, che ha accertato ormai definitivamente come andarono le cose nella “guerra di Segrate” che a cavallo degli anni 80 e 90 oppose la Cir di Carlo De Benedetti alla Fininvest di Silvio Berlusconi. Per una complicata controversia di accordi e pacchetti azionari, sia l’Ingegnere sia il Cavaliere sostenevano di essere i padroni della Mondadori, il primo gruppo editoriale italiano che controllava, oltre al settore libri, La Repubblica, l’Espresso, Panorama, Epoca e 15 giornali locali. Si affidarono dunque a un arbitrato super partes, che nel 1990 – col famoso “lodo Mondadori” - diede ragione a De Benedetti. Allora Berlusconi rovesciò il tavolo e impugnò il lodo dinanzi alla Corte d’appello di Roma. Questa, con una sentenza firmata dal giudice Vittorio Metta il 24 gennaio 1991, annullò il lodo e consegnò la Mondadori a Berlusconi. Per la gioia di Bettino Craxi, che spense così la principale voce di opposizione al regime del Caf. Mesi dopo, Andreotti costrinse Berlusconi a restituire una parte del maltolto (Espresso, Repubblica e giornali locali) al legittimo proprietario. Poi, nel 1995, grazie alle rivelazioni di Stefania Ariosto, il pool di Milano cominciò a indagare sulle sentenze comprate da Previti e scoprì che lo era pure quella del giudice Metta su Mondadori (come quella di tre mesi prima, firmata dallo stesso Metta, sull’Imi-Sir): all’indomani del verdetto, la Fininvest bonificò 3 miliardi di lire a Previti che, tramite altri due avvocati berlusconiani, fece arrivare 400 milioni in contanti a Metta. Il quale poi lasciò la magistratura, divenne avvocato, e indovinate in quale studio andò a lavorare con la figlia Sabrina? Ma nello studio Previti, ovviamente.
Berlusconi è uscito dal processo col solito grimaldello: attenuanti generiche e prescrizione del reato. Previti, Metta e gli altri due avvocati imputati (Pacifico e Acampora), invece, sono stati condannati per corruzione. Ma nella sentenza d’appello, confermata venerdì dalla Cassazione, si afferma che il Cavaliere aveva “la piena consapevolezza che la sentenza era stata oggetto di mercimonio”. Del resto, “la retribuzione del giudice corrotto è fatta nell’interesse e su incarico del corruttore”, cioè dell’attuale capo dell’opposizione. Il quale, dunque, da 17 anni controlla e utilizza abusivamente una casa editrice e i suoi giornali per accumulare miliardi e consensi politici. De Benedetti gli chiederà, in separata sede civile, un risarcimento di 1 miliardo di euro. L’altra sera, a Rovigo, don Luigi Ciotti ha ricordato che nell’ultima finanziaria il governo ha approvato l’estensione del sequestro dei beni, finora previsto per i mafiosi, anche ai corrotti e ai corruttori. Sarebbe forse il caso di confiscare la Mondadori a colui che, nel 1991, la rubò. E di raccontare agl’italiani l’odore dei soldi e dei giornali del Cavaliere. Ma forse la seconda impresa è più ardua della prima: il Tg5 del neodirettore Mimun, venerdì sera, non ha dedicato nemmeno un servizio alla sentenza. E né il Corriere della Sera, né il Messaggero, né La Stampa ne hanno dato notizia in prima pagina. In fondo Berlusconi ha solo rubato il primo gruppo editoriale italiano a un concorrente: che sarà mai.”
Marco Travaglio.
 Fonte www.beppegrillo.it





 
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www.partitodelsud.it

Post n°15 pubblicato il 02 Maggio 2008 da brigante10


Se sei meridionale, se senti l'orgoglio di esserlo, se vuoi riscattarti dalle ingiustizie subite, scegli il Partito del Sud. Siamo già tanti,un giorno saremo maggioranza nel Paese. Fino ad oggi siamo stati governati da destra e da sinistra, che difendono compunque gli interessi economici del centro-nord. Vieni con noi. Puoi scrivere a:
antoniociano@viegilio.it
erasmovecchio@virgilio.it

 
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Post N° 14

Post n°14 pubblicato il 01 Maggio 2008 da brigante10


La storia d'Italia vista dalla parte del Sud





L’invasione
del Regno delle due Sicilie


Il
12 Ottobre 1860, un giorno dopo la
decisione della Camera torinese e prima del voto del Senato e nove giorni prima
della farsesca messa in scena del “Plebiscito” (21 ottobre 1860) il generale Enrico Cialdini penetrò nel Regno di
Napoli con 8.000 uomini dalla parte di Perugia; altri trentamila entrarono da Pescara. Il 15 ottobre Farini e
Vittorio Emanuele II varcarono la frontiera del Regno delle Due Sicilie,
entrarono in Giulianova, giunsero a Chieti il 17 e a Popoli il 19 ove “…dovevano
attestarsi parecchie divisioni dell’esercito sardo che da più parti avevano
invaso, senza verun pretesto di guerra, gli Stati del Re Francesco II stretto
congiunto di Vittorio Emanuele. Altre divisioni furono portate per mare a
Napoli, d’onde mossero subito verso Isernia, per congiungersi con quelle
accolte verso Popoli, e quindi assalire le difese preparate dai napoletani, tra
il Volturno ed il Garigliano
”.(La Civiltà Cattolica, Serie IV, Vol.VIII,
anno 1860, pag.375)


Vittorio
Emanuele II entrò nel Reame il 15 Ottobre, sei giorni prima del Plebiscito da
eletto, e fu ricevuto sul ponte del Tronto dal Governatore di Teramo, il
traditore De Virgili e dal generale disertore e traditore de Benedictis.


.


Garibaldi
intanto se la passava male:continuava ad essere battuto dai regi. Era sul punto
di essere sconfitto. Dall’8 al 15 ottobre lui ed i suoi banditi, ormai allo
stremo delle forze anche se assistiti continuamente dagli inglesi con denari,
armi, munizioni e supplemento di mercenari, venivano martellati senza posa; ciò
determinò l’urgenza dell’invasione del Regno di Napoli da parte delle truppe
regolari piemontesi.

Camere
Torinesi


Giuntagli
notizia che i Borbonici stavano riorganizzando l’esercito, il malefico Cavour convocò le Camere per il 2 Ottobre.
Naturalmente non si trattava delle camere della sua villa a Moncalieri, dove
era solito, secondo il racconto del Curletti, ricevere ragazze minorenni, ma
quelle del Parlamento torinese ormai paragonabile a bordello o a cloaca maxima della politica e del
servaggio alle sette massoniche. Pochissimi, e per isbaglio, erano gli
uomini veramente liberi dal cappio massonico. Cavour fece distribuire ai
deputati il discorso che riportiamo e cominciò a blaterare e a ciarlare:


<< Il Parlamento è già tre mesi che
die’ al ministero cinquanta milioni; con essi s’è secondata la fortuna, e
compiuto imprese da segnar orme profonde nella storia del risorgimento
italiano. Con quel denaro liberammo Umbria e Marche, e fuorché Venezia, tutta
Italia. (Confessava dunque aver liberata Napoli coi denari, nda..).
Venezia e Roma non possiamo aver subito, senza chiamar qui tutta
Europa; ma Roma necessario capo d’Italia , potremo tra sei mesi, con mezzi
morali ottenere. S’avanza l’universal convincimento che, nelle società moderne
il sentimento liberale, sorregge quello religioso. Quanto al reame, non
possiamo lasciar quei popoli nella incertezza del provvisorio, o l’anarchia
divorerà la patria comune, e il movimento nazionale esporrebbe a pericoli estremi
le province già liberare, e quelle di recente liberate. Napoli deve votare come
Toscana, incondizionatamente; qualunque condizione sarebbe ingiuriosa al
resto d’Italia, e contraria al suo organamento. Il pensiero garibaldesco di
differire il voto, sarebbe ruinoso. Una nazione di 22 milioni opera da sé, né
si fa da altri imporre il suo cammino. Se quando Napoli era staccato dal
Piemonte parea ragionevole ritardare l’annessione, ciò svaniva dopo prese
Umbria e Marche. (Così una usurpazione dava dritto all’altra nda.). Siamo
a tale che l’era rivoluzionaria dev’essere chiusa per noi; perché per noi la
rivoluzione è mezzo, non fine.
>> [1]


Costui confessava, dunque, che con l’oro
massonico aveva comprato la libertà delle nazioni italiane colonizzandole e che
Napoli, in pratica, incondizionatamente, avrebbe dovuto,come la Toscana,
votare l’annessione. Dunque far votare solo i liberal-massoni e magari più
volte e più persone nello stesso seggio.


Tutto
illegale, dunque. Il Sud, oggi, davanti alle sedi opportune (Comunità Europea,
ONU, Corte dell’Aia) può chiedere la sua indipendenza che gli è stata rapita
con le armi, con la frode e il genocidio.



Parlamento bordello illegittimo.
 La
Camera torinese, pur stracolma di affiliati alle varie logge massoniche, rimase
attonita e stette parecchi giorni a discutere su cotanta barbarie.


Dagli
atti ufficiali del parlamento torinese, pag. 546 n° 140,apprendiamo che
il deputato Cabella il 5 Ottobre chiese al Presidente del Consiglio “... il
deposito di quei documenti, che senza danno della cosa pubblica potessero
essere comunicati al Parlamento ... e se noi dobbiamo giudicare il Sistema del
Conte di Cavour e i suoi disegni ce li faccia prima conoscere ... essi
dipendono da cause che ci possono essere ignote: sono l’esecuzione di disegni
che hanno bisogno d’essere rivelati
... e se il Ministero ha deciso di entrare
in una via, dalla quale non può più ritirarsi e ch’egli deve forzatamente
percorrere a qualunque costo fino ad un risultato finale, egli ha dovuto avere
tali argomenti di sicurezza da potervisi, senza pericolo grave dello Stato,
avventurare
”. Il Conte di Cavour (forse per la Ragion di Stato, quello
piemontese si intende) rifiutò decisamente e beffardamente di mostrare i
documenti richiesti “... perché non possiamo dire che la questione
dell’Umbria e delle Marche sia terminata in quanto le Potenze straniere non
hanno ancora legittimato le nostre conquiste con il riconoscimento ufficiale
... io dichiaro che, coscienziosamente, stimerei far cosa nociva e
pericolosa se venissi a comunicare quali siano i documenti segreti intorno a
questa impresa (invasione degli Stati Pontifici) scambiati tra il governo di
Sua Maestà e le Potenze estere”
.

La
presa di Napoli


Nel
Giugno del 1860 Francesco II fece alcune concessioni circa l’organizzazione
della Guardia Nazionale. I galantuomini liberali ne approfittarono immediatamente: arruolarono
corpi armati volontari costituiti per la maggior parte da borghesi, artigiani,
nullafacenti e ladri. La massoneria internazionale e Cavour non badavano a
spese. Nell’estate del 1860 i moti insurrezionali preparati ad arte cominciarono a dare i frutti sperati dal
primo ministro piemontese. La Calabria, la Basilicata ed il Cilento risposero
per primi alle sollecitazioni rivoluzionarie del Piemonte. Pochi idealisti di queste regioni, uniti alla feccia
liberal-massonica, contribuirono non
poco al crollo militare borbonico a sud di Napoli. Le insurrezioni dovevano
servire come alibi ai generali borbonici, pagati dalla massoneria, a tradire la
patria Napoletana.


Il
Garibaldi, senza combattere e senza sparare un colpo di fucile, si stava
dirigendo verso Salerno. Francesco II, mal consigliato dai suoi generali ,
lasciò la capitale nelle mani di don Liborio Romano, ministro dell’Interno del
Regno delle Due Sicilie nonché massone dichiarato, e si imbarcò sulla nave Messaggero
per raggiungere la fortezza di Gaeta. Napoli fu affidata nelle mani della
milizia cittadina. Appena partito il Re, il ministro don Liborio Romano inviò
al venerabile fratello don Peppino Garibaldi le seguente lettera:” All’
invittissimo Generale Garibaldi, Dittatore delle Due Sicilie, Liborio Romano
Ministro dell’Interno.


Con
la maggiore impazienza Napoli attende il suo arrivo per salutarla il Redentore
d’Italia, e deporre nelle sue mani i poteri dello Stato ed i propri destini. In
questa aspettativa io starò saldo a tutela dell’ordine e della tranquillità
pubblica: la sua voce, già da me resa nota al popolo, è il più gran pegno del
successo di tali assunti. Mi attendo gli ulteriori ordini suoi e sono con
illimitato rispetto. Napoli, 7 settembre 1860. Di lei dittatore Invittissimo, Liborio Romano “.
( La Civiltà
Cattolica, Serie IV, Vol. VIII, 1860, pag. 357)





Il carognone, massone e liberale, stava consegnando lo Stato
delle Due Sicilie nelle mani del bandito Garibaldi. Tra “ don “ se la
intendevano! Entrambi mercenari della massoneria ed entrambi servi di
Londra. Spedita la missiva al nizzardo, il ministro traditore
anche capo della Polizia, fece affiggere per le strade di Napoli il seguente
bando:<< Cittadini. Chi vi raccomanda l’ordine e la tranquillità in
questi solenni momenti
è il liberatore d’Italia, è il Generale Garibaldi. Osereste non essere docili a
quella voce? No certamente. Egli arriverà fra poche ore in mezzo a noi, ed il
plauso che ne otterrà chiunque avrà concorso nel suo sublime intento, sarà la
gloria più bella cui cittadino italiano possa aspirare. Io, quindi, miei buoni
cittadini, aspetto da voi quel che il Dittatore Garibaldi vi raccomanda ed
aspetta. Napoli, 7 Settembre 1860. Il Ministro dell’Interno e della Polizia
Generale
. Liborio Romano>>. (La Civiltà Cattolica, Serie IV,
Vol.VIII, anno 1860, pag.358 )


I napoletani, inebetiti dagli eventi, non si
rendevano conto che quegli atti stavano per decretare la morte del Regno delle
Due Sicilie, la perdita della loro indipendenza e autonomia; non si rendevano conto, in quei
giorni infelici, di perdere la libertà; non si rendevano conto che stavano
consegnando nelle mani di un mercenario filibustiere le loro ricchezze ed il
loro destino; che costui, repubblicano convinto, stava per regalare ai
criminali Savoia le chiavi del Regno Felice; che aveva approvato le 700 fucilazioni ordinate da Nino Bixio e le molte
altre eseguite dai mercenari
in camicia rossa; che di lì a poco la loro terra si
sarebbe riempita di cadaveri, di croci, di fame, di miseria. I Napolitani non
avrebbero mai potuto immaginare, che di lì a pochi mesi, i cosiddetti liberatori
del Nord avrebbero incarcerato migliaia di cittadini senza rispetto per le
donne, bambini, preti e fatto
fucilare centinaia di migliaia di
contadini, un vero macello, una ecatombe, vera barbarie nella terra che diede al mondo la civiltà. I napoletani
non potevano mai immaginare che i Savoia fatti passare per italiani in
realtà appartenevano ad una Super-Nazione chiamata Massoneria e che di
italiano non avevano niente, nemmeno la lingua. I napoletani non si chiedevano
perché Garibaldi fosse andato a “liberare” la Sicilia anziché la sua Nizza e la
Savoia vendute da Cavour. I napoletani
commisero un errore tremendo: non si
ribellarono immediatamente ai barbari venuti dal Nord. Per la supina remissione
di allora, ancora oggi stanno pagando amaramente in disoccupazione ed
emigrazione. I napoletani non immaginavano che di lì a pochi giorni, Napoli, da
Capitale di un Regno ricco e felice, prospero e libero da 730 anni, sarebbe
diventata una città di provincia piena di disoccupati, di camorristi e di
emigranti.


Il
Garibaldi, con gratitudine infinita, prima di partire da Salerno, mandò la seguente proclamazione al Popolo
Napoletano, usando tutta l’ipocrisia di cui era capace in quei momenti per noi infelici:
< Generale, vi è innanzi il Ministero di Francesco II: ma noi ne
accettammo la potestà, per far di noi un sacrifizio al nostro paese( e
pigliarci i bei soldi, dovuti ai ministri che ne avevano tanto di bisogno!
aggiunge il Buttà da cui abbiamo attinto codesto papiello a pagina 225
del suo capolavoro Un Viaggio da Boccadifalco a Gaeta) L’accettammo
in difficile momento, quando il pensiero dell’unità italiana con Vittorio
Emanuele, che da gran tempo agitava gli spiriti napoletani, sostenuto dalla
vostra spada, era già onnipotente; quando era cessata ogni fiducia tra
sudditi e sovrano; quando antichi rancori e diffidenze, riprodotte dalle ridate
libertà costituzionali, facevano che il reame stesse angosciato per tema di
nuove violente dimostrazioni. Accettammo il potere nel fine di mantenere
l’ordine pubblico e salvare lo Stato dalla guerra civile. Il paese comprese
questo nostro intento, e ne apprezzò gli sforzi. A noi mancò la confidenza dei
nostri concittadini; e noi dobbiamo al loro concorso( dei camorristi, ndr)
l’aver preservata questa città dagli atti di violenza e distruzione, fra tanti
odii di partiti. Generale, tutti i popoli del Regno, sia per sollevazioni
aperte, sia per istampe, ed in altri modi, han manifestato chiaramente la
volontà di voler far parte della gran patria italiana, sotto lo scettro di
Vittorio Emanuele, voi siete il simbolo più alto di questa volontà e di questo
pensiero: però in voi si girano tutti gli sguardi, in voi tutte le speranze son
poste. E noi, depositari della potestà, noi pure cittadini italiani,
trasmettiamo il potere nelle vostre mani, certo che il terrete con vigore, e
che saprete menare la patria verso il nobile scopo ch’è scritto sulle vostre
vittoriose bandiere, impresso nei cuori di tutti: Italia e Vittorio
Emanuele>.


Ma
don Liborio Romano, ultimo ministro di Francesco II e primo ministro di
Garibaldi, non potè leggere il papiello perché la folla oceanica fatta
affluire dai camorristi fu veramente vibrante e la festa “... organizzata così bene ch’egli stesso
rimase vittima del proprio zelo. La ressa infatti fu tale che, quando il
Liberatore scese dal treno , Don Liborio non riuscì ad affiancarglisi ed il suo
messaggio di benvenuto si perse tra le grida della folla. Fu il principio della
fine della sua carriera...”
( Marco Nozza- Indro Montanelli, Garibaldi,
Rizzoli Editori, Milano, 1992, pag. 398)


Don
Liborio Romano, fratello di setta di don
Peppino Garibaldi e della consorteria internazionale, porse i suoi servigi al
nizzardo anziché arrestarlo e fucilarlo, e sì che di motivi ne aveva a iosa: il
Pirata dei Due Mondi era uno straniero invasore venuto a depredare e ad
usurpare un Regno, era un mercenario al soldo inglese, era un criminale di
guerra per aver ordinato eccidi e fucilazioni di inermi cittadini a Bronte e
nella fascia etnea su ordine del console inglese, e ancora a Montemiletto, a
Isernia.


Don Liborio Romano faceva parte di quella
specie umana capace di tutto, di trasformarsi come i camaleonti e di rigenerarsi in un attimo, di tradire la terra in cui era nato ed erano
sepolti i suoi antenati, di inchinarsi
davanti ad un mercenario. Ladri e malfattori, massoni e camorristi
se la intendevano alla perfezione.
Tratto dal libro " Le stragi e gli eccidi dei Savoia" di Antonio Ciano
Per contatti: antoniociano@virgilio.it

 
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Post N° 13

Post n°13 pubblicato il 01 Maggio 2008 da brigante10


CONTRO IL RISORGIMENTO PIEMONTESE

 
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