Il
suo pianto era come quello di un bimbo abbandonato, il dolore per la
perdita di suo figlio «era opposto alla speranza». Eppure Lui le disse
quelle parole. E da quel momento Nain è per tutti un luogo caro, per
quella compassione che Dio ha avuto per tutti noi
La gente
intorno guardava e taceva. Si consumava una storia vecchia e dolorosa,
che altre volte avevano visto, e che ogni uomo conosceva bene da
sempre. Ma ogni volta era come la prima e ogni dolore era altrettanto
nuovo e altrettanto lacerante. Il dolore di una donna, una madre. Una
donna sola, vedova, che vedeva morire suo figlio. E non poteva farci
nulla, e in quel momento non poteva nemmeno piangere, tratteneva le
lacrime per non rendere ancor più terribile l’ultimo terribile attimo
di vita del suo ragazzo. Poi avrebbe pianto, lo sapevano, e avrebbe
pianto come solo una donna che vede morire il figlio può piangere, e
nessuno può dirle: «Donna, non piangere!». Non si ricordava nella
storia del villaggio, nella storia del popolo, nella storia
dell’umanità che qualcuno avesse avuto quel coraggio, quella forza,
quella capacità di sconfinata tenerezza. Quella capacità di commuoversi
e quella misteriosa saggezza che nasce da Chi solo conosce il Mistero e
lo guarda in faccia e sa di poter chiedere al Mistero ciò che vuole. Ma
non era mai esistito nessuno così. Nessuno di loro lo aveva mai
incontrato. E così assistevano impotenti agli ultimi inevitabili attimi
di quell’ultima inevitabile agonia.
Vento da Nord
«Mamma,
comincia a fare un po’ freddino», le aveva detto il ragazzo, e si era
stretto il cuore a quella povera donna. Il cielo in effetti era un po’
più scuro, carico di nuvole e il vento soffiava da Nord, da dove c’era
il grande lago di Tiberiade e non era mai un buon segno, perché portava
sempre pioggia e tempesta. Era la stagione del resto, la stagione in
cui le ombre sono un po’ più lunghe e l’aria si rinfresca presto. E là,
a Nain, il villaggio sulla strada che corre giù da Nazareth verso il
Sud della Galilea, verso il monte Tabor, il tempo era stato davvero
poco clemente, quell’anno, e il freddo aveva acuito la malattia di quel
ragazzino che ormai era tutta la sua vita, dopo che un altro inverno si
era portato via suo marito.
«Mamma, comincia a fare un po’
freddino» e il viso del ragazzo era come più scavato, più affilato.
Erano giorni che mangiava poco, si diceva la mamma, ma non si illudeva,
quei segni non erano belli e il cuore le si gonfiava e le si stringeva
sempre più forte, ma non voleva darlo a vedere. Non voleva piangere,
«Mamma…». Non voleva che la vedesse piangere. Era un ragazzo
intelligente, e avrebbe capito, se non aveva già capito. Non era
giusto, pensava, prima suo padre e adesso… Ma non voleva piangere. E
pensava, la donna, a quel momento di festa e di gioia, quando suo
marito l’aveva chiesta in sposa, e quel giorno del matrimonio, con
tutta la luce e il colore e le danze e il paese che esultava intorno a
loro e per loro. E poi era nato quel bimbo, e anche allora c’era luce e
si era ballato e fatto festa per quel ragazzo che ora stringeva nella
penombra che non era fredda, non era ancora gelida, ma cominciava a
essere insopportabile per il suo cuore che diventava sempre più
piccolo, un nocciolo duro di dolore.
Un battito di ciglia
Non doveva piangere e guardava a occhi asciutti il viso, il naso più
fine del suo bambino, e la pelle della fronte più lucida e tesa, quasi
trasparente. Le era sembrato di ritrovarselo tra le braccia come quando
era piccolo, e aveva voglia di coccolarlo ancora un poco, almeno un
poco, ed era così sola ora e faceva davvero freddo, sempre più freddo e
le pareva di non sentire nessuna emozione. Le lacrime erano come chiuse
da una diga dietro le palpebre e sarebbe bastato un battito di ciglia
per far esplodere l’urlo e la disperazione. Ma in quel momento c’era
solo l’Ombra che diventava più presente e quell’Ombra portava un gran
freddo nella casa. E quel freddo era la sensazione più fisica del suo
dolore. «Mamma…». Aveva ragione, faceva davvero freddo, “freddino”
aveva detto il ragazzo con un filo di voce come a non spaventare la sua
mamma, a proteggerla da quel dolore che non voleva darle e lei gli
aveva accarezzato la fronte e quella diga che sentiva tra le palpebre e
gli occhi aveva d’improvviso ceduto.
Lacrime amare
Il
pianto era arrivato così, e dicevano che il pianto consolava, e le
lacrime salate come il mare avrebbero spazzato via il suo dolore, lo
avrebbero lavato a poco a poco, quelle lacrime salate che le
ricordavano il sapore di tanti momenti, di gioia e di dolore. Ma non
era vero. Nessun pianto era come questo. Era come il pianto del bimbo
abbandonato, che non spera che qualcuno venga, che Qualcuno venga a
consolarlo. E c’era un sapore diverso in quelle lacrime e un dolore
diverso, molto più amaro e irrefrenabile e senza consolazione e nulla
avrebbe lavato via nulla. Come il mare si dilatava il suo dolore e il
cuore era sempre più piccolo, e non poteva trattenere il figlio a cui
aveva dato la vita, tenerlo con sé, abbracciarlo, riscaldare quel
freddo che, ora sì, era gelido, e c’era quell’Ombra, che ora ricopriva
l’anima e il volto. E nessuno tra quelli che erano entrati nella
stanza, osava parlare, osava dire qualcosa. Osava dire “quella cosa”.
Chi poteva dire a quella donna: «Non piangere»? Chi? C’era qualcuno
sulla faccia della terra che avrebbe potuto pronunciare quelle parole,
o soltanto osare pensarle? Che piangesse invece, si sfogasse, si
esaurisse nel suo dolore. Era questo il destino pronunciato per lei e
tante come lei da secoli. Partorire con dolore e con dolore portare la
vita. E il pianto era l’unico sfogo. Come si poteva dire: «Non
piangere»? Poi l’avevano accompagnata fuori. L’avevano accompagnata
lungo gli stretti sentieri dei campi che portavano al cimitero. Erano
appena usciti dal villaggio, dove la strada lasciava le ultime case, la
porta del villaggio; la chiamavano e qualcuno si ricordò il luogo e il
momento, perché i luoghi sono importanti e si fissano nella memoria
quando accade qualcosa di davvero straordinario. Piangeva forte la
donna, «per lei il dolore era in quel momento opposto alla speranza»,
dice don Giussani raccontando quel momento (da Si può vivere così?, pp.
199-200). Quel momento in cui accade qualcosa: il corteo funebre
incrocia una gran folla e tra la folla c’erano i discepoli e quell’uomo
di cui tanti parlavano, quel Gesù di Nazareth così attento a tutto e a
tutti da chinarsi sui fiori e descriverne la veste, da parlare con
bontà e delicatezza persino del sole e della pioggia. E soprattutto
dell’uomo: diceva che ogni capello del capo era contato, e l’attenzione
che rivolgeva a tutti era colma di compassione sterminata, di
cordialità senza riserva. Così dicevano di Lui. E Lui è lì, davanti
alla donna che nessuno osa consolare. Dice quello che nessuno può
immaginare: «Donna non piangere!».
Un estraneo
«Si sarà
sorpresa - commentò un giorno don Giussani leggendo questo passo -: un
estraneo che fa un passo, le tocca una spalla dicendole: “Donna, non
piangere”», «cercando di infonderle così, come una scossa, almeno una
sorpresa. (…) Incominciando, così, a ricondurla a prendere
considerazione di sé. Lei, dopo quell’avvertimento si sarà sentita come
stranita; avrà sospeso un istante le sue grida e in quell’istante Gesù
le resuscita il figlio» (da Si può vivere così?, pp. 199-200).
Don Giussani racconta di aver contemplato tante volte questo episodio,
e con lui vien da dire a Gesù: «Fa’ prima quello che hai fatto dopo
qualche minuto. Restituiscile il figlio vivo, e dopo potrai dirle:
“Donna, non piangere”. E invece no. Gesù abbandona gli apostoli, fa un
passo avanti e dice: “Donna, non piangere!”. (…) È più miracolo questo:
“Donna, non piangere!”, che neanche la risurrezione stessa del figlio.
La fede ci fa partecipare a questo amore senza confine all’uomo,
all’altro» (da L’io, il potere, le opere, pp. 142-144). Tanto che in
quel momento, vicino alla porta di Nain, tra quella gente attonita si
compiono due eventi inimmaginabili. Tre parole pronunciate da Chi solo
poteva pronunciarle. Da Chi solo poteva dare speranza al dolore
apparentemente senza speranza, il dolore che vince tutto, che non ha
nessuna attesa di risposta. È un Dio che ama davvero: «Un Dio glaciale,
di cristallo freddo, opererebbe tranquillamente la resurrezione come
opera la creazione», don Giussani si commuove di fronte a questo Dio
commosso: «Sarebbe stato più dignitoso, quasi, per Dio… anzi, senza
quasi; sarebbe stato più dignitoso per Dio dire: “Alzati!” e
restituirlo a sua madre. Dire “Donna, non piangere!” è come cedere
qualche cosa. Cede, è come cedere: è un uomo, è un uomo… Dio è un uomo,
è più uomo dell’uomo: si chiama compassione, la gratuità di Dio è piena
di compassione» (da Si può (veramente?!) vivere così?, pp. 487-489).
Giovanotto, alzati
Poi quello che accadde è quello che in fondo ci si aspetta - in fondo,
in modo inconfessato, ma inevitabile -. Qualcosa di gratuito, di
imprevedibile ma a questo punto atteso. I portatori si fermano, Gesù si
accosta alla bara, parla al ragazzo. «Dico a te, giovanotto, alzati», e
il morto si leva e incomincia a parlare. E Gesù lo consegna alla madre.
E tutti glorificano Cristo e annunciano che è sorto un grande profeta .
Ma è strano, davvero strano, che prima del miracolo si ricordano quelle
parole, come si ricordano le lacrime di Gesù davanti al sepolcro di
Lazzaro.
C’è soltanto una chiesetta francescana oggi a Nain e
il villaggio è interamente musulmano. Ci sono le tracce del cimitero
dove veniva portato il ragazzo, e non sappiamo cosa sia accaduto poi di
quella donna e di quel ragazzo, e cosa si siano detti dopo, ma certo
l’Ombra non c’era più e splendeva il sole e non c’era più quel
terribile freddo: e ricordiamo il posto e sappiamo che in ebraico Nain
vuol dire “grazioso”, e doveva essere un luogo bello e pieno di grazia
quel paesino davvero piccolo e ignorato dal mondo che è rimasto così
nella storia. È il luogo dove Colui che ha fatto ogni cosa ha dato un
senso e una speranza al dolore e al pianto. E mentre gli altri
guardavano in silenzio lo strazio di quella donna o se ne
allontanavano, nascondendo con il pudore l’intollerabile lacerazione
che quelle lacrime facevano echeggiare nell’ animo, quell’Uomo ha detto
ciò che ognuno vuol sentirsi dire, vuol veramente sentirsi dire, ogni
attimo. «Non piangere». Perché il pianto non è il destino, non è il
destino inevitabile. Ed era arrivato Qualcuno che poteva dire «Non
piangere», che dice «Non piangere» e lo ripete ogni giorno. E Nain è
per tutti da allora un luogo caro e prezioso per quella attenzione che
Dio ha avuto per tutti noi, e per quella madre, per quella vedova.
di Giancarlo Giojelli
( Tracce n. 8- settembre 2002 )
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