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25 APRILE E 1 MAGGIO

Post n°130 pubblicato il 22 Aprile 2012 da Giuseppe_Cotta
 
Foto di Giuseppe_Cotta

Aboliamo le feste?

Non ammetto  e non voglio ammettere che due ricorrenze come il 25 aprile e il primo maggio; del 2 giugno parlerò in seguito, siano da spostare alla domenica al fine di ottenere una mera variazione millesimale del pil o di lasciarle a far da ponte per un millesimale (su base annua) aumento delle presenze nelle strutture alberghiere. A mio avviso tale valutazione è semplicemente pretestuosa nel primo caso e addirittura  aberrante nel secondo.

Per parlare del motivo per il quale il 25 aprile va celebrato come festa della libertà e non come festa commerciale,  occorre un breve riassunto del periodo immediatamente precedente a tale data.

Tra il 25 luglio e l'8 settembre 1943 l'Italia visse, dal momento dell’Unità, uno dei periodi più complessi della sua storia. Da vent'anni il fascismo impediva un qualsiasi tipo di ammodernamento delle strutture politico-sociali italiane, imponendo alla popolazione oltre ad una feroce dittatura anche dieci anni di estenuanti guerre: Etiopia, Albania, Grecia e Spagna, quattro guerre che Mussolini combattè indipendentemente dalla sua alleanza con Hitler, poi, dopo la tragica alleanza si aggiunsero i fronti di Francia, Yugoslavia, Russia, Stati Uniti e Gran Bretagna, per un totale di dieci anni di guerra quasi continuativa che gli italiani dovettero affrontare fino al 25 aprile del 1945.

È il 25 luglio del 1943 quando il re comunica a Mussolini e alla nazione la sua decisione con un laconico messaggio trasmesso alla radio attraverso il quale si annuncia che: "Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato, presentate da Sua Eccellenza il Cavalier Benito Mussolini ed ha nominato Capo del Governo e Primo Ministro Segretario di Stato Sua Eccellenza il Cavaliere Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio". L'ormai ex duce viene fatto immediatamente arrestare e trasportato fuori dalla capitale in un luogo che, per ragioni di sicurezza, avrebbe dovuto restare il più possibile segreto. Il popolo ebbe un sussulto e sperò di poter uscire rapidamente dalla guerra e tornare finalmente a riabbracciare i propri cari, partiti per i vari fronti in Russia, Grecia, Africa, Francia. Si distruggono i simboli dell'odiato regime, volendo così sfogare la rabbia accumulata in più di vent'anni di frustrazione. Si scende in strada anche per chiedere al governo di portare l'Italia fuori dal conflitto. Invece le decisioni del nuovo governo deludono rapidamente le aspettative: il nuovo Capo del Governo, il Maresciallo Badoglio, annuncia sinistramente che la guerra al fianco della Germania continuerà come prima. La tristezza è grande, soprattutto perché la libertà tanto sospirata dalla popolazione incontra la resistenza da parte del re e da parte di Badoglio; se il fascismo è caduto il nazismo viene confermato con il proclama che Badoglio, subito dopo la sua nomina come capo del Governo, consegna alla nazione: "Italiani, Per ordine di sua Maestà il Re e Imperatore assumo il governo militare del Paese, con i pieni poteri. La guerra continua. […]  La consegna ricevuta è chiara e precisa: sarà scrupolosamente eseguita e chiunque si illuda di poterne intralciare il normale svolgimento o tenti turbare l'ordine pubblico sarà inesorabilmente colpito." E’ chiaro che, con l’assenso del Re, è nelle intenzioni di Badoglio di instaurare una dittatura di tipo militare e reprimere qualsiasi moto di ribellione. Non c’è spazio per una più approfondita disamina: ma quello che sta capitando è che l'esercito di Hitler, per rispondere a una richiesta che in precedenza Mussolini aveva fatto, stava già iniziata  penetrando in Italia, attraverso le Alpi, per poi scendere rapidamente verso Roma, nel tentativo di impedire l'avanzata americana. Altrettanto chiaro è che ormai l'Italia senza il suo Duce e senza il fascismo diventava un alleato piuttosto inaffidabile e l’8 settembre dello stesso anno ne fu la dimostrazione.

Non potendomi dilungare vorrei sottolineare che come nel 1946 si festeggiò il primo anniversario della liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, ancora oggi vi è il dovere di ricordare quel giorno, e tutti coloro che  hanno permesso la nascita di una democrazia che, pur con i suoi moltissimi difetti,

ci permette di esprimere liberamente ciò che fino ad allora, e con il fascismo ancor più, era assolutamente vietato e sanzionato anche con la condanna a morte.

Per quanto riguarda il primo maggio, del quale quest’anno ricorre il 123° compleanno, non molta gente sa perché esso è diventato il giorno internazionale dei lavoratori e perché noi dobbiamo celebrarlo. Si tratta anche in questo caso di una conquista ottenuta, come la festa della donna, con il sangue versato dai lavoratori che si opponevano alla schiavitù o semi schiavitù imposta dai padroni (quelli sì proprio padroni dei loro operai). Il punto di partenza fu la rivendicazione di 8 ore di lavoro, 8 ore di sonno e 8 ore di svago. Nel 1886 a Chicago, furono arrestati alcuni militanti anarchici, con l’accusa di aver organizzato i disordini del 1° maggio, nei quali si rivendicava appunto la giornata lavorativa di otto ore. Assieme a quattro organizzatori sindacali e quattro operai, furono processati e per cinque di loro si arrivò alla condanna a morte mediante impiccagione quale monito per tutti quelli che avevano partecipato alla manifestazione. La condanna venne eseguita l’11 novembre dell’anno successivo nel cortile della prigione di Chicago. Come capita ancor oggi e come capitò a Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, anni dopo furono riconosciuti non colpevoli dei reati a loro contestati.

In Europa la festa del primo maggio è sancita con la deliberazione del 20 luglio del 1889 a Parigi del congresso internazionale operaio, convocato nella Salle Petrelle per la data non casuale del 14 luglio: come data di celebrazione viene scelta quella altrettanto simbolica dei moti di Chicago.

In Italia la prima celebrazione avviene due anno dopo, nel 1891 e il quadro dipinto da Giuseppe Pelizza da Volpedo, intitolato Quarto Stato, diventa il simbolo visivo della festa. Oggi volere declassare la festa del lavoro ad una semplice domenica come le altre significa volerci nascondere un altro pezzo di storia, come da molti anni si sta cercando di fare con la festa del 25 aprile.

.A tutti coloro che accetterebbero lo spostamento alla domenica di queste due ricorrenze o, per alcuni, per i quali sarebbe meglio se non se ne parlasse più; noi ripetiamo oggi, ciò che Giuseppe Mazzini disse nei Doveri dell’Uomo con data 23 aprile 1860:

Non siete colpevoli perché ignorate; siete colpevoli perché vi rassegnate a ignorare.

 

La mia ricerca di fonti e di notizie è avvenuta su internet ed in particolare nel sito:

http://www.storiain.net/arret/archivio_arret.asp

Giuseppe Cotta

Associato AMI sezione di Savona

 

Pubblicato sul mensile L'Alassino del mese di aprile

Pubblicato su    http://www.novefebbraio.it/articoli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
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