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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA dello scrittore: Guido da Verona

Post n°199 pubblicato il 26 Ottobre 2012 da ciapessoni.sandro
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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA – dello scrittore: Guido da Verona.

 

 

Immagine. Gerusalemme.

Gesù scaccia i mercanti dal Tempio

 

Cliccare sull’immagine per ingrandire.

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Seguito XXIIma parte del romanzo. (Seguito post 198)

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E il pallido Galileo era entrato nel Tempio della dissoluta Gerusalemme, ed aveva gridato: - Fuori i mercanti! Fuori i simoníaci! Siano distrutti i banchi dei venditori di Dio!

E con la sua mano scarna, e con la sua forza debole, aveva egli stesso rovesciate le tavole, disperse le mercanzie, vuotate sul pavimento le borse degli attoniti Farisei.

Nel cerchio delle infinite sue mura Gerusalemme la pazza, Gerusalemme l'ingorda, Gerusalemme la dipinta come una cortigiana, chiudeva tra i suoi palazzi di cedro e di marmo il secolo di tutti i piaceri, la foia di tutte le colpe, la dorata e venale decadenza della sua voluttuosa civiltà.

E lungo le sue mura, il Battista, l'Iscariota e gli altri suoi fedeli discepoli andavano ripetendo:

- È venuto il Battezzatore che sciacquerà le colpe d'Israele; è venuto il Messia vestito di bianco, il Redentore dalla mano trasparente, l'Annunziato nelle visioni dei profeti, Quegli che parla coi doganieri ed amano le belle cortigiane, il Salvatore nostro, l'Uomo di tutte le penitenze, la Carne di Dio.

«Levatevi su dai tugurî e portate a Lui tutto quanto è dolore.

Sul labbro del Nazareno è avverata la predizione di Elia. Quelli che tutti frustano, Egli chiama suoi fratelli prediletti; chi manca di un denaro, Egli dice possieda la sublime ricchezza; chi non ode, in Lui ode; chi più è stremato, Egli fortifica; dalla sua mano è medicata la piaga insanabile; i ciechi hanno per Lui veggenza; i muti per Lui dissuggellano la voce spenta, dov'è lacrima Egli fa nascere allegrezza; la donna sterile per Lui concepisce; anche i morti, anche i morti, per Lui, se dice: - «Lévati! - risorgono.» .

E Gerusalemme la turpe, Gerusalemme l'ignava, Gerusalemme la carica d'oro mal guadagnato, Gerusalemme offertasi mancipia dei centurioni prepotenti, applauditrice di retori, innamorata dei mimi e degli efebi imbellettati, coi suoi magazzini che straripavano di mercanzie asiatiche, le sue mense che ingaudiavano di vini attici e del Metaponto, le sue cortigiane maestre di lussurie crudeli, le sue case piene d'adulterio, le sue caserme piene di viltà, la sua gente tutta venduta all'amore dell'ozio e del lucro, Gerusalemme sapiente, paurosa, lasciva, da un capo all'altro piena di splendori e di miseria, da un capo all'altro rumorosa di urli e di canzoni, Gerusalemme che possedeva l'Arca Intangibile, ascoltò con una specie di millenaria paura la voce del pallido Viandante, ch'era venuto al suo tempio di marmo dal selvatico paese di Galil, ed ora entrava nei cortili dei mercanti, e rovesciava le tavole del mercimonio davanti agli occhi degli attoniti Farisei.

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Erano passati duemila anni, e tutto ciò rinasceva; e questo era di nuovo un sobborgo dell'antica, empia Gerusalemme; una turba immensa di flagellati camminava per le sue strade anguste; una superba dinastia sacerdotale raccoglieva oboli opimi; l'Arca Intangibile faceva scorrere una Fontana Miracolosa; e là fuori, a centinaia di leghe, impazziva la Capitale scintillante, brillava il secolo di tutte le perdizioni: Babilonia e Tebe, Roma e Bisanzio; l'eterna caducità degli uomini e la più eterna speranza in Dio.

Nelle botteghe dei rigattieri di religione, ora come allora, si vendeva Cristo. Dagli ospedali rigurgitanti, dalle chiese gremite, dalle sentine, dalle cloache, dai penitenziari della umana carne, ora come allora, la speranza dei miserabili affluiva con tutte le sue piaghe verso il mito intramontabile, cercava di medicare in un rivolo d'acqua le maledizioni della vita.

Questa vergine che s'era inginocchiata presso il deserto guado, raccogliendo nello scialle di lana fulva i suoi capelli pieni di vento, era forse un'ultima sorella del pallido Galileo: da entrambi erano nate basiliche, sogni e preghiere, persecuzioni e miracoli, scherni e paradisi.

Vergine di Bartrès, tu hai veduta la Madonna del Rosario; e così pure il Divino Folle udiva la voce dei Profeti nominarlo Figliuolo di Dio; vedeva sul popolo d'Israele, sui popoli di tutte le frontiere, la sua regalità coronata di spine; vedeva sé stesso vivere per sempre nella immensa forza del dolore umano. Ed Egli parlò per uccidere ciò che nel mondo è gioia terrestre, fuoco di amore che passa, urlo di voluttà che si consuma.

Tu eri, Vergine di Bartrès, la sorella del più divino e del più dolce uomo che mai abbia traversate le vie della terra; in entrambi voi era l'innocenza dei grandi sollevatori d'uomini, quella forza di fedeltà nel sogno che le razze attendono per secoli e per millenni; era la semplicità universale di que' pensieri che riescono a divenir eterni, la bellezza del dolore che s'inginocchia e sente in sé discendere l'invisibile Dio.

Lévati, Vergine di Bartrès!... Dal monastero dove ti hanno sepolta, lévati ancora una volta, coi tuoi capelli pieni di vento; vieni alle rupe di Massabielle e guarda l'opera che hai compiuta.

Fuori dalla vallata selvaggia urlano le città sataniche; il fragore dell'oro maledetto piove sugli asfalti lampeggianti; la forza crudele degli uomini curva metalli e pietre; il secolo è pieno di miscredenti; si adora la nudità, si vende la gioia; si fornica senza pudore, si ruba senza vergogna; i talami son pieni d'adulterio; i preti mentono, i tribunali mentono, i governatori mentono...

Lévati, Vergine di Bartrès!

Non c'è nel mondo più luogo per il dolore; la sofferenza diviene ira, diviene speranza di vendetta; quasi nessuno ha tempo di soffrire. Vivere vogliono! urtarsi, calpestarsi vogliono! Le chiese brillano come teatri; anch'esse divengono esibizioni di fasto e di potenza; non si prega nelle chiese; nelle chiese prega soltanto chi ha tempo da perdere. L'umanità sente il bisogno che venga innanzi un nuovo Dio. Forse il medesimo d'una volta, ma che abbia sembianza e spirito d'un Dio del ventesimo secolo. Gli uomini han troppo orgoglio; la potenza del loro ingegno, dei loro eroismi e dei loro delitti, giustifica un tale orgoglio. Si aspetta la nuova Incarnazione, che forse uscirà dal campo, dall'officina o dalla catapecchia. Non senti, vergine di Bartrès, come urlano le città infernali? Non vedi come tutte ardono d'incandescenti fornelli e di bianca elettricità? Non odi come splendendo cantano i loro terribili supplizi? Non vedi che una immensa marea di rivoltosi già viene da tutte le strade, bestemmia da tutte le glebe, ha sete anch'ella dei rossi vini che ubriacano i pazzi conviti? È la infinita miseria che torna dal fuoco e dalla vanga, dal dolore antico ed inestirpabile verso il miraggio della eterna rinnovazione... Lévati, vergine di Bartrès!

Esce la plebe cristiana dalle nere catacombe. Dio cammina. La forza delle moltitudini è immensa come la forza del mare. Hanno vessilli che bruciano come fiamme. Sono i piccoli uomini di tutte le età, che emigrano da un errore verso un altro errore. L'urlo è immenso. L'urto è immenso. Finirà con creare nuove potenze, nuove miserie; forse, per la speranza dei miserabili, un nuovo Dio.

Ma si troveranno ancora davanti a due strade: una che va incontro alla gioia, l'altra verso il dolore. Sono l'uniche due strade che siano tracciate chiaramente nella polvere della vita: la via pagana, dionisiaca, soleggiata, ilare, invereconda; - la via della rinunzia, del pentimento, dell'attesa, del gelo, dell'estinzione.

Due strade, sempre due strade, che dividono gli uomini fra loro, e nell'anima loro. Quella che dice: «Io debbo godere nel tormento;» - quella che dice: «Io debbo umiliarmi nel piacere.»

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Erano gli ultimi giorni dei grandi pellegrinaggi che invadono la sacra città nel mezzo dell'estate. Una folla immensa, forse di quaranta o cinquantamila pellegrini, occupava ogni luogo abitabile, si accalcava negli alberghi, negli ospedali, negli ospizi, nelle baracche provvisorie, ne' corridoi dei conventi, nei dormitori delle Confraternite: spesso accampava, di notte, per le strade.

Venivano a cercare il miracolo da ogni lontananza della terra cristiana; camminavano in lunghi reggimenti, con abiti scuri, con facce devote, a passi lenti, seguendo le insegne dell'Ordine al quale appartenevano. I malati erano stesi nelle barelle, seduti nelle portantine, che a forza d'omeri sorreggevano i penitenti lettighieri; ogni gruppo li custodiva con gelosia, come preziose reliquie, nel compatto nucleo del pellegrinaggio. Queste fanatiche schiere di credenti avevano con sé talvolta il loro Vescovo, talvolta un umile parroco; poi tutto uno stuolo di preti minori, dame della Misericordia, medici, suore di carità, ed ubbidivano a comandanti laici. Solo per mantenere l'ordine tra queste folle promiscue, albergarle, nutrirle, disciplinare la forza dei validi e mitigare le pene degli infermi, occorreva un reale genio di condottiero, sebbene Lourdes fosse tutta preparata a ricevere questi immensi pellegrinaggi.

Confraternite possenti, ricche a milioni, vere dinastie sacerdotali che tenevano il potere della sacra città, onnipresenti ma invisibili, attente ma silenziose, governavano tutto quel mare di cristianità, quelle turbe di mistici emigranti, quelle fiumane d'oro e di miseria, stando fuori da esse, dietro le muraglie dei freddi claustri, ove erano incastellate.

Dalla universale povertà, l'avarizia degli Ordini traeva rapine incalcolábili; un pazzo furore di lucro assillava gli abitatori della nuova Gerusalemme; tutte le strade riboccavano di negozi religiosi; i dintorni della grande spianata, ch'è di fronte alla collina del Calvario, davano l'impressione di una terribile fiera.

Ciò che si vendeva era la grazia e la misericordia di Cristo; ad ognuno che passava di là dovevasi, per forza o per amore, togliere qualcosa dal borsellino. Lungo tutta la strada si ergevano baracche di legno e di tela, banchi, edicole, cantine, ristori, capannette, friggitoi, tutte le specie di mense adatte a sfamare o dissetare la moltitudine, tutte le specie di malizie adatte a far denaro mungendo la pietà dei credenti. E il rumore dell'argento, il nome delle varie monete, il prezzo dei mille oggetti che si vendevano per onore della Madre di Dio, era ciò che più si udiva, che unicamente si udiva, in quella immensa marea di cristiani scendenti verso la Grotta del Miracolo. Nulla poteva scampare dal nugolo dei venditori e delle venditrici ambulanti, che v'imprigionavano nel loro numero, vi tiravano per l'abito, vi mettevano in braccio per forza la loro mercanzia: ceri dipinti, medagliette, statuette, scapolari, libercoli, fasci di fiori, ex-voti, sacre immagini, bottigliette ripiene dell'acqua miracolosa di Lourdes... Mi pareva di ritrovarmi nei vicoli tortuosi dei bazars coloniali, tra la folla degli Arabi, insolente e variopinta, che vi copre di sorridenti ingiurie e di viscide carezze quando passate in mezzo a loro con le tasche ripiene di buoni scellini, e bisogna farsi largo alzando il bastone, se incominciano quelle accanite zuffe, quelle eterne contrattazioni, che altrimenti non finirebbero mai più. E socchiudendo gli occhi sopra una immensa fuga di secoli, mi pareva d'essere, col mio presente spirito, nella vera, nell'antica Gerusalemme, frammezzo alla turba dei mercanti che travolse lo sdegno di Gesù, negli spaziosi cortili del Tempio indistruttibile, un giorno di sagra, sotto l'imperio delle aquile di Roma splendente, quando nella reggia di Erode stava prigioniero il Battista e il turpe amore del Tetrarca perseguiva la figlia di Erodiade...

No: ero in una valle religiosa della pagana Repubblica di Francia, e venivo dalle città infernali, ove splendono le vetrine del diavolo, sorgono le case della vita perduta, e la musica dei pazzi violini esalta la nuda voluttà, il folle sperpero, l'eterno piacere... Venivo dai roghi ove arde la torbida fiamma dell'amor profano, ed ero io stesso pieno d'infernalità, sazio d'ogni colpa, uso ad ubriacare tutto me stesso nei fumi e nelle musiche dei falsi paradisi.

 

Fine della XXIIma parte del romanzo

Buona lettura.

 

 
 
 
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