Creato da ciapessoni.sandro il 21/02/2010

P o e t i c a

P o e s i a - L e t t e r a t u r a - S t o r i a - M u s i c a

 

 

« L'AMORE DI LOREDANA - r...L'AMORE DI LOREDANA - r... »

L'AMORE DI LOREDANA - romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°221 pubblicato il 10 Aprile 2013 da ciapessoni.sandro
Foto di ciapessoni.sandro

L'AMORE DI LOREDANA - Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

 

 

Immagine: Sirmione.

Grotte di Catullo.

 

Cliccare sull'immagine per ingrandire.

 

... seguito SECONDA PARTE

 

***

 

... seguito Capitolo 1

 

Il maggiordomo comparve a un tratto nella sala rossa, si presentò alla contessa Lombardi, le disse qualche parola inchinandosi. La contessa ebbe un sorriso e mosse lentamente verso la porta d'entrata, mentre un sussurrio di curiosità ai propagava, nella sala tra i gruppi degli invitati che avevano preferito la conversazione alla danza.

Quasi contemporaneamente un signore non alto di statura, largo di spalle, con lunghi favoriti biondi, varcava il limitare e dirigendosi rapidamente incontro alla contessa, le prendeva la mano, così da impedirle l'inchino che la dama aveva abbozzato. S'udì la voce dell'uomo, una bella voce molle:

- «Je vous suis bien reconnaissant, comtesse», - egli diceva, baciando la sottile mano inguantata.

- Chi è? - -domandò Berto Candriani.

- Non lo conosci? - disse il tenente di vascello Paolo Orseolo. - È Milan, l'ex-re di Serbia.

- Oh guarda! - esclamò Berto. - Si muove bene in un salotto, meglio che sul trono, l'animale...

Il conte Orseolo diede una gomitata a Berto.

Milan s'inoltrava, tenendo al braccio la contessa Lombardi, che gli presentò gli invitati.

Berto aveva ragione: Milan aveva piuttosto l'aria d'un gran signore annoiato che non l'aspetto d'un Sovrano. I favoriti e i baffi biondi contrastavano con l'espressione di lassezza diffusa sul volto; e dentro gli occhi grigi e freddi passavano talora lampi improvvisi, come per effetto d'un pensiero che sopraggiungesse e illuminasse o facesse tremare quell'anima.

Egli disse qualche complimento alle dame intorno, con misura e con gusto, sorridendo e socchiudendo gli occhi.

A Berto Candriani domandò:

- «Est-ce que vous êtes du Rowing-Club, comte?»

- «Mais sans doute, Altesse!» - rispose Berto Candriani prontamente.

Milan gli sorrise soddisfatto; e mentre egli si allontanava con la contessa per dirigersi alla sala da ballo, Berto soggiunse a bassa voce con Paolo Orseolo:

- Mai visto il Rowing-Club! E tu?

Il conte Orseolo si mise a ridere.

Milan era giunto a Venezia in quei giorni, proveniente da Abbazia, dove aveva passato qualche settimana col giovane re Alessandro, suo figlio. I giornali avevano anzi parlato d'un tentativo d'avvelenamento commesso dai nemici degli Obrenovich contro Alessandro; e Milan, che in quell'epoca dimostrava pel figliuolo una vera tenerezza, ne era rimasto foscamente impressionato.

Era sceso all'«Hôtel d'Europa»; la contessa Lombardi, che l'aveva conosciuto alcuni anni prima a Biarritz, l'aveva invitato alla sua sauterie.

Berto Candriani stava per seguirlo a distanza e per gustar le altre presentazioni, ma vide entrare in quel punto Filippo Vagli, e gli corse incontro. Filippo lo guardò interrogativamente.

- C'è Milan, - annunziò Berto.

- C'è già? - disse Filippo. - È simpatico?

- Un tozzo di pane. Ti domanderà se sei del Rowing-Club. Ti prego di dirgli di sì, perché ciò gli fa piacere.

- Va bene. E la contessa è con lui?

- Naturalmente. Adesso che ha una specie di re per le mani, tu puoi risparmiar di salutarla, perché conti anche meno del solito.

I due amici s'avviarono ridendo verso la sala rossa.

- A proposito, - soggiunse Berto. - Ti ho reso un piccolo servizio, questa sera.

- Mi fai tremare! - esclamò Filippo.

- Coraggio! C'era la Fioresi che schiattava dalla voglia di saper che cosa fai, come vivi, dove ti nascondi. Io le ho raccontato tutto.

- Le hai parlato di Loredana? - esclamò Filippo, arrestandosi.

- No. Le ho parlato di te, della tua passione, delle baruffe con la tua famiglia; quadro completo, insomma!

- E lo chiami un piccolo servizio, questo? - disse Filippo, stringendo la mano di Berto. - Ma è un servizio impareggiabile, prezioso, magnifico....

- Un servizio per dodici persone, - mormorò Berto.

- Proprio! Così avrò costei sulle braccia, come non bastassero tutte le altre! - concluse Filippo. - Ma dove hai la testa? Quando imparerai, tu, a essere discreto?...

Berto era un po' confuso; aveva creduto, dapprincipio, che Filippo lo ringraziasse e gli stringesse la mano per davvero; ed ecco che tanta gratitudine si risolveva in un rimbrotto.

- Non ti arrabbiare, Flopi, - egli disse. - Alla fin fine, che cosa avverrà? Che la Fioresi non ti annoierà più coi sospiri e gli sguardi languidi....

- Ma ti prego di credere che la Fioresi non ha mai fatto nulla di simile, caro mio, e che queste son fantasie del tuo cervello ozioso....

Berto non poté replicare.

Giunti nella sala rossa, videro nel bel mezzo Milan Obrenovich che parlava con la duchessa di Torrecusa.

- «Nous avons fait un pari, la comtesse et moi,» - diceva. - «La comtesse disait que vous avez les yeux gris clairs, moi je disais que vous les avez verts, ce qui vous sied excessivement bien.

Et voilà, j'ai gagné!»

La duchessa sorrideva, un po' impacciata, sotto la fiamma che sfolgorarono a un tratto gli sguardi di Milan. Si sarebbe detto ch'egli avesse voluto bere la luce che sorgeva dal corpo sottile, dalla carnagione rosata, dai capelli aurei della giovane dama.

Gli altri tutt'intorno sentirono quella vampa di desiderio, che il re del tappeto verde e delle alcove aveva recato con sè, e tolsero gli occhi dalla coppia e seguitarono per discrezione i loro discorsi.

- Oh perché non si ricoverano dietro il paravento? - mormorò Berto, con un'occhiata al principe. - Se vuole io gli insegno i buchi, a Milan....

- Quali buchi? - domandò Filippo stupito.

- I buchi del paravento. Li ha trovati comodissimi anche la Fioresi. Vieni, che ti faccio vedere; è un segreto, il segreto che si rivela a un gentiluomo...

In quel punto, la Fioresi, giungendo dalla sala da ballo con passo svelto, alta la testa, un tranquillo sorriso sulle labbra, fermò Filippo, stendendogli la mano.

- Buona sera! - ella, disse. - Si disperava di vederla tra di noi...

Berto Candriani rattenne un ghigno di malizia, ma Giselda lo indovinò più che non lo vedesse.

- Mi dia il braccio! - ella soggiunse a Filippo. - Facciamo un giro, lontano da questo re che non mi piace!

Filippo le diede il braccio e s'avviò presto con lei fuori della sala.

- Ha ragione se non le piace quel re, - disse. – Perché pensava che io non sarei venuto stasera?

Berto, sprofondate le mani nelle tasche dei calzoni, rimase a guardar Filippo e Giselda che si allontanavano; poi squadrò di nuovo Milan Obrenovich, e gli venne in mente un verso, un verso del quale non avrebbe potuto dir l'autore, ma che gli sembrava adatto alla sua situazione:

/# "Messo là nella vigna a far da palo". #/

- Senta che bel galopp! - gli disse la contessina Cafiero, passandogli al fianco.

Berto l'afferrò per il braccio, quasi a volo, con tal furia che la fanciulla fece un gesto di spavento; e conducendola seco di corsa:

- Andiamo! - disse. - Qui tutti galoppano! Galoppiamo anche noi!...

La Cafiero, vestita di rosa, alta e bruna, un neo in mezzo alla fronte, cominciò a ballar con Berto, ridendo e socchiudendo gli occhi voluttuosamente.

 

Capitolo II.

 

Dopo la notte trascorsa, da Loredana al palazzo Vagli, Filippo aveva trovato e arredato l'appartamento sulle Zattere, di fronte al largo e torpido Canale della Giudecca; aveva persuaso con molta facilità del resto, la signora Clarice Teobaldi a lasciar Verona e ad allogarsi nell'appartamento; di poi era toccato alla Teobaldi, nelle frequentissime sue visite, a persuader Loredana, che combatteva tra il desiderio di raggiungere finalmente Filippo e la crudele necessità di dar nuovo dolore alla mamma.

Loredana s'era decisa un giorno in cui Adolfo Gianella l'aveva affrontata in istrada, dichiarandole di volerla accompagnare per vedere se mai andasse dal conte. L'insolenza del giovane l'aveva così esaltata che quel pomeriggio medesimo, invece di tornare a casa, aveva raggiunto Clarice Teobaldi, e alla mamma aveva scritto ch'era a Venezia, ch'ella non temesse, ma che ormai «il suo destino la chiamava».

Così Clarice era diventata la dama di compagnia di Loredana; e Loredana, l'amante, alla faccia del sole, di Filippo. Egli volle festeggiar l'avvenimento con un piccolo viaggio, e partirono i due innamorati per i laghi lombardi, lasciando Clarice a Venezia.

La dama di compagnia, altera del suo nuovo e delicato ufficio, aveva rinunziato agli abbigliamenti vistosi; vestiva sempre di nero, ma con quel suo vezzo di indossare abiti troppo corti, che le lasciavano scoperto tutto il piede, sembrava da lontano un vecchio merlo.

Quando Loredana e Filippo tornarono, ella poté annunziare che la signora Emma era stata due volte a cercar della sua Lori, e che non si lagnava più, e che aveva piegato il capo, anche lei, sotto quella raffica di passione. La signora Emma, travolta dal furore altrui e dalla debolezza propria, la quale pareva esser cresciuta dopo l'unico atto energico da lei compiuto a Sirmione, aveva veramente abbandonato le redini, non sperando ormai che nella onestà di Filippo, nella saggezza di Loredana, in qualche lontano avvenimento tuttavia incomprensibile.

La sua Lori andava a trovarla spesso, in quella casetta bianca sul campiello muto, dalla quale i pettegolezzi ostinati e i fatti veri avevano allontanato amici e conoscenze, cosicché la signora Emma viveva ora quieta e sola, abbandonata e placida. Qualche volta Lori si fermava a colazione o a pranzo; e mai le due donne non parlavano del conte; bensì, era in tutto l'atteggiamento della fanciulla verso la madre una premura nuova, un'affettuosità timorosa, che parevano chiedere continuamente il perdono nel silenzio; e quel perdono era già nel riserbo della signora Emma, che non aveva più detto parola dei suoi presentimenti.

Loredana traversava allora un periodo di selvaggia e franca voluttà. Filippo era l'amore, e l'amore l'inebriava, come se il calore di quel principio d'autunno avesse bruciato le vene di lei, moltiplicandone il desiderio e i capricci notturni e diurni. Il suo corpo bianco finemente venato, i seni duri dai capezzoli che ricordavano le fragole odorose, il ventre piccolo chiaro come ambra, le gambe dai bei ginocchi e dalle cosce muscolose, - splendevano la notte sotto i baci di Filippo, tra i veli della zanzariera, che chiudevan gli amanti come nell'onda azzurra e dolce d'un acquario.

 

Fine prima parte II capitolo.

Buona lettura

 

 
 
 
Vai alla Home Page del blog

AREA PERSONALE

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 
Citazioni nei Blog Amici: 12
 

ULTIME VISITE AL BLOG

cassetta2odnandrefmanuelapergola87melzani54marco90_sacredMorghennbicsipetrotempestadamore_1967lapis03alfredoalfredodglantoniobr.aVolo_di_porporamaschiomaturo6edoardo_crivellarizaou
 

CHI PUò SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963