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L'AMORE DI LOREDANA - romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli.

Post n°230 pubblicato il 12 Giugno 2013 da ciapessoni.sandro
Foto di ciapessoni.sandro

L’AMORE DI LOREDANA – Romanzo dello scrittore: Luciano Zuccoli

 

 

Immagine: Duello!

Filippo e Berto:

 

Cliccare sull’immagine per ingrandire.

 

… seguito SECONDA PARTE

 

***

… seguito capitolo X (dal post 229)

 

- Loredana, - sussurrò, - io le domando perdono; io non credeva di... Ma dovette troncare. Loredana era scattata in piedi nuovamente; pareva davvero una viperetta, con la testa dritta e gli occhi sfavillanti:

- Vada via! - gridò. - Vada via; non mi tocchi! La disprezzo, gliel' ho detto. Vada via, vada via subito!...

Berto si ritrasse.

- Vada via subito! - incalzò Loredana. - Non voglio più vederla! Vada via subito, o chiamo!

Il tono perentorio, la voce squillante, il fremito visibile che agitava la fanciulla, fecero comprendere a Candriani ch'era impossibile resistere; se avesse osato una parola o un gesto, Loredana avrebbe chiamato il servo o Clarice, facendo uno scandalo. Berto camminò a ritroso fin sul limitare, s'inchinò, uscì.

La giovane stette in ascolto qualche poco, indi si abbandonò sul divano, tuffando il volto tra i cuscini. Ella rimase in tal positura, immobile e con gli occhi asciutti, sforzandosi a pensare, fin che non udì nell'anticamera i passi di Filippo che rientrava. Allora balzò in piedi, si diede una occhiata nello specchio, afferrò un libro che giaceva sulla tavola e finse di leggere.

Filippo entrò:

- Buona sera, piccola, - disse.

- Buona sera, Flopi. Ti sei divertito?

- No, per niente. E tu, che cosa hai fatto?

Un brivido passò nell'anima di Loredana; chinato il capo di nuovo sul libro, mormorò con indifferenza studiata:

- Nulla. È venuto il Candriani a trovarmi...

- Berto? - esclamò Filippo stupito. - A che ora?

- Alle cinque e un quarto, o alle cinque e mezza, non ricordo.

- E che cosa voleva?

- Era passato a prenderti per andare dalla contessa Lombardi.

- Ma è impossibile, Lori; pensa bene a ciò che dici! - esclamò Filippo.

Loredana s'impaurì; impossibile? perchè era impossibile? - Ha detto così, - ella insistette.

- Ma dalla contessa Lombardi dovevamo trovarci più tardi, - osservò Filippo. - E infatti è venuto, mi ha visto, e non mi ha detto ch'era stato qui. Tutto questo è stranissimo...

Tacque; s'avvicinò all'amante, ancora seduta sul divano, e la scrutò attentamente.

- Tu sei molto agitata, - soggiunse. - Mi nascondi qualche cosa...

Loredana si sentì morire. Che cosa poteva credere Filippo? Bisognava raccontar tutto?...

Alzò il capo, e disse, disperatamente:

- Io, il Candriani, non voglio più vederlo!

Filippo sussultò, l'attirò al petto, e baciandola rispose con calma:

- Ho capito. Non lo vedrai più!

 

Capitolo XI

 

Il conte Filippo Vagli e il conte Berto Candriani, col pretesto d'un diverbio politico, si batterono alla sciabola tre giorni dopo la visita di Berto a Loredana. Al Candriani toccò un colpo di figura interna, che partendo dall'orecchia destra, gli tagliava il naso, le labbra, il mento; Filippo, a causa dell'incontro avvenuto in quell'attimo, ebbe una sciabolata all'avambraccio destro, lunga ma non profonda.

Loredana quando vide in quel pomeriggio freddo e nebbioso tornar Filippo col braccio al collo, diventò come pazza; correva da una camera all'altra, gridando e piangendo; era stata lei la causa del duello; Flopi s'era dovuto battere per lei; ella era la sua maledizione; già tanti danni aveva avuto dal suo amore, già tanti dispiaceri, e oggi anche un duello, una ferita, oggi anche il sangue aveva dovuto dare! Il chirurgo che accompagnava Filippo le assicurò che la ferita del conte non era grave;

Filippo e Clarice furono attorno alla giovane per confortarla; ma essa era così sbigottita, coi capelli sciolti e gli occhi dilatati dallo spavento, che il medico dovette occuparsi prima di lei che del suo ferito.

A poco a poco, quasi svegliandosi da un terribile sogno, Loredana si rimise e cominciò a credere che Filippo non fosse minacciato da morte imminente. Ma non appena il chirurgo si congedò, essa volle udire il racconto della scena, e Filippo dovette raccontare, mentre Clarice Teobaldi pensava alle più belle pagine del teatro melodrammatico.

- La conclusione si è, - terminò Filippo, - che io intendo partire non appena mi sarà possibile. Questo duello farà troppo chiasso. Andremo a Roma a passar l'inverno: lasceremo qui Clarice a vigilare la casa, e torneremo a primavera... La signora Teobaldi sentì il dispiacere del futuro distacco, temperato dalla soddisfazione di quell'incarico di fiducia, e pensò che Filippo era veramente un eroe.

- Mi dispiace per Berto, - soggiunse il conte. - Gli è toccato un colpo crudele, ma non potevo misurarlo. Del resto, la lezione gli insegnerà a tener la lingua tra i denti.... e a rispettar l'amicizia.

Filippo non s'era ingannato, prevedendo che il duello avrebbe fatto chiasso. Per tutto il giorno dovette ricevere amici nel suo studio, i quali venivano ad assicurarsi che non era gravemente ferito. In città il fracasso era enorme, e quelli che ne sapevano meno erano i più esatti e più sicuri nel raccontar particolari. Non si trattava del solito pettegolezzo, qualche volta campato interamente in aria, sempre mormorato con grazia; era un'onda di ciarle e di commenti fragorosi che dilagava per tutto, nei caffè, nei teatri, nei salotti.

L'aristocrazia veneziana, la quale conta forse i nomi più classici del mondo, s'angustiò per quell'incidente di cui si sapevano anche le cause, perchè il pretesto del diverbio non aveva ingannato nessuno. Da anni a Venezia non avvenivano duelli se non tra giornalisti; una cordialità simpatica legava i signori l'uno all'altro, e la più squisita cortesia presiedeva ai loro convegni, tanto che al momento di trovare i padrini, Filippo e Berto avevano incontrato non poche difficoltà, perchè gli amici di quello erano amici di questo; Filippo aveva scelto due ufficiali di marina giunti da poco a Venezia, e Berto due ufficiali di cavalleria che stavano a Padova. Il conte Roberto e la contessa Bianca furono costernati all'annunzio; né l'uno né l'altra avrebbero immaginato che Filippo giungesse a tanto per la «monella»; e l'uno e l'altra, d'intesa, fecero comprendere la loro riprovazione ostentando di non voler parlare dell'accaduto e trascurando di chiedere notizie del nipote e del figlio.

Era lo scandalo; lo scandalo aperto, irrimediabile, gigantesco; perchè sapendo che Filippo si era battuto per una donna, e non già per la politica come voleva dare a intendere, nessuno pensava che questa donna non l'avesse tradito, ch'egli non l'avesse sorpresa fra le braccia del Candriani, ch'egli insomma non avesse fatto una brutta figura. Il nome di Loredana correva per le strade, e la curiosità interribiliva. Loredana! Chi era? Dove l'aveva trovata? Che cosa faceva prima di darsi al conte? Era quella del bagno di latte e delle fragole? Ah era quella! Allora la medesima che una sera al teatro Goldoni civettava col Candriani; che sfrontata! Mantenuta dell'uno, andava a teatro con l'altro!

Filippo spendeva un patrimonio per coprirla di seta e di gioielli ed essa lo ricompensava a questa maniera; la colpa era di Filippo, che doveva aver perduto la testa. Chi l'avrebbe detto, lui così pronto una volta a cambiar d'amanti, così garbato e accorto, così scettico ed egoista! È proprio vero che il gatto, all'ultimo, vi lascia lo zampino; Filippo doveva essere invecchiato; questo amore aveva tutta la goffaggine d'una passione senile. Non parliamo del Candriani, tanto ben ricompensato della sua amicizia; per poco Filippo non gli aveva portato via naso, orecchia e labbra in un colpo solo; ad ogni modo il povero Berto rimaneva sfigurato per sempre; la cicatrice era spaventosa; venti punti di sutura; ma che venti?trenta, o quaranta; un macello.... E intanto Filippo s'era giuocato per quella donna l'eredità dello zio, una diecina di milioni; lo zio l'aveva avvertito più volte, l'aveva pregato e scongiurato, e finalmente aveva perduto la pazienza. Chi poteva dargli torto? Era un vecchio onesto e semplice, che non voleva pasticci in famiglia.... E quell'altra, la madre, la contessa Bianca, quale conforto aveva dal figliuolo, ch'ella voleva accasare! S'era trattato di matrimonio con la contessina Cafiero; no, con la Fioresi, una ragazza che gli avrebbe portato, anche lei, una diecina di milioni; ma Filippo aveva mandato all'aria ogni cosa; e in tal modo, dieci della fidanzata e dieci dello zio, erano ormai venti milioni sfumati.

Qualcuno osava una parola in difesa di Filippo, ma era peggio... Come difenderlo? Figurarsi: permetteva che la sua mantenuta si facesse chiamare contessa Vagli; in tutti i negozi di Venezia, per contessa Vagli s'intendeva non già la veneranda contessa Bianca, ma quella ragazza; e una volta la contessa Bianca s'era vista portare a palazzo una scatola di trine e piume, ch'erano destinate all'altra; anzi più volte i fornitori sbagliavano, e mandavano da pagare alla contessa Bianca le note della ragazza. Una commedia, una farsaccia, permessa, voluta da Filippo, che neanche rispettava più il nome della famiglia... Come si poteva difenderlo?... Tutti a questo mondo han fatto le loro; a tutti piacciono le donne; ma c'è maniera e maniera. Un avvocato diceva: «Nisi caste saltem caute»; il buon gusto, la decenza, non si devono mai offendere; e da gente, poi, che ha obblighi sociali e dovrebbe dar l'esempio.... Se così faceva un patrizio veneto, si poteva immaginare che cosa avrebbe fatto qualche povero diavolo, un facchino della Marittima, un plebeo...

E a proposito di plebei, che cosa era quella sua amante? La chiamava Loredana, lui, per rialzarla; ma veniva dal basso, era uno scialletto, né più né meno che un'infilatrice di perle a Castello; pensate che educazione poteva avere e che linguaggio; ma faceva ogni giorno un bagno nel latte. E per questo che la dicevano tanto caritatevole; distribuiva ai poveri il latte che le era servito pel bagno. Quanto alla bellezza, poi, a Venezia se ne potevano trovare mille, diecimila più belle; bastava guardarsi intorno, e giusto a Castello e a Cannaregio v'erano certi musetti, si vedevano certi occhi e certe capigliature; la Resi, per esempio, e la Nana, e quell'altra, quella bionda, la Màlgari; e nessuno si pensava di portarsele a casa, di rinunziare a venti milioni, di chiamarle contesse, e di metterle in conserva nel latte. Ci voleva proprio un patrizio, e un patrizio come Filippo, per queste minchionerie!

Filippo rimase schiacciato sotto quella valanga. Caldo per ira e per gelosia, aveva provocato Berto, senza prevedere che la responsabilità dell'avvenimento sarebbe andata a battere contro Loredana, la quale ne usciva compromessa irrimediabilmente; e compromettere una donna era per Filippo azione così vigliacca e stupida, ch'egli spasimava d'esserci involontariamente incappato. Tutto il fango della strada, l'ira degli uomini, l'invidia delle femmine, si sollevava e ricadeva sull'amante sua.

Era una cosa spaurevole. Fra gli amici venuti in quei giorni a trovar Filippo fu il conte Alvise Priùli, un vecchio d'oltre sessant'anni, dalla vita cristallina, maestro di cortesie, oracolo in materie cavalleresche, franco nel parlare.

- Ti sei cacciato in un ginepraio, - egli disse a Filippo. – Perché non consigliarti con qualcuno, prima di agire?... A provocare e a battersi v'è sempre tempo. E tu sai che quando c'è di mezzo una donna, chiunque ella sia, un gentiluomo deve evitare duelli e scenate fin che gli è possibile...

Filippo, col braccio al collo, passeggiava nervosamente per lo studio, angusto alla sua furia.

Si arrestò innanzi al vecchio che aveva candidi capelli e faccia rosea:

- Che cosa dicono? - chiese avidamente.

Il conte Alvise fece un gesto desolato.

- Un disastro, - rispose. - Tutto quello che puoi immaginare di più antipatico, di più losco, di più sciocco; è una vera orgia di contumelie...

- Contro di me?

- Contro di te, e contro la signora, voglio dire la signorina, insomma la tua amica.

- Per esempio? - incalzò Filippo.

- Che esempio! - esclamò Alvise sorridendo. - Non è il caso di darti esempi; anche tu sai che cosa è la folla quando si sbizzarrisce a inventare e a deridere.

Filippo batté i piedi a terra, riprese a camminare, e camminando disse:

- Che cosa mi consigli? Che cosa devo fare, Alvise? Bisogna ch'io ne esca....

- Io ti consiglio di cambiar aria, - disse Alvise. - Fa un viaggio, un bel viaggio lungo. Se tu rimani, finisci per batterti altre venti volte, e lo scandalo cresce. Del resto, come puoi pigliartela con gli anonimi? Tutti parlano ora che ti sanno chiuso in casa; pròvati ad uscire e non avrai che strette di mano e sorrisi...

- Ipocriti! Vigliacchi! - esclamò Filippo.

- Ma no, caro, hai torto, - osservò prontamente Alvise. - Il mondo è fatto così; non intende aggredirti di fronte, perchè gliela faresti pagare; aspetta che tu volti le spalle. E in questo, Venezia, Parigi. Londra, Pechino, sono una città sola...

- Dunque un viaggio, tu dici? - riprese Filippo, fermandosi un'altra, volta davanti al vecchio amico. - Io aveva pensato di passar l'inverno a Roma...

- No, no, un viaggio. A Roma si sa tutto, come a Venezia; figurati se la Montegalda, la Fioresi, e venti altre, se di Spinea e lo stesso Candriani non hanno scritto agli amici di laggiù! E ciascuno a modo suo.

- Come sta Berto? - domando Filippo.

- Bene, puoi immaginare. Gli hai cambiato faccia, ma non sono avvenute complicazioni, e se la caverà in un mese o poco più...

Filippo tacque, guardando a terra.

 

 

Fine prima carte capitolo XI

Buona lettura.

 

 
 
 
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