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"LA PAZZA DEL SEGRINO" di Ippolito Nievo

Post n°25 pubblicato il 14 Agosto 2010 da ciapessoni.sandro
Foto di ciapessoni.sandro

 

“LA PAZZA DEL SEGRINO” di Ippolito Nievo

IV Capitolo.

 

Giuliano intanto, dopo veduta la Celeste entrare sana e salva nel tugurio, aveva ripreso per la strada di Canzo camminando a gran passi, e volgendo l’occhio quasi lacrimoso alla luna, che a quella cupa valle del Segrino aggiungeva mestizia togliendole gran parte d’orrore.

Nulla infatti di più melanconico e riposato aspetto, che quel lago alpestre, contemplato nel silenzio d’una bella notte d’estate; sicché io stimo che creato apposta per quella penombra di meditazione e di mistero, faccia esso poi al sole quel brutto viso che tutti conoscono.

In breve il giovine pervenne ad un luogo, dove la strada già toltasi dal livello del lago si parte in due, ed egli lasciata allora quella di Canzo, prese sulla diritta entro una valle amena dove sulla prima ripiegatura del monte sorgevasi un bianco e vasto caseggiato. Sudava egli per la foga del cammino, e per la fatica durata a seguir la Celeste; pure i denti gli scricchiolavano talora come per l’agghiacciamento della febbre, e il cuore, sul quale premeva spesso della mano, balzatagli nel petto più che non suole dopo una salita precipitosa.

Giunto presso al portone di quell’abitato parve gli vacillassero le gambe, onde si puntellò col gomito ad un muricciolo, e così stette alquanto finché, rinvenuto alla consueta gagliardia, si rizzò impetuosamente, e movendo un gesto disperato, corse giù per un sentiero che seguiva il muro di cinta, poi dove questo s’apprende ad una siepe foltissima facendosi largo per entro al fitto dei rami con ambe le braccia, senza badare alle carni foracchiateli d’ogni banda, penetrò in una ortaglia, e così guadagnò il lato posteriore della casa. Tutto taceva in questa, benché fossero appena le nove; solo una finestrella dei mezzanini appariva illuminata, sui vetri della quale disegnatasi di tratto in tratto una svelta figura di giovinetta.

Certo costei se ne stava ansiosamente in ascolto, poiché appena Giuliano fu giunto lì sotto, il lume sparì, e un minuto dopo ricomparve ad un balconcello del pian terreno, dove tra le spesse inferriate si mostrò la testolina stessa che prima vagolava dietro la ventriera del piano superiore. L’era per vero dire una testolina angelica e s’anche non avesse somigliato alla Beata Vergine del Rosario, come pretendeva la Celeste, il nome di Madonnina non le sarebbe andato male. Certo poi a vederla per quel breve pertugio difeso dalla grata col chiarore della candela che le pioveva sulla fronte purissima, la si poteva facilmente scambiare per una di quelle immagini, che la devozione degli avoli nostri dedicava a Maria sullo svolto d’una contrada, o nel cantuccio d’un portico.

“Giuliano!” – chiamò ella con tal voce che pareva un singhiozzo sporgendo la mano dal finestrello.

“Son qui!” – rispose con grave accento il giovane toccando quella mano della punta d’un dito, quasi temesse trattenendola di manifestare il tremito che aveva per tutta la persona.

Né dopo così semplice scambio di parole ebbero cuore per lunga pezza d’aggiungere altro. Fu Giuliano il primo che dopo molti sforzi giunse a signoreggiar tanto tumulti d’affetti.

“Camilla!” – diss’egli – “Voi aveste la mia lettera? Voi già sapete a qual fine sono venuto!…Sì, si… lo indovino dalla vostra voce!… Or dunque non sarà necessario ch’io vi ripeta come l’onore, il dovere mi comandino di salutarvi questa sera per l’ultima volta!”.

Ma la giovinetta singhiozzò così forte che quasi ebbe a cadere rovescioni; se nonché fu a tempo di avvinghiarsi coll’un braccio all’inferriata.

“Cos’è questo?” – proseguì il giovane appoggiandosi egli pure alla muraglia per non dar segni di debolezza mentre s’apprestava ad infondere altrui rassegnazione e coraggio. “Voi sapete pure ch’io aveva deliberato di separarmi da voi già in fin da quando la mia presenza in casa vostra parve dolere a vostro padre. Siccome vogliono accasarvi bene, ed hanno ragione, capite, hanno ragione a volerlo, così non era conveniente ch’io, in procinto d’essere rovinatovi togliessi col seguitar la mia pratica, un qualche vantaggioso partito. Sapete pure che non mi sarei indotto a queste visite apparentemente clandestine, se con una lettera non mi aveste assicurato della contentezza avutane dal signor Ambrogio, e come egli le avrebbe sofferte almeno sinché l’ultima sentenza dei tribunali sopravvenisse a decidere della mia sorte. Ora, ora, Camilla, conoscete qual è questa mia sorte, ed a voi come a me unico scampo rimane l’ubbidienza! Sì, ricordatevelo, l’ubbidienza, - riprese egli al veder un gesto negativo della fanciulla, l’ubbidienza, perché si vuole il vostro bene; e volete che ve lo dica?… Oggi a Lecco seppi per caso certe intenzioni di vostro padre…

“Cosa avete saputo” – sclamò la giovinetta battendo il capo contro la grata e stendendo all’infuori amendue le braccia.

“Ho saputo che foste chiesta in isposa già tempo da vostro cugino Leonardo, - rispose affatto calmo Giuliano, - e vostro padre in allora lo pregò d’avere un tantino di pazienza… Oh, vi giuro che se per una parte ebbi da questa novella uno spasimo indicibile, ne presi dall’altra una gioia sincera. Leonardo!… oh che bel cuore di marito troverete in lui!… Via, guardatemi, Camilla, non piango io, non smanio; ve lo dico anzi tranquillamente, ve ne prego per quanto so e posso che ubbidirete a vostro padre ed a Dio, che dispose così!… Credetemi che ne sarete rimeritata con gioie ora imprevedibili, e che pur saranno grandissime e sante; colle gioie della famiglia!

“Oh mai, mai!” – mormorò la giovinetta dando in uno scoppio di pianto.

“Mai? – ripigliò Giuliano prendendola per mano; e questa volta non tremava più giacché un virtuoso proposito finisce col trasmutare in fortezza anche la pusillanimità. – Mai? Fate ch’io non oda più questa parola, poiché ben altrimenti m’avete promesso quando cinque mesi fa vi rividi la prima volta a questa finestra. Vi ricordate? vi tornerò io a memoria le vostre precise parole.

“Sì, Giuliano! se Dio vorrà un tanto male, ti giuro che mi rassegnerò e sarò figliuola ubbidiente”.

Solo a questo patto io acconsentii a rivedervi; ed ora, ora ch’io vinco il mio cuore per richiamarvi quella promessa, voi dovete vincere il vostro per mantenerla”.

La Camilla seguitava a piangere in silenzio; ma non era più lo schianto angoscioso di pochi minuti prima.

“Via, frenate quelle lagrime , - riprese Giuliano tergendosi di soppiatto le ciglia col rovescio della mano. – Guardate, i miei occhi sono asciutti. Io non piango io, perché vedo ed adoro in tutto questo la volontà di Dio. Voi siete d’una tempra robusta che le donne dovessero somigliarvi per crescere una generazione degna di portare il nome che noi italiani portiamo. Su dunque; mostratevi degna di questa mia opinione; me lo promettete?”

“Sì! – balbettò la giovinetta.

"Sì,sì!… questa è la parola, o Camilla che vi fa più grande, più buona di quanto mai non foste; ma bisogna pronunciarla oltreché con le labbra, col cuore: bisogna che l’opera secondi il proponimento, e che l’anima vostra non si abbandoni a memorie ed a sogni proibitivi dal Signore per sempre!… Io, vedete, ho già deliberato; e siccome fermamente voglio, così non piango, e non soffro più!…

Nel pronunciare queste ultime parole pareva allo sventurato di essere costretto a lacerarsi il cuore colle proprie mani; pure fu di animo tale da riprendere tantosto:

“Dunque me lo promettete di piegarvi ai desideri del padre vostro che vi ama tanto?”

“Sì, ve lo prometto,” - ripeté la giovinetta con voce, se non appieno sicura, abbastanza però intelligibile.

“Vostro padre è un uomo di stampo antico, - soggiunse Giuliano, - un uomo che si ammazzerebbe per voi, ma che ammazzerebbe voi e sé per fare il proprio dovere. Io lo stimo e lo amo, perciò son lieto di mostrargli che non siamo da meno di lui. La ribellione al volere dei parenti è un’empia, una sacrilega cosa, Camilla, credetelo! chi per le proprie voglie sconosce i loro santi diritti e rinnega gli affetti più naturali, colui è un mostro od un vile!… Tanto peggiormente vile quanto più a lui sembra essere un eroe!

La Camilla non piangeva più; e pendeva dalle labbra di Giuliano, come da lui solo riconoscesse la forza di domare i movimenti scomposti e passionati dell’anima.

“Due anni fa,- prese ella a dire finalmente rinfrancandosi mano a mano che procedeva nel discorso, - due anni fa, o Giuliano, a tutto ciò avrei risposto con dire:

«Eh via! giacché non mi amate, lasciatemi!» ma ora, ora ho avuto campo di conoscervi a fondo, e vi amo e vi ammiro pel forte esempio che mi date!… Io dal mio canto cercherò d’imitarvi, siatene sicuro!…

“No, non fatemi ora la modesta!… - la interruppe Giuliano sforzandosi di dare a questa raccomandazione un tono scherzoso. – La forza abbonda in voi meglio che in me; e a voi tocca vincermi di pazienza e di costanza, come d’ogni altro pregio dell’animo e della mente!… Quasi quasi al ripensarci ora, mi vergognerei d’essermi messo ad insegnarvi!… Ma voi, Camilla, mi perdonerete questo peccatuzzo d’orgoglio, non è vero?…

“Oh se sapeste! – esclamò la fanciulla.

“So tutto, so tutto! – rispose affrettatamente Giuliano, cercando risparmiare alla donzella un nuovo assalto d’affanno. – Seguitate sempre ad essere quella buona creatura che siete!… Addio Camilla...

“Giuliano!…

“Addio! e ricordatevi il vostro giuramento, Dio ci è stato testimonio.

In questa parole il povero giovine ebbe tanta forza da togliersi dal balconcello, senza più toccare la mano di colei che amava più della vita e che sapeva di dover allora abbandonare per sempre. Si diede a correre all’impazzata fino alla siepe; ma là giunto il cordoglio lo vinse e dovette cadere sulle ginocchia; e così mezzo genuflesso, mezzo boccone, stette assai tempo che non gli pareva più d’essere vivo. Alla fine si rialzò, volse intorno tutto smarrito lo sguardo, e incontratosi colla luna che sembrava guardarlo pietosamente, si sciolse in un pianto dirotto.

“Animo! – fece egli in breve tra sé, - se sono tanto fanciullo da piangere, ch’ io sia uomo quel tanto che basta a tener consolato mio padre!”

E ciò detto si rimise a camminare frettoloso, facendosi vento colla pezzuola e provandosi a sorridere, onde il suo viso stralunato non movesse le facezie dei giocatori della spezieria.

“Oh siete qui, Giulianetto! – sciamò il dottore vedendolo capitare di lì a un quarto d’ora: - era tempo, perdiana! seguitando con questo terziglio indiavolato avrei perduto anche la scodella delle marche.

“Come sei pallido figliuolo” – balbettò il signor Graziadio facendosi smorto a sua volta.

“Pallido, padre mio? – rispose egli, - ho fatto un po’ di fatica per ridurre la Celeste fino a casa sua, e siccome laggiù al Segrino trovai dell’umidaccio, mi sarò infreddato. Oh, ma non è nulla – aggiunse con un sorriso sedendo in sulla scranna preparatagli dal medico rimpetto al curato. – Son qui a far due partite! n’è vero don Girolamo, che vogliamo vincerle?

Il vecchio speziale fu ingaggiato da quella noncuranza del giovine; e certi sospetti non lontani dal vero, che gli si andavano condensando pel capo, si squagliarono via come la neve d’aprile al primo raggio di sole. Ciononostante la partita fu piuttosto grulla, si parlava poco, si rideva poco, e soltanto il dottore seguitava a snocciolare le sue dieci barzellette , dalle quali ogni sera compariva una nuova edizione né migliorata né corretta. Il vecchio prete, che quando perdeva era ti tristissimo umore (e vincere non poteva per gli enormi strafalcioni che andatagli facendo il compagno), fu il primo a trarre di tasca l’orologio. Erano nientemeno che le undici e un quarto, onde fu deciso di piantar a mezzo la partita e rimetterla all’indomani.

“Giuliano stasera mi sapeva di svagato. – disse don Girolamo accompagnando verso casa il dottore.

“Eh gi, svagato! – rispose questi sghignazzando: - per voi quando perdete, il compagno è o disattento o bestione!… Ma gli è che voi, voi mio buon compare, giocate a sproposito!… Stasera anzi Giuliano a parer mio picchiava da professore!”.

“Uhm!… sarà!…

“Gli è, gli è, vi dico – E i due amiconi si separavano per ripetere poi alla sera veggente una scena consimile.

 

 

 
 
 
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