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MEDUSE

Post n°38 pubblicato il 05 Novembre 2008 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

Regia: Etgar Keret, Shira Geffen
Sceneggiatura: Shira Geffen
Fotografia: Antoine Héberlé
Musiche: Christopher Bowen, Grégoire Hetzel
Montaggio: François Gédigier, Sacha Franklin
Scenografia:Avi Fahima
Costumi: Li Alembik
Durata: 78’
Origine: Francia, Israele, 2007

Sei personaggi, tante piccole storie, una città di mare
vista in una luce del tutto diversa dal solito (Tel Aviv), tante vite
"bloccate" nell'apatia o nel risentimento che riprendono il loro
corso grazie a qualcuno che spesso nemmeno è consapevole del suo ruolo.

Ci sono film che sembrano fatti della materia
impalpabile delle emozioni, la materia cui danno forma con pochi tocchi leggeri
e precisi impastando interno e esterno, vita e sogno, passato e presente.
Diretto da una coppia di scrittori israeliani già molto affermati ma al debutto
nel cinema, premiato con la caméra d'or a Cannes, “Meduse” è uno di questi
piccoli film miracolosi che parlano di piccoli miracoli quotidiani con il pathos,
lo humour, l'efficacia delle fiabe impastate con la nostra vita di tutti i
giorni.
I protagonisti, che non si conoscono fra loro, sono una
coppia di sposini freschi di nozze arenata in un brutto albergo che puzza di
fogna. Una ragazza che ha appena perso fidanzato e lavoro. Una domestica
filippina che tutti trattano come una serva (chiamandola "la
filippina", come troppo spesso si fa anche in Italia), ma che finirà per
esercitare un ruolo addirittura salvifico sulle persone per cui lavora.
Nessuno di loro saprebbe guardarsi dentro, capire chi ha
vicino, ritrovare da solo il cammino. Ma ognuno di loro incontrerà, per caso o
meno, un testimone inatteso, uno sguardo obliquo, un momento della verità dopo
il quale nulla sarà più come prima. Il tutto seguendo non la via artificiosa e
sentimentale dei copioni "ben strutturati" all'americana, ma restando
sempre molto aderenti alle cose minute della vita, con tutte le loro
imperfezioni. Che possono rovesciarsi a sorpresa nel loro opposto. Così una morte
diventa un passaggio; una bimbetta con un salvagente venuta da chissà dove apre
le porte del passato e del perdono; una scrittrice bella e misteriosa annuncia un
cambiamento imprevedibile.

Conforta sapere che in una società sotto tiro come Israele
lavorino artisti dotati di tanta leggerezza. Capaci per giunta di passare con
disinvoltura da un mezzo all'altro. Leggere per credere i folgoranti racconti
di Etgar Keret pubblicati in Italia da e/o (“Le tette di una diciottenne”,
“Pizzeria Kamikaze”, “Gaza Blues”). Anche se “Meduse” lo ha scritto sua moglie
e lo hanno girato insieme, montandolo poi mentre nasceva il loro primo figlio.
Più fiaba di così...
Fabio Ferzetti, Il Messaggero

Prima di “Oh Jerusalem” che va didascalico alle
radici del conflitto arabo-israeliano, ecco un film che parla di pace
a Tel Aviv, della vita che scorre normale con i suoi misteri come nei romanzi
di Amos Oz. Otto personaggi in cerca di un affetto, di una scorciatoia, una
mediazione per arrivarci e segnati da un uguale tasso di solitudine, ma in
un'atmosfera quasi di neo irrealismo quotidiano. Vincitore della Caméra d’or a
Cannes, “Meduse” è scritto e diretto da una coppia, Etgar Keret e
Shira Geffen, nipote di Moshe Dayan. Guardano a esistenze che si sfiorano, come
un unico destino collettivo di cui nessuno muove le fila, come è di moda nel
cinema delle occasioni incrociate, le «sliding doors». C’è una giovane
cameriera di feste nuziali che incontra sulla spiaggia una bambina in cerca di
un volto amico; c’è una giovane coppia di sposi costretta a saltare il viaggio
di nozze perché lei s’infortuna; c’è la babysitter filippina, il personaggio
più accattivante, che deve badare a una vecchia bisbetica che a sua volta non
s’intende con la figlia attrice; una scrittrice suicida. Storie di vite che scivolano
via come le onde marine che suggellano l’ultima scena: la spiaggia evocata da
Ferreri è tornata come rumore, mito, simbolo, leggenda. Storie di ordinaria
solitudine e insoddisfazione, non segnate dalla guerra ma da una pace che
lancia premonizioni. Le vie degli affetti sono infinite e il film ne rispecchia
con emozionante precisione le traiettorie: ci si muove tutti come meduse,
spinte da correnti sotterranee misteriose. È il reportage di ciò che un turista
non vede a occhio nudo ma il cinema invece trasmette con i volti di bravi
attori, con qualche contenuta sbrodolatura sentimentale. Accordi-disaccordi nel
concertato senza voce solista di cui colpisce una complice, contagiosa
tenerezza: gente che vive in una pace forse simulata e forse non solo per colpa
della guerra: la paura mangia l’anima.

Maurizio Porro, Il Corriere della Sera

 
 
 
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Un blog di: cineforumborgo
Data di creazione: 29/09/2007
 

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