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SHERLOCK - L'ABOMINEVOLE SPOSA

Post n°14580 pubblicato il 24 Agosto 2018 da Ladridicinema
 

Londra, 1881. In una dimensione apparentemente parallela a quella dello Sherlock del 2014, John Watson e Sherlock Holmes si conoscono e iniziano la loro collaborazione sul caso dell'Abominevole Sposa. Per Scotland Yard è un mistero senza soluzione, contornato di paure soprannaturali; per Sherlock un delitto assai concreto e reale, frutto di un'astuta messinscena. Ma cosa c'entra tutto ciò con l'annunciato ritorno dalla morte dell'arcinemico Moriarty nel 2014?
Quando una serie è in difficoltà, ed è certamente il caso di Sherlock, giunta con qualche intoppo alla fine della sua terza stagione, una soluzione possibile è quella di negare il suo stesso assunto di base. E di lasciarsi andare alle delizie di un reboot o, meglio ancora, all'apparenza dello stesso. Steven Moffat e Mark Gatiss, i geniali scrittori di una delle più popolari serie della storia recente della BBC, concentrano i loro sforzi in 90 minuti destinati a saziare le aspettative dei fan, a intrattenere e al contempo a non dire nulla di significativo per gli sviluppi della serie stessa. Portare a casa un successo in condizioni simili è compito meno agevole del previsto, pur contando sulla presenza di Benedict Cumberbatch e Martin Freeman.
D'altronde, eliminato quel che è impossibile, resta - per quanto poco probabile - la soluzione, direbbe Sherlock. E considerato che lo Sherlock di Cumberbatch è l'anti-eroe per eccellenza, destinato a giocare con una tradizione ingombrante, adattandola alla contemporaneità e modellandola con la giusta dose di ironia, riportare tutto indietro significa automaticamente rinunciare a tutto ciò. Addio messaggi sms visualizzati sullo schermo - all'epoca un elemento di innovazione non trascurabile - benvenuto alla classicità del whodunit. Non appena il 221B di Baker Street ritorna quello cristallizzato nell'immaginario collettivo e Holmes indossa il tradizionale copricapo, riecco il personaggio di Conan Doyle in ogni sua sfumatura, alle prese con un classico caso di ghost story per creduloni da smascherare. Ma nel perfetto impianto di ricostruzione di Moffat e Gatiss - quasi una dimostrazione che i due potrebbero scrivere uno spin-off sullo Sherlock tradizionale in un amen - emerge qualche elemento di apparente anacronismo, qualche minuscola e calcolatissima crepa, che apre al più inatteso, ma narrativamente prevedibile, dei colpi di scena.
Dopo novanta minuti di ritmo forsennato, dialoghi impagabili e contorsioni cerebrali, si resta - ma lo si sapeva già da principio - a mani vuote da un punto di vista di continuity seriale. Ma lo scopo de L'abominevole sposa non era questo, era da un lato l'esercizio di smontaggio e ricomposizione di un meccanismo ben congegnato, alla stregua di un cubo di Rubik (o di un enigma di Holmes) e dall'altro una pausa di intrattenimento per giocare con i temi che da sempre accompagnano il personaggio, osservandoli da un'altra angolazione. Con un elemento di indubbia innovazione nell'esplicito accento posto sulla questione gender: mai come ne L'abominevole sposa i dialoghi tra Holmes e Watson o le comparsate di Moriarty affrontano di petto l'ambiguità insita nelle loro relazioni bromance e nella particolare misoginia di Holmes. E mai come qui il femminino, pur con i limiti del caso, ha la sua occasione di riscatto in "una guerra che [gli uomini] devono perdere".
A parte qualche doverosa concessione al cosiddetto fan service, a vantaggio di spettatori destinati a un'attesa ancora lunga prima della quarta stagione dello show, era difficile chiedere più di questo ai creatori di Sherlock. Ora l'impresa sarà abituarsi a non rivedere Cumberbatch e Freeman negli immortali panni vittoriani di Holmes e Watson: un effetto collaterale tutt'altro che sgradito e ampiamente previsto.

 
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