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Post n°14589 pubblicato il 01 Settembre 2018 da Ladridicinema
The Other Side of the Wind - L'altra faccia del vento Recensione
31 agosto 2018 - ![]() ![]() Potremmo star qui a discutere per ore su se e perché sia utile e necessario portare a compimento opere lasciate postume dai loro autori. Di come e quanto The Other Side of the Wind sia (si avvicini a essere) il film che avrebbe compiuto Orson Welles, o se invece, a dispetto della quantità enorme di materiali e note lasciate, alla fine quel geniaccio avrebbe sconbussolato tutto, andando in un’altra direzione. Potremmo, ma sarebbe inutile, e poco importante. Quello che è importante è il film: un film che è capace di restituire il genio del suo autore, di sorprendere per la sua modernità, di travolgere con la quantità strabordante di temi, cose, pensieri, immagini che contiene. Perfettamente interpretato da John Huston - che vi mette dentro buona parte di sé, oltre a quanto c’era sul copione, e oltre a quanto lo stesso Welles vi aveva proiettato - J. J. Hannaford è un anziano regista avventuroso, bizzoso e rissoso, un Hemingway del set, che cerca di riconquistare Hollywood, fallendo; che cerca di finanziamenti che non trova; che si lascia convincere a festeggiare il suo settantesimo compleanno in una grande villa alla presenza di decine e decine di studenti, registi o aspiranti tali, colleghi e curiosi, lasciando che tutti riprendano tutto, e su tutto lui, in un rivelarsi finale, spavaldo e dolente, che diverrà davvero il suo ultimo film, e non quello ipnotico e psichedelico che proietta a pezzi per questo suo pubblico, e per noi spettatori. The Other Side of the Wind è allora un film su un regista che non riesce a finire un film, e che viene guardato, ascoltato, filmato, e diventa lui stesso materia cinematografica pura e immanente, mentre noi guardiamo lui, loro, quel film incompiuto, improvvisato, senza trama. E però l’elemento più forte, e in qualche modo commovente, di questo gran calderone che è The Other Side of the Wind (un film che avrebbe bisogno ben più di una singola visione, peraltro festivaliera, per essere compreso, digerito e raccontato adeguatamente) è il rapporto tra Hannaford e Brooks Otterlake, che di questo uomo fatto Dio più dagli altri che da sé stesso è l’apostolo: il biografo, il confidente, l’amico, il collega regista. Ma anche l’avversario, il fan più disprezzato, il lato più oscuro e opaco.
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