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“Falsificatori della storia”, II guerra mondiale: la pubblicistica russa oggi

Post n°15651 pubblicato il 21 Aprile 2020 da Ladridicinema
 
Tag: STORIA

da antidiplomatico


Prosegue la pubblicazione su L'Antidiplomatico del pregevole lavoro editoriale di Fabrizio Poggi  "Contro la falsificazione della storia ieri e oggi". Dopo avervi proposto la scorsa settimana la traduzione dall'originale russo dell'opuscolo “Fal'sifikatory istorii. Istoriceskaja spravka” (“Falsificatori della storia. Informazione storica”), redatto nel 1948 dal Informbjuro del Governo sovietico per controbattere a “Nazi-Soviet Relations. 1939-1941”, divulgato nel gennaio dello stesso anno dal Dipartimento di Stato USA, questa settimana Poggi offre la prima parte di un'ampia rassegna della pubblicistica russa contemporanea. 

La pubblicistica russa oggi


a cura di Fabrizio Poggi

Si propone una succinta rassegna della più recente, copiosa, pubblicistica russa sulle dispute attuali, legate ai temi già oggetto dell'opuscolo “Falsificatori della storia”, quali: rapporti prebellici polacco-tedeschi, anglo-tedeschi, sovietico-tedesco-polacchi, Patto di non aggressione tedesco-sovietico, ruolo di Francia e Gran Bretagna, ecc.


Per cercare di presentare un quadro più largo possibile (senza pretesa di completezza) degli interventi succeditisi negli ultimi mesi nei media russi, si riportano anche brani che, dal punto di vista del politically correct, possono risultare quantomeno ostici al lettore non abituato all'odierna pubblicistica russa, ma che aiutano a comprendere quali orientamenti “ideali” si muovano accanto a quelli a noi più familiari.


Non tutti gli interventi sono riportati integralmente: si sono omesse alcune parti più discorsive e generiche, oppure periodi ripetitivi, che ricalcano passaggi già esposti in altri interventi qui pubblicati.


In altri casi, invece, nel corpo dei singoli interventi si sono inseriti brevi periodi, utili a integrare il senso dell'esposizione, ripresi da contributi non presenti in questa raccolta.


Si è deciso di lasciare, quale contributo conclusivo (sarà l'ultimo brano in assoluto, programmato in uscita su L'Antidiplomatico per l'8 Maggio, alla vigilia dell'anniversario della vittoria sul nazismo) la versione scritta dell'intervento orale fatto dal prof. Igor Šiškin (autore anche del secondo pezzo di questa rassegna: Perché odiano così tanto il Patto Molotov-Ribbentrop?) al ciclo di “Letture staliniane”, tenutesi a Mosca il 21 e 22 dicembre 2019, in occasione del 140° anniversario della nascita di Stalin. L'intervenuto di Šiškin aveva per tema “Il trionfo della diplomazia di Stalin”. A differenza di altri autori, senza soffermarsi su questo o quell'aspetto specifico delle relazioni bilaterali o trilaterali tra le singole potenze alla vigilia del conflitto, Šiškin analizza i presupposti della guerra nel quadro delle contraddizioni interimperialistiche generali, mostra come gli anglosassoni avessero preparato la Germania alla sua marcia verso oriente, come la politica anglo-francese intendesse utilizzare la Germania nazista per risolvere la questione che, dal 1917, terrorizzava il mondo liberale: l'esistenza dello Stato sovietico. Šiškin mostra come il patto Molotov-Ribbentrop avesse costituito una vittoria strategica dell'Unione Sovietica.


Alcune affermazioni di Šiškin possono non risultare condivisibili; ma l'impianto generale dell'intervento è quantomeno suggestivo. Non si deve d'altronde dimenticare che, negli ambienti di Den' TV e Zavtra, che hanno organizzato le “Letture staliniane”, l'esaltazione di Stalin è vista per lo più (anche se non sempre e non da tutti) quale momento di celebrazione della Grande Russia, zarista o sovietica che sia, con pochissimi riferimenti al bolscevismo, oscillando tra due “patriottismi”: uno sovietico nazionalistico e uno Grande-russo, in cui si celebrano unità della nazione e giustizia sociale, estraniate dalla lotta di classe, il tutto intrecciato in una miscela retorica russo-sovietica. Al di là di questo, la ricostruzione offerta da Igor Šiškin appare alquanto interessante.

 

Difficile dubitare che la questione fondamentale dell'epoca attuale sia quella della minaccia di una nuova guerra imperialista. Non si tratta di un "pericolo" indeterminato e incorporeo di una nuova guerra. Si tratta di una minaccia reale ed effettiva di una nuova guerra in generale, e di una guerra contro l'URSS, in particolare. La ripartizione del mondo e delle sfere di influenza in seguito dell'ultima guerra imperialista, ha già avuto modo di "invecchiare". Si sono fatti avanti alcuni nuovi paesi (America, Giappone). Alcuni vecchi paesi (Inghilterra) sono passati dietro... È in atto una lotta feroce per i mercati di sbocco, per i mercati di esportazione di capitali, per le vie marittime e terrestri verso questi mercati, per una nuova ripartizione del mondo. Crescono le contraddizioni tra America e Inghilterra, tra Giappone e America, tra Inghilterra e Francia, tra Italia e Francia. (I.V. Stalin, Note su temi d'attualità; Opere, vol. 9; Moskva, 1948)

 

 

Prove inconfutabili: divulgato il contenuto dei documenti d'archivio che confermano la collaborazione della Polonia con Hitler

di Konstantin Khudoleev          30.12.2019

fonte: https://tvzvezda.ru/news/qhistory/content/201912301020-BxIuY.html?fbclid=IwAR3YL67Y6L6J9hlxdssMbmYZKELJCtaFlTXn-xx-EClcG__Dzd2cEhj9FnY

 

Nel dicembre 2019, Konstantin Khudoleev ricordava la disputa a distanza tra Mosca e Varsavia delle ultime settimane, in particolare dopo la denuncia, da parte di Vladimir Putin, dell'antisemitismo di certi leader polacchi degli anni '30.

“Hitler dichiarò apertamente al Ministro degli esteri” ricorda Putin, “e poi all'ambasciatore polacco in Germania (Józef Lipski), che aveva l'idea di deportare gli ebrei in Africa, nelle colonie. Immaginatevi: anno 1938, si deportano gli ebrei dall'Europa in Africa. Significa condannarli all'estinzione. Alla distruzione. A quella dichiarazione, l'ambasciatore polacco gli rispose - e poi lo scrisse nel suo rapporto al ministro degli esteri di Polonia, signor Beck: "Quando ho sentito questo", scrive, "gli ho risposto", cioè rispose al Führer, a Hitler, "se lo farà, gli innalzeremo un magnifico monumento a Varsavia". Una carogna, un porco antisemita: non si può definire in altro modo"; così si era espresso il presidente russo.

Per di più, osserva Khudoleev, Józef Lipski espresse non solo la propria opinione. Era questa la politica dello stato polacco. Il documento è autentico ed è conservato a Mosca - dopo la Grande guerra patriottica, siamo entrati in possesso, come bottino di guerra, degli archivi dell'intelligence polacca e di molti altri materiali storici da paesi europei.

Tra quei materiali, c'è tra l'atro il resoconto del colloquio svoltosi il 1 ottobre 1938 tra l'ambasciatore tedesco Hans Adolf Moltke e il ministro degli esteri polacco Józef Beck. Beck espresse grande gratitudine per la leale difesa degli interessi polacchi alla Conferenza di Monaco, e anche per la sincerità delle relazioni durante il conflitto ceco.

Erano stati i tedeschi, scrive Khudoleev, a portare il discorso sulla partecipazione polacca alla spartizione della Cecoslovacchia. La Polonia non si fece scappare il ghiotto bocconcino: la regione di Teshin. Per concretizzare il loro antico slogan nazionalista "la Polonia dal Baltico al mar Nero" e occupare i territori di confine dei paesi vicini, compresi quelli dell'Unione Sovietica, le autorità polacche erano pronte a servire Hitler in tutte le questioni: compresa quella ebraica.

Si tratta di una pagina vergognosa della storia. È proprio la Polonia a esser definita il più grande cimitero ebreo del mondo. Prima della guerra, vi vivevano più di 3 milioni di ebrei; dopo la guerra, appena qualche decina di migliaia.

"La Polonia non vuole ammettere i propri errori, non vuole pentirsi per il fatto che, in molte questioni, sia stata quantomeno complice dei tedeschi; oggi le autorità polacche ufficiali affermano che anche i polacchi furono vittime dell'aggressione tedesca e non ci fu alcun tipo di collaborazionismo di massa con l'esercito fascista tedesco. Non è così, non è vero: pogròm prima della guerra, pogròm dopo la guerra, partecipazione attiva dei polacchi a ogni tipo di lavoro nei campi di concentramento, ma la Polonia non lo vuole ammettere", afferma Alexandr Boroda, presidente della Federazione delle comunità ebraiche di Russia, come riportato da Khudoleev.

 

 
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