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“Ma che deve scrivere? / Una vicenda sommaria e sciatta che frequentemente scade nel bozzettismo più bieco. / In sé parla di battute di seconda mano che non nascondono una sostanziale mancanza di ispirazione. / E manco risollevano le sorti di questa grigia stagione cinematografica”: è qui, nella bellezza improbabile di questo dialogo in romanesco tra Sora Lella e il fruttivendolo, la “summa” autoriale di un film, La terrazza, in cui Ettore Scola gioca pure a nascondersi in un caleidoscopio comico dolente di alter-ego e citazioni dirette (gli spezzoni di Totò a colori o di Casablanca), celate (Flaiano) e indirette (le situazioni di forte gusto morettiano restituito anche attraverso l’uso di sosia). E’ il trionfo e insieme il mea culpa della commedia all’italiana chiamata – dieci anni dopo la criticatissima Lettera aperta a un giornale della sera di Citto Maselli (in un cameo) e trentatré anni prima de La grande bellezza – a disegnare l’autoritratto crudele/nostalgico, farsesco/satirico e persino pop (i “tormentoni” di Dalla in sottofondo come la Carrà nell’opera Oscar di Sorrentino) del mondo del cinema, dell’intellighenzia romana di sinistra e della sua anima decadente. Anima posticcia a ben vedere. E a lasciarsi prendere dalla compiaciuta confusione tra personaggi reali che interpretano se stessi (Lucio Lombardo Radice, Lucio Villari, Ugo Gregoretti, Maselli…) e sosia infiltrati (oltre ai vari Nanni Moretti, Eugenio Scalfari/Remo Remotti e Alberto Moravia). Quasi a metà tra gli uni e gli altri l’attore Galeazzo Benti che porta, dentro l’iperbole narrativa della messa in scena, la parabola autobiografica di un ex gagà alla ricerca vana della Mecca (del cinema), tra America e Italia, aggiudicandosi la battuta/giudizio finale sugli ospiti della terrazza: “Restate come siete!”. Il tempo che passa senza risolvere -anzi riproponendo/amplificando – le contraddizioni degli individui – nel controcampo lontano di una grande storia raccontata al riparo dell’ ennesimo spazio chiuso (da Una giornata particolare a La terrazza a Ballando ballando a La famiglia a Splendor) è infatti protagonista chiave del film (come dell’opera omnia di Scola). Lo restituiscono l’eccellenza del montaggio, firmato Raimondo Crociani – che costruisce/dissemina l’unità spazio temporale del racconto sul refrain di continui déjà-vu (“E’ pronto! Venite!”) – e una magistrale prova di scrittura dove Scola, Age e Scarpelli (premio Cannes per la migliore sceneggiatura) non mancano di lasciare tracce del proprio passato comune alla redazione del Marc’Aurelio: da lì il grande amore per il disegno (le caricature di Stalin, Chaplin e Marilyn) e l’ossessione di far ridere che confluiscono nel personaggio di Enrico, un Jean-Louis Trintignant in stato di grazia mentre ci mostra, sul contrappunto pomposo della musica (ennesima collaborazione Trovajoli), l’involuzione psichica di uno sceneggiatore in crisi sotto le pressioni di un volgare produttore (Ugo Tognazzi). Tra loro, malgrado tutto, un sodalizio maschile che si differenzia per più o meno misogina contrapposizione all’affresco di donne (con Carla Gravina, premio a Cannes come migliore attrice non protagonista, e Ombretta Colli emblemi di un modello femminile tanto forte da innescare le arringhe reazionarie di un processo per stupro o i fantasmi castratori di un improbabile regista serio) e coinvolge – sei anni dopo C’eravamo tanto amati – ancora Vittorio Gassman (senatore comunista alle prese con un amore troppo privato – la relazione extraconiugale con Stefania Sandrelli – per accordarsi con la morale pubblica di partito) e Stefano Satta Flores nello stesso ruolo di critico cinematografico fallito di C’eravamo tanto amati. Ma nel gruppo di “soliti” amici ci sono ora anche Sergio (Serge Reggiani) – funzionario televisivo che morirà di fame e gelo sotto la neve di un Capitan Fracassa in produzione sulle orme di Matamoros (è lui la maschera più forte del futuro autore del Viaggio di Capitan Fracassa dieci anni dopo) – e Luigi (Marcello Mastroianni), vecchio giornalista al capolinea sotto l’incalzare delle nuove leve. E’ il tema del rapporto tra le generazioni che Scola dichiara qui più esplicitamente che altrove nel dialogo tra lo stesso Mastroianni e Marie Trintignant, figlia di Jean Louis e volto adolescente degli incipienti anni Ottanta, o nelle prime “cattive” battute della relazione adultera tra il vecchio Gassman e la giovane Sandrelli citando Flaiano: “A che ora è la rivoluzione, signora?”. Fino al calare della pioggia, come un sipario, sulle vicende dei due giovani, all’esterno, e dei vecchi all’interno altoborghese della terrazza: luogo soprattutto di nostalgia per chi faceva cinema, giornalismo, tv e altre carriere ai tempi del Pci e dei suoi miti superati. Come nell’immagine potente di un bacio, pieno di paura, tra la cariatide comunista e la bella amante, sullo sfondo, di resti e rovine, di Roma antica.
Regia: Ettore Scola Interpreti: Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Stefania Sandrelli, Jean-Louis Trintignant, Serge Reggiani, Stefano Satta Flores, Carla Gravina, Milena Vukotic Durata: 155′ Origine: Italia/Francia 1980
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