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Terminal da www.ilcineocchio.it

Post n°15195 pubblicato il 25 Giugno 2019 da Ladridicinema
 

Debutto alla regia singolare e manierista per Vaughn SteinTerminal sembra l’infelice combinazione tra uno qualsiasi dei titoli diretti da Guy Ritchie e il Sin City di Robert Rodriguez e Frank Miller. Certo, questo singolare film ha le sue virtù, in particolare l’eccentrica e decadente ambientazione tra neon ed edifici brutisti post-industriali, nonché la cura per il dettaglio nella direzione e nel montaggio. Se la forma è accattivante, purtroppo è il copione, sempre scritto Stein, a deludere.

La storia ruota intorno a una femme fatale, la bella e spietata Annie (una fascinosa Margot Robbie – qui produttrice – dagli outfit conturbanti), cameriera e spogliarellista, che conduce una pericolosa doppia vita e trama un oscuro disegno. Il piano della donna si interseca con la missione di una coppia di killer, Vince (Dexter Fletcher) e Alfred (Max Irons), la tetra esistenza di Bill (Simon Pegg), insegnante affetto da una letale patologia, e i progetti di un misterioso boss del crimine, Mr. Franklyn (Mike Myers), di cui occulta è l’identità. Tra omicidi, tradimenti e manipolazione riuscirà Annie a portare a termine i suoi foschi progetti?

Ambientato nel bar di una desolata stazione (da qui il titolo), sempre di notte, Terminal mira palesemente a costruire un intricato racconto in cui si alternano repentine digressioni a inaspettati colpi di scena. Volutamente minimale per gli scenari urbani, comunque assai curata in ogni scabro dettaglio, la pellicola è al contrario assai barocca in termini verbali. Il problema principale sta proprio in ciò: se l’obiettivo è probabilmente di mettere in scena un vorticoso e ipnotico susseguirsi di eventi concatenati, con una finale e sconvolgente agnizione, il fatto è che invero non accade pressoché nulla. I protagonisti trascorrono infatti gran parte del minutaggio intenti in estenuanti scambi di battute, che dovrebbero essere sagaci, ma perlopiù sono ermetici, e quando si tratta di agire … niente! Tutto rimane fuori campo. Immaginatevi un film di Guy Ritchie alla Snatch – Lo strappo, in cui però al posto di fughe, sparatorie e incontri di boxe ci sono lunghe, interminabili conversazioni. Non solo. I flashback e i capitoli in cui è diviso lo svolgimento sono in gran parte tagliati al minimo, così che i pochi momenti in cui dovrebbe succedere qualcosa (la Robbie che tortura uno sventurato e un qualche pestaggio) è troncato malamente dopo pochi secondi. A ciò si aggiunge peraltro che gran parte della logorrea vigente è scombinata e confusionaria, lasciando il povero spettatore ancora più dubbioso se continuare o meno la visione. Indubbio è comunque che non ci sia il giusto ritmo e così si finisce per avere la percezione che si stia assistendo a un bizzarro accumulo senza capo né coda. Infine manca pure un qualche tipo di appagante dark humor, che avrebbe sicuramente reso più digeribile l’insieme. 

Poi c’è Margot Robbie che, appesi i pattini al chiodo dopo l’ottimo Tonya (I, Tonya) di Craig Gillespie, qui è assai meno in palla. L’attrice, che ha dimostrato di essere in grado di recitare più che discretamente, in Terminal è portata a un fastidiosissimo overacting al limite del caricaturale. E’ vero, deve interpretare un sanguinario sicario in gonnella con un palese squilibrio mentale, ma nella mimica come nel proferire le sue battute, non solo non appare affatto naturale (cosa comprensibilissima), ma risulta addirittura grottesca. Qui allora emerge il tono fumettistico alla Sin Sity, ma senza la medesima carica esplosiva, anzi le scene risultano noiose e senza grande continuità l’una con l’altra. Tuttavia, se il vostro sogno nel cassetto è quello di vedere la Robbie in molteplici diverse e fantasiose mise, all’altezza di Jennifer Garner nella serie Alias per capirsi, allora forse la pellicola di Vaughn Stein potrebbe regalarvi felici scoperte: da camerierina retrò a prostituta con parrucca nera e frangetta con velleità di torturatrice, da coniglietta in uno strip club a infermiera, i costumi di scena potrebbero solleticare la fantasia del pubblico maschile … Il resto del cast d’altro canto arranca, messo in difficoltà dall’improbabile sceneggiatura, che rende assai difficile dare credibilità ai personaggi e che non riesce neppure a renderli bizzarri fino in fondo.

Eccessivamente pretenzioso e poco coinvolgente, Terminal è quindi mirabile per gli alti traguardi che si pone, ma non è altrettanto apprezzabile nella resa, anzi. Forse, se Stein avesse lasciato ad altri l’arduo compito della stesura dello script il risultato sarebbe stato assai migliore, ma è difficile a dirsi. Sta di fatto che il suo film è nell’insieme un ostico guazzabuglio intellettualoide che fallisce una delle primarie finalità: intrattenere lo spettatore.

 
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