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Roberto Rossellini, immortale maestro del Neorealismo da cameralook

Post n°13875 pubblicato il 06 Giugno 2017 da Ladridicinema
 
Tag: news, STORIA

Roberto Rossellini è stato uno dei più grandi registi della storia del cinema mondiale. Uno dei maestri illustri del Neorealismo, un movimento che grazie a lui ed ai suoi film arrivò alle vette più alte. Non c’è infatti scuola di cinema che non mostri ai propri studenti la cosiddetta “trilogia della Guerra antifascista”: Roma Città Aperta, Paisà e Germania Anno Zero. Tre pellicole che Rossellini ideò e girò nel mentre e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Tre racconti di devastazione umana, di
macerie, di anime distrutte. Oggi vogliamo ricordare Rossellini, esattamente a 40 anni dalla morte, attraverso due sequenze che hanno fatto la storiaRoberto RosselliniRoma Città Aperta (1945)

Rossellini iniziò a pensare a Roma Città Aperta già nel 1943, quando il conflitto era nel vivo. La realtà, e quindi l’orrore della Guerra, è colta nel suo farsi: nella Roma del 1943-44, occupata dai nazifascisti, la lotta, le sofferenze, i sacrifici della gente sono raccontate attraverso le vicende di una popolana (Anna Magnani), di un sacerdote (Aldo Fabrizi) e di un ingegnere comunista (Marcello Pagliero). Il secondo verrà fucilato all’alba, salutato dai ragazzini della parrocchia; il terzo morirà sotto le torture.

Ma è la morte di Anna Magnani – il cui talento venne mostrato al mondo con questo film – ad entrare violentemente negli occhi e nel cuore dello spettatore. Nel pieno turbine della guerra, finalmente un barlume di luce e speranza: Pina (Magnani), madre vedova, e Francesco (Francesco Grandjacquet) si stanno per sposare. Ma il testimone dell’uomo, Giorgio (Pagliero), è uno dei capi della Resistenza e, mentre lui e Francesco si stanno vestendo per il matrimonio, Pina arriva trafelata ad avvertire che i tedeschi e i fascisti hanno circondato l’edificio. Messa in fila fuori con tutti gli altri, Pina cerca di consolare un’altra donna, rintuzzando al tempo stesso le avances fastidiose di una SS.


Dopo averne allontanato con uno schiaffo la mano indiscreta, si accorge con orrore che Francesco e Giorgio vengono caricata su un camion. Gridando il nome di Francesco, supera la barriera e corre dietro al mezzo che si allontana. La vediamo dal punto di vista dell’uomo mentre insegue il veicolo, gesticolando e chiamando più volte il suo nome. Poi, un’improvvisa scarica di mitra: Pina muore. La macchina da presa inquadra il suo corpo sulla strada, le gambe leggermente scoperte, la giarrettiera in vista.

Questa è senza dubbio “una delle sequenze più iconiche della storia del cinema” (come scrisse Gino Moliterno), in grado di condensare in pochi istanti e alcune immagini indelebili l’imperscrutabilità del fato e le sofferenze insensate che la guerra infligge alla gente comune. Inizialmente, Pina doveva morire per un colpo sparatole in mezzo alla folla. L’idea di farla colpire mentre insegue il camion venne allo sceneggiatore, Sergio Amidei (una sera vide la Magnani inseguire a piedi la macchina con la quale l’amante se ne stava andando dopo una lite accesa).

"Paisà"

“Paisà”

Paisà (1946)

Girato con attori prevalentemente non-professionisti, Paisà rievoca l’avanzata delle truppe alleate dalla Sicilia al Nord Italia ed è costituito da sei episodi: Sicilia, Napoli, Roma, Firenze, Appennino Emiliano, Porto Tolle. Tra le vette del cinema neorealista, Paisà nel 1950 fu anche candidato al Premio Oscar per la Migliore Sceneggiatura Originale. Il finale è indimenticabile. Delta del Po, 1944, l’ultimo episodio è così introdotto dalla voce narrante: “Al di là delle linee, i partigiani italiani e i soldati americani della Oss, fraternamente uniti, combattono una battaglia che i bollettini non registrano, ma forse più dura, più difficile, più disperata”. Appropriatamente, il modo in cui il regista gestisce l’episodio è “brusco, grezzo e quasi anonimo”, come scrisse Chris Fujiwara.

Nell’ultima scena, i tedeschi mettono in fila sei partigiani catturati, le mani legate dietro la schiena, sul bordo di una barca, e uno dopo l’altro li fanno cadere in acqua. Sulla riva, due prigionieri, un ufficiale americano e uno inglese che non sono stati condannati all’esecuzione (poiché, a differenza degli italiani, godono almeno in teoria della protezione delle leggi internazionali), vedono quanto sta accadendo, urlano e si mettono a correre verso l’imbarcazione. Un ufficiale tedesco abbassa il braccio e i due uomini sono falciati in piena corsa. Poi, gli ultimi partigiani cadono in acqua, le onde prodotte dall’ultimo tonfo diminuiscono gradualmente, e il narratore conclude con rapidità: “questo accadeva nell’inverno del 1944. All’inizio della primavera, la guerra era finita”.


Questi ultimi 40 secondi di Paisà costituiscono “uno dei passaggi più terribili della poesia del cinema bellico”, resi ancor più sconvolgenti dalla distanza della macchina da presa (che fa apparire i personaggi privi di volto), dalla rapidità di ogni movimento, dalla pacatezza cronachistica della panoramica che segue i due uomini nella loro ultima tragica corsa.

Due momenti di cinema inarrivabili che hanno reso eterno e immortale Roberto Rossellini.

 
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