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Messaggi di Novembre 2019
Post n°15453 pubblicato il 13 Novembre 2019 da Ladridicinema
Dato che noi; come già ha detto Endash; di persona non abbiamo ammazzato nessuno, né abbiamo direttamente ordinato di ammazzare nessuno, l’azione omicida viene ravvisata nella costruzione del muro, nell’averlo tenuto in piedi e nell’imposizione del divieto di lasciare la RDT senza autorizzazione statale. E naturalmente questo non c’entrerebbe affatto con la politica. Così almeno sostiene la giurisprudenza tedesca. Ma non potrà sostenerlo di fronte alla storia o al raziocinio umano. Non farà altro che tradire ancora una volta le sue origini e mostrare di quale spirito sia figlia e dove stia andando la Germania. Tutti noi che avevamo a quell’epoca responsabilità di governo nei paesi del Patto di Varsavia prendemmo quella decisione politica collettivamente. Non lo dico per scaricarmi dalle mie responsabilità attribuendole ad altri; lo dico soltanto perché così è stato e non altrimenti e io sono convinto che quella decisione di allora, del 1961, fosse giusta e tale sarebbe rimasta finché non fosse terminato lo scontro tra USA e URSS. Quella decisione politica e i convincimenti che la dettarono costituiscono appunto l’oggetto di questo processo. Bisogna essere ciechi o chiudere consapevolmente gli occhi davanti agli avvenimenti del passato per non riconoscere che questo è un processo politico dei vinti contro i vincitori, per non capire che esso significa deformare la storia per motivazioni di ordine politico. Voi ritenete che quella decisione politica fosse sbagliata e considerate me e i miei compagni responsabili penalmente per i morti ammazzati al muro. Ebbene io vi dico che la decisione che voi ritenete giusta avrebbe causato migliaia o milioni di morti. Di questo ero e sono tuttora convinto e credo ne siano convinti anche i miei compagni. è per questa convinzione politica che ci troviamo qui davanti a voi. E voi ci condannerete perché avete un’opinione politica diversa dalla nostra. Come e perché si sia giunti alla costruzione del muro non sembra che interessi la pubblica accusa. Su questo l’accusa non spende una parola. Cause e circostanze vengono del tutto ignorate, la catena degli avvenimenti storici viene arbitrariamente spezzata. Erich Honecker ha costruito e tenuto in piedi il muro. Stop. Questa é la rappresentazione semplicistica che i giuristi tedeschi riescono a dare della storia. Quel che gli interessa é che i comunisti siano bollati da criminali e come tali condannati. I tedeschi in realtà sono perfettamente in grado di sapere come si è arrivati al muro e conoscere le ragioni per cui al muro si è sparato. Ma poiché l’accusa si comporta come se costruire muri e farvi ammazzare la gente fosse una caratteristica peculiare del socialismo e come se singoli «delinquenti» come me e i miei compagni ne portassero intera la responsabilità, mi vedo costretto, pur non essendo uno storico, a riassumere la storia che ha portato al muro. Le sue origini si spingono lontano. Ci riportano alla formazione del capitalismo e del proletariato. Ma l’inizio immediato della tragedia dell’ultima fase della storia tedesca si situa nell’anno 1933. In quell’anno, com’è noto, molti tedeschi votarono in libere elezioni per il partito nazista e il presidente Hindenburg, che era stato eletto altrettanto liberamente nel 1932, investi democraticamente Adolf Hitler delle funzioni di capo del governo. Subito dopo i predecessori politici degli attuali partiti dominanti, con l’eccezione della SPD, votarono i pieni poteri, dando a Hitler poteri assoluti dittatoriali. Solo i comunisti prima di quelle elezioni avevano detto: «chi vota Hindenburg vota Hitler, chi vota Hitler vota per la guerra». Al momento del voto per i pieni poteri i deputati comunisti erano già stati allontanati dal Reichstag, molti comunisti erano stati arrestati o vivevano in clandestinità. Già allora la messa fuori legge dei comunisti fu il segnale della fine della democrazia in Germania. Non appena Hitler fu messo a capo del governo, la Germania conobbe il suo primo miracolo economico. La disoccupazione era vinta; i titoli Volkswagen andavano bene e l’animo ardente del popolo portava a scacciare e assassinare gli ebrei. Il popolo tedesco in maggioranza era felice e contento. Quando scoppiò la seconda guerra mondiale e le fanfare annunciavano le guerre lampo contro Polonia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia, Jugoslavia, Grecia, l’entusiasmo non conobbe più confini. I cuori di quasi tutti i tedeschi battevano all’unisono con il loro cancelliere, il più grande duce di tutti i tempi. Nessuno immaginava che l’impero millenario sarebbe durato solo 12 anni. Quando nel 1945 tutto fu ridotto in macerie, la Germania non si trovò padrona del mondo, come prediceva una ben nota canzone nazista, ma totalmente dominata dagli alleati. La Germania fu divisa in quattro zone. Non c’era assolutamente libertà di trasferirsi da una zona all’altra. Nemmeno per gli emigrati tedeschi che, come Gerhart Eisler, volevano ritornare in Germania dagli USA. Negli USA c’erano piani (per esempio il piano Morgenthau) che prevedevano la divisione perpetua della Germania in vari stati. Proprio in risposta a questi piani Stalin pronunciò le famose parole: «Gli Hitler vengono e vanno, il popolo tedesco e lo Stato tedesco rimangono». Ma l’unità della Germania, che a quel tempo l’URSS voleva fosse mantenuta, non si realizzò. Per effetto della guerra fredda proclamata dagli USA nel 1947, la Germania; con l’accorpamento di due e poi di tre zone, con la riforma monetaria, infine con la costituzione nel maggio 1949 della RFT; fu divisa per un lungo periodo in due parti. Come si vede dalla successione temporale, questa divisione non fu opera dei comunisti, ma degli alleati occidentali e di Konrad Adenauer. La costituzione della RDT seguì in un secondo tempo e fu la conseguenza logica della costituzione della RFT. Ormai si erano formati due diversi Stati tedeschi. Ma la RFT non aveva nessuna intenzione di riconoscere la RDT e stabilire con essa rapporti pacifici. La RFT pretendeva anzi di essere l’unica rappresentante di tutta la Germania e di tutti i tedeschi. Con l’aiuto degli alleati proclamò un embargo economico e cercò per quella via di isolare la RDT economicamente e politicamente. Una politica di aggressione senza guerra: così si può definire la linea seguita dalla RFT nei confronti della RDT. Questa fu la forma che la guerra fredda assunse sul suolo tedesco. Fu questa politica che portò al muro. Dopo l’ingresso della RFT nella NATO, la RDT aderì al Patto di Varsavia. I due Stati tedeschi si fronteggiarono così come Stati membri di alleanze militari ostili. La RFT era più forte della RDT sotto diversi aspetti: per numero di abitanti, potenza economica, legami politici ed economici. Grazie al piano Marshall e al pagamento di minori riparazioni dovette inoltre sopportare le conseguenze della guerra in misura ridotta. La RFT disponeva di maggiori ricchezze naturali e di un territorio più ampio. Essa sfruttò questa molteplice superiorità in tutti i modi, ma soprattutto promettendo ai cittadini della RDT vantaggi materiali se abbandonavano il loro paese. Molti cittadini della RDT non resistettero a questa tentazione e fecero quello che i politici della RFT si aspettavano che facessero: “votarono con i piedi”. Il successo economico esercitò un’attrazione fatale sui tedeschi dopo il 1945 non meno di quanto era accaduto dopo il 1933. La RDT e gli Stati alleati del Patto di Varsavia vennero a trovarsi in una situazione difficile. La politica del roll back sembrava coronata da successo in Germania. La NATO si accingeva ad estendere la sua area di influenza fino all’Oder. Questa politica produsse nel 1961 una situazione di tensione in Germania che metteva in pericolo la pace mondiale. L’umanità si trovò sull’orlo di una guerra atomica. Questa era la situazione quando gli Stati del Patto di Varsavia decisero la costruzione del muro. Nessuno prese quella decisione a cuor leggero. Perché divideva le famiglie, ma anche perché era il segno di una debolezza politica ed economica del Patto di Varsavia rispetto alla NATO che poteva essere compensata solo con mezzi militari. Politici eminenti fuori della Germania, ma anche nella RFT, riconobbero dopo il 1961 che la costruzione del muro aveva diminuito la tensione nel mondo. Franz Josef Strauss scrisse nelle sue memorie: «Con la costruzione del muro la crisi, in modo certo non positivo per i tedeschi, poteva però dirsi non solo sotto controllo ma effettivamente chiusa» (pag. 390). In precedenza Strauss aveva parlato dei piani di bombardamento atomico del territorio della RDT (pag. 388). Io credo che non ci sarebbero stati nè il Trattato Fondamentale [trattato che regolava i rapporti tra le due Germanie concluso nel dicembre 1972, N.d.T.], nè Helsinki, ne l’unità della Germania se in quel momento non fosse stato costruito il muro o se esso fosse stato abbattuto prima della fine della guerra fredda. Penso perciò che approvando la costruzione del muro e mantenendo poi quella posizione nè io nè i miei compagni ci siamo macchiati di alcuna colpa, non solo dal punto di vista del diritto, ma neanche da un punto di vista morale e politico. Rispetto alla storia della Germania è certo solo una nota marginale, ma è il caso di notare che adesso molti tedeschi sia dell’ovest che dell’est vedrebbero volentieri una riedizione del muro. Ma ci si deve anche chiedere che cosa sarebbe successo se avessimo agito come l’accusa dà per scontato che avremmo dovuto fare. Cioè se non avessimo eretto il muro, se avessimo consentito a chiunque di lasciare la RDT, segnando così spontaneamente la resa della RDT già nel 1961. Non c’è bisogno di particolare fantasia per capire quali effetti avrebbe prodotto una politica siffatta. Basta considerare quel che è successo nel 1956 in Ungheria e nel 1968 nella Repubblica Socialista Cecoslovacca. Le truppe sovietiche, che tra l’altro erano già presenti, sarebbero intervenute anche nella RDT nel 1961, esattamente come avevano fatto negli altri paesi. Anche in Polonia Jaruzelski proclamò lo stato di emergenza nel 1981 per impedire un intervento di quel tipo. L’acutizzazione della crisi che avremmo provocato se ci fossimo attenuti al modello che l’accusa ritiene essere l’unico politicamente, moralmente e giuridicamente fondato avrebbe comportato il rischio di una terza guerra mondiale. Noi non abbiamo voluto e non potevamo correre questo rischio. Se questo per voi è un crimine pronuncerete voi stessi la vostra condanna di fronte alla storia con la vostra sentenza. Ma questo importerebbe poco. Quel che più importa è che la vostra sentenza costituirà un segnale per riproporre le vecchie contrapposizioni anziché ricucirle. In presenza del pericolo di un collasso ecologico del mondo, voi riproponete la vecchia strategia di classe degli anni ‘30 e la politica di potenza tipica della Germania fin dai tempi del cancelliere di ferro. Se ci condannerete per le nostre decisioni politiche del 1961; e io penso che lo farete; la vostra sentenza sarà non solo priva di ogni fondamento giuridico, non solo emessa da un tribunale di parte, ma anche una sentenza che ignora totalmente consuetudini politiche e comportamenti di quegli stessi paesi che godono del vostro massimo rispetto come Stati di diritto. In questo contesto non voglio certo, nè potrei elencare tutti i casi in cui negli ultimi 28 anni sono state prese decisioni politiche che hanno avuto un costo di vite umane, perché non voglio abusare del vostro tempo e della vostra sensibilità. E nemmeno potrei ricordarmeli tutti. Ne voglio menzionare soltanto alcuni: Nel 1963 l’allora presidente degli Stati Uniti Kennedy decise di inviare truppe nel Vietnam per prendere il posto dei francesi sconfitti e far la guerra fino al 1975 contro i vietnamiti che combattevano per la loro libertà, indipendenza e autodeterminazione. Questa decisione del presidente degli USA, che comportava una violazione eclatante dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale, non ha mai ricevuto la minima critica da parte del governo della RFT. I presidenti degli USA Kennedy, Johnson e Nixon non sono mai stati portati davanti a un tribunale e il loro onore non ha subito la minima macchia, almeno non per quella guerra. E in questo caso nè i soldati americani ne quelli vietnamiti hanno potuto decidere liberamente se correre o meno il rischio di morire per una guerra ingiusta. Nel 1981 l’Inghilterra fece intervenire le sue truppe contro l’Argentina per mantenere le isole Falkland come colonia per l’impero. La “lady di ferro” si assicurò in quel modo una vittoria elettorale e la sua immagine non ne fu minimamente offuscata, neanche dopo la fine delle sue fortune elettorali. Nessuno pensò di accusarla di omicidio. Nel 1983 il presidente Reagan ordinò alle sue truppe di occupare Grenada. Non cè persona che goda di maggior rispetto in Germania di questo presidente americano. Evidentemente le vittime di questa impresa era giusto che fossero ammazzate. Nel 1986 Reagan fece bombardare in un’azione punitiva le città di Tripoli e Bengasi, senza chiedersi se le sue bombe avrebbero colpito colpevoli o innocenti. Nel 1989 il presidente Bush ordinò di portare via da Panama con la forza delle armi il generale Noriega. Migliaia di panamensi innocenti furono uccisi. Ma per il presidente americano ciò non ha comportato la minima macchia, figurarsi un’accusa di omicidio. L’elenco potrebbe continuare a piacere. Anche solo menzionare la condotta inglese in Irlanda potrebbe sembrare ineducato. Sugli effetti che le armi della Repubblica Federale Tedesca producono tra i Kurdi della Turchia o tra i neri del Sudafrica si pongono interrogativi retorici, ma nessuno fa la conta dei morti e nessuno chiama per nome i colpevoli. Parlo solo di paesi che vengono considerati modelli di stato di diritto e ricordo solo alcune delle loro scelte politiche. Ognuno può agevolmente fare un confronto tra queste scelte e quella di erigere un muro al confine tra Patto di Varsavia e NATO. Ma voi direte che non potete nè dovete decidere in merito alle azioni di altri paesi e che tutto questo non vi riguarda. Io non credo però che si possa dare un giudizio storico della RDT senza analizzare quel che è accaduto in altri paesi nel periodo in cui la RDT è esistita a motivo della contrapposizione tra i due blocchi. Credo anche che le azioni politiche possano essere giudicate soltanto nel loro contesto. Se voi chiudete gli occhi su quel che è successo nel mondo fuori dalla Germania dal 1961 al 1989 non potete pronunciare una sentenza giusta. Ma anche se vi limitate alla Germania, mettendo a confronto le scelte politiche dei due Stati tedeschi, un bilancio onesto e obiettivo non può che andare a vantaggio della RDT. Chi nega al proprio popolo il diritto al lavoro o il diritto alla casa, come avviene nella RFT, mette in conto che molti si sentano negare il diritto all’esistenza e non vedano altra soluzione che togliersi la vita. La disoccupazione, la condizione dei senza tetto, l’abuso di droghe, i crimini per procurarsi la droga e la criminalità in genere sono frutto della scelta politica dell’economia di mercato. Anche scelte apparentemente cosi neutre dal punto di vista politico come i limiti di velocità sulle autostrade, sono il prodotto di un assetto statale in cui sono determinanti non i politici liberamente eletti ma i padroni che non sono stati eletti da nessuno. Se il dipartimento per i reati commessi nell’esercizio del potere presso la Corte suprema si curasse per una volta di questi aspetti, presto avrei nuovamente la possibilità di stringere la mano ai rappresentanti della Repubblica Federale Tedesca. Questa volta però a Moabit. Ma questo naturalmente non accadrà perchè alle vittime dell’economia di mercato era giusto che si togliesse la vita. Non sono io la persona che possa fare un bilancio della storia della RDT. Il momento di farlo non è ancora venuto. Il bilancio sarà tratto in futuro e da altri. Io ho speso la mia esistenza per la RDT. Dal maggio 1971 soprattutto ho avuto una responsabilità rilevante per la sua storia. Io sono perciò parte in causa e oltre a ciò indebolito per l’età e la malattia. E tuttavia, giunto alla fine della mia vita, ho la certezza che la RDT non è stata costituita invano. Essa ha rappresentato un segno che il socialismo è possibile e che è migliore del capitalismo. Si è trattato di un esperimento che è fallito. Ma per un esperimento fallito l’umanità non ha mai abbandonato la ricerca di nuove conoscenze e nuove vie. Bisognerà ora analizzare le ragioni per cui l’esperimento è fallito. Sicuramente ciò è accaduto anche perchè noi; voglio dire i responsabili in tutti i paesi socialisti europei; abbiamo commesso errori che potevano essere evitati. Sicuramente è fallito in Germania tra l’altro anche perchè i cittadini della RDT, come altri tedeschi prima di loro, hanno compiuto una scelta sbagliata e perché i nostri avversari erano ancora troppo potenti. Le esperienze storiche della RDT, insieme a quelle degli altri paesi ex socialisti, saranno utili a milioni di uomini nei paesi socialisti ancora esistenti e serviranno al mondo futuro. Chi si è impegnato con i! proprio lavoro e con la propria vita per la RDT non ha vissuto invano. Un numero sempre maggiore di persone dell’est si renderanno conto che le condizioni di vita della RDT li avevano deformati assai meno di quanto la gente dell’ovest non sia deformata dall’economia di mercato e che nei nidi, negli asili e nelle scuole i bambini della RDT crescevano più spensierati, più felici, più istruiti, più liberi dei bambini delle strade e delle piazze dominate dalla violenza della RFT. I malati si renderanno conto che nel sistema sanitario della RDT, nonostante le arretratezze tecniche, erano dei pazienti e non oggetti commerciali del marketing dei medici. Gli artisti comprenderanno che la censura, vera o presunta, della RDT non poteva recare all’arte i danni prodotti dalla censura del mercato. I cittadini constateranno che anche sommando la burocrazia della RDT e la caccia alle merci scarse non c’era bisogno che sacrificassero tutto il tempo libero che devono sacrificare ora alla burocrazia della RFT. Gli operai e i contadini si renderanno conto che la RFT è lo Stato degli imprenditori (cioè dei capitalisti) e che non a caso la RDT si chiamava Stato degli operai e dei contadini. Le donne daranno maggior valore, nella nuova situazione, alla parità e al diritto di decidere sul proprio corpo di cui godevano nella RDT. Dopo aver conosciuto da vicino le leggi e il diritto della RFT molti diranno, con la signora Bohley, a cui i comunisti non piacciono: «Abbiamo chiesto giustizia. Ci hanno dato un altro Stato». Molti capiranno anche che la libertà di scegliere tra CDU/CSU, SPD e FDP è solo una libertà apparente. Si renderanno conto che nella vita di tutti i giorni, specialmente sul posto di lavoro, avevano assai più libertà nella RDT di quante ne abbiano ora. Infine la protezione e la sicurezza che la piccola RDT, così povera rispetto alla RFT, garantiva ai suoi cittadini non saranno più minimizzate come cose ovvie, perchè la realtà quotidiana del capitalismo si incaricherà adesso di far capire a tutti quanto fossero preziose. Il bilancio della storia quarantennale della RDT è diverso da quello che ci viene presentato dai politici e dai mass media. Col passar del tempo questo sarà sempre più evidente. Vorreste trasformare il processo contro di noi, membri del Consiglio Nazionale della Difesa della RDT, in un processo di Norimberga contro i comunisti. Ma questo tentativo è condannato al fallimento. Nella RDT non c’erano campi di concentramento, non c’erano camere a gas, sentenze politiche di morte, tribunali speciali, non c’erano Gestapo ne’ SS. La RDT non ha fatto guerre e non ha commesso crimini di guerra contro l’umanità. La RDT è stata un paese coerentemente antifascista che godeva di altissimo prestigio internazionale per il suo impegno in favore della pace. Il processo contro di noi «pezzi grossi» della RDT deve servire di risposta a quanti dicono «se la prendono con i pesci piccoli, i grossi invece li lasciano scappare». La nostra condanna servirebbe dunque ad eliminare ogni ostacolo per poter perseguitare anche i «pesci piccoli». Finora comunque non è che si siano trattenuti più di tanto dal farlo. II processo serve a costruire la base per bollare la RDT come Stato ingiusto e illegale. Uno Stato governato da «criminali» e «omicidi» del nostro calibro non può che essere illegale e ingiusto. Chi stava in stretto rapporto con questo Stato, chi ne era cittadino cosciente dei propri doveri deve essere marcato con il segno di Caino. Uno Stato contrario al diritto non può esser retto e governato che da «organizzazioni criminali» come il Ministero per la Sicurezza e la SED. Si invocano colpe e condanne collettive in luogo di responsabilità individuali perchè così si può mascherare la mancanza di prove dei crimini attribuiti. Ci sono pastori e parroci della RDT che vengono dati in pasto a una nuova inquisizione, una moderna caccia alle streghe. Milioni di persone vengono così emarginati e banditi dalla società. Molti si vedono ridurre fino all’estremo le possibilità di esistenza. Basta essere registrati come «collaboratori informali» per essere condannati alla morte civile. Il giornalista autore delle denuncie riceve elogi e laute ricompense. Delle sue vittime nessuno si cura. Il numero dei suicidi è un tabù. E tutto ciò ad opera di un governo che si vuole cristiano e liberale e con la tolleranza o addirittura l’appoggio di un’opposizione che non merita questo nome più di quanto meriti la qualifica «sociale». Il tutto con il marchio di qualità dello Stato di diritto che si sono autoattribuiti. Questo processo rivela tutta la sua dimensione politica anche come processo agli antifascisti. Nel momento in cui la marmaglia neonazista impazza impunita per le strade e gli stranieri sono perseguitati e assassinati come a Mölln, ecco che lo stato di diritto mostra tutta la sua forza arrestando gli ebrei che protestano e perseguendo i comunisti. Per far questo non si lamentano carenze di funzionari e di fondi. Sono cose queste che abbiamo già visto in passato. Questo processo, se ne vogliamo riassumere i contenuti politici, si pone in continuità con la guerra fredda e nega la nuova mentalità. Esso svela il vero carattere politico di questa Repubblica Federale. L’accusa, gli ordini di cattura e la sentenza del tribunale sull’ammissibilità dell’accusa portano l’impronta dello spirito della guerra fredda. Le sentenze si rifanno a precedenti del 1964. Da allora il mondo è cambiato, ma la giustizia tedesca imbastisce processi politici come al tempo di Guglielmo II. Ha superato ormai la momentanea «debolezza» politica liberale che l’aveva colpita dopo il 1968 e adesso ha recuperato la splendida forma anticomunista di un tempo. Di noi si dice che siamo dei dinosauri incapaci di rinnovarci. Questo processo fa vedere dove stanno in realtà i dinosauri e chi è incapace di rinnovarsi. Verso l’esterno si fa mostra di grande flessibilità. A Gorbaciov viene attribuita la cittadinanza onoraria di Berlino e magnanimamente gli si perdona di aver elogiato i cosiddetti tiratori del muro iscrivendo il proprio nome nel loro registro d’onore. All’interno invece ci si mostra «duri come l’acciaio di Krupp» e il vecchio alleato di Gorbaciov viene messo sotto processo. Gorbaciov e io siamo stati entrambi esponenti del movimento comunista internazionale. E’ noto che su alcuni punti essenziali avevamo opinioni divergenti. In quella fase però io pensavo che gli elementi di divergenza fossero meno rilevanti di quello che avevamo in comune. Il cancelliere federale non mi ha paragonato a Goebbels, come ha fatto con altri, ne glielo avrei mai perdonato. Nè per il cancelliere nè per Gorbaciov il processo contro di me costituisce un ostacolo alla loro stretta amicizia. Anche questo è significativo. Le mie considerazioni terminano qui. Fate dunque quello che non potete fare a meno di fare.» 8 novembre alle ore 09:16 · In questi giorni ricchi di anniversari (102 anni dalla Rivoluzione Sovietica e 30 anni dalla caduta del muro di Berlino) abbiamo avuto una prova della forza dell'apparato mediatico del capitalismo globalizzato per demonizzare il Comunismo con ogni menzogna possibile. La questione più sottile riguarda la dicotomia nuovo-vecchio, innovazione-conservazione. Non c'è nulla di più vecchio di chi non vuol cambiare nulla. Il sistema capitalistico vede i suoi albori nelle società mercantili, attraversa la rivoluzione industriale, per arrivare alla globalizzazione. Ha sette/otto secoli di storia ed oggi non può dare più alcuna risposta di futuro. L'idea socialista e comunista ha appena un secolo di realizzazione poi sconfitta. Cosa è il vecchio, cosa è il nuovo? Nella storia della mutazione genetica del PCI e nel tradimento gorbacioviano del PCUS in Unione Sovietica, la lotta apparve inizialmente tra innovatori e conservatori; prevalsero in entrambi i casi i cosiddetti innovatori e abbiamo visto come è finita. L'idea e i principi del marxismo-leninismo sono attualissimi, serve darne una convincente versione odierna. Diffidate di chi si accompagna spesso col termine dell'innovazione. Rendere evidente la centralità del conflitto capitale-lavoro, costruire il Partito Comunista, come partito della classe operaia e dei lavoratori tutti. Criticare la sinistra dell'eclettismo teorico, contendere alla destra i lavoratori e le periferie, idealizzare la società comunista di liberi e uguali, senza imperialismo, senza guerre, col rispetto dell'ambiente. Tornare a mostrare con orgoglio la nostra identità, ad usare con fierezza il nostro linguaggio. Questi sono i nostri compiti! Noi vogliamo rivoluzionare il mondo, vogliamo fare il comunismo anche con i non comunisti (convincendoli), per questo dobbiamo rifuggire chi vuole, 'contaminarci' coi cosiddetti temi dell'attualità. Noi comunisti siamo di altra 'pasta'. Noi vogliamo, noi dobbiamo essere assolutamente irriducibili alla nostra idea e ai nostri principi, che sono giusti e oggi, grazie alla tecnologia ed il progresso , ancor più attuabili. Nel 1917 è successo. Può e deve succedere ancora. Lavoriamo affinchè accada.
Post n°15452 pubblicato il 13 Novembre 2019 da Ladridicinema
Dato che noi; come già ha detto Endash; di persona non abbiamo ammazzato nessuno, né abbiamo direttamente ordinato di ammazzare nessuno, l’azione omicida viene ravvisata nella costruzione del muro, nell’averlo tenuto in piedi e nell’imposizione del divieto di lasciare la RDT senza autorizzazione statale. E naturalmente questo non c’entrerebbe affatto con la politica. Così almeno sostiene la giurisprudenza tedesca. Ma non potrà sostenerlo di fronte alla storia o al raziocinio umano. Non farà altro che tradire ancora una volta le sue origini e mostrare di quale spirito sia figlia e dove stia andando la Germania. Tutti noi che avevamo a quell’epoca responsabilità di governo nei paesi del Patto di Varsavia prendemmo quella decisione politica collettivamente. Non lo dico per scaricarmi dalle mie responsabilità attribuendole ad altri; lo dico soltanto perché così è stato e non altrimenti e io sono convinto che quella decisione di allora, del 1961, fosse giusta e tale sarebbe rimasta finché non fosse terminato lo scontro tra USA e URSS. Quella decisione politica e i convincimenti che la dettarono costituiscono appunto l’oggetto di questo processo. Bisogna essere ciechi o chiudere consapevolmente gli occhi davanti agli avvenimenti del passato per non riconoscere che questo è un processo politico dei vinti contro i vincitori, per non capire che esso significa deformare la storia per motivazioni di ordine politico. Voi ritenete che quella decisione politica fosse sbagliata e considerate me e i miei compagni responsabili penalmente per i morti ammazzati al muro. Ebbene io vi dico che la decisione che voi ritenete giusta avrebbe causato migliaia o milioni di morti. Di questo ero e sono tuttora convinto e credo ne siano convinti anche i miei compagni. è per questa convinzione politica che ci troviamo qui davanti a voi. E voi ci condannerete perché avete un’opinione politica diversa dalla nostra. Come e perché si sia giunti alla costruzione del muro non sembra che interessi la pubblica accusa. Su questo l’accusa non spende una parola. Cause e circostanze vengono del tutto ignorate, la catena degli avvenimenti storici viene arbitrariamente spezzata. Erich Honecker ha costruito e tenuto in piedi il muro. Stop. Questa é la rappresentazione semplicistica che i giuristi tedeschi riescono a dare della storia. Quel che gli interessa é che i comunisti siano bollati da criminali e come tali condannati. I tedeschi in realtà sono perfettamente in grado di sapere come si è arrivati al muro e conoscere le ragioni per cui al muro si è sparato. Ma poiché l’accusa si comporta come se costruire muri e farvi ammazzare la gente fosse una caratteristica peculiare del socialismo e come se singoli «delinquenti» come me e i miei compagni ne portassero intera la responsabilità, mi vedo costretto, pur non essendo uno storico, a riassumere la storia che ha portato al muro. Le sue origini si spingono lontano. Ci riportano alla formazione del capitalismo e del proletariato. Ma l’inizio immediato della tragedia dell’ultima fase della storia tedesca si situa nell’anno 1933. In quell’anno, com’è noto, molti tedeschi votarono in libere elezioni per il partito nazista e il presidente Hindenburg, che era stato eletto altrettanto liberamente nel 1932, investi democraticamente Adolf Hitler delle funzioni di capo del governo. Subito dopo i predecessori politici degli attuali partiti dominanti, con l’eccezione della SPD, votarono i pieni poteri, dando a Hitler poteri assoluti dittatoriali. Solo i comunisti prima di quelle elezioni avevano detto: «chi vota Hindenburg vota Hitler, chi vota Hitler vota per la guerra». Al momento del voto per i pieni poteri i deputati comunisti erano già stati allontanati dal Reichstag, molti comunisti erano stati arrestati o vivevano in clandestinità. Già allora la messa fuori legge dei comunisti fu il segnale della fine della democrazia in Germania. Non appena Hitler fu messo a capo del governo, la Germania conobbe il suo primo miracolo economico. La disoccupazione era vinta; i titoli Volkswagen andavano bene e l’animo ardente del popolo portava a scacciare e assassinare gli ebrei. Il popolo tedesco in maggioranza era felice e contento. Quando scoppiò la seconda guerra mondiale e le fanfare annunciavano le guerre lampo contro Polonia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia, Jugoslavia, Grecia, l’entusiasmo non conobbe più confini. I cuori di quasi tutti i tedeschi battevano all’unisono con il loro cancelliere, il più grande duce di tutti i tempi. Nessuno immaginava che l’impero millenario sarebbe durato solo 12 anni. Quando nel 1945 tutto fu ridotto in macerie, la Germania non si trovò padrona del mondo, come prediceva una ben nota canzone nazista, ma totalmente dominata dagli alleati. La Germania fu divisa in quattro zone. Non c’era assolutamente libertà di trasferirsi da una zona all’altra. Nemmeno per gli emigrati tedeschi che, come Gerhart Eisler, volevano ritornare in Germania dagli USA. Negli USA c’erano piani (per esempio il piano Morgenthau) che prevedevano la divisione perpetua della Germania in vari stati. Proprio in risposta a questi piani Stalin pronunciò le famose parole: «Gli Hitler vengono e vanno, il popolo tedesco e lo Stato tedesco rimangono». Ma l’unità della Germania, che a quel tempo l’URSS voleva fosse mantenuta, non si realizzò. Per effetto della guerra fredda proclamata dagli USA nel 1947, la Germania; con l’accorpamento di due e poi di tre zone, con la riforma monetaria, infine con la costituzione nel maggio 1949 della RFT; fu divisa per un lungo periodo in due parti. Come si vede dalla successione temporale, questa divisione non fu opera dei comunisti, ma degli alleati occidentali e di Konrad Adenauer. La costituzione della RDT seguì in un secondo tempo e fu la conseguenza logica della costituzione della RFT. Ormai si erano formati due diversi Stati tedeschi. Ma la RFT non aveva nessuna intenzione di riconoscere la RDT e stabilire con essa rapporti pacifici. La RFT pretendeva anzi di essere l’unica rappresentante di tutta la Germania e di tutti i tedeschi. Con l’aiuto degli alleati proclamò un embargo economico e cercò per quella via di isolare la RDT economicamente e politicamente. Una politica di aggressione senza guerra: così si può definire la linea seguita dalla RFT nei confronti della RDT. Questa fu la forma che la guerra fredda assunse sul suolo tedesco. Fu questa politica che portò al muro. Dopo l’ingresso della RFT nella NATO, la RDT aderì al Patto di Varsavia. I due Stati tedeschi si fronteggiarono così come Stati membri di alleanze militari ostili. La RFT era più forte della RDT sotto diversi aspetti: per numero di abitanti, potenza economica, legami politici ed economici. Grazie al piano Marshall e al pagamento di minori riparazioni dovette inoltre sopportare le conseguenze della guerra in misura ridotta. La RFT disponeva di maggiori ricchezze naturali e di un territorio più ampio. Essa sfruttò questa molteplice superiorità in tutti i modi, ma soprattutto promettendo ai cittadini della RDT vantaggi materiali se abbandonavano il loro paese. Molti cittadini della RDT non resistettero a questa tentazione e fecero quello che i politici della RFT si aspettavano che facessero: “votarono con i piedi”. Il successo economico esercitò un’attrazione fatale sui tedeschi dopo il 1945 non meno di quanto era accaduto dopo il 1933. La RDT e gli Stati alleati del Patto di Varsavia vennero a trovarsi in una situazione difficile. La politica del roll back sembrava coronata da successo in Germania. La NATO si accingeva ad estendere la sua area di influenza fino all’Oder. Questa politica produsse nel 1961 una situazione di tensione in Germania che metteva in pericolo la pace mondiale. L’umanità si trovò sull’orlo di una guerra atomica. Questa era la situazione quando gli Stati del Patto di Varsavia decisero la costruzione del muro. Nessuno prese quella decisione a cuor leggero. Perché divideva le famiglie, ma anche perché era il segno di una debolezza politica ed economica del Patto di Varsavia rispetto alla NATO che poteva essere compensata solo con mezzi militari. Politici eminenti fuori della Germania, ma anche nella RFT, riconobbero dopo il 1961 che la costruzione del muro aveva diminuito la tensione nel mondo. Franz Josef Strauss scrisse nelle sue memorie: «Con la costruzione del muro la crisi, in modo certo non positivo per i tedeschi, poteva però dirsi non solo sotto controllo ma effettivamente chiusa» (pag. 390). In precedenza Strauss aveva parlato dei piani di bombardamento atomico del territorio della RDT (pag. 388). Io credo che non ci sarebbero stati nè il Trattato Fondamentale [trattato che regolava i rapporti tra le due Germanie concluso nel dicembre 1972, N.d.T.], nè Helsinki, ne l’unità della Germania se in quel momento non fosse stato costruito il muro o se esso fosse stato abbattuto prima della fine della guerra fredda. Penso perciò che approvando la costruzione del muro e mantenendo poi quella posizione nè io nè i miei compagni ci siamo macchiati di alcuna colpa, non solo dal punto di vista del diritto, ma neanche da un punto di vista morale e politico. Rispetto alla storia della Germania è certo solo una nota marginale, ma è il caso di notare che adesso molti tedeschi sia dell’ovest che dell’est vedrebbero volentieri una riedizione del muro. Ma ci si deve anche chiedere che cosa sarebbe successo se avessimo agito come l’accusa dà per scontato che avremmo dovuto fare. Cioè se non avessimo eretto il muro, se avessimo consentito a chiunque di lasciare la RDT, segnando così spontaneamente la resa della RDT già nel 1961. Non c’è bisogno di particolare fantasia per capire quali effetti avrebbe prodotto una politica siffatta. Basta considerare quel che è successo nel 1956 in Ungheria e nel 1968 nella Repubblica Socialista Cecoslovacca. Le truppe sovietiche, che tra l’altro erano già presenti, sarebbero intervenute anche nella RDT nel 1961, esattamente come avevano fatto negli altri paesi. Anche in Polonia Jaruzelski proclamò lo stato di emergenza nel 1981 per impedire un intervento di quel tipo. L’acutizzazione della crisi che avremmo provocato se ci fossimo attenuti al modello che l’accusa ritiene essere l’unico politicamente, moralmente e giuridicamente fondato avrebbe comportato il rischio di una terza guerra mondiale. Noi non abbiamo voluto e non potevamo correre questo rischio. Se questo per voi è un crimine pronuncerete voi stessi la vostra condanna di fronte alla storia con la vostra sentenza. Ma questo importerebbe poco. Quel che più importa è che la vostra sentenza costituirà un segnale per riproporre le vecchie contrapposizioni anziché ricucirle. In presenza del pericolo di un collasso ecologico del mondo, voi riproponete la vecchia strategia di classe degli anni ‘30 e la politica di potenza tipica della Germania fin dai tempi del cancelliere di ferro. Se ci condannerete per le nostre decisioni politiche del 1961; e io penso che lo farete; la vostra sentenza sarà non solo priva di ogni fondamento giuridico, non solo emessa da un tribunale di parte, ma anche una sentenza che ignora totalmente consuetudini politiche e comportamenti di quegli stessi paesi che godono del vostro massimo rispetto come Stati di diritto. In questo contesto non voglio certo, nè potrei elencare tutti i casi in cui negli ultimi 28 anni sono state prese decisioni politiche che hanno avuto un costo di vite umane, perché non voglio abusare del vostro tempo e della vostra sensibilità. E nemmeno potrei ricordarmeli tutti. Ne voglio menzionare soltanto alcuni: Nel 1963 l’allora presidente degli Stati Uniti Kennedy decise di inviare truppe nel Vietnam per prendere il posto dei francesi sconfitti e far la guerra fino al 1975 contro i vietnamiti che combattevano per la loro libertà, indipendenza e autodeterminazione. Questa decisione del presidente degli USA, che comportava una violazione eclatante dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale, non ha mai ricevuto la minima critica da parte del governo della RFT. I presidenti degli USA Kennedy, Johnson e Nixon non sono mai stati portati davanti a un tribunale e il loro onore non ha subito la minima macchia, almeno non per quella guerra. E in questo caso nè i soldati americani ne quelli vietnamiti hanno potuto decidere liberamente se correre o meno il rischio di morire per una guerra ingiusta. Nel 1981 l’Inghilterra fece intervenire le sue truppe contro l’Argentina per mantenere le isole Falkland come colonia per l’impero. La “lady di ferro” si assicurò in quel modo una vittoria elettorale e la sua immagine non ne fu minimamente offuscata, neanche dopo la fine delle sue fortune elettorali. Nessuno pensò di accusarla di omicidio. Nel 1983 il presidente Reagan ordinò alle sue truppe di occupare Grenada. Non cè persona che goda di maggior rispetto in Germania di questo presidente americano. Evidentemente le vittime di questa impresa era giusto che fossero ammazzate. Nel 1986 Reagan fece bombardare in un’azione punitiva le città di Tripoli e Bengasi, senza chiedersi se le sue bombe avrebbero colpito colpevoli o innocenti. Nel 1989 il presidente Bush ordinò di portare via da Panama con la forza delle armi il generale Noriega. Migliaia di panamensi innocenti furono uccisi. Ma per il presidente americano ciò non ha comportato la minima macchia, figurarsi un’accusa di omicidio. L’elenco potrebbe continuare a piacere. Anche solo menzionare la condotta inglese in Irlanda potrebbe sembrare ineducato. Sugli effetti che le armi della Repubblica Federale Tedesca producono tra i Kurdi della Turchia o tra i neri del Sudafrica si pongono interrogativi retorici, ma nessuno fa la conta dei morti e nessuno chiama per nome i colpevoli. Parlo solo di paesi che vengono considerati modelli di stato di diritto e ricordo solo alcune delle loro scelte politiche. Ognuno può agevolmente fare un confronto tra queste scelte e quella di erigere un muro al confine tra Patto di Varsavia e NATO. Ma voi direte che non potete nè dovete decidere in merito alle azioni di altri paesi e che tutto questo non vi riguarda. Io non credo però che si possa dare un giudizio storico della RDT senza analizzare quel che è accaduto in altri paesi nel periodo in cui la RDT è esistita a motivo della contrapposizione tra i due blocchi. Credo anche che le azioni politiche possano essere giudicate soltanto nel loro contesto. Se voi chiudete gli occhi su quel che è successo nel mondo fuori dalla Germania dal 1961 al 1989 non potete pronunciare una sentenza giusta. Ma anche se vi limitate alla Germania, mettendo a confronto le scelte politiche dei due Stati tedeschi, un bilancio onesto e obiettivo non può che andare a vantaggio della RDT. Chi nega al proprio popolo il diritto al lavoro o il diritto alla casa, come avviene nella RFT, mette in conto che molti si sentano negare il diritto all’esistenza e non vedano altra soluzione che togliersi la vita. La disoccupazione, la condizione dei senza tetto, l’abuso di droghe, i crimini per procurarsi la droga e la criminalità in genere sono frutto della scelta politica dell’economia di mercato. Anche scelte apparentemente cosi neutre dal punto di vista politico come i limiti di velocità sulle autostrade, sono il prodotto di un assetto statale in cui sono determinanti non i politici liberamente eletti ma i padroni che non sono stati eletti da nessuno. Se il dipartimento per i reati commessi nell’esercizio del potere presso la Corte suprema si curasse per una volta di questi aspetti, presto avrei nuovamente la possibilità di stringere la mano ai rappresentanti della Repubblica Federale Tedesca. Questa volta però a Moabit. Ma questo naturalmente non accadrà perchè alle vittime dell’economia di mercato era giusto che si togliesse la vita. Non sono io la persona che possa fare un bilancio della storia della RDT. Il momento di farlo non è ancora venuto. Il bilancio sarà tratto in futuro e da altri. Io ho speso la mia esistenza per la RDT. Dal maggio 1971 soprattutto ho avuto una responsabilità rilevante per la sua storia. Io sono perciò parte in causa e oltre a ciò indebolito per l’età e la malattia. E tuttavia, giunto alla fine della mia vita, ho la certezza che la RDT non è stata costituita invano. Essa ha rappresentato un segno che il socialismo è possibile e che è migliore del capitalismo. Si è trattato di un esperimento che è fallito. Ma per un esperimento fallito l’umanità non ha mai abbandonato la ricerca di nuove conoscenze e nuove vie. Bisognerà ora analizzare le ragioni per cui l’esperimento è fallito. Sicuramente ciò è accaduto anche perchè noi; voglio dire i responsabili in tutti i paesi socialisti europei; abbiamo commesso errori che potevano essere evitati. Sicuramente è fallito in Germania tra l’altro anche perchè i cittadini della RDT, come altri tedeschi prima di loro, hanno compiuto una scelta sbagliata e perché i nostri avversari erano ancora troppo potenti. Le esperienze storiche della RDT, insieme a quelle degli altri paesi ex socialisti, saranno utili a milioni di uomini nei paesi socialisti ancora esistenti e serviranno al mondo futuro. Chi si è impegnato con i! proprio lavoro e con la propria vita per la RDT non ha vissuto invano. Un numero sempre maggiore di persone dell’est si renderanno conto che le condizioni di vita della RDT li avevano deformati assai meno di quanto la gente dell’ovest non sia deformata dall’economia di mercato e che nei nidi, negli asili e nelle scuole i bambini della RDT crescevano più spensierati, più felici, più istruiti, più liberi dei bambini delle strade e delle piazze dominate dalla violenza della RFT. I malati si renderanno conto che nel sistema sanitario della RDT, nonostante le arretratezze tecniche, erano dei pazienti e non oggetti commerciali del marketing dei medici. Gli artisti comprenderanno che la censura, vera o presunta, della RDT non poteva recare all’arte i danni prodotti dalla censura del mercato. I cittadini constateranno che anche sommando la burocrazia della RDT e la caccia alle merci scarse non c’era bisogno che sacrificassero tutto il tempo libero che devono sacrificare ora alla burocrazia della RFT. Gli operai e i contadini si renderanno conto che la RFT è lo Stato degli imprenditori (cioè dei capitalisti) e che non a caso la RDT si chiamava Stato degli operai e dei contadini. Le donne daranno maggior valore, nella nuova situazione, alla parità e al diritto di decidere sul proprio corpo di cui godevano nella RDT. Dopo aver conosciuto da vicino le leggi e il diritto della RFT molti diranno, con la signora Bohley, a cui i comunisti non piacciono: «Abbiamo chiesto giustizia. Ci hanno dato un altro Stato». Molti capiranno anche che la libertà di scegliere tra CDU/CSU, SPD e FDP è solo una libertà apparente. Si renderanno conto che nella vita di tutti i giorni, specialmente sul posto di lavoro, avevano assai più libertà nella RDT di quante ne abbiano ora. Infine la protezione e la sicurezza che la piccola RDT, così povera rispetto alla RFT, garantiva ai suoi cittadini non saranno più minimizzate come cose ovvie, perchè la realtà quotidiana del capitalismo si incaricherà adesso di far capire a tutti quanto fossero preziose. Il bilancio della storia quarantennale della RDT è diverso da quello che ci viene presentato dai politici e dai mass media. Col passar del tempo questo sarà sempre più evidente. Vorreste trasformare il processo contro di noi, membri del Consiglio Nazionale della Difesa della RDT, in un processo di Norimberga contro i comunisti. Ma questo tentativo è condannato al fallimento. Nella RDT non c’erano campi di concentramento, non c’erano camere a gas, sentenze politiche di morte, tribunali speciali, non c’erano Gestapo ne’ SS. La RDT non ha fatto guerre e non ha commesso crimini di guerra contro l’umanità. La RDT è stata un paese coerentemente antifascista che godeva di altissimo prestigio internazionale per il suo impegno in favore della pace. Il processo contro di noi «pezzi grossi» della RDT deve servire di risposta a quanti dicono «se la prendono con i pesci piccoli, i grossi invece li lasciano scappare». La nostra condanna servirebbe dunque ad eliminare ogni ostacolo per poter perseguitare anche i «pesci piccoli». Finora comunque non è che si siano trattenuti più di tanto dal farlo. II processo serve a costruire la base per bollare la RDT come Stato ingiusto e illegale. Uno Stato governato da «criminali» e «omicidi» del nostro calibro non può che essere illegale e ingiusto. Chi stava in stretto rapporto con questo Stato, chi ne era cittadino cosciente dei propri doveri deve essere marcato con il segno di Caino. Uno Stato contrario al diritto non può esser retto e governato che da «organizzazioni criminali» come il Ministero per la Sicurezza e la SED. Si invocano colpe e condanne collettive in luogo di responsabilità individuali perchè così si può mascherare la mancanza di prove dei crimini attribuiti. Ci sono pastori e parroci della RDT che vengono dati in pasto a una nuova inquisizione, una moderna caccia alle streghe. Milioni di persone vengono così emarginati e banditi dalla società. Molti si vedono ridurre fino all’estremo le possibilità di esistenza. Basta essere registrati come «collaboratori informali» per essere condannati alla morte civile. Il giornalista autore delle denuncie riceve elogi e laute ricompense. Delle sue vittime nessuno si cura. Il numero dei suicidi è un tabù. E tutto ciò ad opera di un governo che si vuole cristiano e liberale e con la tolleranza o addirittura l’appoggio di un’opposizione che non merita questo nome più di quanto meriti la qualifica «sociale». Il tutto con il marchio di qualità dello Stato di diritto che si sono autoattribuiti. Questo processo rivela tutta la sua dimensione politica anche come processo agli antifascisti. Nel momento in cui la marmaglia neonazista impazza impunita per le strade e gli stranieri sono perseguitati e assassinati come a Mölln, ecco che lo stato di diritto mostra tutta la sua forza arrestando gli ebrei che protestano e perseguendo i comunisti. Per far questo non si lamentano carenze di funzionari e di fondi. Sono cose queste che abbiamo già visto in passato. Questo processo, se ne vogliamo riassumere i contenuti politici, si pone in continuità con la guerra fredda e nega la nuova mentalità. Esso svela il vero carattere politico di questa Repubblica Federale. L’accusa, gli ordini di cattura e la sentenza del tribunale sull’ammissibilità dell’accusa portano l’impronta dello spirito della guerra fredda. Le sentenze si rifanno a precedenti del 1964. Da allora il mondo è cambiato, ma la giustizia tedesca imbastisce processi politici come al tempo di Guglielmo II. Ha superato ormai la momentanea «debolezza» politica liberale che l’aveva colpita dopo il 1968 e adesso ha recuperato la splendida forma anticomunista di un tempo. Di noi si dice che siamo dei dinosauri incapaci di rinnovarci. Questo processo fa vedere dove stanno in realtà i dinosauri e chi è incapace di rinnovarsi. Verso l’esterno si fa mostra di grande flessibilità. A Gorbaciov viene attribuita la cittadinanza onoraria di Berlino e magnanimamente gli si perdona di aver elogiato i cosiddetti tiratori del muro iscrivendo il proprio nome nel loro registro d’onore. All’interno invece ci si mostra «duri come l’acciaio di Krupp» e il vecchio alleato di Gorbaciov viene messo sotto processo. Gorbaciov e io siamo stati entrambi esponenti del movimento comunista internazionale. E’ noto che su alcuni punti essenziali avevamo opinioni divergenti. In quella fase però io pensavo che gli elementi di divergenza fossero meno rilevanti di quello che avevamo in comune. Il cancelliere federale non mi ha paragonato a Goebbels, come ha fatto con altri, ne glielo avrei mai perdonato. Nè per il cancelliere nè per Gorbaciov il processo contro di me costituisce un ostacolo alla loro stretta amicizia. Anche questo è significativo. Le mie considerazioni terminano qui. Fate dunque quello che non potete fare a meno di fare.»
Post n°15451 pubblicato il 13 Novembre 2019 da Ladridicinema
Marco Rizzo è con Fausto Longo.9 Novembre 2019. Dopo 30 anni dalla caduta del muro di Berlino, la globalizzazione capitalistica vive ancora nel timore di un mondo comunista, il cambiamento del sistema attraverso la presa del potere politico da parte dei lavoratori. Da giorni e giorni i media sparano falsità sulla storia della DDR e sul movimento comunista internazionale. Questo spiega il feroce anticomunismo che si è manifestato con la risoluzione approvata dal parlamento europeo che equipara il comunismo al nazismo. Un anticomunismo che ha come bersaglio la menzogna sulla storia della seconda guerra mondiale, sul ruolo indispensabile dell'Urss e della Armata Rossa nel liberare l'Europa dal nazismo. La grande finanza, le multinazionali, il FMI, la UE e la NATO fanno bene ad avere paura perchè la ragione sta dalla nostra parte e vinceremo. Lo sapeva bene il compagno Presidente Erich Honecker nel suo discorso davanti al Tribunale di Berlino nel 1991 che qui ripropongo integralmente. Buona lettura. «Difendendomi dall’accusa manifestamente infondata di omicidio non intendo certo attribuire a questo Tribunale e a questo procedimento penale l’apparenza della legalita’. La difesa del resto non servirebbe a niente, anche perche’ non vivro’ abbastanza per ascoltare la vostra sentenza. La condanna che evidentemente mi volete infliggere non mi potra’ piu’ raggiungere. Ora tutti lo sanno. Basterebbe questo a dimostrare che il processo e’ una farsa. E’ una messa in scena politica.
Nessuno nelle regioni occidentali della Germania, compresa la citta’ di prima linea di Berlino Ovest, ha il diritto di portare sul banco degli accusati o addirittura condannare i miei compagni coimputati, me o qualsiasi altro cittadino della RDT, per azioni compiute nell’adempimento dei doveri emananti dallo Stato RDT. Se parlo in questa sede, lo faccio solo per rendere testimonianza alle idee del socialismo e per un giudizio moralmente e politicamente corretto di quella Repubblica Democratica Tedesca che piu’ di cento stati avevano riconosciuto in termini di diritto internazionale. Questa Repubblica, che ora la RFT chiama Stato illegale e ingiusto, è stata membro del Consiglio di Sicurezza dell’ O.N.U., che per qualche tempo ha anche presieduto, e ha presieduto per un periodo la stessa l’Assemblea generale. Non mi aspetto certo da questo processo e da questo Tribunale un giudizio politicamente e moralmente corretto della RDT, ma colgo l’occasione di questa messa in scena politica per far conoscere ai miei concittadini la mia posizione. La situazione in cui mi trovo con questo processo non è un fatto straordinario. Lo Stato di diritto tedesco ha già perseguitato e condannato Karl Marx, August Bebel, Karl Liebknecht e tanti altri socialisti e comunisti. Il terzo Reich, servendosi dei giudici ereditati dallo Stato di diritto di Weimar portò avanti quest’opera in molti processi, uno dei quali io stesso ho vissuto in qualità di imputato. Dopo la sconfitta del fascismo tedesco e dello Stato hitleriano, la RFT non ha avuto bisogno di cercarsi nuovi procuratori della repubblica e nuovi giudici per riprendere a perseguitare penalmente in massa i comunisti, togliendo loro il lavoro e il pane nei tribunali del lavoro, allontanandoli dagli impieghi pubblici tramite i tribunali amministrativi o perseguitandoli in altri modi. Ora capita a noi quello che ai nostri compagni della Germania occidentale era già capitato negli anni ‘50. Da circa 190 anni è sempre lo stesso arbitrio che si ripete. Lo Stato di diritto della Repubblica Federale Tedesca non è uno stato di diritto ma uno stato delle destre [gioco di parole in tedesco, N.d.T.]. Per questo processo, come per altri in cui altri cittadini della RDT vengono perseguitati per la loro contiguità col sistema di fronte ai tribunali penali o del lavoro, sociali o amministrativi, c’è un argomento principe che viene usato. Politici e giuristi sostengono: dobbiamo condannare i comunisti perchè non lo abbiamo fatto con i nazisti. Questa volta dobbiamo fare i conti con il nostro passato. A molti sembra un ragionamento ovvio, ma in realtà è totalmente falso. La verità è che la giustizia tedesco‑occidentale non poteva punire i nazisti perchè i giudici e i procuratori della repubblica non potevano punire se stessi. La verità è che questa giustizia della Germania Federale deve il suo attuale livello, comunque lo si voglia giudicare, ai nazisti di cui ha assunto l’eredità. La verità è che i comunisti e i cittadini della RDT vengono perseguitati oggi per le stesse ragioni per cui sono sempre stati perseguitati in Germania. Solo nei 40 anni di esistenza della RDT le cose sono andate in senso opposto. E’ con questo spiacevole inconveniente che bisogna ora fare i conti. Il tutto naturalmente nel pieno rispetto del diritto. La politica non c’entra assolutamente niente! I giuristi più eminenti di questo paese, tanto dei partiti di maggioranza che della SPD, giurano che il nostro processo altro non è che un normale processo penale, non un processo politico, non una messa in scena. Vengono arrestati i membri di uno dei più alti organismi statali del paese confinante e si dice che però la politica non c’entra niente. Si contestano ai generali della contrapposta alleanza militare le decisioni prese, ma si sostiene che la politica non c’entra niente. Quelle stesse personalità che ieri venivano ricevute con tutti gli onori come ospiti di stato e interlocutori degli sforzi congiunti per impedire che potesse mai più scaturire una guerra dal suolo tedesco, vengono oggi etichettate come criminali. Ma anche questo non avrebbe niente a che fare con la politica. Si mettono sotto accusa i comunisti, che da quando sono apparsi sulla scena politica sono sempre stati perseguitati, ma nella RFT oggi tutto ciò non avrebbe niente a che fare con la politica. Per me e, credo, per chiunque non sia prevenuto, è evidente che questo processo è politico come solo può esserlo un processo contro la dirigenza politica e militare della RDT. Chi lo nega non sbaglia, chi lo nega mente. Mente per ingannare ancora una volta il popolo. Con questo processo si fa proprio ciò di cui noi veniamo accusati: ci si sbarazza degli avversari politici con i mezzi del diritto penale. Ma naturalmente tutto avviene secondo la legge. Anche altre circostanze mostrano senza ombra di dubbio che con questo processo si perseguono fini politici. Come mai il cancelliere federale, come mai il signor Kinkel, già capo dei servizi segreti, poi ministro della giustizia e infine ministro degli esteri della RFT si sono tanto impegnati per riportarmi a qualsiasi costo in Germania e rinchiudermi nel carcere di Moabit dove sono già stato sotto Hitler? Come mai il cancelliere ha lasciato che io volassi a Mosca per poi far pressioni su Mosca e sul Cile perché mi consegnassero, contro ogni principio del diritto internazionale? Come mai i medici russi che avevano fatto la diagnosi giusta al primo esame l’hanno poi dovuta falsificare? Come mai io e i miei compagni, che di salute non stanno tanto meglio di me, veniamo trascinati di fronte al popolo come facevano anticamente gli imperatori romani con i loro avversari prigionieri? Non so se tutto questo abbia una spiegazione razionale. Forse si conferma il detto antico che coloro che Dio vuole perdere prima li acceca. Una cosa comunque è chiara, ed è che tutti quegli uomini politici che un tempo mi chiedevano udienza ed erano felici di potermi a loro volta ricevere, non usciranno indenni da questo processo. Anche i bambini in Germania sapevano che degli uomini erano stati uccisi al muro e che tra i politici viventi il massimo responsabile del muro ero io, presidente del Consiglio Nazionale della Difesa (CND), segretario generale, presidente del Consiglio di Stato della RDT. Non ci sono perciò che due sole possibilità: la prima è che i signori politici della RFT abbiano coscientemente, liberamente e persino avidamente cercato di avere rapporti con un assassino. La seconda è che essi coscientemente e con soddisfazione lasciano adesso che un innocente venga incolpato di omicidio. Di queste due possibilità nessuna torna a loro onore. Una terza possibilità non c’è. Ma chi accetta un dilemma di questo genere e risulta perciò comunque, tanto in un caso come nell’altro, una persona priva di carattere, o è cieco oppure persegue altri fini che gli premono più del proprio onore. Ammettiamo pure che nè’ il signor Kohl, nè il signor Kinkel, nè gli altri signori ministri e dirigenti di partito della Repubblica Federale Tedesca siano ciechi (cosa che non mi sento affatto di escludere). Rimane, come scopo politico di questo processo, la volontà di discreditare totalmente la RDT e con essa il socialismo in Germania. Il crollo della RDT e del socialismo in Germania e in Europa evidentemente ancora non gli basta. Devono eliminare tutto ciò che può far apparire questo periodo in cui gli operai e i contadini hanno governato in una luce diversa da quella della perversione e del delitto. La vittoria dell’economia di mercato (come chiamano oggi eufemisticamente il capitalismo) deve essere assoluta, e così la sconfitta del socialismo. Si vuole fare in modo, come diceva Hitler prima di Stalingrado, che quel nemico non si rialzi mai più. I capitalisti tedeschi in effetti hanno sempre avuto un’inclinazione per l’assoluto. Questa finalità del processo, questa volontà di uccidere ancora una volta il socialismo già dato per morto, mostra quale sia il giudizio che il signor Kohl, il governo e anche l’opposizione della RFT danno della situazione. Il capitalismo ha vinto economicamente scavandosi la fossa, cosi come aveva fatto Hitler vincendo militarmente. In tutto il mondo il capitalismo è entrato in una crisi priva di sbocchi. Non gli è rimasta altra scelta che sprofondare in un caos ecologico e sociale oppure accettare la rinuncia alla proprietà privata dei mezzi di produzione e quindi il socialismo. Ambedue le alternative significano la sua fine. Ma per i potenti della Repubblica Federale Tedesca il pericolo più grave è chiaramente il socialismo. E questo processo deve servire a prevenirlo, così come deve servire a prevenirlo tutta la campagna contro la ormai scomparsa RDT, che deve essere marchiata come stato ingiusto e illegale. Tutti i casi di morte per ragioni non naturali nel nostro paese ci hanno sempre colpito. Le uccisioni al muro non solo ci hanno colpito umanamente, ma ci hanno anche danneggiati politicamente. Più di ogni altro io porto dal maggio 1971 il peso della responsabilità politica del fatto che si è sparato, in base alle disposizioni sull’uso delle armi da fuoco, contro chi cercava di attraversare senza autorizzazione il confine tra la RDT e la RFT, tra il Patto di Varsavia e la NATO. E’ una pesante responsabilità, certo. Dirò più avanti perché me la sono assunta. Ma ora, in sede di definizione di quella che è la finalità politica di questo processo, non posso fare a meno di sottolineare anche il tipo di mezzi che vengono utilizzati per cercare di raggiungere il fine di diffamare la RDT. I mezzi utilizzati sono i morti al muro. Questi morti devono servire e servono a rendere appetibile ai media questo processo, come altri in precedenza. Tra i morti mancano però le guardie di confine della RDT assassinate. Abbiamo già visto, e soprattutto voi avete già visto, come le immagini dei morti siano state oggetto di mercato, senza rispetto per la pietà e la decenza. Questi sono i mezzi con cui si fa politica e si crea il giusto clima. Così si usano, anzi cosi si abusa dei morti nella lotta che i padroni conducono per mantenere la proprietà capitalistica. Perchè di questo e niente altro si tratta nella lotta contro il socialismo. I morti servono a mostrare quanto la RDT e il socialismo fossero inumani e anche a sviare l’attenzione dalla miseria del presente e dalle vittime dell’economia di mercato. Tutto ciò viene fatto democraticamente, legalmente, cristianamente, umanamente e per il bene del popolo tedesco. Povera Germania! E ora entriamo nel merito. I procuratori della città di prima linea ci accusano di omicidio come criminali comuni. Dato che personalmente non abbiamo ammazzato nessuna delle 68 persone la cui morte ci viene contestata nell’accusa, e dato che evidentemente non abbiamo nemmeno ordinato in precedenza che fossero uccisi, ne abbiamo in qualche modo provocato la loro morte, ecco che l’accusa, a pagina 9, mi contesta letteralmente: « è... di aver ordinato, in qualità di segretario del Consiglio Nazionale della Difesa e responsabile dei problemi della sicurezza del CC della SED, di rafforzare le opere di confine intorno a Berlino (ovest) e gli sbarramenti di confine con la RFT per rendere impossibile il passaggio ». Più avanti l’accusa mi contesta di aver partecipato in 17 sedute del CND dal 29/1l/1961 all’ 1/7/1983 alle decisioni di: « costruire ulteriori sbarramenti di mine a strappo (dove la parola “ulteriori” fa capire che le forze armate sovietiche avevano già installato questi sbarramenti); migliorare il sistema di sicurezza del confine e l’addestramento all’uso delle armi da parte delle guardie confinarie; impedire gli sconfinamenti». Mi si contesta inoltre di «aver dichiarato il 3/5 1974 che bisognava far ricorso senza scrupoli alle armi da fuoco» (cosa peraltro non vera) e infine di «aver votato a favore del progetto di legge confinaria entrato in vigore il 1° maggio l982». Le accuse contro di me, o contro di noi, si riferiscono dunque a decreti del Consiglio Nazionale della Difesa, decreti di un organo costituzionale della RDT. Oggetto del procedimento è dunque la politica della RDT, sono le decisioni prese dal CND per difendere e preservare la RDT come Stato. Questo procedimento serve a criminalizzare questa politica. La RDT deve essere marchiata come Stato illegale e ingiusto e tutti coloro che l’hanno servita devono essere bollati come criminali. La persecuzione contro decine di migliaia ed eventualmente centinaia di migliaia di cittadini della RDT, di cui già parla la procura: questo è il vero scopo di questo procedimento, preparato da processi‑pilota contro guardie di confine e accompagnato da innumerevoli altri procedimenti giudiziari discriminatori dei cittadini della RDT, condotti di fronte a tribunali civili, sociali, del lavoro o amministrativi, nonché da moltissimi atti amministrativi. Non è in gioco dunque solamente la mia persona o quella degli alai imputati di questo processo. E’ in gioco molto di più. E’ in gioco il futuro della Germania e dell’Europa, anzi del mondo che, con la fine della guerra fredda e con la nuova mentalità, sembrava dovesse entrare in una fase tanto positiva. Qui non solo si prosegue la guerra fredda, ma si vogliono gettare le fondamenta di un’Europa dei ricchi. L’idea della giustizia sociale deve essere soffocata una volta per tutte. Bollarci come assassini serve a questo. Io sono l’ultimo a oppormi a norme morali e legali che servano a giudicare e anche condannare gli uomini politici. Ma tre condizioni devono essere soddisfatte: Le norme devono essere formulate esattamente in precedenza. Esse devono valere allo stesso modo per tutti gli uomini politici. La sentenza deve essere pronunciata da un tribunale al di sopra delle parti, un tribunale dunque che non deve essere composto né da amici né da nemici degli accusati. Mi sembra che si tratti di condizioni ovvie, eppure nel mondo attuale non mi sembra che possano ancora essere soddisfatte. Se voi oggi sedete in giudizio contro di noi, lo fate come tribunale dei vincitori contro i vinti. Questo fatto é espressione dei rapporti di forza reali, ma non può pretendere validità giuridica né costituire un atto di giustizia. Basterebbero questi argomenti a dimostrare l’illegalità dell’accusa. Ma poiché non ci sottraiamo al confronto neanche nel particolare, voglio dire io quel che l’accusa, o per malafede o per cecità, non dice. Abbiamo già citato le parole con cui l’accusa inizia l’enumerazione cronologica dei fatti che ci vengono contestati: « I1 12 agosto 1961 l’imputato Honecker, in qualità di segretario del CND e responsabile dei problemi della sicurezza del CC della SED ordinava di rafforzare le opere di confine intorno a Berlino (ovest) e gli sbarramenti di confine con la RFT per rendere impossibile il passaggio ». Questo modo di vedere la storia è assai eloquente. Il responsabile dei problemi della sicurezza del CC della SED nel 1961 dava disposizioni su un fatto che poteva cambiare la storia del mondo! Qui si supera anche l’autoironia dei cittadini della RDT che chiamavano il loro paese «la più grande RDT del mondo». Va bene che oggi Enno von Löwenstein cerca di ingigantire la RDT per dare così più valore alla vittoria della RFT, ma neanche quest’ala destra del giornalismo politico tedesco riesce a fare della RDT una grande potenza mondiale. Questo rimane prerogativa dell’«autorità più obiettiva del mondo», la procura della repubblica. Ciascuno è padrone di rendersi ridicolo di fronte alla storia a proprio piacimento. Ma in ogni caso la costruzione del muro fu decisa a Mosca il 5/8/1961 in una riunione degli Stati del Patto di Varsavia. In quella alleanza tra i paesi socialisti la RDT era un membro importante, ma non la potenza guida. Questo il tribunale lo potrebbe dare per assodato senza bisogno di dimostrazione.
Post n°15450 pubblicato il 13 Novembre 2019 da Ladridicinema
La cantante tra gli artisti dell'album di cover Note di viaggio Roma, 4 nov. (askanews) – Elisa racconta del suo rapporto con Francesco Guccini e le sue emozioni nel cantare uno dei suoi brani più famosi, “Auschwitz”. “Non l’ho mai conosciuto bene, credo di avergli stretto la mano una volta, è stato molto gentile, sorridente, semplice” ricorda la cantante parlando dallo studio di registrazione. Elisa è tra gli artisti, accanto a Manuel Agnelli, Malika Ayane, Samuele Bersani, Brunori Sas, Luca Carboni, Carmen Consoli, Francesco Gabbani, Ligabue, Giuliano Sangiorgi, Margherita Vicario e Nina Zilli, ad aver preso parte a “Note di Viaggio – capitolo 1: venite avanti “, la prima parte dell’attesa raccolta delle più belle e indimenticabili canzoni di Guccini, prodotta e arrangiata da Mauro Pagani e interpretate dalle grandi voci della musica italiana, in uscita il 15 novembre per BMG, già disponibile in pre-order. “Mi ha sempre affascinato Guccini – racconta ancora Elisa – nel suo lavoro il testo è centrale e la musica ruota intorno… , è poesia urbana” ha detto, parlando poi della sua emozione nel reinterpretare una delle sue più famose canzoni. “Ho avuto il grandissimo onore e la responsabilità di cantare un brano come ‘Auschwitz’ ed è stato fortissimo per me, emozionante; l’ho fatto anche perché nella mia storia familiare lo sento fortissimo, mio nonno era un partigiano ed è stato deportato a Buchenwald. Mio nonno era anche legato alla musica, quindi per me è stato come un segno del destino che mi proponesse di cantare proprio questo brano”.
Post n°15449 pubblicato il 13 Novembre 2019 da Ladridicinema
GUCCINI E PAGANI A MILANO PRESENTANO “NOTE DI VIAGGIO” Pubblicato su 9 Novembre 2019 by admin Francesco Guccini e Mauro Pagani presenteranno il prossimo 18 novembre, a Milano, “Note di Viaggio, Venite Avanti…”, il primo volume della raccolta delle più belle canzoni del cantautore modenese interpretate dalle grandi voci della musica italiana.
Appuntamento, dalle ore 17.00, presso la Fondazione Feltrinelli in Viale Pasubio 5 a Milano. Pubblicato in NewsTaggato francesco guccini, guccini mauro pagani, guccini note di viaggio
Post n°15448 pubblicato il 13 Novembre 2019 da Ladridicinema
A 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino di Fosco Giannini In questi giorni, coi fescennini e i canti tribali di un’orgia disgustosa, i media italiani e di tutto l’occidente capitalistico celebrano i trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, 9 novembre 1989. I canti tribali, col monotòno anticomunista, occupano ogni televisione nazionale e privata, ogni radio, ogni giornale, ognuno dei cento e cento siti “politici” e “culturali” dispersi nella Rete, tutta la Rete. L’azione vandalica si estende su di un terreno vastissimo, ma il messaggio è unico e totalizzante: il Muro di Berlino è stato l’orrore, l’oscurità della Storia, il disumano, ed esso ha incarnato il socialismo stesso, che dunque è oscurità e orrore. L’apparato semantico dell’intero sistema mediatico occidentale è un esercito distruttore in cammino e nel suo procedere implacabile, nella sua narrazione non ha né dubbi né zone grigie, né analisi né storicizzazione: il Muro è stato eretto “improvvisamente”, il 13 agosto del 1961, per volontà di un gruppo dirigente folle e maligno, perché così è il socialismo, erige muri, semina terrore, senza motivazioni. Dal fiume infinito di articoli, saggi, trasmissioni sul trentesimo anniversario della caduta del Muro non emerge una frase, un rigo appena, un modesto accenno ai perché storici di quella edificazione e un giovane lettore può pensare che lì, nella Germania Est, semplicemente, come in un graphic novel americano, s’estendeva il Regno del Male. Al contrario, un’intera letteratura sociologica si riversa dai media per imporre l’idea che al di là del Muro vi era un intero popolo reso schiavo dalla dittatura comunista, vi era una parte della Germania ridotta ad un’unica ed opprimente caserma, uomini e donne dall’anima incatenata e dai corpi che conoscevano solo la miseria e la fame. Questo quadro è dipinto dall’esercito di giornalisti e intellettuali d’osservanza capitalistica che il mainstream occidentale ha sguinzagliato per raccontare il Muro di Berlino. Il compito che la classe dominante ha dato a questo esercito è stato quello di costruire una falsa coscienza di massa, in tutta Europa, in tutto l’occidente, volta a identificare il socialismo con la repressione e il terrore, elevando il Muro a paradigma di questo nefasto socialismo. Compito portato a termine, riuscito, poiché, ora, pochi altri eventi storici, secondo la narrazione odierna sul Muro, hanno in sé tanta densità del Male. Con tutto il Male che ora il Muro ha accumulato in sé diviene di second’ordine il male dell’atomica americana su Hiroshima e Nagasaki, il napalm americano sul Vietnam, il sangue versato dall’imperialismo francese in Africa, la tenebrosa “linea Pinochet”, ripetuta dagli USA in tutta L’America Latina, il “golpe” fascista dei colonnelli in Grecia, nel 1967 ( solo sei anni dopo l’edificazione del Muro) sostenuto dagli USA e dalla NATO, la distruzione della Jugoslavia e l’uranio impoverito sparato dall’occidente buono per seminare leucemia sulle presenti e future generazioni, la distruzione dell’Iraq, della Libia, della Siria e i milioni di morti e di profughi prodotti dalle bombe buone dell’imperialismo, i nazifascisti organizzati dagli USA, dalla NATO e dall’Ue per sostenere il golpe in Ucraina: tutto questo male viene raccolto e spostato, in questi giorni, sul Muro di Berlino che in sé tutto lo raccoglie. Si chiama spostamento. Si chiama rimozione. E se la Storia, quella vera, un giorno, in occidente, rialzerà la testa, uomini come Ezio Mauro, de “la Repubblica”, apripista della menzogna sul Muro di Berlino e sul socialismo, dovranno essere messi alla gogna. La cultura occidentale è fortemente segnata dalla categoria kantiana della “cosa in sé”, priva di relazioni con il tutto reale. Si potrebbe pensare, a partire da un tale assunto, a partire dalla potenza di fuoco ideologica dispiegata contro il Muro di Berlino che è il Muro in sé, ogni Muro, a indignare l’occidente capitalistico. Ma se fosse così, perché Ezio Mauro e l’intero esercito di aedi dell’occidente imperialista tacciono sul lungo Muro che Israele ha eretto per accerchiare e incarcerare il popolo palestinese nella sua stessa terra? Perché fingono di non vedere il Muro che la Corea del Sud (colonia americana) ha costruito nella Penisola di Corea, per dividere l’intero popolo coreano, secondo i voleri USA? Perché fingono di non vedere il Muro che ha eretto il Marocco contro il popolo sahraui, per contenerne la lotta liberatrice? Perché i mille giornalisti e i reggimenti di intellettuali che ora raccontano il Muro di Berlino come fosse il castello di Dracula, in Transilvania, non si strappano i capelli per il Muro che Obama ha eretto sul confine del Messico e che ora Trump allunga e rafforza? E oltre tutto ciò, oltre i muri di mattoni, di reticolati, c’è un immenso Muro che l’imperialismo ha eretto nel mondo intero, accelerandone l’edificazione nella fase post sovietica: quello economico, politico e militare che serve a separare i ristretti ceti ricchi del mondo dai vasti popoli della miseria, il Muro che serve a dividere i tre miliardi e mezzo di uomini e donne - i tre quarti della popolazione mondiale adulta che detengono complessivamente meno del 2,5% della ricchezza globale - dai signori della ricchezza e della guerra, difesi dalle spade degli USA e dell’occidente imperialista.
L’immenso festival occidentale che si sta svolgendo per demonizzare il Muro di Berlino e che in verità ha come obiettivo il socialismo stesso, il comunismo, ha bisogno, per funzionare, per conquistare la coscienza di centinaia di milioni di persone, di mettere impunemente in campo un intero apparato scientifico di menzogne. La prima delle quali è relativa al supposto ruolo che la Germania socialista (la Repubblica Democratica Tedesca, la RDT) avrebbe scientemente svolto per dividere l’intero popolo tedesco in due popoli contrapposti, uniti poi solo dalla caduta del Muro. Qui, la rimozione è titanica, la menzogna è spaventosa. Mentre l’Unione Sovietica, alla fine della seconda guerra mondiale, si dichiarava contraria alla divisione della Germania, furono proprio le potenze imperialiste (USA, Francia e Gran Bretagna) a lavorare strenuamente affinché le “zone” tedesche da esse militarmente occupate si distaccassero dalla “zona” tedesca occupata dall’Armata Rossa, nell’intento di costruire una Germania capitalista legata alle forze imperialiste e prioritariamente subordinata agli USA e alla nascente NATO. Per questo obiettivo (portare subito nel campo imperialista la parte tedesca potenzialmente più ricca e industrializzata), gli USA, la Francia e la Gran Bretagna non smantellarono affatto le strutture naziste (come invece avveniva nella “zona” sovietica) ma riconsegnarono immediatamente ruolo, dignità e libertà d’azione ai gruppi capitalistici tedeschi (a partire dalla Krupp e dalla Siemens) che avevano sorretto Hitler. Da questa linea franco-britannica-americana (in netto disaccordo con gli stessi accordi di Jalta e di Potsdam) prende corpo la divisione della Germania e si costituisce (il 23 marzo 1949, un solo mese prima, significativamente, della nascita della NATO) la Repubblica Federale Tedesca (RFT), il nuovo nocciolo imperialista tedesco consustanziale al fronte imperialista e anticomunista mondiale.
È solo a partire da ciò, da questo fatto storico centrale, che va compreso il senso ultimo dell’edificazione del Muro di Berlino. Senza contestualizzazione, l’edificazione del Muro appare, come vuole la propaganda imperialista occidentale, un’operazione di tetri tiranni. I gruppi dirigenti della SED (il Partito di Unità Socialista che guida la RDT dal 1949) erano invece gli eredi della grande cultura politica e filosofica tedesca di Marx ed Engels, di Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht ed Ernst Thalmann. Erano gli eredi delle lotte contro le guerre imperialiste, delle grandi lotte per la pace e per la costruzione del socialismo.
La Guerra Fredda voluta dalle forze imperialiste (una Guerra Fredda che già si palesa come progetto del fronte imperialista durante la coda della stessa guerra calda, attraverso lo sganciamento dell’atomica su Hiroshima e Nagasaki) come risposta all’immenso prestigio che l’URSS aveva conquistato per la vittoria contro il nazifascismo e come reazione alla conseguente espansione universale dei valori del socialismo, muove i suoi primi passi proprio attraverso il lavorio, condotto dagli USA e dai suoi alleati, volto alla divisione della Germania attraverso la collocazione della Germania Ovest nel campo imperialista.
La Guerra Fredda imperialista vede accelerare il suo passo, peraltro, proprio attraverso l’entrata della Repubblica Federale Tedesca nella NATO, nel 1955, atto che sancisce la rottura del progetto di pace mondiale sostenuto dall’URSS dopo gli orrori della seconda guerra mondiale e che costringe il campo socialista (ben sei anni dopo la costituzione della NATO) a rispondere all’aggressività militare imperialista con il Patto di Varsavia. Un altro, eclatante, avviso da parte degli USA che il progetto di pace è recisamente respinto sarà la guerra americana in Corea, dal 1950 al 1953. Ma sarà proprio contro la Germania socialista che si scatenerà con forza il disegno di un’immediata destrutturazione del “campo” e dei sistemi socialisti prodotti dalla fine della seconda guerra in Europa. Il progetto del ritorno ad una Germania imperialista riunificata e legata al fronte imperialista mondiale in funzione anticomunista e antisovietica è in nuce, tra gli USA e i suoi alleati, sin dalla strenuamente ricercata divisione della Germania e dalla costituzione della RFT e tale progetto è un tutt’uno col progetto di attacco e destrutturazione della RDT e dell’intero “campo” socialista dell’Europa dell’Est. In questo contesto va compresa e ricordata la potentissima azione politica, economica e ideologica che gli USA e gli altri Paesi imperialisti iniziano a sferrare, sin dai primi anni ’50, contro la Repubblica Democratica Tedesca.
Fanno parte di questa Guerra Fredda contro il socialismo tedesco la secca e impunita autoriduzione, da parte della RFT (ma sollecitata dagli USA) del pagamento dei danni di guerra prodotti dal nazismo, danni per i quali la Germania filo americana pagò, infine, solo 2, 1 miliardi di dollari, a fronte dei 99,1 miliardi di dollari che pagò la Germania socialista. Questione, questa dell’enorme pagamento iniziale da parte della Germania socialista, che sta alla base della difficoltà del pieno sviluppo economico della RDT ed è parte significativa del dislivello costituitosi tra lo sviluppo economico della Germania dell’Ovest e quello dell’Est. Fanno parte di questa Guerra Fredda gli aiuti economici straordinari che gli USA e il fronte imperialista dettero alla RFT, nella lucida strategia volta a far emergere una differenza di sviluppo tra le due Germanie; fanno parte di questa Guerra gli aiuti economici americani volti a far sì che le aziende tedesche dell’ Ovest avessero i mezzi per attrarre, con stipendi dorati, gli scienziati, i tecnici e gli intellettuali della RDT nella Germania capitalista; fa parte di questa Guerra la messa in campo di una poderosa propaganda mediatica volta all’esaltazione delle “libertà” e della ricchezza della Germania capitalista, propaganda che si accompagna all’attivazione, all’interno stesso della RDT, di una vera e propria militanza intellettuale e sociale volta a denigrare la Germania socialista e mitizzare quella capitalista ( chi crede poco al ruolo dei servizi segreti USA nel determinare alcune vicende storiche pensi ai grandi investimenti di risorse economiche del bilancio USA verso tali pratiche). Fa parte di questa Guerra la costruzione, da parte dell’occidente capitalistico, della mitologia della miseria di massa nella Germania socialista. Vera e propria menzogna di fronte ai risultati concreti dell’economia socialista tedesca, che furono particolarmente positivi dopo il superamento dell’iniziale e rigido modello di economia pianificata e dopo l’attuazione de “Nuovo sistema economico di pianificazione e direzione” sostenuto dall’allora segretario della SED Walter Ulbricht e che portò, dal 1964 al 1970, ad una crescita annua media del reddito nazionale del 5% e ad un tasso di accumulazione addirittura del 20%. E ciò di fronte agli enormi problemi di partenza che subì l’economia socialista tedesca: l’enorme spesa per i ripagare i danni di guerra del nazismo (che, come abbiamo visto, la RFT non pagò); la penuria di materie prime (in gran parte allocate nella Germania capitalista); l’emigrazione sino al 1961, che il Murò tentò di contenere, verso l’Ovest, di due milioni di cittadini , circa il 20% dell’intera forza lavoro, specie tecnica, scientifica ed intellettuale attratta da ben più alti stipendi; la difficile integrazione nel Comecon, il mercato socialista segnato da economie deboli e più arretrate di quella tedesca e chiuso al mercato mondiale; la cosiddetta “dottrina Hallstein”, la linea politica della RFT indotta dagli USA che interrompeva i rapporti diplomatici con i Paesi che riconoscevano la RDT. Questione che allontanava ancor più la Germani socialista dalle relazioni e dal mercato mondiale.
E’ in questo contesto che va giudicata la scelta della RDT di innalzare il Muro di Berlino, nel 1961: la Guerra Fredda annunciava tempesta, la NATO era stata costituita per pensare ad una guerra vera contro l’URSS e i Paesi socialisti, il disegno di destabilizzazione del “campo socialista” dell’Europa dell’Est e soprattutto della Germania socialista era in pieno e ribollente svolgimento, verso la parte più avanzata e qualificata dei lavoratori della Germania socialista era stato lanciato l’amo tedesco-americano degli alti stipendi e ciò al fine di colpire l’economia socialista. Inoltre la guerra di Corea aveva chiarito che gli USA erano concretamente volti alla guerra, tant’è che nelle fabbriche della RDT gli operai erano in armi, pronti a difendere il socialismo. Il Muro si erige di fronte a tutto ciò, anche di fronte alla possibilità, che a partire dalla materialità delle cose di quella fase non si poteva affatto escludere, di un attacco militare tedesco-americano.
Si può naturalmente discutere sul fatto che la scelta di costruire il Muro fosse davvero funzionale alla difesa e agli interessi del socialismo, si può certamente discutere di quanto quella costruzione abbia fatto male all’immagine del socialismo. Ma irricevibili sono le speculazioni del fronte occidentale-capitalistico, accompagnate dalla socialdemocrazia e da tanta “sinistra”: quelle secondo le quali il Muro è stato un orrore e che questo orrore è il socialismo stesso.
In verità, quando il compito che si era dato l’imperialismo (abbattere il socialismo, riunificare la Germania in un unico polo imperialista) ha trovato compimento, proprio attraverso l’abbattimento del Muro di Berlino, ciò che è iniziato non è stato un periodo prospero per i tedeschi dell’Est. La riunificazione tedesca sotto la guida di Helmut Kohl altro non è stata che una violenta annessione (una vera e propria, nuova “Anschluss”) da parte della Germania capitalista ai danni di quella socialista e la distruzione dell’economia della Germania est, della sua industria, delle sue garanzie sociali, con la conseguente produzione di una disoccupazione e di una povertà di massa sono stati i segni drammatici di quella stessa annessione.
L’imperialismo tedesco riunificato, peraltro, non ha tardato a mostrare la propria essenza reazionaria, sia quale traino della guerra contro la Jugoslavia che come “comando imperialista” di un’Unione europea ultraliberista, antipopolare e neocolonialista. Il ruolo svolto dalla Germania riunificata ai danni del popolo greco, nell’intento di imporre le regole e lo spirito di Maastricht, rimarrà come un segno intangibile della prepotenza e della violenza del nuovo imperialismo tedesco. Mentre l’intero fronte imperialista che ora celebra i trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, cantata come la nuova via della pace e della libertà, ha segnato i decenni successivi a quella caduta e alla sconfitta dell’Unione Sovietica con guerre, distruzioni e stragi di massa disseminate in ogni angolo del pianeta.
Post n°15447 pubblicato il 13 Novembre 2019 da Ladridicinema
Appena ieri nelle convulse ore quando il golpe prendeva forza, l’esercito boliviano attraverso un ambiguo comunicato aveva informato che non sarebbe intervenuto contro la popolazione. In realtà il messaggio era un altro: luce verde per i golpisti liberi così di compiere e Saccheggiare e devastare la casa di Evo Morales, così come quelle di svariati dirigenti del MAS, il fratello del presidente della Camera preso in ostaggio per costringerlo alle dimissioni in modo da non farlo subentrare a Evo Morales dopo la sua rinuncia; prendere d’assalto la sede della tv e della radio pubblica, con i dipendenti linciati e minacciati e il direttore di Bolivia Tv finito legato ad un albero; prendere d’assalto allo stesso modo sedi di istituzioni pubbliche. La prova che l’esercito e la polizia non sarebbero intervenuti, ma solo contro i golpisti e non contro il popolo, l’abbiamo avuta nella giornata di oggi. I boliviani scesi in piazza per difendere la democrazia e la legittima vittoria di Evo Morales si sono trovati a fronteggiare le forze di sicurezza boliviane oltre che le squadre d’assalto fasciste dei golpisti. A El Alto, la polizia boliviana ha sparato contro i manifestanti come mostrano queste immagini diffuse da Alba Tv. Sempre da El Alto arriva un’altra testimonianza diffusa tramite Twitter da Larissa Costas: «Tristemente stiamo vedendo come la polizia sta sparando alla popolazione…», il giovane che documenta quanto avviene denuncia che sono numerosi i feriti nella città di El Alto. Evidenziando che questo avviene a causa dei «bastardi che stanno vendendo la Patria». Questa è la «democrazia» che difendono alla CNN. Le ultime parole citate del ragazzo boliviano che da El Alto documenta la repressione contro il popolo ci porta a una necessaria riflessione. Di fronte a quanto accade in Bolivia, con il fascismo che avanza verso il completamento del golpe, dove sono finiti gli autoproclamati antifascisti in Italia? Forse lo sono a giorni alterni? Oppure lo sono in base alla collocazione geografica del fascismo?Quanto avviene in Bolivia, la vera e propria caccia all’uomo in atto sin dall’inizio dell’escalation golpista, volta ad annichilire il MAS, dovrebbe sdegnare chiunque faccia professione di antifascismo. Purtroppo non è così. Gli stessi che hanno celebrato l’avvento della ‘democrazia’ in Europa Orientale dopo la caduta del Muro di Berlino, adesso tacciono. Quando le forze del fascio-liberismo abbattono un ‘pericoloso’ governo di segno socialista, come quello di Evo Morales riuscito a rendere il paese più povero dell’America Latina in quello più dinamico e con la maggiore crescita economica della regione, per lorsignori è sempre un fatto positivo. Anche se non possono dirlo apertamente. Quindi cincischiano, preferiscono il silenzio, oppure puntano sui cosiddetti errori di Evo Morales. Che resta pur sempre un indigeno, sindacalista e per giunta antimperialista. Imperdonabile. La Bolivia segna uno spartiacque. Chi non condanna il golpe e non si schiera a favore di Evo Morales e della democrazia non può parlare di antifascismo.
Post n°15446 pubblicato il 13 Novembre 2019 da Ladridicinema
"Ahora sí, guerra civil": il popolo boliviano da El Alto a La Paz scende in campo a difesa di Evo Morales I manifestanti di El Alto, in Bolivia, si sono mobilitati, in difesa del presidente eletto costituzionalmente e senza brogli come ormai è stato chiarito, Evo Morales, costretto a rassegnare le dimissioni dopo il colpo di Stato compiuto nel paese sudamericano che lo riporta direttamente ai tempi tristi delle dittature militari. Nei video che in queste ore convulse drammatiche si vedono manifestati, con la bandiera Whiphala - rappresentativa dei popoli nativi che vivono nei territori andini che facevano parte del Tahuantinsuyo (ossia l'antico Impero Inca) - bruciata dai golpisti e rimossa dalle uniformi della polizia passata dalla parte del golpe. Pido a mi pueblo con mucho cariño y respeto cuidar la paz y no caer en la violencia de grupos que buscan destruir el Estado de Derecho. No podemos enfrentarnos entre hermanos bolivianos. Hago un llamado urgente a resolver cualquier diferencia con el diálogo y la concertación.
Post n°15445 pubblicato il 13 Novembre 2019 da Ladridicinema
ESCLUSIVA TJ - Il docufilm su Scirea, parla Nowomiejski (JuvePoland): "Così raccontiamo la sua vera storia" Sono passati 30 anni e qualche mese, ma nella memoria di chi ha vissuto quel giorno è come se fosse successo ieri. Perchè Gaetano Scirea non è stato soltanto uno dei tanti giocatori che ha vestito la maglia della Juventus. No. E' sempre stato uno di noi. Tra le tantissime testimonianze a lui dedicate, il sito dei tifosi juventini in Polonia ha realizzato un docufilm visibile gratuitamente su YouTube - con sottotitoli in italiano - in cui raccontano la storia e gli aneddoti fino ad ora sconosciuti insieme a Mariella Scirea, Giorgio Chiellini, il fotografo Salvatore Giglio e l'unico sopravvissuto di quel tragico incidente, Andrzej Zdebski. La nostra redazione ha contattato, in esclusiva, uno degli admin di Juvepoland.com, Marcin Nowomiejski: Ci puoi raccontare come nasce l'idea del docufilm? Come tifosi della Juventus in Polonia, siamo molto legati alla sua storia. Innanzitutto perché ha giocato nella stessa squadra con Zibi Boniek, ma anche per il motivo della sua morte avvenuta tragicamente nel nostro paese. Ovviamente, avremmo desiderato che la parte 'polacca' della sua storia fosse stata completamente diversa. Ci sentiamo obbligati a ricordare il suo grande personaggio qui, volevamo onorare la sua memoria proprio nel trentesimo anniversario dalla sua tragica morte. I lavori legati alla produzione del film sono durati in totale quasi un anno e si sono conclusi non soltanto grazie alla nostra determinazione, ma grazie al supporto della Juventus e dello studio creativo torinese Robin Studio che ci ha dato una mano per fare le riprese in Italia". Senza svelare nulla del docufilm, che cosa possiamo dire del "dietro le quinte"? "Da una decina di anni curiamo il posto in cui perse la vita e dove oggi si trova una croce simbolica. Conoscevamo, così come altri tifosi della Juve, la sua storia per come era raccontata su internet; ma tutto questo è cambiato nel gennaio 2017 quando sul nostro forum si è iscritto l'uomo che si è dichiarato come unico sopravvissuto di quella immane tragedia. Ci ha confermato in maniera molto veloce la sua identità e questo particolare ci ha particolarmente colpito, perché finalmente avevamo un contatto con l'ultima persona che aveva parlato con Gaetano. Conseguentemente, Andrzej conosceva la storia precisa di quello che successe tanti anni fa (in quel momento erano passati 28 anni) e chiaramente era differente da quella pubblicata su altri siti. L’uomo si è presentato come Andrzej Zdebski e ci ha raccontato del suo ultimo sogno: visitare la tomba di Gaetano Scirea a Morsasco e vedere una partita della Juventus nel suo stadio". Una vera sorpresa. "Sì, abbiamo deciso di realizzare quel desiderio e in cambio gli abbiamo chiesto una intervista in esclusiva. E’ stata l’idea iniziale per il docufilm. Poco tempo dopo abbiamo non solo realizzato il suo sogno, ma siamo riusciti anche ad organizzare un incontro con Mariella Scirea che non vedeva Zdebski dal 1989. L'incontro è stato un altro passo in avanti verso il nostro film, la stessa Mariella aveva espresso la volontà di farne parte. E qualche mese dopo ci ha raccontato la storia di Gaetano dalla sua prospettiva. Poco tempo dopo anche la Juventus si è interessata dell’iniziativa del film e la società ci ha dichiarato il suo supporto, aiutandoci tra l’altro di organizzare un’intervista con Giorgio Chiellini e con Salvatore Giglio - l'allora fotografo dei bianconeri - che conosceva personalmente Scirea e con cui collaboriamo da qualche anno". Quali sono le aspettative riposte per il bellissimo racconto che avete realizzato su Gaetano Scirea? "Il nostro primo obiettivo è quello di ricordare in maniera migliore il personaggio di Gaetano Scirea. Inoltre, conoscendo già la versione precisa di quello che è successo nel settembre 1989, desideriamo che la vera storia arrivi a tutti tifosi della Juventus. Il film si intitola 'Per non dimenticare', che è stata una delle frasi dette da Salvatore Giglio durante la produzione e ci ha colpiti davvero tanto. Quando abbiamo analizzato quanto girato, sapevamo che si poteva fare qualcosa di più oltre il classico film documentario. La nostra volontà è quella di trasmettere un messaggio positivo, con dei valori molto importanti al di là delle simpatie verso le altre squadre. Gaetano non era solo un giocatore di calcio, era un uomo che trasmetteva valori positivi verso tutti i tifosi. Speriamo che il film sia una spinta per farli riflettere, specialmente perché oggi giorno tutti viviamo in maniera veloce e superficiale spesso dimenticando di quello che davvero conta". Ritornerete ancora in Italia? "Torniamo spesso in Italia, negli ultimi cinque anni abbiamo approfittato del fatto che uno dei nostri redattori vivesse a Torino e perciò avevamo una sorta di nostro ambasciatore nel belpaese (sorride ndr). Nonostante viviamo in Polonia, veniamo molto volentieri a Torino. Ogni tanto ci basta una scusa qualsiasi per andarci". Ci hai ben parlato dell'aiuto offerto dalla Juventus per la realizzazione del docufilm. Come mai avete deciso di coinvolgere l'attuale capitano della Juventus, Giorgio Chiellini? "Volendo raccontare la storia di Gaetano Scirea da differenti punti di vista, abbiamo chiesto alla Juventus di darci una mano per organizzare un incontro con Giorgio Chiellini. Sapevamo quanto per Giorgio fosse importante la figura di Gaetano, nonostante non si siano purtroppo conosciuti. Chiellini ha scritto e pubblicato un libro in cui racconta l’importanza dei valori umani di Scirea. Eravamo convinti che il capitano della Juve potesse estendere ancor di più la storia, raccontandola come persona moderna molto stimata dai milioni di tifosi della Juventus nel mondo. Ha partecipato molto volentieri a questa iniziativa". La Juventus è la squadra più tifata d'Italia e raccoglie consensi anche fuori dal belpaese. Come è il suo tifo in Polonia e come nasce JuvePoland? "Il gruppo di JuvePoland, che unisce i tifosi bianconeri in Polonia, è nato nel 1997 e sin da subito il nostro obiettivo era quello di espandere i valori della Juventus promuovendo il suo brand nel nostro paese in modo da poter trasmettere tutte le notizie che la riguardano. Sono registrati oltre 20 mila tifosi, qui abbiamo creato uno spazio per le discussioni dato che abbiamo anche un forum. La nostra passione è condivisa anche sui vari social network come Facebook, Instagram, Twitter o YouTube. Anche se non abbiamo la possibilità di seguire tutte le partite direttamente allo Stadium, noi viviamo queste emozioni a distanza in maniera particolarmente forte. Siamo con voi tutte le settimane e tutte le giornate quando si giocano le partite. Il nostro tifo non si limita solo al seguire tutte le settimane che cosa fa la Juve. Fino ad ora, oltre la chiacchierata con Giorgio Chiellini, abbiamo realizzato interviste video con Pavel Nedved ed Alessandro Del Piero. Inoltre, abbiamo tradotto e pubblicato in Polonia ben otto libri italiani legati alla Juve come le autobiografie di Gigi Buffon, Andrea Pirlo e il già citato Alex Del Piero. Siamo molto contenti del fatto che in Polonia sempre più persone seguano la Serie A. E’ vero che è il grosso del merito è dei polacchi che attualmente giocano come Szczesny, Piatek, Milik, Zielinski e tutti gli altri. A renderci più felici è che, tra i nostri connazionali appassionati di calcio italiano la maggior parte tifa Juventus e noi speriamo di aiutarli tutti i giorni". Si ringrazia Marcin Nowomiejski di JuvePoland per la realizzazione di questa intervista. ![](https://media-foto.tccstatic.com/storage/album/thumb1/a30fa64dbf66889cef649f7f4ea2a196-69824-1573585419.jpeg) | © foto di JuvePoland
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Post n°15444 pubblicato il 13 Novembre 2019 da Ladridicinema
Trovato morto in Turchia uno dei fondatori dei 'caschi bianchi' in Siria: 'Repubblica' già fa trapelare il colpevole: La Russia Il fondatore dei caschi cianchi, ex ufficiale del servizio segreto britannico MI6 James Le Mesurier, è stato trovato morto nella città di Istanbul, secondo il rapporto dei media turchi. Per 'Repubblica' c'è già un potenziale colpevole, ovvero la Russia "James Gustaf Edward Le Mesurier, considerato fondatore dei White Helmets in Siria, è stato trovato morto davanti alla sua casa che ha usato come ufficio a Istanbul", scrivono i media turchi. Il quotidiano fondato da Eugenio Sclfari, tempestivamente già fa trapelare chi potrebbe essere il colpevole. Ovvero la Russia, in quanto venerdì scorso la portavoce della diplomazia russa, AMria Zakharova aveva accusato la sedicente organizzazione umanitaria di spionaggio. Cosa ci sia di strano in questa dichiarazione non lo sappiamo, dal momento che Le Mesurier era anche un ex agente segreto. Al momento, la versione principale che le autorità stanno prendendo in considerazione è che Le Meziere si sia suicidato. L'ex ufficiale dell'intelligence britannica sarebbe saltato dal balcone del suo appartamento al terzo piano. Si specifica che nessuna traccia di un colpo o di una ferita da coltello è stata trovata nel corpo del defunto. Le Mesurier assumeva antidepressivi. La moglie di Le Mesurier è venuta a conoscenza della sua morte attraverso la polizia che era arrivata sul posto dopo aver ricevuto una telefonata dai vicini. "Ieri abbiamo cenato insieme. Poi abbiamo preso i sonniferi e siamo andati a letto. Poche ore dopo mi sono svegliata perché ha suonato il campanello. Era la polizia, mi hanno detto che mio marito è caduto dal balcone ed è morto", racconta la donna citata dal giornale Sabah. L'ufficio del governatore di Istanbul ha riferito che è stata condotta una "indagine approfondita" sulle circostanze in cui è morto Le Mesurier. "Una vasta indagine amministrativa e giudiziaria sulla morte del cittadino britannico James Gustaf Edward Le Mesurier è stata avviata", ha affermato l'orgamismo turco in una nota. Una fonte vicina alle indagini ha riferito a Sputnik che Le Mesurier è arrivato in Turchia quattro anni fa. "Ultimamente, secondo sua moglie, ha sofferto di grave stress e ha assunto sostanze psicotrope, comprese le iniezioni. Al momento della morte, era a casa sotto l'influenza di sedativi", ha spiegato la fonte.
Post n°15443 pubblicato il 13 Novembre 2019 da Ladridicinema
"Il latino è una lingua precisa, essenziale. Verrà abbandonata non perché inadeguata alle nuove esigenze del progresso, ma perché gli uomini nuovi non saranno più adeguati ad essa. Quando inizierà l’era dei demagoghi, dei ciarlatani, una lingua come quella latina non potrà più servire e qualsiasi cafone potrà impunemente tenere un discorso pubblico e parlare in modo tale da non essere cacciato a calci giù dalla tribuna. E il segreto consisterà nel fatto che egli, sfruttando un frasario approssimativo, elusivo e di gradevole effetto 'sonoro' potrà parlare per un’ora senza dire niente. Cosa impossibile col latino."
Post n°15442 pubblicato il 13 Novembre 2019 da Ladridicinema
A chi dice che in fondo Morales se l’è cercata e che non è un vero golpe quello che si è consumato in Bolivia in questi giorni, io dico di guardare queste foto. La prima foto ritrae Morales su un aereo militare dell’aeronautica messicana, Morales costretto - per salvarsi la vita dalla polizia e dall’esercito che lo stava braccando - ad andare in esilio ed accettare l’offerta di asilo politico offertagli dal Messico di un leader progressista e illuminato come Lopez Obrador. La seconda foto ritrae una sindaca boliviana del partito di Morales che è stata aggredita, sequestrata per ore, mentre qualcuno dava fuoco al municipio, trascinata in strada, dove le hanno tagliato forzatamente i capelli, le hanno versato addosso della vernice rossa, costretta a camminare a piedi nudi per strada e firmare sotto minaccia una lettera di dimissioni. Intanto per le strade della Bolivia ci sono stati morti e svariate centinaia e centinaia di feriti, alcuni frutto di sparatorie sulla folla da parte di esercito e polizia, e attacchi perfino alle ambasciate dei paesi più scomodi, come l’ambasciata venezuelana. E intanto cosa fanno le Nazioni Unite? Cosa fa l’Europa? Cosa fa l’Italia? Tutti, tranne pochissimi, assistono compiaciuti allo scempio dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto. Perché questo silenzio dei media occidentali e degli organismi democratici internazionali? Solo perché Morales è figlio del popolo? Solo perché Morales è un indio che deve essere subalterno e non disubbidire? Solo perché Morales ha sovvertito l’economia boliviana anteponendo gli interessi dei più deboli a quelli dei più forti che hanno sempre dominato la Bolivia e stanno tornando a dominarla, col compiacimento dell’America di Trump? Vergogna, Vergogna, Vergogna! È il momento di mobilitarsi e di sollevarsi contro questi soprusi, questi colpi di Stato, contro questo immobilismo complice dell’Italia e dell’Europa. Che fa il Governo Italiano? È il momento di prendere posizione. Odio la neutralità quando ci sono in gioco diritti e vite umane. Odio gli indifferenti (come diceva Antonio Gramsci) perché l’indifferenza e complicità. Antonio Ingroia
Post n°15441 pubblicato il 13 Novembre 2019 da Ladridicinema
Post n°15440 pubblicato il 13 Novembre 2019 da Ladridicinema
Post n°15439 pubblicato il 10 Novembre 2019 da Ladridicinema
Joker sconvolge il festival del cinema di Venezia e vince in maniera forse non troppo sorprendente la mostra, candidandosi a stravincere in più di una categoria negli eventi dei prossimi mesi fino agli oscar, pronto a diventare un'icona del cinema moderno. Il Joker è uno dei villain da sempre più enigmatici e che psicologicamente sa creare con la sua instabilità un rapporto privilegato con gli spettatori (e con i lettori soprattutto). La rappresentazione che fa Todd Philips pur essendo poco fumettistica si rifà al Joker di Burton nella parte clownesca, nell'eleganza del vestito e del trucco e a quello di Nolan per quanto riguarda al momento dell'evoluzione in Joker del colore e del modo di portare i capelli, della follia che però sembra avere un qualcosa di sensato almeno dal suo punto di vista, dal modo di comunicare con la sua ironia e cinicità. Ma mentre il secondo è già Joker, uno psicopatico assassino che nella sua follia e anche nel dolore non lascia mancare mai la sua ironia e la sua risata, il Joker di Philips si evolve. Si passa da un semplice cittadino di Gotham, che ha grossi problemi psichici e che è abbandonato a se stesso, deriso dalla società, offeso dalla parte ricca e senza scrupoli della città; in Joker attraverso l'evoluzione del personaggio tirando fuori tutta la sua particolarità. Ma i due Joker di prima fanno parte di film su Batman appunto, questo no, è un film su Joker, dove l'uomo pipistrello ancora non esiste. Si intravede solo un giovane Bruce Wayne e nel finale la scena dell'omicidio dei suoi genitori in un vicolo di Gotham fa iniziare la storia di Batman. Joker è quindi la storia di Arthur Fleck, un uomo con grossi problemi che vuole diventare un comico, vive con la madre anch'essa malata mentale in un appartamento, anzi in un palazzo sudicio. Lavora come clown e scrive su un diario le battute che gli serviranno per diventare un attore. La sua vita però come detto sopra è terribile, una tragedia... si vede in tutto il film come viene deriso, ignorato, bullizzato, umiliato... da chiunque. La sua risata è una risata di dolore, una sorta di tic, che diventa incontrollabile quando messo in difficoltà. Cosa che lo renderà ancora più isolato e incapace di avere qualsiasi possibile relazione. Un giorno però all'ennesima angheria risponde sparando ai suoi assalitori. La polizia cerca un clown killer, la popolazione lo elegge a eroe, simbolo della rivalza degli oppressi contro l'arroganza della parte ricca di Gotham, che li disprezza e come dice lo stesso Wayne li considera dei clown. Citando Un giorno di ordinaria follia con Douglas, anche la più apparente robusta corda può spezzarsi, e chiunque può trasformarsi in una belva senza controllo. E una volta superato il punto di non ritorno, non ci si può più fermare, ma si può solo proseguire, come una valanga che travolge tutto e tutti sul proprio cammino. E così avviene per Arthur che spezza la corda e la sua rabbia diventa violenza. “Pensavo che la mia vita fosse una tragedia, ma adesso capisco che è una commedia”, dice Arthur nel momento della consapevolezza del suo cambiamento. Eh si perchè Gotham è una città sporca, sudicia, dove la grandissima maggioranza della popolazione vive in povertà, nel crimine, abbandonata a se stessa, senza futuro, in mezzo alle gang che si spartiscono le strade. La polizia è corrotta, la politica peggio, i media al servizio del potere. L'1% ricco se ne frega e pensa solo a diventare più ricco. Ecco allora che uno psicopatico che si eleva dal suo stato per rispondere alle angherie e alla rabbia, trasforma questa in violenza e si evolve nel personaggio "eroico", anzi in un antieroe, che sembra servire alla popolazione di Gotham, in attesa del personaggio veramente "eroico" che servirà per ristabilire l'ordine e proteggere i deboli. Ma chi è il cattivo? Un clown che viene deriso continuamente e vive nella fame e nella disperazione abbandonato a se stesso che si trasforma attraverso la violenza in un assassino o quella parte immorale e ricca di Gotham che lo ha trasformato in ciò? C'è poco da fare, questo è un film molto attuale. E' una critica alla società di oggi inevitabilmente. Joker non è un eroe, è un villain sui generi, ma non è improbabile che prima o poi in una società dove pochi hanno tutto e la maggioranza niente possa scatenarsi qualcosa che porti a sopperire l'ordine vigente. Il Joker non nasce tale, ma è un uomo qualunque Arthur Fleck, che diventa un criminale e questo criminale è il prodotto della società in cui vive. Per questo Joker fa paura, soprattutto in America, culla dell'immoralità del capitalismo, ma non è una critica come dice qualcuno a questo o quel presidente (come sottolineto da Moore) ma a tutta la società. Ma veniamo ora alla parte più interessante del film, ovvero l'attore che interpreta il Joker, ovvero Joaquin Phoenix. Nella storia del personaggio abbiamo assistito a diverse interpretazioni del pagliaccio preferito dal pubblico. Da quella clownesca di Nicholson, a quella spietata nella sua violenza e cinicità ma anche ironia e capacità di vedere la società del compianto Ledger, fino ad arrivare ad una versione moderna di Leto. Questa nuova rappresentazione prende un pò come detto dai primi due, ma è la capacità di Phoenix a renderlo unico e assolutamente originale. Come ha detto il regista ha lasciato una certa libertà sia per i costumi che per la mimica facciale. L'eleganza, il ballo, il modo clownesco, la risata folle che finisce e trasuda nel dolore fisico sono tutto merito dell'attore che lo interpreta. Sa creare nello spettatore disagio, dolore, rabbia... in un'interpretazione magnifica, anzi magistrale. Per non parlare del corpo... perchè se la risata e lo sguardo creano tante sensazioni, è il corpo e le movenze che rendono l'interpretazione ancora più sconcertante e clamorosa. E questo va al di la di qualsiasi possibile attesa e immaginazione. Non sarebbe corretto dire il miglior Joker, perchè anche gli altri sono stupendi nei loro particolari, ma qui capiamo perchè è diventato così (pur ribadendo che il fumetto c'entra poco e aimè di Killing Joke non c'è nulla in attesa di un film magari proprio su questa stupenda graphic novel). Il personaggio non si presenta con la carta del Joker, ma con un biglietto da visita dove parla della sua malattia, metafora di come sia emarginato, abbandonato in una società allo sbando, sommersa dalla spazzatura fisica e metaforica. Questo film trae ispirazione e rende omaggio al cinema di Scorsese, come non rivedere in questo film le ambientazioni neworkesche di Taxi Driver o anche di Re per una notte. La regia di Philips sceglie un qualcosa di lineare ma con un registro al limite tra il surreale, il grottesco e tante tinte noir, che ci racconta attraverso questo film la tragedia contemporanea e fa una profonda denuncia sociale. La cosa che ha sorpreso è quindi che il regista abbia lavorato in maniera opposta rispetto a come vengono realizzati oggi i film tratti dai fumetti, non ha introdotto elementi attuali dentro la storia che si sta raccontando, ma ha preso il personaggio inventato da Bob Kane con tutto il suo arsenale, i suoi ideali di ribellione alla società e li ha inseriti nella NewYork... no scusate Gotham, degli anni 70-80, quindi reelizzando un film socialmente e politicamente scorretto e impegnato. Il film è stato giustamente acclamato dalla critica, uno dei rari casi in cui sia la critica che il pubblico sono dalla stessa parte pur non essendo questo un film facile da capire e per tutti. Mark Hughes su Forbes, parla di «un vero capolavoro del cinema di supereroi, nonché uno dei più grandi risultati di tutto il 2019». La recitazione di Phoenix sembra aver riscontrato pareri unanimi, com’è possibile notare anche dal commento di David Rooney "Questo è il film di Phoenix. […] Non per screditare l’ingegnosa visione dello sceneggiatore-regista, del suo co-sceneggiatore e degli inestimabili team che si sono occupati di tecnologie e design, ma Phoenix è la forza principale che rende Joker un’aggiunta inconfondibilmente di confine all’industrialità dei film hollywoodiani tratti dai fumetti". Perfetta anche la scelta della colonna sonora scritta da Hildur Guonadottir con l'aggiunta di alcuni brani pop, tra cui That's Life. Joaquin Phoenix prometteva di raccontare un Joker mai visto prima. Questo Joker ballerino è spiazzante: ipnotico e terrificante allo stesso tempo, in una trama dove non c'è nulla da ridere, e dove ogni risata di Fleck è una richiesta d'aiuto non ascoltata di un nessuno, che vuole in qualche modo uscire fuori dall'anonimato, vuole apparire, in una società egoista che non lo accetta e non lo vuole. Perchè il male e la violenza si annidano nell'emarginazione. Oggi, possiamo dire che il film ha mantenuto la promessa, arrivando perfino a superare le nostre aspettative. Voto finale: 5+/5 Joker TRAMA JOKER Joker, il film di Todd Phillips è incentrato sulla figura dell'iconico villain, ed è una storia originale, diversa da qualsiasi altro film su questo celebre personaggio apparso sul grande schermo fino ad ora. L'esplorazione di Phillips su Arthur Fleck, interpretato in modo indimenticabile da Joaquin Phoenix, è quella di un uomo che lotta per trovare la sua strada in una società fratturata come Gotham. Durante il giorno lavora come pagliaccio, di notte si sforza di essere un comico di cabaret... ma scopre che lo zimbello sembra essere proprio lui. Intrappolato in un'esistenza ciclica sempre in bilico tra apatia e crudeltà, Arthur prenderà una decisione sbagliata che provocherà una reazione a catena di eventi, utili alla cruda analisi di questo personaggio. L'esplorazione da parte del regista Todd Phillips su Arthur Fleck, un uomo ignorato dalla società, non vuole soltanto uno studio crudo del personaggio ma una storia più ampia che si prefigge di lasciare un insegnamento, un monito. Oltre a Joaquin Phoenix, il cast del film vede protagonisti Robert De Niro, Zazie Beetz e Frances Conroy. La delusione dei risultati ottenuti dal cosiddetto DC Extended Universe è servita a far sì che, in casa Warner, si puntasse maggiormente sui cosiddetti stand alone, i film che non sono necessariamente interconnessi ad altri cinecomic. E uno dei progetti cui da subito si sono interessati i produttori è quello di un film sul Joker, leggedario arcinemico di Batman. Scartata abbastanza in fretta l'ipotesi di costruire un film sul Joker interpretato da Jared Leto in Suicide Squad, è stata accolta invece a braccia aperte un'idea per il film di Todd Phillips, regista noto fino a questo momento come autore di commedie: sua, tanto per fare un facile esempio, la trilogia di Una notte da leoni. Ma l'iniziale coinvolgimento di Martin Scorsese come produttore (poi rientrato) e soprattutto quello di Joaquin Phoenix come interprete, ha fatto capire da subito che nel suo nuovo film Phillips avrebbe esplorato territori assai diversi da quelli cui aveva abituato il pubblico con i suoi film precedenti. Phillips ha da subito messo in chiaro che il suo film (una origin story del personaggio, ambientata nel 1981 in una Gotham che assomiglia tantissimo alla New York di quello stesso periodo, e che proprio nella Grande Mela è stata girata) avrebbe raccontato Joker diverso da quello dei fumetti e dei film precedenti. La graphic novel di Alan Moore Batman: The Killing Joke sarebbe stata al più uno spunto di partenza, per poi esplorare territori che, a più riprese, lo sceneggiatore e regista ha paragonato a quelli di film come Taxi Driver, Re per una notte e Toro Scatenato. E ha insistito perché il suo film dovesse essere girato con un budget decisamente inferiore a quelli solitamente in dotazione ai cinecomic (qui siamo attorno ai 55 milioni di dollari), proprio per differenziarsi anche dal punto di vista produttivo e dare il via a una serie di stand alone più ruvidi e concentrati sui personaggi. Prima di scegliere Joaquin Phoenix (che già in passato aveva espresso interesse per la parte del Joker, ma non aveva trovato un copione che lo soddisfacesse artisticamente), Phillips aveva considerato come protagonista del suo film Leonardo DiCaprio, anche in virtù dei legami col cinema di Scorsese e dell'iniziale coinvolgimento del regista come produttore. Quella di Phoenix si è comunque rivelata la scelta giusta per interpretare la storia di quello che è stato definito "un personaggio mentalmente disturbato". Al fianco di Phoenix Phillips ha poi messo attori come Robert De Niro, Zazie Beets e Frances Conroy; ha affidato la direzione della fotografia a Lawrence Sher (suo abituale collaboratore ma anche DOP di film come Godzilla II - King of the Monsters) e la realizzazione della colonna sonora alla violoncellista e compositrice islandese Hildur Guðnadóttir, che ha collaborato con gruppi come i Pan Sonic e i múm e ha realizzato anche lo score della serie tv Chernobyl. Joker è stato il primo cinecomic a essere presentato in concorso in un grande festival internazionale, quello di Venezia del 2019: la scelta coraggiosa della produzione e del direttore del Festival Alberto Barbera è stata premiata con il Leone d'oro, e la maggior parte della critica e del pubblico presenti al Lido hanno lodato il film di Phillips per la radicalità e l'importanza politica con cui mette in parallelo la storia del Joker con i tanti problemi che affliggono il mondo contemporaneo. Film presentato in anteprima mondiale e in Concorso al Festival di Venezia 2019, dove siè aggiudicato il Leono d'oro.
Questo è il primo ruolo di Joaquin Phoenix in un cinecomic. In precedenza aveva rifiutato il ruolo di protagonista in "Doctor Strange" (2016) e la possibilità di sostituire Edward Norton come Hulk in "The Avengers" (2012), perché non era disposto a firmare l'accordo multi-immagine che propongono i Marvel Studios.
Joaquin Phoenix ha dovuto perdere peso, ben 23 kg, per interpretare Joker.
La canzone ascoltata nel trailer del teaser è "Smile", composta dal comico Charles Chaplin per il suo film "Modern Times" (1936).
L'anteprima del film al Festival di Venezia 2019 ha suscitato una standing ovation di ben otto minuti.
Parlando al Festival del cinema di Venezia, Joaquin Phoenix ha dichiarato di volere che la sua versione del Joker fosse molto complessa, ha studiato e unito vari disturbi della personalità che persino lo psichiatra non è stato in grado d'identificare quale fosse quello del suo personaggio.
Vietato ai minori di 14 anni. Dal Trailer Italiano del Film: Joker (Joaquin Phoenix): Mia madre mi diceva sempre di sorridere e mettere una faccia felice. Mi diceva che ho uno scopo: portare risate e gioia nel mondo. Ma riguarda solo me o stanno tutti impazzendo?
Voce off: Gotham si è persa. Che razza di vigliacco può fare questo a sangue freddo? Uno che si nasconde dietro una maschera
Joker: Ho sempre pensato alla mia vita come a una tragedia, adesso vedo che è una commedia! FOCUS SU JOKER Oltre Joaquin Phoenix: Gli altri celebri attori che hanno interpretato il Joker
Il primo attore a vestire i panni del più storico nemico di Batman è stato Cesar Romero (1907-1994) nel telefilm camp di culto Batman (1966-1968) con Adam West. Cesar era un noto "character actor", nato da madre cubana e padre spagnolo. Tra gli anni Trenta e Cinquanta si specializzò in ruoli da latin lover, giocando sul suo aspetto virile e seduttivo, ma paradossalmente lo ricordano tutti nei panni del truccatissimo Joker, da lui interpretato anche nel lungometraggio Batman del '66, basato sulla serie televisiva. Bisogna aspettare il 1989 per imbattersi in un altro Joker in carne e ossa: è ovviamente Jack Nicholson nel bellissimo Batman di Tim Burton. Nonostante Nicholson sembrasse perfetto per la parte, la produzione stava per offrirla a Robin Williams, salvo poi confessare a quest'ultimo che si trattava solo di una strategia per ingelosire Jack e "incastrarlo". Inutile dire che Robin se la legò al dito. Prima di tornare al cinema, il Joker è comparso in una serie di spot tra il 2000 e il 2002, per il navigatore OnStar: qui è stato incarnato da Curtis Armstrong. In tv è stato un cameo in un episodio della serie Birds of Prey (2002-2003), dove, per quanto interpretato da Roger Stoneburner, è stato doppiato da Mark Hamill, storico voce del personaggio nelle serie e negli special animati Warner dagli anni Novanta in poi. Nessuno ha dimenticato la potente performance di Heath Ledger nel Cavaliere oscuro (2008) di Christopher Nolan: l'attore fu insignito di un Oscar postumo come miglior attore non protagonista, essendo Ledger deceduto in tristi circostanze pochi mesi prima dell'uscita del film, uno dei più amati exploit cinematografici dell'Uomo Pipistrello. Tra il 2014 e il 2019 è toccato a Cameron Monaghan dare origine a una possibile origin story (nel corso di decenni) del celebre villain, identificato con i personaggi di Jerome e Jeremiah Valeska nella serie tv Gotham. In questo frattempo, lo psicopatico più amato si è riaffacciato in sala nel criticatissimo corale Suicide Squad (2016) di David Ayer, dove tuttavia è stato benedetto dalla performance adeguatamente instabile e schizzata di Jared Leto, il quale avrebbe di lì a poco subito l'umiliazione del primo "cinecomic autoriale" della storia, Joker (2019) di Todd Phillips, costruito sul talento e le fattezze invece di Joaquin Phoenix. INTERPRETI E PERSONAGGI DI JOKER
Post n°15438 pubblicato il 10 Novembre 2019 da Ladridicinema
Parasite ( Gisaengchung ) Parasite è un film di genere drammatico del 2019, diretto da Bong Joon Ho, con Hye-jin Jang e Kang-ho Song. Uscita al cinema il 07 novembre 2019. Durata 132 minuti. Distribuito da Academy Two. Data di uscita:07 novembre 2019 Genere:Drammatico Anno:2019 Paese:Corea del Sud Durata:132 min Distribuzione:Academy Two Produzione:Barunson E&A, CJ E&M Film Financing & Investment Entertainment & Comics, CJ Entertainment, Frontier Works Comic TRAMA PARASITE Parasite, film diretto da Joon-ho Bong, è un dramma che racconta la storia della famiglia Kim, formata dal padre Ki-taek (Kang-ho Song), un uomo privo di stimoli, una madre, Chung-sook (Hye-jin Jang), senza alcuna ambizione e due figli, la 25enne Ki-jung (So-dam Park) e il minore, Ki-woo (Woo-sik Choi). Vivono in uno squallido appartamento, sito nel seminterrato di un palazzo, e sono molto legati tra loro, ma senza un soldo in tasca né un lavoro né una speranza per un futuro roseo. A Ki-woo viene la perversa idea di falsificare il suo diploma e la sua identità per reinventarsi come tutor e impartire lezioni a Yeon-kyuo (Yeo-jeong Jo), la figlia adolescente dei Park. Quest'ultimi sono una ricca famiglia, che, al contrario dei Kim, vivono in una grande villa, grazie ai guadagni del patriarca, dirigente di un'azienda informatica. Ki-woo insegna principalmente inglese alla ragazza a un ottimo prezzo, cosa che genera entusiasmo e speranza nella suoi parenti. Il ragazzo, notando come alla figlia minore dei Park piaccia disegnare, ha la subdola idea di inventare che sua sorella Ki-jung è un'insegnante d'arte, permettendo anche a lei di infiltrarsi nella loro vita. Le due famiglie non sanno, però, che questo incontro è solo l'inizio di una storia strana, che porterà i Kim a introdursi sempre più nella routine dei Park, come un parassita fa con un organismo estraneo. PANORAMICA SU PARASITE Dopo due film realizzati in inglese e con capitali statunitensi come Snowpiercer e Okja, Bong Joon-ho è tornato a realizzare un film al 100% coreano con questo Parasite, clamoroso cocktail di generi che va dalla commedia nera al dramma sociale, passando per il thriller capace di assumere venature quasi horror ma anche per un sentimentalismo commovente. Nelle parole dello stesso regista, questo film è "il racconto di persone comuni alle prese con una inestricabile confusione; una commedia senza clown, una tragedia senza cattivi, dove tutto porta verso un groviglio di violenza e a un tuffo a capofitto giù dalle scale." Prima della proiezione ufficiale al Festival di Cannes del 2019, dove il film è stato presentato in prima mondiale, Bong aveva scritto ai giornalisti e critici una lettera aperta nella quale, come Tarantino per il suo C'era una volta a... Hollywood, pregava di non rivelare in articoli e recensioni le tante sorprese e i molti ribaltamenti presenti nella trama, ma soprattutto il grande twist a sorpresa del finale. A Cannes, dove in passato aveva già presentato film come The Host, l'antologico Tokyo!, Mother e l'Okja targato Netflix, ha vinto la Palma d'oro. Parasite è stato il primo film sudcoreano a vincere il festival, e il primo a ricevere la Palma d'oro all'unanimità dai tempi di La vita di Adele di Abdellatif Kechiche. Forte del riconoscimento ottenuto in Francia, Parasite è uscito all'inizio di giugno nelle sale coreane ottenendo risultati straordinari: nel suo primo weekend di programmazione, ha incassato più di venti milioni di dollari, ovvero 70% degli incassi complessivi, stracciando la concorrenza di blockbuster hollwyoodiani come Aladdin e Godzilla: King of the Monsters. Nel corso delle settimane e dei mesi è arrivato a un totale di oltre 88 milioni di dollari incassati in tutto il mondo, dei quali ben 70 ottenuti in patria. Il regista e Song Kang-ho, uno degli attori protagonisti del film, arrivano con Parasite alla loro quinta collaborazione. La terza, invece, col direttore della fotografia Hong Kyung-pyo, lo stesso del Burning di Lee Chang-dong. CURIOSITÀ SU PARASITE Palma d'oro al Festival di Cannes 2019. Vietato ai minori di 14 anni. INTERPRETI E PERSONAGGI DI PARASITE
Post n°15437 pubblicato il 10 Novembre 2019 da Ladridicinema
La Famosa Invasione degli Orsi in Sicilia La Famosa Invasione degli Orsi in Sicilia è un film di genere animazione del 2019, diretto da Lorenzo Mattotti, con Linda Caridi e Toni Servillo. Uscita al cinema il 07 novembre 2019. Durata 82 minuti. Distribuito da BIM Distribuzione. Data di uscita:07 novembre 2019 Genere:Animazione Anno:2019 Paese:Francia, Italia Durata:82 min Distribuzione:BIM Distribuzione Produzione:France 3 Cinéma, Indigo Film, Prima Linea Productions TRAMA LA FAMOSA INVASIONE DEGLI ORSI IN SICILIA La famosa invasione degli orsi in Sicilia, il film d'animazione diretto da Lorenzo Mattotti, segue la storia di Leonzio, il Grande Re degli orsi, che nel tentativo di ritrovare il figlio da tempo perduto e di sopravvivere ai rigori di un terribile inverno, decide di condurre il suo popolo dalle montagne fino alla pianura, dove vivono gli uomini. Grazie al suo esercito e all'aiuto di un mago, riuscirà a sconfiggere il malvagio Granduca e a trovare finalmente il figlio Tonio. Ben presto, però, Re Leonzio si renderà conto che gli orsi non sono fatti per vivere nella terra degli uomini. PANORAMICA SU LA FAMOSA INVASIONE DEGLI ORSI IN SICILIA La famosa invasione degli orsi in Sicilia è l'adattamento cinematografico, realizzato in animazione tradizionale, dell'omonimo e celebre romanzo per ragazzi di Dino Buzzati, che lo scrittore pubblicò nel 1945, a puntate, sul Corriere dei piccoli, per poi pubblicarlo più tardi, lo stesso anno, in un volume unico e in una versione rivista. A pubblicarlo oggi è la Mondadori, nella collana Oscar Junior. Sempre Mondadori ha poi pubblicato di recente una "novelization" del film, e una versione illustrata della stessa. A dirigere il film c'è Lorenzo Mattotti, uno degli illustratori e fumettisti italiani più noti al mondo, autore di innumerevoli libri di successo e collaboratore di riviste e quotidiani di rilevanza internazionale come il New Yorker, Glamour, Vanity Fair, Cosmopolitan, Le Monde, Das Magazin, Suddeutsche Zeitung, Nouvel Observateur, Corriere della Sera, Repubblica. Sebbene questa sia la sua prima regia cinematografica, è da tempo che Mattotti è legato al mondo della settima arte: nel 2000 aveva realizzato il poster ufficiale del Festival di Cannes; nel 2004 aveva realizzato i segmenti di collegamento tra i tre episodi del film Eros, di Michelangelo Antonioni, Wong Kar-wai e Steven Soderbergh; nel 2007 era stato uno degli illustratori che realizzarono il film antologico d'animazione Peur(s) du noir; nel 2019 ha realizzato la sigla del Festival di Venezia. Oltre che sul talento grafico di Mattotti e la fantasia du Buzzati, il film può fare affidamento sa un cast vocale notevolissimo, che nella versione animata comprende le voci di attori come Servillo, Antonio Albanese, Linda Caridi, Corrado Guzzanti e perfino Andrea Camilleri, che prima di morire prestato la sua voce inconfondibile al personaggio del Vecchio Orso. La famosa invasione degli orsi in Sicilia, co-produzione tra Italia e Francia, è stato presentato in prima mondiale al Festival di Cannes 2019 (sezione Un Certain regard), e in anteprima italiana ad Alice nella città 2019. CURIOSITÀ SU LA FAMOSA INVASIONE DEGLI ORSI IN SICILIA Tratto dall'omonimo racconto per ragazzi di Dino Buzzati. Presentato al Festival di Cannes 2019 nella sezione Un Certain Regard. INTERPRETI E PERSONAGGI DI LA FAMOSA INVASIONE DEGLI ORSI IN SICILIA
Post n°15436 pubblicato il 10 Novembre 2019 da Ladridicinema
Gli Uomini d'Oro Gli Uomini d'Oro è un film di genere noir del 2019, diretto da Vincenzo Alfieri, con Fabio De Luigi e Edoardo Leo. Uscita al cinema il 07 novembre 2019. Durata 110 minuti. Distribuito da 01 Distribution. Data di uscita:07 novembre 2019 Genere:Noir Anno:2019 Paese:Italia Durata:110 min Distribuzione:01 Distribution Produzione:Italian International Film con Rai Cinema TRAMA GLI UOMINI D'ORO Gli Uomini d'Oro, il film diretto da Vincenzo Alfieri, è ambientato nella Torino del 1996. Qui vive Luigi(Giampaolo Morelli), che sogna una pensione e di trascorrere il resto della sua vita in Costa Rica. Nel frattempo, però, continua a lavorare come impiegato postale e a dedicarsi a due delle sue più grandi passioni, il lusso sfrenato e le donne. Per realizzare il suo sogno e fare il turista per sempre, Luigi è pronto a tutto, anche lasciare l'affascinante Anna (Matilde Gioli). E a pensarci bene l'occasione ce l'ha proprio sotto gli occhi o, meglio, dietro le sue spalle. Tutti i giorni, infatti, Luigi guida un furgone portavalori, una tentazione che potrebbe trasformare qualsiasi uomo comune in un potenziale criminale. Con un piano a regola d'arte, la rapina riuscirebbe davvero in grande stile, senza feriti né altri rischi. Ma non può attuare il suo piano da solo, ha bisogno di mettere su una banda criminale. Ingaggia così un postino in pensione, il suo migliore amico Luciano (Giuseppe Ragone), quarantenne insoddisfatto, e il suo collega Alvise (Fabio De Luigi), sposato con Bruna (Susy Laude), impiegato insospettabile, legatissimo alla famiglia e con un'esistenza totalmente piatta. A loro si aggiungono altri personaggi esterni al mondo delle poste: sono Boutique (Gian Marco Tognazzi), couturier d'alta moda che dietro alle vetrine del fashion nasconde una doppia vita, e Il Lupo (Edoardo Leo), ex pugile nerboruto e di poche parole, compagno della seducente Gina (Mariel Gariga). Un colpo così grosso, però, fa gola a tutti e ognuno di loro desidererebbe avere quei soldi solo per sé, senza divide e condividere. È proprio la brama di denaro che trasforma questa impresa inizialmente semplice in un piccolo e al tempo stesso pericoloso gioco criminale. PANORAMICA SU GLI UOMINI D'ORO Il film diretto da Vincenzo Alfieri è tratto dal noto fatto di cronaca accaduto a Torino nel 1996. Il regista si è imbattuto in un articolo del giornalista esperto di criminalità Meo Ponte il quale, commentando l'episodio, scriveva: "Se facessero un film tratto da questa vicenda, comincerebbe come I soliti ignoti di Mario Monicelli e finirebbe come Le iene di Quentin Tarantino".
Il titolo Gli uomini d'oro è proprio l'appellativo dato alla banda dai giornali. Il fatto risale al 27 giugno del '96 quando alcuni dipendenti della sede centrale delle Poste si accorgono che i sacchi provenienti dalle varie filiali contengono pagine di fumetti di Topolino, tagliate a misura di banconote, e un pezzo di busta paga di un autista dei furgoni adibiti al trasporto valori. Quest'ultimo si chiama Giuliano Guerzoni e a casa sua la polizia non trova lui, ma una sveglia trafitta da un coltello. Il bottino del furto ammonta a 8 miliardi di lire (circa 4 milioni e 100 mila euro). Le indagini si rivelano più complicate del previsto e dell'autista non c'è traccia. Poco più di due settimane più tardi però, un colpo di scena del tutto inaspettato cambia le carte in tavola.
L'autore e scrittore piemontese Bruno Gambarotta così commenta il fatto nel suo libro "Il colpo degli uomini d'oro. Il furto del secolo alle Poste di Torino": "I protagonisti, che aumentano di giorno in giorno col proseguire delle indagini, sono al limite dell’assurdo. Un furto maturato per scherzo, un’idea balenga che piano piano si è concretizzata senza che ci fosse un piano preciso. Dilettanti allo sbaraglio che si sono mossi in un continuo alternarsi di colpi di fortuna e sfortuna". Pubblicato nel 2018 da Manni Editori, il libro di Gambarotta mette in luce due aspetti: il ruolo delle donne usate per creare gli alibi, liquidate come prostitute, e poi l’inadeguatezza degli stessi uomini coinvolti che diventano criminali senza nemmeno essere capaci di dare una qualsiasi motivazione. CURIOSITÀ SU GLI UOMINI D'ORO Il film è ispirato ad una reale vicenda di cronaca nera.
La vicenda è stata riportata sul giornale "La Repubblica" nel 1996 dal giornalista Meo Ponte, il quale esordiva dicendo: “Se ne facessero un film comincerebbe come I Soliti Ignoti di Monicelli e finirebbe come Le Iene di Tarantino”. È stata questa frase a convincere il regista, Vincenzo Alfieri, a raccontare questa storia. FRASI CELEBRI DI GLI UOMINI D'ORO Dal Trailer Ufficiale del Film: Luigi (Giampaolo Morelli): Tu preferisci farti vent'anni di galera che vent'anni alle poste?
Luciano (Giuseppe Ragone): Io so' pensionato, al massimo posso organizzare una briscola!
Luigi: L'unico modo di viaggiare è rimanere dove hai voglia di fermarti e partire quando senti che devi andare! E i' me n'aggia i' uaglio'! Mi mancherete!
Bruna (Susy Laude): Dov'è che vai te? Alvise (Fabio De Luigi): Guarda che non ce l'ho mica l'amante, non me la posso permettere! INTERPRETI E PERSONAGGI DI GLI UOMINI D'ORO
Post n°15435 pubblicato il 10 Novembre 2019 da Ladridicinema
The Irishman The Irishman è un film di genere drammatico del 2019, diretto da Martin Scorsese, con Al Pacino e Robert De Niro. Uscita al cinema il 04 novembre 2019. Durata 210 minuti. Distribuito da Netflix. Data di uscita:04 novembre 2019 Genere:Drammatico Anno:2019 Attori:Al Pacino, Robert De Niro, Joe Pesci, Harvey Keitel, Anna Paquin, Jesse Plemons, Stephen Graham, Bobby Cannavale, Aleksa Palladino, Jack Huston, Sebastian Maniscalco, Ray Romano, Kathrine Narducci, Paul Ben-Victor Paese:USA Durata:210 min Distribuzione:Netflix Produzione:Netflix TRAMA THE IRISHMAN The Irishman, film diretto da Martin Scorsese, è incentrato sulla figura realmente esistita del criminale Frank Sheeran (Robert De Niro) detto "The Irishman", veterano della seconda guerra mondiale, invischiato con il mafioso Russell Bufalino (Joe Pesci). Attraverso gli occhi di Frank, nel corso dei decenni, viene raccontata la sua vita e la sua carriera mafiosa, tra cui uno dei più grandi misteri che ha ossessionato l'opinione pubblica statunitense, la scomparsa nel luglio 1975 del leggendario sindacalista Jimmy Hoffa (Al Pacino), amico dello stesso Sheeran. Un caso nel quale è inevitabilmente invischiato lo stesso Fank e che è rimasto irrisolto nel tempo. Nessuno è stato mai condannato né il corpo di Hoffa è mai stato ritrovato. Il film offrirà un ritratto indedito dei segreti della criminalità organizzata del tempo: i suoi sistemi interni, gli imbrogli, le rivalità e i collegamenti con la politica tradizionale. CURIOSITÀ SU THE IRISHMAN Tratto dal libro di Charles Brandt "I Heard You Paint Houses", che racconta la storia di Frank Sheeran, detto The Irishman.
Al cinema il 4, 5 e 6 novembre 2019
Disponibile in streaming su Netflix dal 27 novembre 2019. INTERPRETI E PERSONAGGI DI THE IRISHMAN
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il 28/03/2022 alle 11:57
Inviato da: Mr.Loto
il 15/10/2020 alle 16:34
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il 13/11/2019 alle 16:33
Inviato da: surfinia60
il 11/07/2019 alle 16:27
Inviato da: Enrico Giammarco
il 02/04/2019 alle 14:45