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Messaggi di Aprile 2020

 

VIVA IL 25 APRILE!!!

Post n°15682 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

In occasione del 75esimo anniversario della liberazione ricordiamo l’indispensabile contributo alla lotta contro il nazifascismo fornito dal Partito Comunista Italiano e dalle sue formazioni partigiane, le Brigate Garibaldi. I partigiani garibaldini erano la componente più numerosa e combattiva delle forze resistenziali e rappresentarono la spina dorsale dell’intero movimento di liberazione nazionale che culminò con l’insurrezione vittoriosa del 25 aprile. Oggi il loro ruolo e più in generale il ruolo dei comunisti nella lotta di liberazione viene costantemente sottostimato, quando non sistematicamente rimosso o criminalizzato da un revisionismo storico sempre più in voga.
vogliamo ricordare che furono i comunisti i primi a comprendere la necessità della lotta armata di popolo contro la macchina bellica nazifascista, furono i comunisti a fornire i quadri più preparati e valorosi all’intera causa della liberazione, furono i comunisti ad organizzare militarmente le prime bande armate costituitesi all’indomani dell’8 settembre e a trasformarle in “formazioni modello” per l’intero movimento partigiano. I partigiani comunisti combattevano, oltre che per la sconfitta del mostro nazifascista, per un’Italia diversa, un’Italia libera dallo sfruttamento, dalle disuguaglianze e dall’oppressione che ancora oggi continuano a imperversare in misura sempre maggiore nel nostro paese.
A distanza di 75 anni dalla liberazione, restano attuali gli ideali che animarono la lotta eroica dei partigiani garibaldini. Una nuova generazione di comunisti è pronta a raccogliere il testimone di quella lotta per condurla fino alla vittoria. Viva le Brigate Garibaldi!

 
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Quel giorno d'Aprile - F.Guccini

Post n°15681 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

Il cannone è una sagoma nera contro il cielo cobalto ed il gallo passeggia impettito dentro il nostro cortile se la guerra è finita perché ti si annebbia di pianto questo giorno d'aprile Ma il paese è in festa e saluta i soldati tornati mentre mandrie di nuvole pigre dormono sul campanile ed ognuno ritorna alla vita come i fiori dei prati come il vento di aprile E la Russia è una favola bianca che conosci a memoria e che sogni ogni notte stringendo la sua lettera breve le cicogne sospese nell'aria il suo viso bagnato di neve E l'Italia cantando ormai libera allaga le strade sventolando nel cielo bandiere impazzite di luce e tua madre prendendoti in braccio piangendo sorride mentre attorno qualcuno una storia o una vita ricuce e chissà se hai addosso un cappotto o se dormi in un caldo fienile sotto il glicine tuo padre lo aspetti con il sole d'aprile E' domenica e in bici con lui hai più anni e respiri l'odore delle sue sigarette e del fiume che morde il pontile si dipinge d'azzurro o di fumo ogni vago timore in un giorno di aprile Ma nei suoi sogni continua la guerra e lui scivola ancora sull'immensa pianura e rivela in quell'attimo breve le cicogne sospese nell'aria, i compagni coperti di neve E l'Italia è una donna che balla sui tetti di Roma nell'amara dolcezza dei film dove canta la vita ed un papa si affaccia e accarezza i bambini e la luna mentre l'anima dorme davanti a una scatola vuota Suona ancora per tutti campana e non stai su nessun campanile perché dentro di noi troppo in fretta ci allontana quel giorno di aprile.

 
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Buon 25 aprile!!!

Post n°15680 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

"Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA"

Buon 25 aprile!

 
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Luigi Longo, introduzione al libro Chi ha tradito la Resistenza, Editori Riuniti, Roma, 1975 (4a parte)

Post n°15679 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

La vecchia e la nuova Resistenza — concludevo — si ritrovano, in uno slancio comune contro ogni residuo fascista, contro ogni prepotenza poliziesca, contro ogni involuzione reazionaria e clericale dei gruppi dirigenti. Esse vogliono una politica di progresso civile e sociale, di dignità nazionale e di pace, come sta scritto nella Costituzione».

Mi pare che questo sia un momento nodale, di svolta, dal quale non si può prescindere se si vogliono comprendere pienamente i processi unitari che si sviluppano e costituiscono la nota dominante nel periodo compreso tra la fine degli anni ‘6o e i nostri giorni.

È un fatto che la grande riscossa antifascista unitaria del ‘6o prepara quella operaia degli anni ’68-69; contiene in sé i fermenti delle lotte studentesche e giovanili e della partecipazione sempre estesa e combattiva delle masse femminili a tutte le lotte democratiche nelle quali le donne portano l’antica sete di emancipazione, rivendicando un ruolo adeguato in una società nuova, più libera, più giusta e progredita.

Una nuova unità operaia, popolare, democratica e antifascista crescerà e si consoliderà in questi ultimi anni sulla base delle grandi lotte di massa e delle importanti conquiste realizzate attraverso queste lotte. Cresce il peso dei lavoratori, nuovo spazio viene conquistato alla partecipazione democratica delle masse popolari, si estende, pressante e generale, la richiesta di profonde riforme indispensabili per affrontare i problemi sempre più gravi e complessi che, da un lato, sono il portato della politica conservatrice attuata dalla Dc, e, dall’altro, derivano dallo stesso sviluppo del paese avvenuto in forme disordinate e con drammatici squilibri. Sono questi processi a mettere sempre più in difficoltà e, infine, a fare esplodere la crisi della politica dei governi di centro sinistra.

La dominante unitaria di questi processi contesta e mette in crisi quello che è un elemento permanente, un cardine della politica democristiana: la discriminazione pregiudiziale, la preclusione nei confronti del partito comunista. Di fatto si tratta del tentativo ostinato di precludere, col pretesto dell’anticomunismo, l’accesso alla direzione politica del paese delle masse lavoratrici che, per tanta parte, sono rappresentate dal Pci e di cui il nostro partito esprime istanze, bisogni e porta avanti positive proposte.

Il tentativo ostinato dei dirigenti democristiani di eludere le spinte nuove del paese, di ignorare i problemi nuovi che sorgono da queste spinte e che esigono di essere affrontati con una politica nuova, con nuovi metodi di governo, con l’apporto di nuove forze, finisce per esasperare e approfondire la crisi che in ogni campo travaglia il paese.

Come uscire da questa crisi? Le nostre prese di posizione di questi anni insistono su una indicazione di fondo: per affrontare la crisi italiana, per avviarla a sbocchi positivi, occorre tornare — nelle nuove condizioni di oggi — sulla strada maestra indicata dalla Resistenza, sulla via, cioè, del confronto aperto, delle intese e di un lavoro comune delle grandi componenti popolari — comunista, socialista, cattolica — che furono il nerbo della lotta per riconquistare la libertà e l’indipendenza della patria.

Ecco, una grande idea, un grande obiettivo che viene proposto ai giovani in occasione del ventennale della liberazione. Una generazione imbracciò le armi contro il nazifascismo perché in Italia sorgesse una nuova società libera e giusta; le forze del passato hanno fatto blocco per ricacciare indietro il paese; alla nuova generazione il compito di portare avanti la rivoluzione democratica e antifascista.

Ma per far fronte a questo grande compito è anche indispensabile tradurre nell’azione, nel lavoro, nell’impegno di tutti i giorni gli insegnamenti della Resistenza. Da qui un maggiore approfondimento, cui abbiamo cercato di contribuire, nell’analisi di ciò che fu la Resistenza, della collocazione e del ruolo che nel seno stesso della Resistenza ebbero le sue diverse componenti, dei non facili rapporti tra queste componenti e della nostra costante ricerca dell’unità che fu alla base di questa vivace dialettica.

Del 2 giugno 1969 è l’invito rivolto a tutte le forze democratiche e antifasciste ad una riflessione, ad una comune assunzione di responsabilità per attuare integralmente, sulla base dei problemi concreti delle masse popolari e del paese, i contenuti e gli obiettivi della Costituzione, il cui svuotamento e insabbiamento è la costante del ventennale regime democristiano. Si pone il problema di rinnovare e di rispettare il patto unitario che, in sostanza, presiedette alla nascita della repubblica e al varo della Costituzione.

E’ chiaro, tuttavia, che nuove e più vaste lotte unitarie saranno necessarie per raggiungere questo obiettivo. In effetti una realtà nuova e matura emerge nel paese: dalla forza, dalla combattività, dall’unità del movimento operaio nelle lotte per una politica di riforme e di programmazione economica; dalle vigorose risposte di decine di milioni di democratici e antifascisti alle sanguinose sfide della destra; dalla volontà dei cittadini, dei giovani, delle donne di partecipare alla gestione e al controllo della vita pubblica; da una rete sempre più forte e ricca di organismi democratici unitari; dall’intervento nelle lotte democratiche e antifasciste di vasti e nuovi settori di intellettuali.

Da questa realtà nuova che emerge e che si manifesta con un peso sempre più grande, vengono duri colpi alla teorizzazione e alla pratica dell’anticomunismo. Sempre più ampio è il riconoscimento della funzione decisiva del Pci come grande forza operaia, popolare e democratica, garante delle istituzioni democratiche, e fattore determinante di una politica di rinnovamento e di risanamento della società e dello Stato.

Ma proprio contro questa realtà, ancora una volta per bloccarla, per ricacciare indietro il paese, si muovono su tutti i piani forze consistenti, giocando non solo la carta dello scontro frontale ma anche quella della provocazione sanguinosa e dell’avventura.

Di fronte al dispiegarsi della strategia della tensione e della provocazione, al moltiplicarsi delle stragi e dei crimini fascisti, volti a creare un clima di terrore e di caos ed a giustificare avventure autoritarie, le nostre indicazioni, proposte, richieste muovono nel grande solco della più ampia unità antifascista. Questa e non altra è la via per garantire che qualsiasi attacco alle istituzioni democratiche sarà sconfitto, per isolare e colpire i responsabili, i complici ed i mandanti dei crimini fascisti.

Si tratta, anzitutto, di lottare tenacemente per esigere che i pubblici poteri, preposti alla difesa delle istituzioni, facciano il loro dovere, stroncando la criminalità fascista. Si tratta di far luce sui tanti punti oscuri che costellano le indagini sulle delittuose trame fasciste e sui complotti eversivi venuti alla luce. Al tempo stesso non si può passare un colpo di spugna sulle gravi responsabilità che la Dc si è assunta con la sua politica, col suo modo di governare, che hanno consentito e persino incoraggiato le reviviscenze fasciste e altolocate protezioni e complicità nei confronti dei fascisti. I dirigenti democristiani che cercano di trar partito dalla teoria degli «opposti estremismi» devono invece spiegare al popolo italiano perché a trent’anni dalla liberazione è possibile l’esistenza di una trama fascista la quale osa attentare alle istituzioni democratiche e continua a spargere sangue innocente.

È un fatto che, imperando la legge dell’anticomunismo, è stata tollerata e resa possibile l’infiltrazione della destra fascista anche nei gangli più delicati dello Stato, se è vero come è vero che ammiragli italiani in prestito alla Nato e generali in servizio effettivo sono apparsi impigliati nella «trama nera» o sono usciti allo scoperto accanto ai caporioni del partito neofascista.

Nel paese è sorto uno schieramento vastissimo che isola il fascismo e dimostra che l’Italia del ’22 non potrà tornare più. Ma questo non basta. E’ necessaria una mobilitazione, una lotta, una pressione costante e incisiva, per mutare profondamente la situazione. Occorre liquidare l’anticomunismo che è stato alla base della degenerazione antidemocratica. Se non si supera il punto morto al quale i dirigenti democristiani hanno portato la direzione del paese si dà spazio alla reazione e alla destra. In primo luogo, alle forze democratiche antifasciste cattoliche chiediamo di contribuire a creare una situazione nuova, nella quale pesi e incida di più la grande forza unitaria dei lavoratori, dello schieramento democratico e antifascista.

Il voto del 15 giugno 1975 ha confermato quanto siano profonde e salde le radici che l’antifascismo e gli ideali progressivi della Resistenza hanno messo nella coscienza del nostro popolo.

La grande avanzata elettorale del Pci, la più grande che il nostro partito abbia realizzato dal 1946 in poi, «è stata ottenuta — come ha sottolineato una risoluzione della direzione — grazie ad una impostazione politica che ha le sue origini lontane per la repubblica e la Costituzione». Questa linea, confermata e sviluppata dal XIV Congresso nazionale del Pci, «fa della ricerca dell’unità tra tutte le forze democratiche e popolari la questione centrale per il superamento della crisi profonda che attraversa l’Italia e per l’avvio e la realizzazione, nella democrazia, delle necessarie trasformazioni economiche, sociali e politiche».

Su questa linea il nostro popolo è andato avanti, ha rinsaldato la sua unità, ha conquistato nuovi spazi democratici e li ha consolidati per affrontare le nuove battaglie sempre più forte e unito. Su questa linea, sulla linea della Resistenza, possiamo essere certi che il popolo italiano potrà costruire un migliore avvenire.

«Ora — diceva il compagno Togliatti al IX Congresso del nostro partito, sottolineando il carattere di “rivoluzione democratica” avuto dalla Resistenza — si tratta di riprendere l’opera e di condurla a termine ed esistono già, tra le forze che ebbero una parte nella Resistenza ed abbatterono il fascismo, legami tali, storicamente e politicamente non sopprimibili, che consentono di considerare non solo necessario ma possibile che a quest’opera ed al suo coronamento esse diano tutta la loro collaborazione. Lo spirito, il programma, le tradizioni dell’antifascismo, la grande esperienza positiva delle sue lotte e delle sue vittorie sono un faro che deve guidare tutta la nostra azione».

Luigi Longo, introduzione al libro Chi ha tradito la Resistenza, Editori Riuniti, Roma, 1975

 
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Luigi Longo, introduzione al libro Chi ha tradito la Resistenza, Editori Riuniti, Roma, 1975 (3a parte)

Post n°15678 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

Può darsi che da parte nostra ci sia stata, allora, qualche timidezza, qualche eccesso di prudenza nel ricorso a forme, diciamo, più energiche di lotta politica e sociale. Era certamente presente in noi la giusta preoccupazione di evitare e comunque di non offrire alcun pretesto allo scatenamento di una aperta offensiva reazionaria che si proponesse di mettere ancora una volta fuori gioco il partito comunista. Nel calcolo del rischio prevalse la tendenza ad evitare in partenza duri confronti con le forze reazionarie, con il padronato, con l’apparato repressivo di cui ancora oggi il suo relatore, l’ex ministro Scelba, mena vanto.

Può anche darsi che elementi di questo tipo abbiano a suo tempo avuto un loro peso. Ma bisogna contemporaneamente ricordare che lotte anche dure, aspre e sanguinose vi furono; vi furono scontri di classe drammatici (le grandi lotte per la riforma agraria con le occupazioni dei feudi; gli scioperi a rovescio delle masse dei disoccupati; le occupazioni di fabbriche per garantirne la sopravvivenza e lo sviluppo, ecc.) che diedero anche dei risultati. E bisogna ammettere, altresí, che anche se da parte nostra poterono esservi posizioni come quelle a cui ho accennato, esse in ogni caso non impedirono alle forze reazionarie di condurre, egualmente, contro il movimento operaio, contro i comunisti e i socialisti un’azione dura, violenta, anche sanguinosa, di persecuzione e di repressione.

Questo, infatti, è stato l’indirizzo seguito e attuato per molti anni dal momento in cui, nel 1947, De Gasperi ruppe, anche formalmente, il patto unitario della Resistenza, estromettendo dal governo i partiti di sinistra. Questa rottura, commentammo subito, equivale ad un vero e proprio colpo di Stato. È l’ipoteca dell’imperialismo americano che incombe e continuerà a gravare sul nostro paese, nonostante la partenza dall’Italia degli ultimi soldati americani, ai quali già subentrano «consiglieri», missioni e agenti statunitensi, in tutti i campi della nostra attività nazionale, prima ancora che l’Italia aderisca al Patto Atlantico. De Gasperi si fa strumento di questa soggezione all’ombra della quale la borghesia italiana si preoccupa di consolidare ed estendere il proprio predominio nella fabbrica, nello Stato, su tutta la società.

Commentando il colpo di mano di De Gasperi, Togliatti sottolineerà appunto il significato di rottura che esso viene ad assumere nel processo avviato dalla Resistenza: «Che cosa vuoi dire — scrive Togliatti — escludere dal governo — e senza il minimo motivo giustificato — i partiti, come il nostro e il socialista, che più direttamente sono legati alle classi lavoratrici? Vuol dire distruggere o tentare di distruggere la più grande conquista (dopo quella della repubblica) realizzata dal popolo italiano attraverso la guerra di liberazione e l’insurrezione nazionale antifascista. Vuol dire cancellare (o tentare di cancellare) la più grande novità, vorrei dire la più grande speranza della vita politica italiana in questo inizio di ricostruzione e rinascita democratica. Dal 1900 in poi (anzi, forse anche da prima) tutta la vita politica italiana gira attorno a questo problema dell’avvento dei partiti delle classi lavoratrici alla direzione politica del paese» («l’Unità», maggio 1947).

I dirigenti democristiani, scegliendo la via della rottura dell’unità democratica, popolare e antifascista, — osservavamo — tradiscono lo spirito col quale gli stessi lavoratori cattolici e democristiani hanno combattuto insieme con noi comunisti per quel nuovo regime democratico di cui la struttura politica unitaria del governo era una delle principali garanzie. Da qui l’appello nostro a tutti i combattenti della Resistenza perché non rinunciassero agli ideali comuni, perché pretendessero che i vertici politici e quello della Dc, in particolare, non tradissero il mandato loro affidato.

Bisogna ammettere, tuttavia, che la stessa Resistenza, o meglio gli uomini e i gruppi che ad essa più attivamente e coerentemente avevano partecipato, non riescono, nel clima di guerra fredda, a ritrovare quella unità e quella decisione che avevano dimostrato in passato, per respingere e condannare l’aperto tradimento dei propri ideali ed obiettivi. Certo, le fratture e le divisioni conseguenti alla guerra fredda furono assai profonde e passavano attraverso tutti gli schieramenti. Ma oggi possiamo anche ritenere che una più convinta, tempestiva e coerente iniziativa unitaria, nei confronti delle diverse componenti della Resistenza e dell’antifascismo, avrebbe potuto rendere meno profonde e meno durature quelle divisioni e rotture.

Intanto la politica dei governi «centristi», dominati dalla Dc, sbanda sempre più a destra, e in questa rincorsa a destra sarà inevitabile persino l’incontro tra i settori più reazionari della Dc con i relitti di Salò (i voti del Msi al sindaco di Roma Rebecchini) che così vedono legittimato il loro rientro sulla scena politica. In questo modo, — osservavamo, allora, — è la stessa tradizione antifascista della Dc, del vecchio partito popolare, ad essere offesa e spezzata dalla politica degasperiana.

Quanti non intendevano rinnegare l’esperienza vittoriosa della guerra di liberazione vengono da noi chiamati, in vista delle elezioni politiche dell’aprile 1948, a raccogliersi nelle file del fronte popolare. Si è discusso e, certamente, si continuerà a discutere sulla giustezza e opportunità di questo schieramento, con il quale le forze di sinistra affrontarono quella importante prova elettorale. Certo è che a quella formula si giunge, da un canto, per una tendenza ad arroccarsi in difesa, per fronteggiare l’offensiva reazionaria, e, dall’altro, nella convinzione, rivelatasi poi infondata, che da uno scontro frontale, blocco contro blocco, sarebbe scaturita una decisiva vittoria delle forze operaie e di sinistra.

A conti fatti, però, la carta decisiva, del 18 aprile 1948, fu quella del ricatto della fame e della paura, giocata spregiudicatamente dalla Dc sull’onda di una campagna anticomunista che ricalcava quelle del fascismo.

La massiccia mobilitazione della Chiesa, il peso delle forze internazionali schierate a suo sostegno consentirono, allora, alla Dc di conseguire quella forza che le permetterà di accelerare la marcia a destra, di inasprire l’offensiva contro le forze popolari, contro i lavoratori contro le sinistre e i democratici e di elevare a legge suprema, sua e dei suoi alleati, la discriminazione anticomunista.

Si apre la fosca stagione degli eccidi di operai e contadini, della brutale repressione di classe esercitata dagli organi polizieschi dello Stato contro i cittadini che chiedono lavoro, contro i lavoratori che reclamano condizioni umane nelle fabbriche, contro quanti manifestano per la pace o per avere il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero.

È da questo clima politico che nasce l’attentato al compagno Togliatti. In un momento così grave, di così acuta tensione — mentre esplode nel paese la collera e la commozione popolare — tocca a noi levare un monito fermo e responsabile nei confronti delle forze che sono responsabili dirette o indirette di questa profonda rottura della nazione, che soltanto con il ritorno al patrimonio di unità e di solidarietà nazionale della Resistenza può essere sanata.

Al governo che mostra di voler cavalcare sino in fondo la tigre dell’anticomunismo e della divisione degli italiani diciamo: «Troncate la vostra politica di violenza se non volete gettare il paese nella guerra civile. Senza lasciarci fuorviare dalle vostre provocazioni né intimidire dalle vostre minacce, siamo decisi a non lasciar calpestare le libertà popolari duramente conquistate nella lotta contro i nazifascisti. Le leggi fasciste vengono adoperate per calpestare i diritti del popolo e mentre viene assicurata impunità ai neofascisti si scatena la violenza contro l’opposizione popolare».

Eppure la Dc e il blocco di forze conservatrici che, attorno allo scudo crociato, sta costruendo nuovi equilibri di potere, si mostrano decisi a percorrere sino in fondo la strada della divisione e del tradimento della Resistenza. così, atti alla mano, in un discorso alla Camera, all’inizio del 1949, dovevamo rilevare che in carcere c’erano i partigiani, e non i loro seviziatori; che proseguivano su larga scala gli arresti illegali ed arbitrari di partigiani, mentre i fascisti continuavano ad avere mano libera.

Vergognoso risultava a questo punto il tentativo dei governanti di volersi creare un alibi attribuendo la responsabilità della reviviscenza fascista alla «amnistia Togliatti». Non era stata affatto quella amnistia a dar via libera ai rigurgiti fascisti. Era stato il modo di interpretarla e di applicarla. Ma, soprattutto, era la politica reazionaria dei governi a direzione democristiana a dare spazio e voce agli eredi del fascismo i quali trovavano un terreno di obiettiva convergenza con le forze clericali e conservatrici nella lotta sfrenata contro i comunisti, i socialisti, contro il movimento popolare.

In questa situazione, le stesse ricorrenze partigiane infastidiscono i governanti «centristi ». Se la Costituzione viene definita da Scelba una «trappola», la Resistenza è per il governo, per i dirigenti della Dc un fastidioso ingombro, qualcosa di imbarazzante, cui tutt’al più, si può dedicare il frettoloso discorso di un qualche sottosegretario.

Ma la Resistenza non può esaurirsi nelle celebrazioni rituali, affermavamo in un raduno partigiano tenuto a Venezia il 25 aprile del 1950. Obiettivi concreti e ideali della Resistenza sono minacciati o restano irrealizzati, come — anzitutto — il diritto di tutti i cittadini a partecipare alla soluzione dei problemi della nazione, che fu l’essenza stessa della Resistenza, dopo vent’anni di soffocante dittatura fascista esercitata sui lavoratori e contro i lavoratori. Si tratta, dunque, di riprendere uniti la lotta non solo per difendere questi ideali, ma per realizzarli concretamente.

Intanto è la stessa struttura degli apparati e dei corpi dello Stato a risentire le conseguenze e a riportare guasti assai gravi da un indirizzo di governo che ripudia pregiudizialmente l’indicazione e il programma unitario della Resistenza. Nel 1951, essendo in discussione alla Camera il bilancio della difesa, denunciavamo che tutta l’organizzazione militare italiana dipendeva, praticamente, dagli Stati Uniti e che a generali fascisti era consentito di complottare contro le istituzioni repubblicane. Come si vede era stato già apprestato un ottimo terreno di coltura per le future attività di organizzazioni fasciste (come la Rosa dei venti) in seno alle forze armate e per le velleità «golpiste» di qualche alto ufficiale infedele al giuramento di servire lealmente la repubblica e di difendere gli ordinamenti democratici.

Una prova delle conseguenze aberranti della politica anticomunista e della rottura della solidarietà antifascista si ebbe, del resto, in occasione delle elezioni amministrative del 1951-52, con la proposta avanzata da don Luigi Sturzo e caldeggiata dalle autorità vaticane, di realizzare una vera e propria alleanza tra Dc e Msi per la conquista del Campidoglio.

Il progetto cadde per l’opposizione di una parte della Dc e dello stesso De Gasperi. Resta il fatto significativo che un progetto del genere fosse stato avanzato a pochi anni di distanza dalla liberazione, da un uomo, come il fondatore del vecchio partito popolare che pure, in un passato non troppo lontano, aveva dato un personale e battagliero contributo alla tradizione dell’antifascismo cattolico. Quelle elezioni, però, segnarono una sconfitta elettorale della Dc la quale vistasi premuta, a sinistra, da una avanzata delle forze democratiche, e a destra da una affermazione monarchica, tenterà di dare, attraverso la «legge elettorale truffa», un carattere definitivo, di «regime» al proprio predominio politico. La sconfitta di questo deleterio progetto, sancita dal voto del ’53, segnerà la fine del settennio degasperiano e l’inizio dell’esaurimento della coalizione centrista e poi della faticosa gestazione del centrosinistra.

In questa lunga e tormentata fase di trapasso, come si può rilevare dai testi relativi a questo periodo, dietro la facciata «centrista», i dirigenti democristiani continuano a portare avanti, concretamente, un’opera di denigrazione della Resistenza, una «crociata antipartigiana», basata anche su falsi clamorosi e su grossolane montature, che fanno da pendant all’appello alla «solidarietà nazionale», esteso fino ai fascisti, che De Gasperi lancia allo scoppio della guerra di Corea, accompagnandolo con la proposta di misure eccezionali da adottare contro la «quinta colonna» indicata nel movimento operaio e nei comunisti.

Di fronte a questa china assai pericolosa la Resistenza ha un sussulto e dà una prima, ferma risposta a questi gravi propositi. La nostra denuncia degli scandalosi amoreggiamenti tra la Dc e le forze monarchico-fasciste, del tentativo di ricostituire, con cemento anticomunista e antipartigiano, lo stesso blocco conservatore e reazionario sfasciatosi il 25 aprile del 1943, è accompagnata da energici appelli all’unità di tutti i resistenti, di tutte le forze democratiche, contro ogni ritorno fascista. Si tratta – dicevamo – di ritrovare la strada unitaria di un impegno comune dando rilievo a ciò che ha unito gli antifascisti.

In un discorso pronunciato al Senato, il compagno Pietro Secchia leva la sua voce di dirigente della Resistenza contro quello che definisce «il tentativo delle forze fasciste di fare la loro vendetta». Si sviluppano nel paese i Comitati per la difesa dei valori della Resistenza a Roma, Napoli e Venezia; le tre grandi associazioni partigiane riunite confermano un impegno preciso «per l’unità della Resistenza, la difesa della Costituzione, contro il risorgere del fascismo».

Questo energico sussulto dimostra che nonostante i tradimenti, nonostante l’opera metodica di svuotamento, nonostante la seminagione di odio e di divisione fatta dalle forze conservatrici, la Resistenza è ancora una volta in prima linea e intende far sentire la sua voce. Dimostra, al tempo stesso, che i valori universali e gli obiettivi di rinnovamento di cui la Resistenza è stata portatrice non possono perire e restano la base valida per l’intesa e la collaborazione di tutte le forze che vogliono pace, libertà, democrazia.

Sarà il grande moto unitario antifascista del luglio ‘6o, esploso contro il tentativo del democristiano Tambroni di governare con l’appoggio dichiarato e determinante del partito neofascista, a segnare l’inizio di una generale riscossa della Resistenza e dell’antifascismo. La ribellione popolare di Genova contro la provocatoria pretesa, sostenuta dal governo, di fare svolgere nel capoluogo ligure il congresso del Msi, diede il via alle grandi manifestazioni antifasciste che dal nord all’estremo sud scossero l’intero paese. Gli eccidi e le brutali repressioni ordinate da Tambroni, diedero la misura delle minacce eversive e dei propositi autoritari che si nascondevano dietro la facciata del sedicente «governo di emergenza a carattere amministrativo» eletto per due volte con i voti determinanti dei fascisti.

Di fronte a queste concrete minacce e a questi propositi la Resistenza ritrova la sua ispirazione unitaria, la sua capacità di mobilitazione e di combattimento.

Nel rapporto presentato alla sessione congiunta del CC e della CCC del nostro partito il 18 luglio, infatti osservavo: «Esponenti cattolici e democristiani che furono alla testa della Resistenza, quando sulla Resistenza pendeva la costante minaccia della razzia, della deportazione, della fucilazione sul posto, non hanno esitato a solidarizzare con le proteste e lo sdegno di tutti. Persino l’organizzazione partigiana che raccoglie soprattutto cattolici e autonomisti ha partecipato in prima linea alla protesta e alle manifestazioni di questi giorni […]. La Unuri, a maggioranza Dc, organismo rappresentativo di tutti gli universitari italiani, ha detto in un appello: «si alla Resistenza, no al fascismo».

A conclusione di quella sessione, il CC e la CCC del nostro partito approvavano una risoluzione nella quale il valore permanente dell’unità antifascista veniva così sottolineato: «La lotta e la vittoria contro il governo Tambroni dimostrano che, al di sopra di ogni divergenza programmatica e politica, c’è un terreno comune per tutti i partiti usciti dalla lunga lotta antifascista e dalla guerra di liberazione: il terreno delle fondamentali norme costituzionali e della legalità democratica. Quando l’acutizzarsi della situazione e l’attacco reazionario pongono in discussione problemi di fondo, quando sono in gioco i grandi problemi dell’avvenire del paese, la coscienza unitaria delle masse ha ragione di ogni divergenza pure esistente».

Ma un altro grande ed importante fatto nuovo era emerso nella lotta contro il governo Tambroni: la nascita di una nuova Resistenza, espressa da una accesa rivolta di giovani e giovanissimi contro l’autoritarismo, l’ingiustizia, i privilegi ed il paternalismo.

Un ammonimento viene a tutti — rilevavo nello stesso rapporto del luglio ‘6o — dalla «larga, decisa, ardita partecipazione alle manifestazioni di queste settimane, di tanti giovani e giovanissimi, al di fuori di ogni organizzazione e influenza politica determinata. Anzi, molti di questi giovani hanno tenuto a far sapere una loro non nascosta sfiducia verso i dirigenti di tutti i partiti. Essi li accusano di non conoscere le reali condizioni di vita, i loro sentimenti, i loro bisogni, di non partecipare abbastanza alle loro sofferenze e alle loro aspirazioni.

Giovani lavoratori, giovani studenti, giovani garzoni di bottega, giovani in cerca ancora di prima occupazione, sono tormentati, agitati da una profonda insoddisfazione per il loro stato. Essi hanno trovato nei valori ideali e sociali della Resistenza — riagitati potentemente negli ultimi tempi — una adeguata risposta al loro bisogno di moralità, di rinnovamento, di prospettive. Sotto l’impulso della vecchia Resistenza è nata, per così dire, una nuova Resistenza: resistenza all’immoralità, alla corruzione, ai soprusi clericali, allo sfruttamento, alla ingiustizia sociale, alle condizioni di arretratezza civile, cui il sistema padronale clericale obbliga le nuove generazioni.

 

 
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Luigi Longo, introduzione al libro Chi ha tradito la Resistenza, Editori Riuniti, Roma, 1975 (2a parte)

Post n°15677 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

Si può pensare oggi che da parte nostra, da parte dei lavoratori e dei loro partiti ci sia stata qualche illusione eccessiva circa la sensibilità nazionale e democratica delle vecchie classi dirigenti e quindi sulla disponibilità di queste classi ad una politica di unità e di progresso nazionale? Non credo che si possa pensare questo. Mi pare, piuttosto, che alla prova dei fatti quelle classi e quei gruppi, dimostrando la più assoluta sordità di fronte a questa politica e alle esigenze del paese, finirono per confermarsi, anche rispetto ad altre borghesie nazionali tra i più gretti, pavidi ed egoisti.

Mi sembra giusto ricordare a questo proposito il giudizio che molti anni dopo dette il compagno Togliatti. «Sbagliano profondamente – osservava Togliatti – coloro che affermano o pensano che, siccome la classe operaia ha avuto una parte decisiva nel salvare la nazione dalla catastrofe, le vecchie classi dirigenti, che sempre si sono vantate di essere “nazionali”, avrebbero dovuto tenerne conto, avere – che so io – un poco di “riconoscenza”. La riconoscenza non esiste, nella lotta tra le classi. La classe operaia ha salvato la nazione perché questo era il suo compito storico come anima e forza motrice di tutto il popolo, e non per fare un servizio alle vecchie classi dirigenti e acquistar meriti verso di esse».

«Ciò che venne in seguito – sottolineava ancora Togliatti – fu il contrasto, altrettanto inevitabile, tra il nuovo e il vecchio; tra chi aveva tracciato la strada di una avanzata e lottava per avanzare e chi cercava di impedirlo, riuscendo anche, nelle circostanze a tutti note, ad avere, temporaneamente, la possibilità di farlo. Nessuno mai aveva pensato che un’avanzata democratica dovesse e potesse compiersi se non attraverso lotte anche aspre» («Rinascita», 5 gennaio 1963).

Già nelle settimane e nei mesi che seguirono alla liberazione ci si trova in presenza di fatti assai gravi che dimostrano quanto fosse a largo raggio l’azione condotta dalle forze reazionarie per sbarrare il passo alla Resistenza vittoriosa e quanto radicata fosse la loro vocazione fascista. In una mia intervista del settembre 1945 – ad appena due mesi dall’insurrezione nazionale! – riferisco le voci (ma non solo di voci si trattava) di convegni di aristocratici, industriali e militari reazionari i quali progettano la costituzione di bande armate anticomuniste, anti-operaie, antipartigiane. Circolano in libertà – dicevo – troppi relitti della Repubblica di Salò, pronti a sfogare la loro rabbia, la loro vendetta per la sconfitta patita.

Perciò, in quello stesso periodo, illustrando alla Consulta nazionale il programma del nostro partito, programma di unità nazionale per la ricostruzione nazionale e per dar vita ad una democrazia nuova, progressiva, chiedevo anche il disarmo delle bande fasciste, l’immissione dei partigiani nella vita civile, ed una seria epurazione dei ranghi della polizia e dell’esercito da ogni elemento compromesso con le imprese più odiose del fascismo, come condizione essenziale per la rinascita, su basi nuove, profondamente democratiche delle forze e dei corpi armati dello Stato.

Queste stesse richieste esprimevano la nostra sincera preoccupazione per il modo in cui avrebbe dovuto sorgere ed articolarsi il nuovo Stato, la democrazia italiana. Nella richiesta nostra di epurazione non c’erano intenti vendicativi (come dimostrerà poi l’amnistia promulgata da Togliatti quale ministro di grazia e giustizia) né propositi persecutori.

I responsabili di delitti e di azioni antipopolari consumati durante il ventennio fascista dovevano pagare per le loro colpe: era la stessa coscienza popolare a richiedere questo. Ma noi stessi sottolineavamo che occorreva distinguere tra coloro che si erano resi responsabili in prima persona di crimini e abusi contro il popolo e quanti – la grande maggioranza – erano stati costretti a prendere la tessera fascista che era stata ribattezzata «la tessera del pane». Precisavamo, in un discorso al congresso della federazione romana che «bisognava colpire in alto per recuperare in basso».

L’azione risanatrice, da noi sostenuta, però, sarà stroncata ben presto, in vista dell’utilizzazione che le forze conservatrici intendono fare anche dei relitti ed eredi del fascismo nella imminente lotta anticomunista che esse intendono condurre. In questo clima si rende così possibile la stessa costituzione di un partito neofascista e la proliferazione di organizzazioni che, impunemente, osano persino auto-proclamarsi eredi del nazifascismo.

Il divorzio tra la realtà che prende corpo nel nostro paese e il patrimonio politico e morale della recente guerra di liberazione diventa ogni giorno più evidente e più aperto. Col pretesto della incompetenza – denunciavamo agli inizi del 1946 – si vogliono scacciare dalla direzione della cosa pubblica i democratici, i combattenti che hanno dato il più alto contributo di sangue e di sacrificio alla causa della democrazia e della libertà del paese. Funzionari dello Stato mostrano, con il loro comportamento, di essere rimasti fermi alle direttive del regime fascista: Boldrini e Moscatelli, due delle più popolari ed eroiche figure della guerra di liberazione, vengono sistematicamente pedinati dai poliziotti. Siamo — come si vede — ai precedenti di quelle attività antidemocratiche, eversive, di stampo fascista, che in anni più recenti saranno smascherate come «deviazioni del Sifar» (schedatura sistematica di dirigenti politici e sindacali, spionaggio politico, liste di proscrizione, predisposizione di campi di concentramento) e che, in realtà, sono conformi ai piani di sovversione antidemocratica e di reazione antipopolare messi in atto dall’imperialismo americano in ogni parte del mondo per sostenere o acquisire posizioni di forza.

Nelle condizioni che venivano determinandosi in Italia subito dopo la liberazione, il cui segno prevalente era indubbiamente quello di una involuzione nei rapporti politici e sociali e di un logoramento della tessitura unitaria della Resistenza, Togliatti indicò una esigenza politica primaria: porre due saldi pilastri sulla via aperta dalla Resistenza con la fondazione della repubblica e il varo di una Costituzione che desse un quadro istituzionale certo alla avanzata dei lavoratori e del paese sulla via della democrazia e del socialismo.

Repubblica e Costituzione furono conquistate e si trattò di due conquiste meno facili o scontate di quanto qualcuno oggi possa ritenere. Tuttavia, non si può non riconoscere che in entrambi i casi fu ancora lo spirito rinnovatore e unitario della Resistenza a prevalere sulle manovre reazionarie, sugli intrighi di corte (ricordino i giovani di oggi che esisteva ancora una monarchia), sulle ambiguità e le reticenze dei capi politici moderati, sulle spinte conservatrici sempre più decise e sugli arroganti interventi dei governi e dei plenipotenziari anglo-americani in Italia.

Al di là delle accese discussioni sulla «occasione perduta», sulla «rivoluzione mancata» e delle conseguenti accuse riversate sul nostro partito, c’è da dire che gli stessi sviluppi della situazione italiana di questo trentennio si sono incaricati di dimostrare la giustezza e la lungimiranza della intuizione di Togliatti. Infatti, nel sistema politico di cui la Costituzione repubblicana, nonostante i sabotaggi e gli inadempimenti, resta la base fondamentale ed unitaria, i lavoratori, le masse popolari non solo hanno potuto organizzarsi, strappare nuovi diritti e ottenere importanti conquiste, ma è proprio partendo da queste conquiste che essi, forti di una maturità, di un peso e di una autorità accresciuti, possono porre, oggi, concretamente e con autorità, la questione della loro partecipazione alla direzione politica del paese.

Tutto ciò non può impedire di chiederci se, nelle condizioni sempre più difficili del dopo liberazione e pur attribuendo valore del tutto preminente alle conquiste della repubblica e di una Costituzione democratica, non fosse egualmente possibile dar vita ad un movimento di massa più vasto e più all’attacco, ad una iniziativa più tenace e incisiva di quanto realmente non ci siano stati, per realizzare alcune conquiste sia sul terreno delle riforme economico-sociali sia su quello istituzionale (basterebbe pensare alla vergognosa sopravvivenza di codici, regolamenti e ordinamenti fascisti).

 

 
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Luigi Longo, introduzione al libro Chi ha tradito la Resistenza, Editori Riuniti, Roma, 1975

Post n°15676 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

Il ricordo del comandante Gallo... assoluto protagonista, anzi principale; della resistenza:

La ricorrenza del XXX anniversario della liberazione nazionale; il profondo sommovimento politico di cui il voto del 15 giugno 1975 è stato, ad un tempo, una clamorosa manifestazione ed una leva ulteriore; la necessità di inventare nuove vie per affrontare positivamente i problemi della crisi italiana: tutti questi elementi, ultimamente, hanno sollecitato le forze politiche italiane ad interrogarsi sul proprio modo di essere e sul ruolo da assolvere nella nuova realtà del paese.

Da qui hanno preso un nuovo vigore la ricerca, l’analisi storico-politica, la riflessione sull’ultimo trentennio di vita italiana: un terreno questo che, in parte, è ancora da dissodare e nel quale, comunque, gli storici di mestiere e gli studiosi hanno grandi possibilità di lavoro e di confronto.

Poiché si tratta di un passato abbastanza prossimo, collegato per mille fili alla realtà di oggi, la ricerca storico-politica sul trentennio 1945-75ha un interesse immediato e può aiutare ad illuminare il cammino nuovo che l’Italia deve percorrere. Il partito comunista italiano non ha mancato di dare un proprio originale contributo a queste ricerche, ed è per questo che siamo ben lieti di poterci misurare e confrontare in questo campo con voci nuove e diverse dalle nostre.

A questo confronto ed a questa ricerca, ma, in generale, al dibattito politico in corso e alla sete dei giovani di conoscere e di comprendere fatti politici dei quali non hanno fatto in tempo ad essere protagonisti diretti, intendiamo venire incontro anche con la pubblicazione dei testi raccolti in questo volume.

Si tratta di una scelta sommaria di miei articoli e discorsi che coprono, appunto, l’arco di questo ultimo, tormentato trentennio della vita e della lotta politica italiana. Scritti e discorsi che esprimono la linea del partito nel commento da me dato nel corso dello svolgersi degli avvenimenti a cui fanno riferimento e che intervengono nel vivo di una situazione in continuo cambiamento. Di qui il tono spesso aspro e perentorio. Li accomuna, tuttavia, un elemento di fondo: il costante riferimento, cioè, alla politica unitaria, nazionale del Pci che trae la sua fondamentale ispirazione e, al tempo stesso, la sua esaltazione nel patrimonio politico, morale e ideale della Resistenza antifascista.

Gli sviluppi della situazione italiana in questi anni e quelli davvero dirompenti degli ultimi mesi, caratterizzati da crescenti processi politici, sociali, sindacali, civili e culturali profondamente unitari e rinnovatori, fortemente ancorati agli ideali, agli obiettivi e alle speranze della Resistenza, credo che confermino quanto giusta, utile e feconda sia stata e sia questa scelta di fondo del nostro partito. Scelta che nel trentennio successivo alla liberazione sarà sempre alla base dell’azione politica del Pci e orienterà le lotte dei comunisti italiani.

Scopo dichiarato di questa pubblicazione è di mettere in rilievo, di sottolineare la continuità di questo elemento basilare della nostra politica, anche nelle situazioni più difficili, buie e chiuse. E non per ricavarne la conclusione che sempre e comunque i comunisti hanno avuto ragione o, tanto meno, per andare a riscuotere elogi e riconoscimenti, ma per collegarci subito al vivo della grave crisi che travaglia l’Italia e per aiutare a vedere – chi ancora non riesce a vedere – gli sbocchi necessari per uscirne positivamente.

Oggi è ormai largamente riconosciuto e ammesso che alla base della crisi acutissima del paese c’è la politica delle vecchie classi conservatrici e reazionarie, realizzata dalla Dc; politica che, sempre, nel corso di questi trent’anni, si è posta in netta antitesi rispetto alla politica di unità nazionale, democratica, popolare, antifascista, indicata e sostenuta da noi comunisti attraverso vigorose lotte di opposizione, unitarie e di massa.

Dai testi qui raccolti emergono le successive e significative tappe della involuzione contro la quale, con risultati alterni, ma con costante tenacia, ci siamo battuti, nella consapevolezza che era nostro dovere evitare ai lavoratori italiani e alla nazione sacrifici più duri e pericoli gravi, e garantire la agibilità del terreno di lotta e di iniziativa democratica prescelto dal nostro partito sotto la guida di Palmiro Togliatti.

Questa è l’idea e il sincero convincimento che continueranno a guidarci dopo le conquiste unitarie della repubblica e della Costituzione, e dopo il colpo del 1947, che – nel quadro della guerra fredda internazionale e delle pressioni dell’imperialismo americano — venne attuato con la cacciata di comunisti e socialisti dal governo e la conseguente rottura della unità della Resistenza.

Attraverso quel colpo si voleva interrompere il corso della rivoluzione democratica e antifascista avviato dalla lotta armata contro i nazifascisti e aperto dall’insurrezione vittoriosa. Si voleva imporre, da parte delle vecchie classi dominanti (le stesse che avevano incoraggiato l’ascesa del fascismo e che dal regime di Mussolini avevano tratto gli unici vantaggi), un tipo di sviluppo economico e sociale fondato sul profitto monopolistico e sulla speculazione, impedendo la piena attuazione della Costituzione e le riforme che avrebbero dovuto recidere le radici del fascismo nella società nazionale.

I fatti dei primi decenni successivi alla liberazione dicono che questi obiettivi della conservazione sociale e della reazione non sono rimasti sulla carta. Per realizzarli, i governi diretti dal partito democristiano hanno dovuto fare ricorso alla discriminazione cieca e anticostituzionale contro la parte più avanzata del movimento popolare, spaccando l’unità del paese e seminando così, nella coscienza dei cittadini, i germi di una crisi sempre più acuta.

Al tempo stesso, la Dc, i suoi governi e gli alleati del momento hanno dovuto far leva sulla creazione di un sistema di potere fazioso, oligarchico, fondato non già sul riconoscimento delle capacità e delle competenze, bensì sul servilismo e sulla logica di gruppo.

Da qui la degenerazione sempre più diffusa di organi, corpi, apparati statali, amministrazioni ed enti pubblici, coinvolti e travolti dalla logica del sottogoverno e della corruzione che, alla lunga, ha portato alla inefficienza e alla paralisi nel funzionamento dello Stato. Si deve certamente a tutta la nostra azione di questo trentennio se questo lungo processo involutivo, anziché trovare sbocco in spinte disgreganti di tipo qualunquista o, peggio, in soluzioni apertamente autoritarie (verso le quali non sono mancate le tentazioni) è approdato, col voto del 15 giugno di quest’anno, alla espressione di una matura coscienza democratica di una parte grandissima di lavoratori, di giovani, di intellettuali e di ceti produttivi, uniti nella volontà di cambiare, di andare avanti proprio sulla via che noi non ci siamo mai stancati di indicare.

Errori, lacune, ritardi, incomprensioni, illusioni, anche, non mancano, certamente, nelle nostre lotte di questo trentennio. Ne abbiamo parlato, in passato, e ne continueremo a parlare senza complessi e senza reticenze, per trarre dall’esperienza tutti gli insegnamenti.

Sarà questo un contributo alla necessaria opera di continuo e reale rinnovamento e di adeguamento che i lavoratori, che il paese richiedono e sempre più esigeranno dalle forze politiche organizzate, pena la loro decadenza e sconfitta.

A questo proposito mi sembrano assai significativi i modi e le forme nelle quali, questa estate, dopo il voto del 15 giugno, è culminata e si è espressa la profonda, lunga crisi della democrazia cristiana, i cui dirigenti non sono riusciti ad indicare o ad abbozzare le linee di un serio programma politico di rinnovamento e di risanamento, corrispondente in qualche modo alle esigenze e alla domanda nuova del paese. Non è – ad esempio – che nelle travagliate vicende interne della Dc, seguite alla sconfitta elettorale, non siano mancati accenti autocritici o abbozzi, anche interessanti, se si vuole, di una analisi del «cambiamento italiano» manifestatosi il 15 giugno. Ma tutto questo non può che restare confinato nell’ambito della sociologia o peggio delle giustificazioni e non porta ad alcuna delle necessarie conclusioni politiche, ove non faccia posto ad una rigorosa riflessione, ad una impietosa autocritica sul terreno storico-politico, capace di mettere a fuoco il ruolo assolto, subito dopo la liberazione e poi in questi decenni, dal partito della Dc, ed il fatto che le mutate condizioni interne ed internazionali hanno finito per fare entrare la politica e il sistema di potere della Dc, già così logorati, in stridente contraddizione con le nuove e più sentite esigenze di libertà, di giustizia, di progresso, di partecipazione democratica delle grandi masse e con le esigenze di sviluppo e di rinnovamento complessivo del paese.

Siamo, quindi, i primi ad augurarci che anche nel campo democristiano e nella vasta area del mondo cattolico, venga raccolta l’esigenza di una seria riflessione, di studi, di ricerche sul trentennio trascorso, per contribuire – pur nella diversità di tesi e di impostazioni – ad una intesa più profonda e leale tra le grandi correnti popolari del nostro paese.

Dicevo all’inizio che scopo dichiarato della pubblicazione di questa raccolta di discorsi e articoli è quello di documentare la continuità e la coerenza della politica e dell’azione del Pci nel corso di questo trentennio. Politica e azione saldamente ancorate agli obiettivi di progresso sociale, di libertà, di democrazia, di pace, di indipendenza e di dignità nazionale che, pur nelle profonde differenziazioni delle componenti politico-militari che parteciparono alla guerra di liberazione, ispirarono – nel complesso – la lotta e il sacrificio dei combattenti antifascisti ed ebbero, successivamente, la loro sanzione unitaria nella repubblica e nella Costituzione.

Penso che la tenacia e la coerenza con la quale abbiamo sostenuto, difeso e portato avanti la sostanza di questa politica, stiano alla base dei successi e delle adesioni sempre più estese che essa ha riscosso e continua a riscuotere. Nei processi di disgregazione, di degenerazione, di crisi politica, sociale, economica e morale, provocati dalla gestione monopolistica del potere da parte della democrazia cristiana, la nostra politica e le nostre proposte unitarie hanno rappresentato, infatti, un elemento stabile di aggregazione, di ricomposizione a livelli più avanzati di unità e di lotta delle diverse componenti democratiche e progressive della società italiana e hanno costituito una indicazione positiva per una alternativa democratica fondata sulle grandi componenti storiche del popolo italiano e sulla loro capacità, se unite, di rinnovare profondamente indirizzi e metodi di governo.

Ci si potrà rendere conto di quanto lungo, difficile e faticoso sia stato il cammino di questa nostra politica attraverso il tunnel della guerra fredda, del monopolio clerico-reazionario del potere, della crociata sanfedista, della persecuzione antipopolare, culminata nell’attentato a Togliatti e negli eccidi di operai, dei tentativi di avventure autoritarie, di imbavagliamento sistematico di ogni libera espressione del pensiero e della cultura e, più in generale, di annientamento di qualsiasi forma di dialettica democratica.

Tutto ciò mentre si cercava di provocare una rottura profonda e duratura tra le diverse componenti del movimento operaio, nell’illusione di potere isolare e diminuire la forza e la combattività delle classi lavoratrici e infliggere una definitiva sconfitta al partito comunista.

Ed ancora – ma già siamo alla cronaca – attraverso i campi minati dei complotti eversivi, della strategia della tensione, delle stragi e delle criminali trame fasciste ispirate dal folle disegno delle forze più cieche della reazione interna e internazionale, di riconquistare, col terrore e col sangue, il terreno conquistato dai lavoratori, dalle forze democratiche e antifasciste, dalle donne, dai giovani, sull’onda delle grandi stagioni di lotte unitarie.

Ma, direi che, proprio perché «l’Italia nuova» di cui s’è parlato all’indomani del risultato elettorale del 15 giugno, è venuta crescendo e si è maturata lungo questo tormentato cammino, proprio per questo essa si è manifestata sotto il segno dell’unità democratica e antifascista, respingendo i rinnovati appelli di parte democristiana alla rottura, allo scontro frontale, alla contrapposizione permanente e radicale. Questa «nuova Italia», cresciuta attraverso tante dure battaglie, si è manifestata nel segno di una straordinaria vitalità degli ideali, degli obiettivi e della ispirazione unitaria e nazionale della Resistenza, chiedendo una gestione del paese conforme ai principi della Costituzione antifascista che dalla Resistenza è nata.

Il fatto, poi, che questa «Italia nuova» abbia dato il riconoscimento ed il consenso più grande al partito comunista, dimostra quanto le nostre lotte di questo trentennio abbiano profondamente inciso nella realtà nazionale e in quale misura siano state proprio queste lotte ad indicare la direzione, i contenuti, i modi stessi del cambiamento: di quello che già c’è stato e di quello che ancora dovrà esserci.

Le prese di posizione immediatamente successive alla liberazione mi sembrano una valida testimonianza del fatto che il nostro partito usciva dalla Resistenza avendo maturato un progetto sufficientemente chiaro e coerente per la fondazione e lo sviluppo della nuova democrazia italiana. Lo stesso spirito unitario, patriottico e popolare che aveva animato la Resistenza, circola nel programma comunista per la ricostruzione, la rinascita ed un rinnovamento profondo del paese.

«È alle forze democratiche sincere, che esistono e probabilmente sono prevalenti in tutti i partiti, che noi facciamo appello, — scrive Togliatti all’indomani della liberazione. — È di esse che noi auspichiamo l’unità, con un programma nuovo che soddisfi le aspirazioni delle masse lavoratrici e patriottiche di tutto il paese, che guidi tutta l’Italia a liberarsi del tutto e per sempre del passato fascista, e a non ricadere negli errori che ci portarono al fascismo. In un clima nuovo, in un clima di vera unità e solidarietà nazionale noi potremo così iniziare l’opera di ricostruzione, potremo liquidare col minimo di dolori e di sacrifici la terribile eredità del nazionalismo e del fascismo, riaffacciarci alla vita internazionale e darci, tra pochi mesi, attraverso l’Assemblea costituente liberamente eletta, una nuova struttura politica, democratica, repubblicana progressiva, sulla base della quale tutte le sane energie della nazione possano collaborare».

Questa nuova struttura, a nostro avviso, per essere davvero tale, per rompere nettamente col regime fascista e col vecchio Stato pre-fascista, burocratico e reazionario, doveva poggiare sulla più larga partecipazione unitaria delle masse popolari. Per questo, in contrasto con quanti già tendevano a declassare i comitati di liberazione nazionale ad organi di puro e semplice collegamento tra i partiti antifascisti, noi indicavamo la creazione di un ordine popolare proprio attorno ai CLN, concepiti come base di potere nuovo, soggetti di organizzazione e di disciplina della vita politica e sociale, motore fondamentale della nuova vita democratica del paese.

Questa concezione nuova della democrazia, che scaturiva direttamente dalla esperienza luminosa della Resistenza, si scontra, però, con quella «serie di manovre insidiose, tortuose, perfide le quali tendono a prendere l’aspetto di una vasta campagna» già denunciate da Palmiro Togliatti alla fine del ’44. E occorre dire che quelle prime avvisaglie, nel breve giro di un anno, sempre più avevano preso corpo. Erano divenute consistenti iniziative delle forze moderate e conservatrici interne allo stesso schieramento antifascista, le quali con lo stimolo, l’incoraggiamento e l’aperto sostegno degli anglo-americani, miravano a ripristinare l’ordine conservatore e borghese dell’Italia pre-fascista e ad escludere, alla prima occasione, comunisti e socialisti dalla direzione del paese.

In una conferenza tenuta nel gennaio 1947 a Firenze, Togliatti non farà mistero che sono stati gli anglo-americani, in prima persona, ad intimare l’alt al sistema dei CLN e riconoscerà francamente che non si era in grado di respingere la decisione degli alleati. Ma al di là dell’atteggiamento degli anglo-americani, che pure non poteva non avere il suo peso dal momento che i loro eserciti occupavano ancora l’Italia, di fatto, c’era stata al Sud, e ora — dopo la liberazione del Nord — proseguiva febbrilmente in tutto il paese la corsa delle vecchie classi possidenti, dei vecchi gruppi dirigenti, delle caste burocratiche per recuperare tutto intero il potere ed i privilegi, che, per un momento, erano potuti apparire coinvolti nel crollo rovinoso del fascismo.

A quest’azione multiforme di recupero delle tradizionali forze reazionarie e parassitarie corrispondono, del resto, sul piano più propriamente politico, le iniziative di quei settori dello schieramento antifascista le quali, sostenendo la cosiddetta «continuità dello Stato», miravano, nei fatti, a impedire che la nuova democrazia italiana nascesse in netta rottura e in polemica col vecchio Stato pre-fascista e che essa potesse camminare con le gambe degli operai, dei contadini, delle forze intellettuali e produttive democratiche e progressive.

Nella fase in cui si trattava di decidere l’assetto da dare al nuovo Stato, venivano così alla luce, in un confronto aperto, le diverse anime che nella Resistenza erano riuscite a stabilire una comune base di convivenza e che avevano trovato il loro punto di fusione nella lotta patriottica contro i nazifascisti.

 

 
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25 APRILE 1945 - 25 APRILE 2020

Post n°15675 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

25 APRILE 1945 - 25 APRILE 2020
75 anni

Ricordare la #Resistenza è combattere ancora oggi per le stesse ragioni. Per la liberazione dei lavoratori dallo sfruttamento capitalistico, per la pace, contro la sopraffazione imperialista. Fedeli alla nostra storia, avanti fino alla vittoria!
#25aprile

ANTIFASCISMO E' ANTICAPITALISMO

 
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Fischia il vento

Post n°15674 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

 
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Diretta 25 aprile

Post n°15673 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

- Sabato 25 aprile ore 11:00 - in diretta Facebook
Antifascismo è anticapitalismo
75° della resistenza

Intervengono:
Davide Conti - storico
Alessandro Barbero - storico
Marco Rizzo - Segretario generale PC
Benedetta De Vanni - Giovane PC Livorno
Introduce il segretario di Livorno PC Lenny Bottai

Quest'anno particolare, dove per una ricorrenza così importante siamo costretti a non poter manifestare pubblicamente il ricordo e le idee di chi ha lottato ed è morto per una Italia migliore una Italia socialista contro il nazifascismo

 
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Bella Ciao - Tosca

Post n°15672 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

 
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Il mondo canta Bella ciao

Post n°15671 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

 
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75° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE - PC LIVORNO

Post n°15670 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

Quest'anno ricorre il 75° anniversario della vittoria della Guerra di Liberazione. Per la prima volta non sarà possibile celebrarlo pubblicamente nelle strade e nelle piazze del paese.
Se ciò fosse stato possibile lo avremmo fatto organizzando una manifestazione pubblica non solo per ricordare una data che ha segnato una tappa storica nella storia d'Italia con la sconfitta del fascismo e del nazismo; ma anche e soprattutto per ricordare che i partigiani non lottarono soltanto per cacciare i tedeschi e battere i fascisti, ma furono animati da grandi ideali di giustizia sociale, democrazia e libertà. E per ricordare e ricordarci che quegli ideali sono rimasti, ad oggi, irrealizzati.
Proprio in questi giorni possiamo vedere come quella Costituzione della Repubblica, nata dalla Resistenza e da quel 25 Aprile, che già negli ultimi decenni è stata aggredita e violata più volte, rimane lettera morta nel garantire a tutti i cittadini il diritto alla salute e ad una vita degna.
Anche per questo non ci uniremo ai “cortei virtuali” promossi in questi giorni che come unico scopo hanno quello di promuovere un mito unificatore necessario a raccogliere il consenso della gente e nascondere non solo il drammatico fallimento di questo sistema sociale e le responsabilità di chi governa il paese, ma anche il fatto che i lavoratori e le loro famiglie devono prepararsi ad affrontare condizioni di vita, di lavoro e di sfruttamento ancora più feroci, ancora più disumane.
Perché solo a questo prezzo verranno garantiti i profitti dei padroni!
Da parte nostra il 25 Aprile ci ricorda che la classe operaia, i lavoratori del nostro paese hanno saputo lottare in passato sfidando il tallone di ferro dei nazisti e dei fascisti; sfidando il fuoco dei cannoni e delle mitragliatrici; sfidando il pericolo della deportazione nei lager. E alla fine hanno
vinto! E il prezzo che i padroni hanno dovuto pagare per aver sostenuto il fascismo è stato enorme: dopo vent'anni si sono trovati ad avere le fabbriche rovinate, distrutte dai bombardamenti ed il paese portato alla rovina.
Il 25 Aprile ci serve a ricordare e a far ricordare che è impossibile governare democraticamente senza e contro gli operai organizzati, senza e contro la classe opeaia ed i lavoratori uniti.
Oggi una società nuova, in cui non esista più lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, in cui siano veramente garantiti il diritto al lavoro, il diritto allo studio, il diritto ad un alloggio dignitoso, il diritto ad un'assistenza sanitaria gratuita per tutti, il diritto a vivere una vita degna, sembra essere irraggiungibile. Ma non è così! Ciò che oggi appare come irrangiungibile, è in realtà l’unica scelta ragionevole: il potere nelle mani dei lavoratori!

 
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VIVA IL 25 APRILE!!!

Post n°15669 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

“I valori della Resistenza sono base della nostra storia”... bene, ricordatelo anche quando fate paragoni schifosi e vergognosi; quando fate revisionismo storico; quando si vuole paragonare chi è morto per la patria e chi è morto per gli occupatori nazi-fascisti. I miei nonni, i miei zii, quei giovani e quelle giovani che hanno combattuto per ridare dignità a questo paese, che hanno combattuto per riscattare la patria dalla dittatura, dalla vergogna della guerra, che sono morti, sono stati mutilati, sono stati torturati dalle canaglie occupatrici; non meritano questa mancanza di rispetto, e la fine che ha fatto questo paese. C’è ancora aimè molto da fare e il nemico è sempre lo stesso il grande capitale.
Onore ai partigiani!!! #oraesempreresistenza #vivail25aprile #bellaciao #vivalebrigategaribaldi

 
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curiosità sulla resistenza

Post n°15668 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

Mentre recitava al teatro Anna Magnani salirono sul palco i fascisti e con i mitra intimavano di far smettere lo spettacolo e la grandissima Anna Magnani gli risposte con un sonoro "m'annate a mori ammazzati"

 
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frasi sulla resistenza

Post n°15667 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

Pier Paolo Pasolini

«Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni. Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è. In cui tutto scorre per non passare davvero.

Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe che questo Paese speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale».

Scritti corsari anno 1975

 
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frasi sulla resistenza

Post n°15666 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

Dopo venti anni di regime e dopo cinque di guerra, eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola. Eravamo di nuovo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi. Quel giorno, o amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all’uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà
(Norberto Bobbio)

 
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(Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny)

Post n°15665 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull’ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l’importante: che ne restasse sempre uno. Scattò il capo e acuì lo sguardo come a vedere più lontano e più profondo, la brama della città e la reiugnanza delle colline l’afferrarono insieme e insieme lo squassarono, ma era come radicato per i piedi alle colline. – I’ll go on to the end. I’ll never give up.
(Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny)

 
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La madre del partigiano

Post n°15664 pubblicato il 25 Aprile 2020 da Ladridicinema

La madre del partigiano
Sulla neve bianca bianca
c’è una macchia color vermiglio;
è il sangue, il sangue di mio figlio,
morto per la libertà.
Quando il sole la neve scioglie
un fiore rosso vedi spuntare:
o tu che passi, non lo strappare,
è il fiore della libertà.
Quando scesero i partigiani
a liberare le nostre case,
sui monti azzurri mio figlio rimase
a far la guardia alla libertà.
(Gianni Rodari)

 
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Ma allora l'Italia aveva bisogno dei russi? da antidiplomatico

Post n°15663 pubblicato il 22 Aprile 2020 da Ladridicinema
 

Ma allora l'Italia aveva bisogno dei russi?
 

di Fabrizio Verde
 

Il quotidiano ‘La Stampa’ informa che «alla luce delle esigenze emerse nel territorio piemontese» la regione ha chiesto l’intervento delle unità speciali russe che attualmente di trovano ad operare in quel di Bergamo. La richiesta sarebbe già stata avanzata all’ambasciata della Federazione Russa in Italia che ha informato come la decisione sull’eventuale invio del personale russo in Piemonte spetti alla Protezione Civile, che decide la dislocazione degli uomini russi già al lavoro in Lombardia e Puglia nell’ambito della missione d’aiuto decisa Conte e Putin «Dalla Russia con amore». 

 

A questo punto una domanda viene spontanea: visto che la coraggiosa inchiesta condotta proprio dal quotidiano torinese ‘La Stampa’ aveva informato che la missione russa è sostanzialmente inutile e gli specialisti di Mosca sarebbero venuti in Italia per compiere opera di spionaggio, in un luogo strategico come Bergamo, perché la regione Piemonte decide di rischiare di subire lo spionaggio di Mosca e chiede l’invio dei suoi uomini?

 

O forse quella del quotidiano torinese era l’ennesima sparata propagandistica realizzata per servilismo filo-atlantico? No, non possiamo credere a questa opzione. D’altronde vi è mai capitato sulle colonne de ‘La Stampa’ di trovare fake news volte a portare avanti la strategia di Washington? 

 
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