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Messaggi del 05/01/2014

 

Christian De Sica,ecco la mia Cinecittà da Ansa

Post n°10890 pubblicato il 05 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

Mio padre un grande, nel futuro commedia Il ricco e il povero03 gennaio, 13:36
Christian De Sica,ecco la mia Cinecittà(ANSA) - ROMA, 3 GEN - ''Cinecittà sarà molto probabilmente il mio ultimo musical. Non ho più l'età per fare queste cose''.

Così all'ANSA Christian De Sica, classe 1951, parla appunto di Cinecittà, nuovo musical con cui debutterà il 10 gennaio a Padova con la regia di Giampiero Solari e le coreografie di Franco Miseria. Ma dall'attore anche ricordi del padre, la difesa dei cine-panettoni e il titolo del suo prossimo film con Neri Parenti, ma senza Filmauro, ovvero 'Il ricco e il povero'.

 
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Guccini torna in vinile: mille copie a edizione limitata da la repybblica

Post n°10889 pubblicato il 05 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

Quindici album del maestro sono stati ristampati in copie numerate per i fan più sfegatati. Stanno già andando a ruba

Guccini torna in vinile: mille copie a edizione limitata

Quindici Lp di Francesco Guccini in vinile sono ora disponibili in edizione speciale a tiratura limitata. Una vera chicca per i collezionisti di memorabilia del Maestrone. I vinili, infatti, sono numerati e stampati in sole 1000 copie. Lo si legge sul sito www.francescoguccini.net. 

Per l'occasione è stata eseguita una rimasterizzazione digitale specifica per il supporto in vinile e sono state riprese le grafiche originali per preservare tutta la bellezza di questo formato.



Questi i 15 album che sono stati ristampati: Folk Beat N.1, Due Anni Dopo, L'Isola Non Trovata, Radici, Stanze di Vita Quotidiana, Via Paolo Fabbri 43, Stanze di vita quotidiana, Guccini, Metropolis, Quello che non, Signora Bovary, D'amore di morte e d'altre sciocchezze, Stagioni, Ritratti, Parnassius Guccinii.

 
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Guccini si racconta a Nautilus: "Per i primi tre romanzi ho frugato nella mia memoria" da qn

Post n°10888 pubblicato il 05 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

Francesco Guccini (Marchi)Francesco Guccini (Marchi)

 
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Renato Zero torna sul palco: le date dell’Amo Tour 2014 da concertionline.co

Post n°10887 pubblicato il 05 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

Dopo i sold out e l’incredibile successo del 2014, l’artista torna sul palcoscenico per una nuova serie di live

Martina Pugno
3 gennaio 2014

Non sono bastate le moltissime date tenute nel corso del 2013 e tutte sold out, né il record di concerti tenuti nella capitale: il pubblico di Renato Zerovuole di più  e il cantautore è prontissimo a soddisfarlo. L’Amo Tourprosegue quindi anche nel corso del 2014, con una nuova serie di date che prenderanno il via a partire da febbraio a Brescia. Video, medley, coreografie spettacolari e, su tutto, la grande voce di Renato Zerosaranno protagonisti dello show e permetteranno al pubblico di rivivere insieme all’artista i migliori momenti della sua carriera musicale, dai primi fino ai più recenti successi. Il primo concerto è previsto per 1 febbraio presso la Fiera Brixia Expo di Brescia, mentre il 4 febbraio il tour farà tappa al Mediolanum Forum di Assago. Il 7 sarà la volta dell’Unipol Arena di Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, mentre il 10 e l’11 si terranno due concerti al Mandela Forum di Firenze. Chiudono la serie di date i due concerti previsti per il 15 e 16 febbraio presso il Modigliani Forum di Livorno.

 
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Quando meno te lo aspetti da mymovies

Post n°10886 pubblicato il 05 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

C'era una volta una ragazzina romantica di nome Laura, che una sera ballò a una festa con un principe azzurro di nome Sandro, il quale scappò a mezzanotte lasciando una scarpa sulle scale. E c'era una volta il padre di Sandro, Pierre, a cui tanti anni prima una donna aveva predetto la data della morte, che ora si è fatta imminente. E poi Maxime, affascinante lupo solitario, affamato di giovinette, e la sua vicina di casa Marianne, aspirante attrice, impegnata nell'allestimento di una recita di bambini, dentro la scenografia cartonata di un bosco incantato.
La coppia d'oro della commedia intellettuale francese s'immerge nel contesto della fiaba tradizionale per esplorare in realtà i retroscena tragicomici delle credenze, delle superstizioni e delle paure contemporanee, molte delle quali affondano le loro radici in modelli antichi e desueti, eppure duri a morire. 
Al di là delle facili associazioni tra i reali di una volta e l'industriale di oggi, a capo di un piccolo impero e al fianco di una donna che non invecchia mai, grazie ai prodigi del botox, il film dà il suo meglio nella presentazione di un mondo adulto sconvolto dalle stesse incertezze di quello dei ragazzi, pronto ad aggrapparsi a sogni altrettanto ideali e incapace di non perseverare nell'errore e di trovare la retta via per uscire dalla selva oscura della crisi di mezz'età. 
Quelli indossati da Jaoui e Bacri sono anche i personaggi più veri e teneri, più soli e incorreggibili e, nonostante si apprezzi lo spazio che, come autori, regalano alle nuove generazioni, il cuore del film batte più forte quando sono loro ad incrociarsi sulla scena, ad un party elegante, dentro il campo medio della commedia corale, o nell'abitacolo di un'automobile, dentro il piano ristretto che esalta le loro doti di dialoghisti brillanti, cui la fata madrina ha offerto alla nascita il sacro dono del ritmo. 
La cornice ispirata al mondo fantasioso ma anche subdolamente normativo della fiaba, da un lato presta alla messa in scena un'idea formale che scuote la regista dalla sua fedeltà alla trasparenza e al minimalismo (che però, probabilmente, le confacevano di più), dall'altro lato irreggimenta il film come mai prima, privandolo di quei momenti di digressione che avevano fatto di Parlez-moi de la pluie un'opera meno strutturata ma anche più libera delle precedenti, forse il vero "credo" degli autori: nel dominio dell'assurdo.

 
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Viaggio sola

Post n°10885 pubblicato il 05 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

Irene è un'ispettrice alberghiera che valuta e giudica le prestazioni di hotel di lusso. Pignola e scrupolosa, soggiorna nell'albergo di turno all'insaputa di direttori e personale, infilando i guanti bianchi e spiegando il suo kit da lavoro. In volo tra una città e un'altra, Irene viaggia sola e dentro una vita a cinque stelle che le impedisce di mettere radici. A terra l'aspettano Andrea, ex fidanzato ed eterno amico, e Silvia, sorella con marito e prole, che sogna un giorno di vederla 'sistemata'. Attenta ai particolari, Irene sembra però perdere il quadro generale. Il decesso di un'antropologa conosciuta nella spa di un hotel berlinese la precipita nel caos, disorientandola come i direttori che ammonisce.
Dopo l'uomo solo di Favino, dentro una storia sentimentale che finisce, Maria Sole Tognazzi sceglie una protagonista femminile e la imbarca letteralmente nel mondo. Perché l'Irene di Margherita Buy è una cittadina dell'airworld che ha fatto dei non-luoghi la sua dimora mobile. Una donna che rifiuta la stasi e preferisce le zone liminali all'inquietante certezza della vita 'normale'. Angelo sterminatore a terra, Irene bacchetta con stile e discrezione chi dovrebbe offrire ai propri clienti un'esperienza indimenticabile, invitandoli a riconsiderare la gestione dell'albergo e a organizzarlo in modo migliore. Proprio come farà con la sua vita, in cui persevera determinata a bastarsi. 
Almeno fino a quando non incontra una donna che come lei viaggia sola, affetta dal suo stesso nomadismo. Le parole e le teorie dell'antropologa, conosciuta ammollo in una spa, abbassano le sue difese, interrompendo la gestualità rituale e precipitandola nel 'disordine'. E in quel disordine Viaggio sola rivela la sua originalità, scartando i cliché della commedia sentimentale come un cliente occasionale di un albergo esotico devierà il desiderio per Irene, corteggiata davanti a un bicchiere di vino servito intempestivamente. L'esecutrice intransigente ha un punto debole nella solitudine a cui fa da contrappunto la vita 'familiare' della sorella, moglie e madre dentro il quotidiano. Vivere negli interstizi rende difficile entrare in intimità con l'altro, stringere relazioni autentiche, nutrire un sentimento ma d'altra parte l'umano non può godere di tutto, non può avere tutto, non può essere tutto. 
Quello che caratterizza Irene è l'esperienza del limite e quello che intende il bel film della Tognazzi è la capacità di misurarsi con quel limite e con la propria solitudine, la capacità di restare soli, la capacità di accettarlo. La risposta a cui giungerà non la sposterà più in là perché Irene è esattamente dove vuole essere e quello che vuole essere. La crisi, sfogata nell'amplesso con l'ex compagno, la risveglia consapevole o più consapevole delle decisioni prese. Irriducibile a una vita ordinaria, la protagonista (ac)coglie fino in fondo la sua natura sfuggente e l'asseconda dicendosi ad alta voce le rinunce ma pure la grande bellezza della scelta, della vocazione, della (propria) passione.
Il senso del film vive tutto negli occhi e nel portamento di Margherita Buy che fa del suo corpo il paradigma di una possibile modernità del femminile. Accanto a lei il passo indolente e spaesato di Stefano Accorsi e quello smagrito e irrequieto di Gianmarco Tognazzi, disorientati e accoglienti tra un ortaggio virtuale e uno reale. Coltivatori indiretti del maschile. Di un maschile che prova a essere migliore.

 
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Jobs

Post n°10884 pubblicato il 05 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

2001. Steve Jobs presenta a una riunione dello staff Apple un prodotto che rivoluzionerà il modo di ascoltare la musica: l'iPod. Primi Anni '70: Jobs è un giovane studente non refrattario all'uso di allucinogeni e alle esperienze mistiche in India ma anche dotato di un grande abilità nel trattare affari unito ad una sorta di sesto senso per intuire quali sono i progetti realmente innovativi in ambito informatico. A partire dallo sviluppo di un videogioco richiesto dalla Atari e realizzato grazie alla fondamentale collaborazione dell'amico d'infanzia Steve Wozniak, ha inizio la sua straordinaria carriera che viene seguita fino al 1994.
Non era certamente facile pensare di comprimere la complessa vita professionale e privata di Steve Jobs in un film della durata di poco superiore alle due ore. Così come non era semplice sfuggire a quella sorta di agiografia laica che ne ha accompagnato la scomparsa. È sufficiente ricordare la sua affermazione che più è stata citata: "A tutti i folli. I solitari. I ribelli. Quelli che non si adattano. Quelli che non ci stanno. Quelli che sembrano sempre fuori luogo. Quelli che vedono le cose in modo differente. Quelli che non si adattano alle regole. E non hanno rispetto per lo status quo. Potete essere d'accordo con loro o non essere d'accordo. Li potete glorificare o diffamare. L'unica cosa che non potete fare è ignorarli. Perché cambiano le cose. Spingono la razza umana in avanti. E mentre qualcuno li considera dei folli, noi li consideriamo dei geni. Perché le persone che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo sono coloro che lo cambiano davvero." 
Anche la sceneggiatura del film scritta da Matt Whiteley non se la lascia sfuggire ma conserva il grande pregio di mostrarci uno spaccato sufficientemente ampio della vita di un innovatore che, sono ancora sue parole, si sentiva in grado di 'toccare il cuore della gente' mentre nei rapporti personali mostrava un'aridità direttamente proporzionale alla genialità. Stern non ci risparmia l'egoismo di un giovane Steve che riceve un primo incarico da 5000 dollari e all'amico d'infanzia, di cui ha assoluto bisogno per realizzare il progetto, dice di averne ottenuti 700 da dividere in parti uguali. Grazie all'adesione anche fisica al personaggio da parte di Ashton Kutcher siamo costretti a confrontarci con una personalità capace di aprirsi al mondo spalancandogli concretamente le porte del futuro ma altrettanto pronta a calpestare amicizie e collaborazioni di lunga data (e a negare a lungo una paternità) per raggiungere i fini prefissi. 
Biopic come questo non vogliono mettere in fila una serie di scene edificanti ma chiedono allo spettatore, che si è già fatta una propria idea del soggetto trattato, di rimettersi in gioco. Consapevole che anche in questo caso si tratta di un punto di vista parziale e soggettivo ma al contempo grato per la rinuncia all'unilateralità. -- 

 
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WGA 2014: arriva la ventunesima nomination per Woody Allen da movieplayer

Post n°10883 pubblicato il 05 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news

notizia a cura di scritta il 04 gennaio 2014
Annunciate le candidature della Guild degli sceneggiatori, che, come i produttori del PGA, rilanciano Blue Jasmine, ma anche I segreti di Osage County. Ancora fuori A proposito di Davis.
WGA 2014: arriva la ventunesima nomination per Woody Allen
In attesa dell'annuncio delle nomination del Directors Guild, il sindacato hollywoodiano più influente, arrivano quelle ai Writers Guild Awards, indicatore abbastanza significativo nella corsa all'Oscar se non altro per l'ampio bacino di votanti tra West Coast e East Coast.
Le candidature cinematografiche non sono particolarmente sorprendenti (manca il favoritissimo 12 anni schiavo, ma solo perché era ineleggibile per ragioni "geografiche"; e sceneggiatori britannici, e quindi non iscritti al WGA - sono anche quelli che hanno firmato gli ottimi Rush e Philomena), ma indubbiamente rappresentano la conferma del rilancio di Blue Jasminedi Woody Allen - che ottiene così la sua ventunesima menzione da parte del WGA; di vittorie ne ha collezionate già cinque ma stavolta dovrà vedersela con l'agguerritissimo David O. Russell, parimenti regista e sceneggiatore (con Eric Singer) diAmerican Hustle - L'apparenza inganna.

Nella categoria dedicata alle sceneggiature originali la gare sembra più aperta e la nomination del WGA sembra giovare soprattutto allo scorsesiano The Wolf of Wall Street. Tra i documentari continua ad ottenere riscontro positivo il bellissimo Stories We Tell di Sarah Polley.

Ma ecco tutte le nomination ai WGA 2014, che saranno consegnati il prossimo 1 febbraio:

 
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AMAZON PRESENTA IL NUOVO LETTORE DI EBOOK: KINDLE PAPERWHITE, ANCHE 3G da telefoniablog.net

Post n°10882 pubblicato il 05 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

amazon kindle paperwhite

Caro Cliente,

Siamo convinti dell’importanza e delle possibilità che la lettura offre. Amiamo i libri. I libri trasmettono conoscenza, diffondono le idee e possono trasportarti in altre vite e altri mondi. È per questo motivo che stiamo lavorando con tanto impegno per aiutarti a leggere di più e trarre benefici ancora maggiori dalla lettura.Oggi siamo entusiasti di poter annunciare una nuova pietra miliare nel nostro viaggio il nuovo Kindle Paperwhite.

Così Amazon presenta il lettore di eBook più famoso al mondo, il nuovo Kindle Paperwhite che a differenza dei comuni tablet offre una migliore esperienza di lettura e grazie allo schermo con luce integrata permette di non affaticare la vista.

Le novità introdotte rispetto ai modelli già esistenti sono:

  • Schermo di nuova tecnologia: maggiore contrasto e migliore riflessione della luce, si tratta di uno schermo Paperwhite Amazon da 6 pollici (15,24 cm) con luce brevettata integrata, 212 ppi, tecnologia dei caratteri ottimizzata, scala di grigi a 16 livelli.
  • Processore più veloce del 25%: permette di voltare pagina più velocemente.
  • Tecnologia Touch migliorata: lo schermo capacitivo touch si avvale di una griglia di condensatori più fitta del 19% che ne migliora la reattività.
  • Luce integrata di nuova generazione : schermo più bianco e testo più scuro permettendo di leggere al buio
  • Scorri pagina
  • Consultazione rapida: integra un dizionario con Wikipedia

Le specifiche tecniche:

  • Schermo: Paperwhite Amazon da 6 pollici (15,24 cm) con luce brevettata integrata, 212 ppi, tecnologia dei caratteri ottimizzata, scala di grigi a 16 livelli
  • Dimensioni: 169 mm x 117 mm x 9,1 mm
  • Peso: 206 grammi
  • Requisiti di sistema: Nessuno: con la connettività wireless non serve un computer per scaricare contenuti
  • Memoria dispositivo: 2 GB interni (circa 1,25 GB disponibile per i contenuti dell’utente). Può contenere fino a 1.100 eBook
  • Archiviazione Cloud: gratuita per tutti i contenuti Amazon
  • Durata della batteria: una sola carica permette di leggere mezz’ora al giorno con wireless disattivato e luce regolata a 10 fino a otto settimane. La durata della batteria varia in base all’uso del wireless e della luce
  • Tempi di caricamento: Una carica completa richiede circa 4 ore con cavo USB connesso a un computer
  • Connettività: Wi-Fi, supporta reti Wi-Fi pubbliche e private o hotspot che usano gli standard 802.11b, 802.11g, o 802.11n con sistema di autenticazione tramite password WEP. WPA e WPA2 o reti Wi-Fi protette (WPS)
  • Formati supportati: formato Kindle 8 (AZW3), Kindle (AZW), TXT, PDF, MOBI non protetto, PRC nativo; HTML, DOC, DOCX, JPEG, GIF, PNG, BMP con conversione

Le versioni disponibili:

  1. Paperwhite (solo WiFi) a 129 Euro (le spedizioni iniziano il 9 Ottobre)
  2. Paperwhite 3G a 189 Euro (le spedizioni iniziano il 12 Novembre)

 
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Amazon Kindle Paperwhite, vecchio e nuovo a confronto da slideshow

Post n°10881 pubblicato il 05 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

Nuovo Kindle Paperwhite, la nuova funzione aggiungi al dizionario

SLIDESHOW – Amazon Kindle arriva alla sesta generazione con il nuovo Paperwhite. Il processore è più veloce del 25 percento e la griglia touch è del 19 percento più densa. Le novità significative sono tutte nel software

Amazon Kindle arriva alla sesta generazione con il nuovo Paperwhite. il processore è più veloce del 25 percento, rispetto al modello precedente, e la griglia touch è del 19 percento più densa, secondo i dati di targa del produttore. Abbiamo avuto occasione di metterci le mani sopra e confrontare prestazioni e sensazioni del nuovo Kindle Paperwhite con il modello appena precedente. Per quanto riguarda lo chassis esterno, e le sue specifiche, non c’è alcuna differenza, fatta salva la serigrafia sul dorso posteriore. Sul nuovo modello c’è il marchio Amazon in nero lucido, mentre sul precedente c’era semplicemente scritto Kindle.

Lo schermo ha le medesime dimensioni con diagonale da 6 pollici a 221 ppi. Si percepiscono però subito i miglioramenti, per quanto riguarda la luminosità, l’uniformità della stessa (soprattutto sul bordo inferiore) e il bilanciamento del bianco. Gli schermi nuovi, con luminosità ai massimi livelli, sono decisamente meno giallastri dei precedenti, inoltre nel menu è stato predisposto un menu a sfioramento per aumetnare subito al massimo la luminosità, prima era assente. Peso intorno ai 200 grammi, memoria da 1,2 Gbyte di disponibilità di storage per i libri degli utenti. I formati supportati sono Kindle 8 (AZW3), Kindle (AZW), TXT, PDF, MOBI (ma solo non protetto), PRC nativo; Html, Doc, Docx, Jpeg, Gif, Png, Bmp con conversione.

Era già così, e allora approfondiamo meglio le novità. La differenza di velocità si apprezza solo in un confronto diretto, più difficile pensare di paragonare il guadagno attuale, anche solo lontanamente, al feedback dei display a led decisamente ancora più reattivi, ma non finiremo mai di sottolineare lo specifico utilizzo dei Kindle PaperWhite che nasce esclusivamente per assicurare l’esperienza migliore nella lettura da tempo libero con autonomia non raggiungibile con diverse tecnologie a led. Bene anche la sensibilità migliorata del display, con un reticolo più denso del 19 percento.

Amazon Kindle PaperWhite 6 generazione (3) (Copia)

Di poco ma si percepisce già a vista il differente bilanciamento del bianco tra il vecchio Amazon Kindle Paperwhite a sinistra e il nuovo a destra

 

Detto questo bisogna passare direttamente alle differenze per quanto riguarda il software. E la novità più evidente, e migliore, è certamente quella della visualizzazione delle pagine come pop-up sulla pagina che si sta già leggendo, nel caso in cui, per esempio, si decide di accedere a una nota. In questo modo il lettore finalmente non si preoccupa più di non riuscire a tornare alla pagina di lettura, perché la pagina della nota semplicemente verrà proposta in primo piano, in una miniatura di poco ridotta.

Inoltre puntando il dito in alto a destra della schermata, si apre a tendina un menu con le note, avvicinando così il sistema di Kindle Paperwhite in un certo senso alla proposta già in essere delle app per tablet, per esempio con iOs.

Con lo stesso sistema della visualizzazione di note pagina, è più facile per il lettore vedere anche in quale dei loci del libro egli si trovi, così da avere la percezione del punto di lettura in cui è, rispetto all’intero volume. Lo si vede bene nella foto. E’ stata altresì ripensata la funzionalità del dizionario, con un accesso diretto a Wikipedia, con un minor numero di passaggi, e soprattutto con la possibilità di includere in un proprio dizionario i termini non conosciuti. Il dizionario così arricchito comparirà come un volume a parte tra i volumi del vostro Kindle e di volta in volta sceglierete quali termini indicare come definitivamente appresi. Il resto ve lo proponiamo con il nostro slideshow. Il nuovo Kindle Paperwhite si può già prenotare, e le consegne inizieranno dal 9 ottobre. Prezzi invariati, rispetto al modello precedente quindi 129 euro il modello WiFi e 189 il modello con 3G integrato.

 
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"L'arte vera è popolare, ma in Italia lo capisce solo il pubblico". Intervista ad Antonio Rezza da controlacrisi

Post n°10880 pubblicato il 05 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news


Il teatro di Antonio Rezza e Flavia Mastrella è a Roma fino al 19 gennaio al Vascello.

Da un po' il panorama teatrale sta cambiando. Tra esperienze autogestite e una sperimentalità come la vostra, tua e di Flavia Mastrella, il quadro sembra in movimento. Qual è il tuo pensiero su questo?

Siamo indipendenti però ci avvaliamo dell’aiuto del teatro Vascello e della Fondazione Tpe, soprattutto per le pratiche burocratiche e ministeriali. Noi non prendiamo direttamente i contributi dallo Stato. Siamo contro il finanziamento all’opera. Crediamo che lo Stato debba mantenere gli spazi e pagare il personale, disinteressandosi dei contenuti. Cioè, i registi non andrebbero pagati dallo Stato. E' un punto di vista ferreo, ortodosso e ottuso, questo, che c'è da tanto tempo però ed è duro a morire.

Un confronto diretto con il pubblico, quindi…
No. Un confronto diretto con se stesso. Le cose si fanno per se stessi e non per il pubblico. Noi lavoriamo per noi. Il pubblico ci ama e ci adora e si perde in quello che facciamo. L’arte è per se stessa e non è per gli altri.

Il panorama al di fuori da qui?
Una caccia esasperata al finanziamento. Le compagnie giovani prima di avere le idee cercano di avere i soldi. Io penso che il rapporto andrebbe completamente invertito il metodo di lavoro e di ricerca: prima le idee e poi i soldi.

Come vedi questa esperienza degli spazi occupati e autogestiti?
E’ interessante, finché durano. Noi siamo in contatto con il teatro Valle, abbiamo fatto anche un film. Bisogna vedere perché conviene avere uno spazio occupato piuttosto che uno spazio gestito. Ci sono delle logiche che esulano dalla spontaneità dell’occupazione. L’occupazione avviene solo quando non ci sono i soldi, mentre gli spazi andrebbero occupati sempre anche quando l’economia è più florida.

In un periodo di forte crisi come questo il pubblico segue il vostro percorso di rottura invece che inseguire la rassicurazione.
Spero che la gente non veda un punto di riferimento in noi. Non dobbiamo essere un punto di riferimento E poi bisogna vedere cosa significa parlare di crisi. Se si parla di crisi mettendo in campo solo le relazioni economiche, allora me ne frego di questa crisi. Cioè, non è possibile che l’uomo si rapporti ai suoi simili solo attraverso la quantità di denaro che c’è a disposizione. Capisco che è importante vivere, e sono contro il sopravvivere. Quindi l’elemosina che dà la politica in cambio della popolarità a chi si lamenta è veramente poco rispetto a quello che si dovrebbe ottenere e che sarebbe giusto che si ottenesse per condurre una vita più dignitosa. Quindi fin quando la relazione tra gli uomini sarà economica noi ci disinteressiamo. Se ci fosse una manifestazione per la creazione di un ministero dell’Utopia e dell’Immaginazione, se si muovessero altre forze…

La crisi non soltanto economica, certo... 
La crisi è di idee. Le idee portano soldi. Se non ci sono idee non ci sono soldi. Quindi è sbagliato parlare di crisi solo da un punto di vista economico. C’è una crisi culturale che porta ad un impoverimento economico esasperato.

Il vostro teatro può essere definito classico perché tocca delle corde fondamentali dell’essere umano?
Il nostro teatro, ci tengo a ribadirlo, è un teatro di spazio, perché tutto parte dallo spazio di Flavia Mastrella. Senza quello spazio non ci sarebbe il teatro che facciamo. E’ un teatro classico perché continuaiamo a girare con spettacoli di venti anni fa.

Non ci sono personaggi, c’è un performer. Non avverti il rischio però che il performer stesso diventi un personaggio?
Innanzitutto, cambia lo spazio in ogni spettacolo, quindi cambiando lo spazio cambia il corpo. In questa antologia ogni volta che debutto rispetto allo spettacolo precedente ho delle difficoltà di adattamento perché il corpo si muove come nello spettacolo precedente. Ho bisogno di almeno due repliche per riadattare il corpo allo spazio nuovo. La parola seppur presente è quasi ornamentale rispetto alla concezione politica di partenza.

Hai spesso criticato la speranza. Però è indubbio che quando si esce dal tuo spettacolo si rimane sempre con la sensazione di dire “meno male che c’è qualcuno che ha coraggio nel dire certe cose”…
“Meno male”non è speranza però. La speranza è un atteggiamento che demanda ad un periodo migliore la soluzione di certi processi. E’ tipicamente cattolico. Significa sgravarsi da responabilità e paure attraverso l’idea di un domani migliore. Ma non attravrso il credere ma attraverso lo sperare che è una forma utopica di guardare al futuro.

Però quando prendi tanti calci infaccia e poi vedi che magari c’è la possibilità di non prenderli più.
Semplicemente che ti sei fatto più furbo. Ed anche la furbizia è una cosa abbastanza negativa.

Beh, diciamo non la furbizia in senso negativo…
L’astuzia è una cosa, la furbizia è un’altra, è più accattona.

Carmelo Bene, cosa suscita questo accostamento?
Innanzitutto, noi siamo in due e Carmelo Bene era era da solo. I lavoro è completamente diverso. La condivisione di alcune idee legate anche al ruolo dello Stato all’interno del sistema dell’arte l’avevano già espresse Artaud e Stirner. Purtroppo credo che Carmelo Bene nella sua grandezza sia stato percepito in un modo un po’ distorto. I giovani conoscono Carmelo Bene non per le opere che ha fatto ma per “L’uno contro tutti che fece da Costanzo”. Citano a memoria quella trasmissione. Quindi significa che Costanza ha fregato Carmelo Bene.

Però posso assicurare che vedono una continuità tra quel linguaggio e il vostro.
Vabbé però prima c’è Artaud allora. I giovani leggessero un po’ di Artaud.

Sei riuscito a costruire un equilibrio mirabile in scena tra spazio e corpo. Come risolvi e gestisci questa tensione?
Semplicemente quando arriva lo spazio sto un anno, un anno e mezzo, facendo anche altre cose. Il corpo rimane influenzato da quelle sculture. Io semplicemente mi abbandono al gioco. Gioco il più possibile.

Questo stare del corpo anche davanti alla parola. Il linguaggio va spegnendosi oppure prima o poi tornerà paritario?
Non è un problema che ci poniamo noi. Un corpo stanco emette un altro suono. Nei nostri spettacoli il suono esce quando il corpo è in avaria, non quando il corpo è seduto a raccontare e a narrare. Quindi, quello che esce dalla mia bocca non lo preventivo. Devo aspettare che il corpo sia sfinito per vedere che suoni emette. E’ un discorso più musicale che teatrale. Mi viene in mente Demetrio Stratos, con la ricerca che faceva sulla voce; la voce come muscolo non come parola. La voce come parola è solo significato. E il significato lascia, appunto, quello spregevole senso di speranza.

Nuovi percorsi della significazione che passano attraverso il corpo e che quindi diventano più comuni?
Se diventano comuni è una sciagura, perché puoi vuol dire che poi sono condivisibili. Credo che il corpo scriva meglio della mano. Non c’è paragone tra un corpo che scrive e un culo che siede.

Ma il senso della domanda è se questo può rimanere solo un fatto teatrale o diventare qualcosa di importante in altri ambiti…
Nella vita civle?

Per esempio…
Se nella vita civile faccio quello che faccio sul palco o mi arrestano o mi rinchiudono…

Vabbé ma che grado di contaminazione può avere, anche solo negli ambiti culturali?
E’ difficile. Usando un esempio sportivo. Se Cruyff o Maradona escono fuori dal loro ambito diventano un fenomeno da baraccone.

Insisto, c’è il probelma della rottura sistemi di simboli e linguaggi che sono sempre più formalizzati…
Non è un problema nostro, perché chi si mette ad infrangere le regole comunque ne crea altre. Noi non ci poniamo il problema di essere contro. Noi siamo contro perché sono gli altri ad andare da un’altra parte. Uno non può decidere di essere diverso dagli altri, ma una cosa che accade. Può decidere di essere diverso da te stesso. Ma non può decidere di essere diverso dagli altri. Sarebbe scorretto, e il risultato fiacco.

Questi vostri spettacoli che tipo di presa hanno all'estero?
Hanno la stessa aderenza che hanno qui. L’abbiamo fatto in spagnolo. Siamo andati a Mosca con la traduzione simultanea. Abbiamo portato all’estero tutto il metodo. Ha lo stesso risultato.

Anche di critica?
Si anche di critica. A Mosca siamo usciti in tre telegiornali. Cose che non fanno qui, ovviamente. E’ un meccanismo animale cehscatta. Se tu sei dello stesso posto di uno superdotato non lo puoi accettare. Non puoi accettare che una persona che sta nel tuo stesso ambiente sia brava. E’ sempre un discorso spaziale. Mentre fuori se sei bravo viene accetato con maggiore tranquillità.

Ho visto signore ultrasettantenni uscire dai vostri spettacoli entusiaste.
Certo perché lo spettacolo muove un corpo che le persone anziane vanno perdendo. E che perderemo anche noi. Bambini e anziani vanno a vedere una cosa che è stata sempre dai più reazionari come per pochi eletti.

Sarà troppo popolare…
L’arte vera è popolare, però è chiaro che chi non è al tuo livello deve dire che le cose belle sono per pochi perché altrimenti rimane fregato. Per carità, fossimo così pezzenti ci comporteremmo allo stesso modo.

L’Italia sta reagendo alla crisi? E’ solo un fuoco di paglia?
Mi rifiuto di avvallare un sistema che pone l’economia di fronte alle capacità innovative di una mente libera. Non mi interessa una crisi che ha come solo risvolto l’economia.

 
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“Masters of Sex”, spiegato da il post

Post n°10879 pubblicato il 05 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

Di cosa parla la serie tv americana del momento, a partire dalla storia vera di due famosi sessuologi tra gli anni Cinquanta e Sessanta
26 novembre 2013

Dal 29 settembre va in onda su Showtime (il network televisivo statunitense di Weeds,Dexter e Homeland, tra gli altri) una nuova serie televisiva ancora inedita in Italia, Masters of Sex. Il titolo è un riuscito gioco di parole: oltre a significare maestro, specialista, “Masters” è anche il cognome di William Masters, sessuologo e ginecologo realmente esistito che insieme alla sua collega Virginia Johnson, alla fine degli anni Cinquanta, fu il primo a effettuare uno studio approfondito della fisiologia sessuale umana, esaminando nel corso degli anni migliaia di atti sessuali compiuti da centinaia di volontari. La prima stagione è in corso negli Stati Uniti e finirà a dicembre.

La serie, creata da da Michelle Ashford, si basa sulla biografia di Thomas Maier, Masters of Sex: The Life and Times of William Masters and Virginia Johnson, una serie di interviste attraverso le quali Maier indaga le vite dei due sessuologi e soprattutto il loro lavoro sulla sessualità umana, allora considerato pionieristico, che contribuì a mostrare il sesso per la prima volta da un punto di vista scientifico e non più come la sfera privata della vita coniugale, oltre a demolire molti miti radicati nella cultura occidentale.

Chi erano William Masters e Virginia Johnson
William Masters e Virginia Johnson iniziarono a lavorare insieme nel 1956: Masters era un medico quarantunenne di Cleveland, specializzato in fertilità e disfunzioni riproduttive, sposato e con due figli; Johnson, nata a Springfield, in Missouri, aveva 31 anni, due figli e due divorzi alle spalle quando iniziò a lavorare come ricercatrice e assistente di Masters al Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia della Washington University di St. Louis. Nel 1957 Masters ottenne l’autorizzazione per effettuare una serie di ricerche sulla sessualità umana; fu un vero e proprio “suicidio accademico”, dato che all’epoca l’argomento era considerato off limits: grazie a una buona dose di discrezione e alla convinzione che le loro ricerche avrebbero potuto fornire risposte importanti a molte questioni sull’argomento, però, i due riuscirono a portare avanti il proprio lavoro.

Il lavoro consisteva innanzitutto, e per la prima volta, nell’osservazione diretta del rapporto sessuale e della masturbazione. Fino ad allora le poche ricerche in campo sessuale si basavano su interviste. Durante le sessioni nel laboratorio del dottor Masters, invece, attraverso un poligrafo venivano registrati dati come il battito cardiaco, il metabolismo, l’attività cerebrale dei volontari durante i rapporti sessuali. Il medico progettò anche uno strumento ad hoc per la ricerca, un dildo in plexiglas connesso a una telecamera che veniva introdotto nella vagina, chiamato “Ulisse”. Grazie a questi strumenti Masters e Johnson misurarono le reazioni fisiche ed effettuarono circa 10mila osservazioni cliniche della fase orgasmica, su 382 donne e 312 uomini fra i 18 e gli 89 anni, sani o con disfunzioni, che accettarono di avere rapporti sessuali completi con altri volontari o di masturbarsi nel laboratorio.

Osservando queste persone, Masters e Johnson riuscirono per esempio a individuare il “ciclo della risposta sessuale”, ovvero l’insieme dei fenomeni fisici e psichici che avvengono nel corpo umano in seguito a uno stimolo erotico, che comprende quattro fasi: eccitamento, plateau, orgasmo, risoluzione. Le loro ricerche aprirono anche alla classificazione precisa dei disturbi della sessualità, scalzando la psicoanalisi freudiana come metodo preferito di guarigione dalle disfunzioni sessuali. Il loro lavoro era spinto dalla convinzione che quanto più si sarebbe scoperto della fisiologia sessuale, tanto più sarebbe stata appagante l’esperienza puramente “umana” di provare piacere facendo sesso.

I risultati delle ricerche di Masters e Johnson
Nel 1964 Masters e Johnson aprirono il proprio istituto indipendente di ricerca a St. Louis, denominato Reproductive Biology Research Foundation (nel 1978 diventò il Masters and Johnson Institute). Due anni più tardi i due pubblicarono il primo libro coi risultati delle loro ricerche, noto in Italia come La risposta sessuale umana, che ebbe un grandissimo successo nonostante fosse un trattato clinico scritto in linguaggio tecnico: il libro smontava molte delle convinzioni dell’epoca (come per esempio l’importanza delle dimensioni del pene o il fatto che la masturbazione fosse pericolosa) oltre a diventare una delle tante molle che fecero scattare la cosiddetta “rivoluzione sessuale”, il generale cambiamento delle abitudini sessuali e del contesto socio-culturali riguardo il sesso nei paesi occidentali. Uno dei lavori pubblicati, per esempio, riguardava la sessualità femminile: per la prima volta risultava essere, per la complessità degli organi interessati e non solo, superiore o quanto meno uguale a quella maschile. Il concetto fu ripreso dalle femministe per rivendicare il diritto delle donne al piacere sessuale.

Durante la loro ricerca, che durò complessivamente 11 anni, Masters e Johnson iniziarono anche una relazione: si sposarono nel 1971, quando probabilmente erano le due persone a sapere di più sul sesso e l’amore coniugale in tutti gli Stati Uniti. Grazie ai loro studi diventarono ricchi e famosi ma la loro reputazione fu parzialmente compromessa dalla pubblicazione di alcuni loro libri sull’omosessualità e l’AIDS, considerati retrogradi dal punto di vista clinico ed etico, e per cui furono molto criticati: a partire dal 1968 e fino al 1977, infatti, i due misero a punto nel loro istituto un programma di “terapia di conversione” che mirava a rendere eterosessuali dei soggetti omosessuali.

Le dure critiche al loro lavoro degli ultimi anni misero in crisi anche il loro matrimonio: divorziarono nel 1992, pur rimanendo in buoni rapporti e continuando a collaborare. La loro separazione fu vista però come un evento clamoroso, perché riguardava proprio le due persone che avevano risolto i problemi sessuali di migliaia di coppie e spianato la strada a tutte le moderne terapie di risoluzione dei problemi collegati al sesso. Il Masters and Johnson Institute fu chiuso due anni dopo il loro divorzio. William Masters morì nel 2001, a 85 anni, per le complicazioni del morbo di Parkinson; Virginia Johnson è morta il 24 luglio di quest’anno a 88 anni. Nonostante avessero perso credibilità negli ultimi anni, i due restano a tutti gli effetti dei pionieri: l’influenza del loro lavoro sui costumi culturali e soprattutto sull’emancipazione sessuale femminile è considerata indiscutibile.

Cosa racconta la serie televisiva
La serie si svolge per lo più all’interno dell’ospedale dove lavorano Masters e Johnson, interpretati da Michael Sheen e Lizzy Caplan. Sheen è un attore gallese noto soprattutto per aver interpretato Tony Blair in ben tre film e il giornalista David Frost nel film Frost/Nixon – Il duello; Lizzy Caplan si fece notare nel 2004 con Mean Girls e da allora ha lavorato soprattutto in televisione. Tra i personaggi secondari ci sono poi Caitlin Fitzgerald nel ruolo di Libby Masters, moglie di William; Beau Bridges, che interpreta il rettore Barton Scully, sposato ma segretamente gay; Teddy Sears e Nicholas D’Agosto che interpretano rispettivamente Austin Langham e Ethan Haas, due medici che lavorano nell’Università. La serie racconta l’evoluzione delle ricerche nel laboratorio del dottor Masters ma anche le loro vite private: il sesso è sempre molto presente, essendo il tema principale, ma non raccontato in modo pruriginoso e non è l’elemento fondamentale della serie. L’estetica e le apprezzate ricostruzioni storiche della serie rimandano molto a quelle di Mad Men. A ottobre lo show è stato rinnovato per un’altra stagione, dopo essere piaciuto molto sia agli spettatori che alla critica.

Le critiche e la critica
“Masters of Sex” ha ricevuto però anche diverse critiche. Secondo alcuni, per esempio rappresenterebbe in chiave “positiva” una serie di temi che nel tempo sono stati fortunatamente rivisti ma che allora erano indiscutibili, come la sacralità della verginità, l’assoluta amoralità dell’omosessualità e il ruolo secondario della donna nella società. Chi difende la serie dice che questa attitudine della serie è frutto dell’attenta e fedele ricostruzione delle convenzioni sociali e culturali dell’epoca: per quanto possano sembrare oggi eticamente discutibili, all’epoca erano la “normalità”.

Altri hanno invece criticato la ricostruzione del personaggio di Virginia Johnson: nella serie è una donna affascinante, a suo agio in ogni situazione e che cresce da sola due figli, cosa che per l’epoca sarebbe stata scandalosa e a cui lei invece non dà nessuna importanza. Ma soprattutto Virginia conosce il suo corpo e sa cosa le piace, nella vita e soprattutto nel sesso: una caratteristica che naturalmente colpisce e piace molto agli spettatori, ma che probabilmente non avrebbe suscitato la stessa ammirazione a St. Louis, Missouri, negli anni Cinquanta. Inoltre, come spiega Michelle Dean sul New Yorker, non sono da sottovalutare le implicazioni sessuali del rapporto tra lei e il dottor Masters: Johnson, nella biografia di Maier, spiega infatti che era stato lui per primo a voler avere dei rapporti sessuali, principalmente per la ricerca, e che anche se non era mai stata costretta ad accettare all’inizio aveva visto la cosa come l’unica condizione implicita per poter continuare quel lavoro al quale teneva così tanto. Questo particolare, per esempio, nella serie è trattato in maniera quasi scherzosa.

Secondo Dean il personaggio di Virginia appiattisce le possibilità drammatiche della serie rispetto per esempio a Mad Men, dove la rappresentazione delle donne è sempre giocata sull’ambivalenza, tanto da far spesso provare avversione per il modo in cui vengono trattate o per il loro modo di comportarsi. Virginia invece, sempre secondo Dean, non fa mai un passo falso, non si cura del giudizio degli altri, non ha mai un’indecisione e sembra non pentirsi mai di niente. Eppure anche questa critica sembra vera solo a metà: quasi tutti i personaggi della serie mostrano invece molte ambivalenze e possono essere visti attraverso diversi punti di vista.

Virginia è coraggiosa e anticonformista – forse troppo per l’epoca, è vero, e forse troppo diversa dalla vera Virginia Johnson – ma è anche una madre insicura, che spesso dichiara la propria incapacità e che altrettanto spesso si dimostra servile nei confronti di Masters. Masters mostra l’ambivalenza ancora meglio: è ambizioso, conscio dei propri mezzi e coraggioso nella sua convinzione di voler andare avanti con la ricerca, ma è anche un uomo sterile che non riesce a soddisfare sessualmente sua moglie. O ancora, è l’uomo che incarna tutta la violenza del potere maschile nel momento in cui tratta con durezza Virginia o quando ricatta il rettore, della cui omosessualità è venuto nel frattempo a conoscenza, per ottenere i fondi per continuare i suoi studi. Secondo molti è questa, in fin dei conti, la ragione per cui la serie piace molto negli Stati Uniti: tratta un tema che riguarda tutti e lo fa raccontando la storia di chi per primo pensò che fosse importante parlare di quel tema, il sesso.

 
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